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martedì 29 luglio 2014

XVIII Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Isaìa (Is 55,1-3)

Così dice il Signore: «O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite; comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti. Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete. Io stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 8,35.37-39)

Fratelli, chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 14,13-21)

In quel tempo, avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

 

La moltiplicazione dei pani e dei pesci è tra gli episodi della vita di Gesù uno dei più noti, dei più narrati e dei più commentati.

Difficile dunque mettersi di fronte a un testo così tante volte ascoltato e interpretato.

Mi sono perciò chiesta che cosa abbia spinto gli evangelisti a insistere su questo evento, perché abbiano trovato in esso qualcosa che meritava di essere raccontato ben 6 volte nei vangeli (2 da Matteo e Marco, 1 da Luca e 1 da Giovanni).

Perché questo miracolo ha scatenato una tale insistenza? È stato davvero un miracolo nel senso che comunemente si dà a questa parola?

E con queste due domande mi riferisco in particolare ai due filoni interpretativi più divulgati: quello forse più classico del “miracolone” dato dall’incredibilità del fatto, dal numero esagerato delle persone coinvolte, dal fatto che pare essere avvenuto più di una volta… con l’idea di fondo che Dio sfama il suo popolo (salvo poi non spiegare – almeno l’interpretazione miracolistica non lo fa – perché la fame nel mondo e nell’uomo sia rimasta tale e quale); e quello più recente per cui non si sarebbe trattato di per sé di un “miracolo” nel senso classico di fatto straordinario, prodigioso, ma del miracolo della condivisione: tutti hanno mangiato perché tutti hanno messo a disposizione ciò che avevano e perciò nessuno è rimasto affamato.

Due filoni interpretativi validi, che hanno indubbiamente qualcosa da dire e sui quali non insisto per il semplice fatto che sono fin troppo conosciuti.

Vorrei piuttosto oggi abbozzare un percorso diverso e guardare al medesimo testo da un punto prospettico differente: io credo cioè che l’insistenza su questo episodio sia da attribuire alla stretta relazione che questo testo ha con l’ultima cena e l’istituzione dell’eucaristia e contemporaneamente con il più alto rischio di fraintendimento che l’esperienza storica di Gesù (e dunque il volto di Dio che voleva rivelare) ha corso e tuttora corre.

In altre parole: il dare da mangiare di Gesù (nella moltiplicazione dei pani) e il suo darsi da mangiare (nell’ultima cena) sono contemporaneamente il massimo della rivelazione di Dio e del rischio del suo fraintendimento.

In questo senso, la moltiplicazione dei pani può aiutarci a gettare una luce sull’ultima cena, sia nello specificare chi è il Dio che lì si fa conoscere, sia nel farci attenti sul rischio di fallire la comprensione di questo Padre.

Partiamo proprio da questo secondo profilo: la moltiplicazione dei pani toglie ogni dubbio sulla possibile equivocità del gesto del dare/darsi da mangiare. Gesù non dà il pane né tanto meno il suo corpo agli uomini per poterli sottomettere o ricattare.

«Ecco cosa significava quella proposta nel deserto, ed ecco che cosa rifiutasti in nome di quella libertà che Tu ponevi al di sopra di tutto! Invece in questa proposta era racchiuso uno dei grandi segreti del mondo. Accettando l’idea dei “pani”, Tu avresti acquetato un’ansia eterna e universale degli uomini, tanto dell’individuo singolo, quanto dell’umanità tutta insieme, e cioè questa: “Davanti a chi inchinarsi?”. […] Tu lo sapevi, Tu non potevi non conoscere questo segreto fondamentale della natura umana, ma rifiutasti l’unica bandiera invincibile che Ti si offrisse per indurre tutti a inchinarsi davanti a Te senza discutere: la bandiera del pane terreno, e la rifiutasti in nome della libertà e del pane celeste. […] Ti si offriva una bandiera al di sopra di ogni discussione: dagli il pane e l’uomo si inchinerà, poiché non c’è nulla di più indiscutibile del pane» scriveva Dostoevskij.

E Gesù diede il pane per mostrare che Dio è il Padre che sfama, non che affama i suoi figli, ma non risolse il problema della fame, cioè non usò quel pane per soggiogarli o ricattarli, perché venissero a lui per il pane.

Solo chiarito questo, si può cogliere, senza equivocità o ombra di sopraffazione, il dono di quell’altro pane, che era il suo corpo, fatto durante l’ultima cena.

«Il Signore Gesù è in grado di far diventare cibo per un’immensa folla pochi spiccioli di pane e di pesce. Ma la bellezza del segno è che egli non moltiplica propriamente del cibo, bensì la disponibilità di alcuni a prendersi cura della fame altrui. Della fame altrui, capisci? Qualcuno deve sporgersi oltre la propria fame, affinché tutti siano saziati. I discepoli sono quelli che celebrano, nell’eucaristia, la loro disponibilità a sporgersi, nella vita, oltre la propria fame. E questo deve apparire nella celebrazione dell’eucaristia. Nella cena Gesù si sporge oltre la propria vita. E oltre la morte» scriveva Sequeri.

Gesù si sporge oltre la propria fame di vita, dando se stesso da mangiare.

 

Eppure anche della celebrazione eucaristica noi siamo riusciti a fare un ricatto di Dio: se non vai a messa…

Abbiamo reintrodotto in quel gesto di per sé inequivocabile, l’ombra del sospetto… che se Gesù fa questo per noi, è perché qualcosa in cambio alla fine va dato. Tant’è che schiere di cristiani hanno frequentato e frequentano le celebrazioni eucaristiche per “pagare dazio” a Dio e tornare con la coscienza apposto a fare la loro vita per il resto della settimana.

E invece no.

Dio non risolve il problema della fame, anche se quel giorno moltiplicò i pani per la gente. Non risolve il problema religioso, dandoci il precetto della messa domenicale. Si sottrae a questo trabocchetto in cui i nostri automatismi vorrebbero chiuderlo.

Dio non è colui che risolve la nostra fame e se “Parigi val bene una messa”, il paradiso no!

È un’altra cosa, è un altro piano.

Dio apre uno scarto rispetto ai nostri automatismi logici (se vado a messa… se faccio l’elemosina… se non faccio i peccati…), perché essi chiudono, non aprono, alla relazione.

Per questo pone dei gesti (come la moltiplicazione dei pani) che dicono qualcosa su di Lui, ma non permettono induzioni indebite (non toglie la fame nel mondo): Dio è colui che ha a cuore la fame dell’uomo ed anzi in quella circostanza la saziò, ma non è colui che toglie l’uomo dalla storia. Il pranzo successivo quella folla se l’è dovuto sudare come tutti gli altri pasti della sua vita, prima e dopo la moltiplicazione.

È dentro a quello scarto che dobbiamo guardare, per aprirci ad una relazione che continuamente ci chiede di dislocarci rispetto a quanto automaticamente dedurremmo. Dio è sempre dis-locato, rispetto a dove noi pretendiamo di fissarlo, è sempre sporto altrove…

E se il nostro desiderio è incontrarlo, bisogna che ci sporgiamo anche noi, a prenderci cura della fame degli altri, dando loro noi stessi da mangiare.

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