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martedì 18 agosto 2015

XXI Domenica del Tempo ordinario (B)


Dal libro di Giosuè (Gs 24,1-2.15-17.18)

In quei giorni, Giosuè radunò tutte le tribù d’Israele a Sichem e convocò gli anziani d’Israele, i capi, i giudici e gli scribi, ed essi si presentarono davanti a Dio. Giosuè disse a tutto il popolo: «Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrèi, nel cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore». Il popolo rispose: «Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché è il Signore, nostro Dio, che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; egli ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino che abbiamo percorso e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati. Perciò anche noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni (Ef 5,21-32)

Fratelli, nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,60-69)

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

 

Eccoci giunti alla fine del percorso intorno al pane di vita. Il discorso di Gesù finisce piuttosto male, i più se ne vanno. Restano solo i Dodici.

Ma ciò che mi ha colpito più di tutto in questo vangelo è la frase di Gesù che dice: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla».

Innanzitutto perché non è immediatamente chiaro cosa sia il “salire del Figlio dell’uomo là dov’era prima” e poi, soprattutto, il riferimento allo Spirito e la squalificazione della carne.

È strano, quest’ultimo punto, in particolare alla luce di tutto quanto detto prima sulla sua carne da mangiare. Come può ora dire che la carne non giova a nulla?

Ho trovato un commento interessante di Mauro Laconi, che mi ha aiutato a chiarire un po’ questi aspetti e perciò ve lo propongo.

Scrive Laconi: «Il capitolo si conclude in tono di infinita tristezza. I “discepoli”, anzi, “molti” di loro, trovano impossibile accogliere le parole di Gesù. La loro mancanza di fede angustia Gesù. Egli reagisce prima con una specie di rassegnazione («Tra voi vi sono alcuni che non credono», v. 64); poi con parole che sembrano denotare un animo sfiduciato («Volete andarvene anche voi?», v. 67) […]. Mai nei vangeli si è guardato con tanta attenzione e apprensione dentro l’anima di Gesù […]. Giovanni è ancora tutto preso dal suo tragico interrogativo: come spiegare l’incredulità, il rifiuto della vita, il rifiuto di Dio? Il fallimento del divino Rivelatore, di colui che può presentarsi in verità con il biblico “Io Sono”, è per lui un mistero davvero imperscrutabile, pari solo alla sconfinata amarezza dell’animo di Gesù. Ma l’evangelista non attenua la proporzione delle cose. Pretendendo la fede, Gesù pretende davvero molto. Le sue parole (“mangiare la sua carne”), anche se intese a tradurre in termini di vita eucaristica il mistero dell’incarnazione, per chi non ci si abbandona sono davvero “dure”, anzi “scandalose”. Eppure gli uomini saranno messi davanti a uno “scandalo” ben più grande: la croce! Questo sembra proprio il senso fondamentale del v. 62 («E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?»): infatti per Giovanni il ritorno di Gesù al Padre è abitualmente identificato con la passione (1,13). D’altra parte il linguaggio cristiano è coerente; molto prima di Giovanni, anche Paolo aveva parlato dello “scandalo della croce” (Gal 5,11; 1 Cor 1,23). Fino a che punto possa sembrare “scandaloso” Gesù, era d’altronde già stato suggerito in certi passi sinottici (Mt 11,6: «E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!»). e tuttavia proprio la croce, che porterà la rivelazione all’estremo della sua “durezza” e del suo “scandalo”, rappresenterà per i discepoli e per tutto il mondo il momento dell’illuminazione […]. Proprio dalla croce diventerà stranamente chiaro l’“Io Sono” di Gesù, e “tutti” ne saranno trascinati. È quanto sembra voler dire il difficile v. 63 («È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita»), che potrebbe sembrare enigmatico e quasi contro senso se lo si isolasse. Ma il pensiero è concentrato sul Figlio dell’uomo glorificato (“risalito là dov’era prima”); asceso al cielo donerà lo Spirito, e allora all’uomo debole sarà possibile quello che prima sembrava irrealizzabile: la fede in Gesù. L’Eucaristia è “carne” come è “carne” l’incarnazione; ma senza lo Spirito, per l’uomo “non giovano veramente a nulla”. Non è nemmeno da escludere che Giovanni abbia di mira alcune deviazioni ecclesiali di tipo ritualistico-magico. L’Eucaristia, sembra voler suggerire, non accolta nella profondità e autenticità dello Spirito, rimarrebbe un rito senza senso».

Ecco i nostri dubbi chiariti. Il riferimento al “salire” di Gesù è la croce e – come accennavamo settimana scorsa – le mere pratiche religiose (fosse anche la pratica religiosa cristiana per eccellenza, cioè il fare la comunione) di per sé non servono a nulla.

Come è chiarissimo nei sinottici, dove l’istituzione dell’eucaristia è celebrata la sera prima della morte in croce, c’è un nesso strettissimo tra il magiare la carne di Gesù e il partecipare alla sua donazione. Se non si entra nella dinamica della croce di Gesù, non si può dire di mangiare la sua carne. Ma entrare nella dinamica della croce è precisamente quella relazione a tu per tu (da spirito a Spirito) di cui parlavamo settimana scorsa.

È mentre viviamo la relazione personale con la persona di Gesù e in particolare con la sua morte che stiamo mangiando la sua carne. Un po’ come nei rapporti tra di noi: è solo condividendo la vita che entriamo nella vita dell’altro, che ci mangiamo reciprocamente la carne. Un mangiare, che poi, magari anche nelle nostre relazioni personali, si visibilizza in gesti particolari, “sacramentali”, come nell’eucaristia per la relazione con Gesù, ma che hanno senso e si sostanziano solo perché c’è dietro e dentro la vita intera.

La conclusione di questo percorso, allora, è un invito a spaccarsi la testa sulla storia di Gesù (e in particolare sulla sua fine), senza accontentarsi delle rispostine preconfezionate che altri ci hanno dato o noi stessi ci siamo dati; e farlo, non come esercizio intellettuale, ma in un dialogo con Lui, che attraverso il suo vangelo continua a rinarrarci la storia della sua carne.

Potrebbero aiutarci domande quali:

-          Perché la vita di Gesù è finita così?

-          Perché quella morte?

-          Chi l’ha ucciso e perché?

-          Perché non vi si è sottratto?

-          Perché in tutta la storia della passione è l’unico che si fa male?

-          Cosa dice di Lui quel non sottrarsi?

-          Cosa avrebbe detto di Lui il sottrarsi?

 

E potrebbe anche aiutarci non considerare valide alcune risposte (non perché sbagliate, ma perché talmente usate da essersi svuotate di senso). Quindi non valgono risposte quali:

-          Per la nostra salvezza.

-          Per il bene dell’umanità.

-          Per rimettere i nostri peccati.

-          Tutte quelle che assomigliano a queste :o)

martedì 29 luglio 2014

XVIII Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Isaìa (Is 55,1-3)

Così dice il Signore: «O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite; comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti. Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete. Io stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 8,35.37-39)

Fratelli, chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 14,13-21)

In quel tempo, avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

 

La moltiplicazione dei pani e dei pesci è tra gli episodi della vita di Gesù uno dei più noti, dei più narrati e dei più commentati.

Difficile dunque mettersi di fronte a un testo così tante volte ascoltato e interpretato.

Mi sono perciò chiesta che cosa abbia spinto gli evangelisti a insistere su questo evento, perché abbiano trovato in esso qualcosa che meritava di essere raccontato ben 6 volte nei vangeli (2 da Matteo e Marco, 1 da Luca e 1 da Giovanni).

Perché questo miracolo ha scatenato una tale insistenza? È stato davvero un miracolo nel senso che comunemente si dà a questa parola?

martedì 6 gennaio 2009

BENEDETTO XVI - La luce e le stelle


Dall’Epifania un messaggio per la vita

La Luce dell’Epifania dal piccolo Bambino si scinde in tre luminosi fasci che colpiscono tre momenti della vita di Gesù Cristo nella storia: i Magi che aprono la strada alla rivelazione del Dio d’Israele ai pagani, aspetto tanto privilegiato dalla sensibilità della tradizione latina; il Battesimo del Signore nelle acque del Giordano, cui guarda con stupore la tradizione orientale; le nozze di Cana in cui Egli si manifestò, compì cioè la sua “epifania”, e i discepoli al mutare dell’acqua in vino credettero in Lui.
Sono solo tre momenti, tre punti, nella storia della salvezza fissati nella cornice di un evento? Sarebbero in questo caso tre punti di luce ma di luce morta, oppure sculture di luce effimera. La misericordia di Dio nel venire incontro all’uomo e alla donna ha donato invece una Luce sempre viva, sempre presente che, irraggiando, stupisce chi vive nella fede. Papa Benedetto, sapientemente, lo rileva: «…che dovremmo dire noi, cari fratelli, specialmente noi sacerdoti della nuova Alleanza, che ogni giorno siamo testimoni e ministri dell’"epifania" di Gesù Cristo nella santa Eucaristia?».
Proprio da questo mistero sacramentale si diparte quella Luce che non abbandona mai, che riesce a penetrare le tenebre di questi giorni insanguinati e burrascosi, in cui ragioni politiche e militari si affrontano con la violenza e non con la diplomazia, con il terrore e non con la chiarezza che possa dirimere le questioni umane. Da questa Luce scaturisce la Luce di ogni giorno, di ogni momento, da cui nessuno, se lo vuole, è escluso: Egli, la Luce, sempre presente nel Sacramento.
Il Padre questa Luce ce la dona, in modo simbolico, nella stella che guida i Magi. Fiumi di inchiostro sono stati spesi per trovarne il nesso scientifico, ricostruirne i percorsi, individuarne la traiettoria. Papa Benedetto tutto questo scavo ben lo conosce, anche perché fede e ragione, fede e scienza, sono in lui dei pungoli, intellettuali e spirituali, che lo sollecitano ad un confronto senza soste, sia nel passo da tenere sia nella profondità delle conoscenze. «Il pensiero cristiano paragona il cosmo ad un "libro" – così diceva anche lo stesso Galileo –, considerandolo come l’opera di un Autore che si esprime mediante la "sinfonia" del creato». Questo “libro” si srotola dinanzi a noi ed è stupendo, suscita una meraviglia sempre nuova, le sue lettere vibrano di Luce e la trasmettono; sembra però che noi, creature umane, tutto si faccia e si tenti di fare per oscurarLa, per cancellare e lettere e pagine.
I disastri ecologici, l’inquinamento, le guerre, i disboscamenti (si potrebbe continuare con un elenco sterminato) costituiscono grandi ombre che coprono o mascherano la Luce. Filtri opachi, vie sabbiose. Eppure la Luce li trapassa, innesta il grande processo alchemico dell’amore, misterioso ma reale, affidato a quella «stella dell’evangelizzazione» che è Maria. Donna che brillò, ma non di luce propria e quindi non gettò fili propri nella storia, ma seppe accogliere la Luce e porgerla, donarla. Il fascio luminoso si diparte da qui, da un grembo che accolse e generò il tutto Luce, il Figlio di Dio che irruppe nelle tenebre e le convertì.
La rivoluzione cosmologica, cui accenna Papa Benedetto dandoci così la chiave di lettura dell’episodio evangelico, scuote le fondamenta del mondo e della storia, impone con la sua Luce la signoria del Servo, che diviene Uomo in carne ed ossa, ma rimane il Dio che governa con armoniosa sapienza il cosmo e lo mette nelle nostre mani: «Non c’è ombra, per quanto tenebrosa, che possa oscurare la luce di Cristo». Allora noi, semplici creature, capaci di gettare ombra, possiamo creare luce, diventare artefici, creatori, se esposti ai raggi luminosi: accogliamo la Luce e tutto da noi sarà trapassato di speranza, di incandescenza che contagia.
Benedetto ci dona anche quell’aspetto simbolico che a tutti è offerto e a cui nessuno può sottrarsi, una volta che il fascio di Luce abbia fatto irruzione nella sua coscienza: «Cari amici, in questo anno paolino, la festa dell’Epifania invita la Chiesa e, in essa, ogni comunità ed ogni singolo fedele, ad imitare, come fece l’Apostolo delle genti, il servizio che la stella rese ai Magi d’Oriente guidandoli fino a Gesù. Che cos’è stata la vita di Paolo, dopo la sua conversione, se non una "corsa" per portare ai popoli la luce di Cristo e, viceversa, condurre i popoli a Cristo? La grazia di Dio ha fatto di Paolo una "stella" per le genti».
Questa Luce ci fa stella, se lo desideriamo. Ogni giorno.

di Cristiana Dobner, in SIR, martedì 06 gennaio 2009

venerdì 26 dicembre 2008

Fractio panis...

A Berna, un'anziana signora ultra-ottantenne, essendo rimasta sola e non avendo voglia di cucinare solo per se stessa, si reca tutti i giorni a pranzare alla Migros, una catena di ristoranti self-service. Quel giorno decide di mangiare un bel minestrone di verdura. Prende un vassoio, riempie il piatto di minestrone, va alla cassa a pagare e prende posto ad un tavolo vuoto. Si siede, ma al momento di mangiare si accorge di non aver preso un cucchiaio per mangiare il minestrone.

Si alza, va alla cassa dove ci sono le posate, prende un cucchiaio e ritorna al suo tavolo, ma... lì seduto c'è un ragazzo africano che sta mangiando il suo minestrone! Sul momento la signora s’indigna e vorrebbe andare dal ragazzo a dirgli di tutto, ma poi pensa che, certamente, quell'emigrato l'ha fatto per fame e, passata la rabbia, decide di sedersi davanti al ragazzo e, senza dirgli nulla, incomincia a mangiare anche lei il minestrone. Il ragazzo africano la guarda stupito, ma lei gli sorride, lui le sorride e continuano a mangiare il minestrone: un cucchiaio lei, un cucchiaio lui… Finito il minestrone il ragazzo si alza, va al banco dei primi piatti, prende un piatto di fettuccine alla bolognese, prende due forchette e torna al tavolo.

Dà una forchetta alla vecchia signora, si siede davanti a lei e incominciano a mangiare le fettuccine, sorridendo: una forchettata lei, una forchettata lui... Terminate le fettuccine il ragazzo africano si alza, fa un sorriso alla signora e se ne va. La signora, contenta per aver fatto un’opera buona, si gira sorridendo, per salutarlo e.... ad un tavolo vicino, dietro di lei, vede un vassoio con sopra un piatto di minestrone... Il suo piatto!
fonte: Paolo Farinella: Lettera da Erika

venerdì 1 agosto 2008

La sfida della moltiplicazione…

…due cene, due paradossali conviti, sono proposti alla fame insaziabile dell’uomo, nel capitolo 14° del Vangelo di Matteo. Noi abbiamo ascoltato solo questa prima moltiplicazione dei pani. Ma questa è avvenuta in conseguenza del ritiro di Gesù nel deserto, dopo che Erode durante il pranzo tragico del suo compleanno ha fatto assassinare Giovanni Battista. E dietro a Gesù che si allontana in barca da questa convivialità assassina verso il deserto, vanno le folle, a piedi, lungo la riva… come fuggissero anche loro, rincorrendo nel deserto una parola di vita e di speranza.

la cena omicida di Erode
Quello di Erode è il convito per la festa del compleanno – invitati i grandi del potere (una grandezza tanto sanguinaria e presuntuosa quanto meschina e illusoria). Con cibi avvelenati di oppressione, odio, schiavitù… Le perversioni del cuore di ognuno si intrecciano e si assommano e il turpe omicidio che ne consegue non era previsto dal re, impaniato stupidamente in una ragnatela mortale. Ma la connivenza mortifera dei suoi pari, la stolta paura di perdere la faccia, rende progressivamente irreversibile il disegno di morte. Il male è sempre più di quanto ognuno da solo è capace di fare – e si “moltiplica” irrefrenabile nella sua logica perversa. Il giorno di festa della propria vita, diventa il giorno tragico dell’uccisione dell’unico innocente.
la cena messianica di Gesù
…le folle, in questo contesto appaiono ancora più smarrite, non solo pecore senza pastore, ma adesso anche lontane dalle loro povere case, senza mangiare e stanche del viaggio… in un luogo deserto, inospitale. Sono mosse, più meno coscientemente, dalla ricerca ostinata (ormai quasi disperata) della salvezza “messianica”, che ha tenuto vivo quel popolo per millenni di delusioni e di speranze… Ora sentono e rincorrono una salvezza “vera” venuta tra di noi. Non in futuro, ma adesso, anche se ha il suo compimento nel futuro. Una salvezza storica, cioè attuale e concreta. Universale, dalla quale nessuno è escluso, perché tutti vi hanno diritto, anche se poveri, impuri e peccatori, donne o bambini. Una salvezza abbondante, esorbitante, sconfinata. E sono addirittura custoditi gli avanzi per chi non è ancora arrivato, o arriverà in ritardo... Un convito dove nessuno è padrone di nessuno, ma chi più capisce più è chiamato a servire alla distribuzione ordinata per la gente sdraiata sull’erba fresca…
Finalmente… è stato ascoltato il desiderio dei popoli, si è avverato il sogno dei poveri di sempre? O voi tutti assetati venite all'acqua, chi non ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e, senza spesa, vino e latte… mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti…
Non… chissà dove e chissà quando, ma nella piccola, fragile e difficile realtà della storia di oggi! … non abbiamo se non cinque pani e due pesci… Gesù ribadisce imperterrito: …date loro voi stessi da mangiare… benedisse, spezzò, diede ai discepoli e i discepoli alla folla… Tutti mangiarono e furono saziati.
la compassione di Dio
Le rivelazioni di Dio in Cristo sono collegate ai bisogni dell’umanità! Così era iniziata la storia della salvezza, che sta arrivando al suo compimento (Es 3,7: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze!”).
…c’è lo sguardo di Dio sul bisogno degli uomini: e ciò che vede, smuove le sue viscere a compassione per le folle con i malati… Gesù lancia il suo messaggio storico e simbolico insieme: la sfida della moltiplicazione smisurata delle poche striminzite risorse umane! è questa la premessa che porta alla salvezza!
…l’attenzione – la compassione – il coinvolgimento – la convivialità: sono i passi delle nuove relazioni liberatorie che il “messia” insegna agli uomini, come caratteristiche inconfondibili e inderogabili del suo discepolo “cristiano” – colui che è del tutto compromesso ormai nel convito dell’abbondanza gratuita: date voi stessi loro da mangiare.
tra la cena mortifera e la cena messianica … le nostre povere cene
I discepoli sono ormai storicamente lacerati da questa sfida, inerente all’avventura stessa della loro fede, nell’incertezza tra la cena mondana in cui sono coinvolti come uomini inseriti nel mondo in cui vivono, ma di cui conoscono come nessun altro la potenza coinvolgente e velenosa e la nuova cena messianica, nella quale il maestro si è consegnato per tutti, e che ha invitati a ripetere in sua memoria… Sanno anche che il pane non piove dal cielo e neanche i pesci, e neanche il petrolio o le macchine o i servizi e gli incontrollabili apparati di questa società. Tutto viene da un mercato inflessibile… fondato sul denaro e il potere, a cui i discepoli non devono rassegnarsi, collusi o tonti o colpevolizzati. Ma ancora oggi sono tentati di lavarsene le mani, lasciando le folle alla loro sorte: mandali nei villaggi, a procurarsi del cibo, con il denaro… gli uomini vengono richiusi nel loro bisogno, che pure sono incapaci di risolvere. E le necessità della storia quotidiana che si impongono senza pietà, rischiano di renderli schizofrenici, perché sono il contrario dell’utopia profetica: date voi loro stessi da mangiare!
la “moltiplicazione” - garanzia storica dell’eucaristia
… e qui esplode la “moltiplicazione”: un gratuito, piccolo, insignificante, persino contaminato dalla necessità antropologica del manipolare la natura fino ad inquinarla, fino ad uccidere per mangiare… Questo misero “piccolo” nostro bene, se condiviso, diventa bello, smisurato, incontenibile, libero dal danaro e dalla schiavitù della necessità… come l’acqua della samaritana, il vino di Cana, il pane sovrabbondante, venuto dalle poche pagnotte tenute nel nostro zainetto, aperto alla gente… Un impatto incancellabile per la chiesa primitiva queste moltiplicazioni, che lasciano scritte per sei volte, più che per l’istituzione stessa di ciò che prefigurano, l’eucaristia!
C’è dunque un insegnamento troppo importante, profetizzato da millenni nella fede dei patriarchi, dei profeti e dei poveri di Israele: è la caratteristica del Regno, il dito di Dio nella storia, indicato con tanti simboli e figure. Un “dito” con cui il discepolo può toccare la storia (la sua piccola storia) e farne scaturire, come disseppellendola, la segreta potenza di bene che ha dentro, oppressa e come ostruita dalle pesanti catene della paura, della competizione, dell’omertà vischiosa. Una potenza di bene seminata nel cuore della materia, ma soprattutto nelle vicende degli uomini, della loro fame disperata o intontita… Una potenza di bene, che il discepolo di Gesù è chiamato a “scoprire”, per vederla diffondersi e moltiplicarsi… in questa dinamica dal “piccolo insignificante” che diventa “gratuito sovrabbondante e incontenibile”: tutti mangiarono e furono saziati!
Giustamente la lettura che la stessa comunità primitiva ha fatta delle “moltiplicazioni” è modellata sul mistero eucaristico, perché questo è il nucleo ardente che il Padre ha inserito nel cuore dell’universo, assumendone e incarnandone in Gesù il gemito di salvezza… Ma guai a spegnere nella sola celebrazione liturgica la sua forza propulsiva di fermento storico! La gente è spaventata dalla eucarestia, quando ne intuisce il coinvolgimento mortale che comporta, e si domanda come sia possibile… Noi non possiamo che consentire, e ammettere che agli uomini il dono totale di sé è impossibile, e che la grazia eucaristica è proprio il cibo che rende digeribile al nostro stomaco questo destino indigesto. Soltanto che non capiranno se non li coinvolgiamo nelle “moltiplicazioni” – nelle esperienze piccole di dilatazioni umane grandi, ove illuminati e affascinati dalla Parola tentiamo di attingere alla consolazione dello Spirito, partecipando alla faticosa storia degli uomini con cui viviamo, facendo sì che ognuno trovi, passo passo, la sua missione personale, l’identità liberante che ha scritta da sempre nel suo cuore affamato…

venerdì 23 maggio 2008

Chi mangia di me vivrà per me

Io darò la mia carne per la vita del mondo
La domenica del “Corpo del Signore” chiude simbolicamente le “feste” pasquali del Dio della nostra salvezza, perché il dono dello Spirito della Pentecoste, che ci ha rivelato il misterioso abbraccio Trinitario in cui viviamo, ci lascia in dono questo cibo essenziale alla “sopravvivenza”, nel cammino difficile della storia in cui noi ancora viviamo, dopo che Gesù ci ha lasciato ‑ prima che ritorni.
Giovanni non racconta l’istituzione dell’Eucaristia, già ampiamente spiegata negli altri testi dei vangeli e di Paolo, che giravano nelle prime comunità cristiane. Al suo posto mette la lavanda dei piedi, come gesto in cui condensa il senso dell’esistenza di Gesù e questo lungo capitolo 6°, nel quale il Maestro stesso spiega “l’eucaristia” (come noi diremmo). In questo serrata discussione con i giudei, ove la provocazione è evidente, per smuovere l’attenzione dei discepoli e di quelli che sono disposti ad ascoltarlo, fino ad oggi, Gesù non espone una proposta religiosa, una formula di preghiera o un rito simbolico riservato ai discepoli privilegiati – ma il senso e la salvezza del mondo intero. Non usa il termine “corpo”, come negli altri testi eucaristici del N. T., ma ‘carne e sangue’, ad indicare ancora più crudamente la dimensione fisica, biologica, corruttibile e precaria dell’ “animale” umano trafitto, che deve essere assolutamente “mangiato”! Il riferimento all’agnello pasquale richiama il retroterra simbolico antico dell’avventura fondante per Israele: la liberazione dalla schiavitù egiziana e l’errabonda parabola del deserto… allargata oramai alla salvezza dell’umanità intera. Solo attraverso e dentro questa umanità di carne donata e mangiata “scandalosamente” si apre la possibilità della salvezza eterna (cioè totale, storica, presente tra noi quaggiù ‑ e futura, che duri per sempre!). Con una ripetizione martellante dei termini “mangiare/bere carne/sangue e vita vera/eterna, si stringe un legame fisico tra di loro tanto indissolubile che esclude ogni possibilità di interpretazione psicologica o spirituale o sentimentale.
In una storia assetata senz’acqua, … c’è un segreto nel cuore dell’uomo
Nella terra arida, luogo di serpenti velenosi e scorpioni… è capitato il miracolo che indica presente la tenerezza di Dio che accudisce il suo popolo oppresso e disperato. Dalla roccia durissima è scaturita l’acqua, e in un deserto grande e spaventoso è arrivata la manna sconosciuta alle generazioni precedenti… Senza chiudere gli occhi sulla sofferenza e sul dolore, la sete e la fame, il lamento e la ribellione che segnano di lacrime e sangue la storia del popolo e dell’umanità tutta, la lettura che ostinatamente Israele si propone della propria vicenda storica è sempre aperta alla speranza: “ricordati!”... Tutto il cammino che il Signore ci fa fare nel deserto della vita ha questo scopo: perché si sveli a noi stessi “cosa abbiamo in cuore”. Non è per umiliarci o farci soffrire che instancabilmente Dio si occupa dell’uomo, nonostante la durezza della sua “cervice”. Ma lo accompagna per fargli scoprire il segreto per divenire “umani”, cioè per superare la soglia dell’animalità della carne che vuole sopravvivere ad ogni costo ed incattivisce perché non lo può! È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita (63).
Non di solo pane vive l’uomo… ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio.
La Parola che si rivolge ad un volto” per farlo rispecchiare in sé , per farlo crescere in ciò che lui ha già nel cuore, è l’unica risposta adeguata all’anelito insopprimibile di libertà e amore che c’è nel cuore dell’uomo. Dunque, solo la “parola” di Colui che l’ha creato a propria immagine e somiglianza, lo può liberare. Ogni altro legame è costituzionalmente “servile”, al di là delle buone intenzioni, delle dipendenze educative, delle regressioni insuperabili … Tutto l’alveo delle relazioni nelle quali siamo intessuti fin dal ventre della madre, che modella la nostra vita affettiva, economica, politica (e ci fa uomini) è intossicato dai serpenti avvelenati e dagli scorpioni, dai quali già i nostri padri sono stati contagiati. Il suo motore è la competizione drammatica per la vita, che oppone carne a carne, in una guerra all’ultimo sangue, ove il più forte sopravvive mangiandosi il più debole… mors tua, vita mea: la tua morte è la mia sopravvivenza!
Il rovesciamento eucaristico
Le religioni hanno tentato di assumere e trasfigurare questa dinamica tendenzialmente omicida nel rito del “sacrificio”, per cui si offre a Dio quanto si ha di più caro e prezioso per sé e per il proprio futuro (sostentamento e prosecuzione della vita… come i primogeniti, le vergini… e poi, in sostituzione, gli animali…), come capri espiatori! Ma proprio perché ancora piccoli e indifesi… sono le vittime scelte dal potere sacro del sacerdote. La proposta di Gesù è tanto eversiva che genera continui fraintendimenti negli ascoltatori… ma soprattutto è tanto radicale e coinvolgente che provoca repulsione e rifiuto. Eppure questo è il centro di fuoco del messaggio e della vita di Gesù. Il senso della sua esistenza e la sua dinamica esplosiva di salvezza. Il sacerdote e la vittima in lui si identificano, eliminando ogni violenza sull’altro: solo sé stessi si può offrire in sacrificio! solo di sé si può dare da mangiare la carne e da bere il sangue. Non facendo deliberatamente del male a sé stessi, ma assorbendo su di sé il male del mondo, opponendosi al suo potere oppressivo e menzognero, per fermarne il contagio. Questo è l’unico modo non violento che ci è possibile. A partire da Gesù, il dono della propria vita per nutrire gli altri, diventa il cuore del cristianesimo: il “servizio” di amore che ci ha donato per contagiarne il mondo: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me.
Questa è l’arma segreta invincibile e necessaria: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Nel buio della nostra storia anonima, lenta e faticosa, è questo l’estremo rimedio ‑ decisivo per vincere la competizione, la contesa, la sopraffazione che avvelenano la vita degli uomini, con la connivenza di ogni potere ‑ religioso compreso. Ogni autorità o potere o interesse, infatti, che non accettasse logica, vuol dire che è disposto ad autodistruggersi, perché crede più nella forza inerme dell’amore che nella forza armata del potere. Ma è l’unica strada per fare di tutta l’umanità un solo corpo, come dice Paolo.
Questo linguaggio è duro!
…infatti questa è la versione eucaristica del nocciolo duro del messaggio evangelico: Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà (Lc 17,33). L’unico punto su cui Gesù non può cedere e si gioca l’abbandono dei discepoli stessi: volete andarvene anche voi? È ancora Pietro che ci offre l’uscita che mette insieme la debolezza tonta che ci accumuna a tutti, con la consapevolezza di sapersi chiamati per grazia: Da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!

Una mamma eucaristica

Tanti preti, ieri, attorno all’altare
a fare eucaristia,
con tanta gente davanti, nei banchi.
E, in mezzo, nella bara,
ultima dimora
del suo vecchio dolce corpo stanco,
la mamma!

La mamma … di noi dieci figli.
Ad ogni bimbo che veniva alla luce,
dieci volte ha detto:
questo è il mio corpo, questo è il mio sangue!

Come ogni donna
dell’infinita processione di mamme,
che hanno concepito, nutrito, accudito
l’umanità nei millenni.
Originali madri dei viventi:
non solo la carne e il sangue,
trasmettono di generazione in generazione,
ma un “vuoto” del cuore
che ci fa umani,
a cui loro insegnano la parola,
mentre lo crescono
…e non basterà la vita per poterlo colmare,
…e imparare a rispondergli.

Una donna
ha raccolto l’esperienza materna
delle sue sorelle passate e future
di ogni tribù lingua e nazione
ed ha detto anche lei:
ecco il mio corpo, ecco il mio sangue!
e lo Spirito dentro di lei ha intrecciato la carne e la Parola,
ne ha fatto la carne di Dio.

e Gesù ha imparato,
stampato nel suo corpo,
il sacramento che ci salva.

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