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giovedì 18 dicembre 2014

IV Domenica di Avvento: L'Annunciazione


Dal secondo libro di Samuèle (2Sam 7,1-5.8-12.14.16)

Il re Davide, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici all’intorno, disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». Natan rispose al re: «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te». Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’ e di’ al mio servo Davide: “Così dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo per Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano come in passato e come dal giorno in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele. Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 16,25-27)

Fratelli, a colui che ha il potere di confermarvi nel mio vangelo, che annuncia Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni, ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti, per ordine dell’eterno Dio, annunciato a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede, a Dio, che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo, la gloria nei secoli. Amen.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1,26-38)

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

 

In questa quarta domenica di avvento, la liturgia ci presenta il brano dell’annunciazione.

Vorrei guardarlo da un punto di vista particolare: cosa avviene quando Dio arriva nella vita dell’uomo (e qui, precisamente, della donna).

Innanzitutto: l’angelo Gabriele.

Chi mi conosce sa che non sono molto appassionata di angeli e simili. Tutte queste figure particolari, rese ancora più immaginifiche dai secoli di arte che ci hanno preceduto, mi fanno sempre temere che pensarli, o anche solo nominarli, porti a quella deriva magica della fede, che credo, più di ogni altra cosa, porti lontano dal volto di Dio che Gesù ci ha rivelato.

Eppure, non si può negare che nei racconti dell’infanzia essi – gli angeli – siano dei protagonisti: è un angelo che secondo la tradizione di Luca annuncia a Maria che diventerà la madre di Gesù. È un angelo che secondo la tradizione di Matteo parla al cuore di Giuseppe. Sono gli angeli infine a dare l’annuncio ai pastori della nascita del Messia.

Ma chi sono gli “angeli”? Ce lo chiediamo proprio alla luce del punto prospettico da cui vogliamo guardare il brano di oggi, perché quando Dio arriva, in queste storie dell’infanzia di Gesù, lo fa tramite loro.

La parola “angelo” viene dal verbo greco “anghello” che significa “annunciare”. L’angelo è perciò l’annunciatore, colui che porta un messaggio, in questo caso un messaggio di Dio. Non a caso se aggiungiamo una “v” alla parola “angelo” ci esce “vangelo”. Vangelo è un’aferesi, cioè è una parola risultante dalla caduta di una vocale iniziale: per intero sarebbe “evangelo”, dove “ev” significa buono/bello e “angelo”, appunto “annuncio”, da cui “lieta notizia”.

Gli angeli sono perciò coloro che portano dei messaggi, delle notizie, degli annunci. Sarà solo successivamente che essi prenderanno i tratti anticotestamentari delle ali e di tutto il resto. Mentre in realtà nei vangeli questi messaggeri al massimo hanno vesti bianche, ma nessuno parla di ali o simili.

Liberi tutti quindi di immaginarceli senza ali, semplicemente dei messaggeri, quasi fossero la voce di Dio che raggiunge il cuore dell’uomo nel modo umano, cioè con linguaggi, parole, suoni che noi possiamo comprendere.

Il nostro Gabriele è dunque un messaggero.

Guardiamo perciò al suo messaggio: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».

La prima parola che Dio dice a Maria – tramite il suo messaggero o la sua voce o come volete chiamarlo – è “Rallegrati”. Indicativo della sua identità. Dio quando si approssima all’uomo, lo fa annunciandosi come qualcuno che invita alla gioia.

Tra l’altro dà subito un’indicazione ulteriore “piena di grazia: il Signore è con te”. Che ci dice che l’incontro è fonte di gioia perché è l’incontro con qualcuno che la ama, che ha uno sguardo di benevolenza incondizionata nei suoi confronti. Maria è piena della vicinanza del Signore.

E se ancora ci fossero dei dubbi: prima di dare il suo messaggio, l’angelo aggiunge “Non temere”, non avere paura.

Dio quando irrompe nella vita dell’uomo lo vuole vedere sorridere, perché alla base di tutto gli vuole dire che gli vuole bene e che quindi di Lui, qualsiasi cosa noi pensiamo o ci abbiano detto o abbiamo creduto, non bisogna avere paura.

Sarà ciò che per tutta la vita, quel bambino, di cui settimana prossima ricorderemo la nascita, tenterà di far entrare nella nostra testa dura.

Allora mi sembra importante prenderci il tempo, che manca alla festa del Natale, per tornare su questa lettura dell’annunciazione e, come Maria, farci coprire dall’ombra di questo Dio che ci entra nella vita solo per dirci che ci vuole bene, che ci vuole vedere sorridere, che è così delicato perché nulla ci faccia pensare che sia qualcuno da temere, da tenere buono, da ingraziarsi, da compiacere.

Sciogliendo anche la punta di amarezza per una storia “cristiana” che ci ha insegnato un dio diverso.

Sciogliendola, questa amarezza, perché adesso – che siamo grandi (sia come età che come maturità cristiana) e queste parole possiamo leggerle da noi – se lo vogliamo, possiamo davvero consegnarci a questo messaggio e a questo Dio.

martedì 13 dicembre 2011

IV Domenica di Avvento

In questa Quarta Domenica del Tempo di Avvento, la liturgia che la Chiesa ci propone, ci porta vicinissimi al mistero del Natale. Ciò che verrà ri-narrato in quel momento è infatti anticipato dalle letture di questa ultima domenica di attesa, nell’annuncio a Maria dell’evento della nascita di un figlio.

Va sottolineato, che anche a livello letterario, il brano di questa domenica è strettamente legato a quello che leggeremo a Natale. Entrambi infatti appartengono alla stessa sezione narrativa, comprendente i cosiddetti “racconti dell’infanzia”.

Per comprendere bene questi testi, evitando soprattutto di farne una lettura ingenua e semplicistica, è utile perciò dare qualche indicazione sulla loro composizione, sull’obiettivo di chi li ha scritti e sul loro senso.

Innanzitutto è necessario ricordare come solo il Vangelo di Matteo e quello di Luca, contengano questa sezione, chiamata abitualmente “Vangelo dell’infanzia”: Marco e Giovanni iniziano invece i loro Vangeli narrando di Gesù già trentenne.

Ma anche Matteo e Luca – che pure parlano entrambi di Gesù da bambino – non danno lo stesso resoconto dei fatti. Come scrive il biblista don Bruno Maggioni «bisogna – perciò – resistere alla facile tentazione di unificare i dati dei due evangelisti nel tentativo di offrire una successione verosimile degli avvenimenti. Meglio raccontarli rispettando l’originalità di ciascuno» (in “I personaggi della natività”, Ancora 2004).

Altra annotazione preliminare indispensabile è poi quella che ci ricorda che i racconti dell’infanzia non vanno trattati come resoconti storici dell’infanzia di Gesù. Essi non sono, e tanto meno intendono essere, una cronaca delle vicende di Gesù bambino! Essi sono piuttosto testi teologici. Come scrive ancora Maggioni «i racconti dell’infanzia sono testimonianza a Cristo, e non solo (e non tanto) semplici ricordi storici. Gli evangelisti non hanno l’intenzione di raccontare la biografia di Gesù bambino. Attraverso i fatti che raccontano, intendono invece mostrarne già la missione e la vera identità. Sono, appunto, testimonianze, formatesi alla luce della fede e dell’esperienza di Pasqua. Questo non impedisce, sia ben chiaro, che in essi si nascondano diversi ricordi storici».

Lo scopo di questi testi è perciò prefigurare nell’infanzia il destino, l’identità, la vita di Gesù. Non a caso questi “vangeli dell’infanzia” sono stati l’ultima parte dei vangeli ad essere scritta: infatti, come anche per la letteratura non religiosa, «non è mai l’infanzia degli eroi ad attrarre, in un primo tempo, l’attenzione dei biografi, ma la loro vita da adulti, le imprese che li imposero all’ammirazione di tutti; e se, in un secondo tempo, lo sguardo si spinge sino all’infanzia, è quasi sempre per il desiderio di trovarvi già i segni prefiguratori del loro destino».

In questa cornice letteraria – non bisogna mai dimenticarlo! – va dunque inserito anche il testo evangelico odierno.


Esso è tratto dal Vangelo di Luca e pur avendo dati comuni a quello di Matteo (fidanzamento fra Maria e Giuseppe, l’adozione legale di Gesù da parte di Giuseppe e quindi l’appartenenza di Gesù alla stirpe di Davide, Nazareth e Betlemme, la verginità di Maria e la nascita di Gesù per opera dello Spirito), ha però rispetto ad esso anche molte differenze. In particolare e soprattutto è la prospettiva ad essere differente: Matteo infatti racconta gli eventi dal punto di vista di Giuseppe, Luca dal punto di vista di Maria. In più Luca ha una modalità di organizzazione del materiale (proveniente dalla tradizione) davvero originale e geniale: egli porta avanti come un confronto tra Gesù e il Battista. Dopo la breve introduzione (Lc 1,1-4) infatti egli presenta gli eventi dell’infanzia dei due fanciulli in parallelo: l’annuncio a Zaccaria della nascita del Battista (Lc 1,5-25) – l’annuncio a Maria della nascita di Gesù (Lc 1,26-38); il confronto fra le due madri (Lc 1,39-56); la nascita di Giovanni Battista (Lc 1,57- 80) – la nascita di Gesù (Lc 2,1-21).

Non è possibile dunque comprendere il testo di questa Quarta Domenica d’Avvento, se non mettendolo in parallelo con l’annunciazione a Zaccaria della nascita del Battista. È proprio il confronto tra questi due annunci che fa emergere la particolarità della persona di Gesù: sarà infatti interessante notare come, delle due, la storia del Figlio di Dio sarà quella popolare, profana, semplice, non quella religiosa, sacra e grandiosa!

Quando infatti Luca racconta di Zaccaria che riceve l’annuncio della nascita di un figlio, lo fa presentando sostanzialmente un quadro agiografico: la narrazione si apre infatti con la presentazione di Zaccaria ed Elisabetta, descritti come «giusti agli occhi di Dio, osservanti in modo irreprensibile tutti i comandamenti e i precetti del Signore»; tutta questa perfezione religiosa però è sterile, infeconda, «non avevano figli». Mentre però Zaccaria «esercitava le sue funzioni sacerdotali davanti a Dio nel turno della sua classe, gli toccò in sorte, secondo l’usanza del servizio sacerdotale, di entrare nel santuario per offrire l’incenso» e lì «gli apparve l’angelo del Signore» con l’annuncio: «Tua moglie darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Giovanni». Il contesto è perciò grandioso e solenne: nel tempio, durante la solennità liturgica, con protagonista un sacerdote nell’esercizio della sua funzione.

Di Maria invece non è detto nulla di straordinario, né dal punto di vista sociale – è semplicemente una «ragazza promessa sposa di un uomo della casa di Davide di nome Giuseppe» – né dal punto di vista morale – di lei si dice solo che si chiamava Maria. Anche il luogo in cui avviene questo annuncio è – a differenza del tempio – un luogo normalissimo, quotidiano, semplice: «una città della Galilea, chiamata Nazareth» (città che le Scritture neppure conoscono), probabilmente in casa, dato che dell’angelo si dice che «entrò».

Già questo alternarsi di grandezza e piccolezza, solennità e semplicità, sacralità e profanità, lascia intravedere i tratti nuovi e inconfondibili del Dio di cui Gesù è Figlio. Come scrive ancora Maggioni infatti: «Nell’annuncio a Zaccaria il divino si mostra con tratti di grandiosità e solennità, ma proprio per questo si mostra con un volto normale che non sorprende. Nell’annuncio a Maria il divino si mostra nella più assoluta semplicità, nella quotidianità, e proprio per questo svela un volto inatteso e sorprendente. Da una parte, l’uomo entra nella casa di Dio, dall’altra, Dio entra nella casa dell’uomo».

Il confronto tra Zaccaria e Maria prosegue poi con il fatto che, dopo lo sconvolgimento e il turbamento e dopo il rispettivo «Non temere», pongono entrambi all’angelo una domanda; Zaccaria chiede «Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni»; e similmente Maria: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le due domande, molto simili nella formulazione, ricevono però due reazioni diverse da parte dell’angelo: Zaccaria è rimproverato come incredulo («non hai creduto alle mie parole»), Maria riceve invece una spiegazione e un segno, il concepimento di Elisabetta, dalla quale non a caso andrà subito dopo la dipartita dell’angelo («L’angelo le rispose: “Lo Spirito santo scenderà su di te... Ecco anche Elisabetta ha concepito un figlio...»), come se in lei si riconoscesse quell’«attimo di smarrimento, come in tutte le epifanie bibliche» che dice «lo sconcerto dell’imprevedibile, che fa irruzione in lei», che «domanda il senso» delle parole dell’angelo, «nella trepidazione di far dire a Dio, forse, ciò che non sta dicendo» [Giuliano].

Fatto sta che è lei ad emergere nel confronto con Zaccaria… Forse per le nostre orecchie è ormai abbastanza scontato sentir dire che il Dio di Gesù predilige i piccoli, i semplici, gli umili... E dunque non ci fa più tanto effetto, non tocca più la nostra capacità di sorprenderci. Ma se provassimo a dire la stessa cosa con gli elementi di questo testo, se ci accorgessimo cioè che il Dio di Gesù non solo predilige i piccoli ai grandi, i semplici ai grandiosi, gli umili ai potenti, ma anche le donne agli uomini, i laici ai sacerdoti, il profano al sacro, i giovani ai vecchi... forse la reazione sarebbe un po’ meno scialba...

Ma torniamo a Maria... Ciò che di lei è infatti stupefacente, non è solo il fatto che sia lei ad emergere nel confronto col Battista, ma ciò che questo dice dell’identità di Dio! Dà il senso di questa novità del Suo volto una poesia di Frances Croake, intitolata “Consacrazione”: Tra gli animali, nell’umido freddo buio di una stalla, / dopo il dolore, il sangue e il nascere; / Maria guardò il bambino che giaceva tra le sue braccia / e disse: «Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue». / Nelle ombre della brulla collina del Calvario, / dopo il dolore, il sangue e il morire; / Maria guardò il corpo spezzato tra le sue braccia / e disse: «Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue». / È proprio così che disse a lui allora. / E voi, aridi vecchi uomini, / che contraffate la sterilità in broccati, / ordinate che lei non possa dirlo a lui ora.

È questo impastarsi di Dio nel mondo, nel sangue, nel dolore, nel nascere e nel morire, il volto nuovo di Dio che Gesù rivela! Non è un’umiliazione moralistica (non si fa piccolo nel grembo di una piccola per proclamare il valore della piccolezza), non è un’umiliazione pedagogica (non lo fa per insegnarci ad essere umili), ma è lo scegliere (da parte di Dio) di essere così (un piccolo nella pancia di una piccola!), non per finta, non per un momento, non per prova! È piuttosto la risposta di Dio alla domanda: “Chi sono io?”!

Dio – per rispondere a questa domanda – ha scelto di avere bisogno dell’uomo, anzi di una donna! Senza il sì di Maria, Gesù quella volta non sarebbe nato. Senza Maria Gesù non sarebbe stato Gesù in quel modo (come mostra bene l’interessante film “Io sono con te” di Guido Chiesa). Ma questo non è vero solo per Maria! Dio – in Gesù – ha deciso di essere Colui che non è mai senza l’uomo (non a caso nella Bibbia non si parla mai di Dio in sé, ma sempre di Dio in relazione al suo popolo!), Colui che non è mai senza di me… Perché come diceva Bettazzi in una recente conferenza: “Quando Dio ha pensato il mondo, ha pensato un mondo in cui ci fossi anch’io!”. Ecco che allora anche per noi che siamo nella parte popolare, semplice, normale, piccola della storia, non ci sono più scuse per non entrare in questa relazione con Lui. Perché non solo la nostra non è la parte “sbagliata”, ma è quella privilegiata!

venerdì 11 novembre 2011

Quel sì che cambia la storia


Antonello da Messina, L'Annunciata, 1476, Palermo, Galleria di Palazzo Abatellis

Finalmente alla donna si chiede un assenso.

Si sa qual era la condizione della donna nella società antica (e non solo). L’uno, il maschio, “è per natura superiore, l’altra inferiore, l’uno comanda, l’altra è comandata”, aveva scritto Aristotele (Politica, 1, 1254b); e la prima obbedienza era quella della procreazione. Le donne erano oggetto e strumento della decisione procreativa dell’uomo.

Non si era mai visto qualcuno che chiedesse alla madre il suo consenso per nascere.

Con il concepimento di Gesù la scena cambia improvvisamente. Anche se è Dio a dover nascere come uomo, è alla donna che spetta la decisione. Senza il suo non se ne sarebbe parlato nemmeno. Certo, non sarebbero mancate altre fanciulle in Galilea o altrove, in quel tempo o in un altro tempo, per partorire il Signore, ma intanto se Maria non diceva sì, quella volta Dio non nasceva».


[R. La Valle, Se questo è un Dio, Ponte delle Grazie, Milano 2008, 112-114]


Con gli occhi di un angelo

Con quest'opera, Antonello compie un doppio ardito esperimento: riesce a rendere figurativamente l'evento dell'Annunciazione abolendo almeno due dei personaggi abituali: l'Angelo, la presenza divina - e a concentrare in un'immagine indimenticabile il susseguirsi degli eventi narrati dai Vangeli. Scorrendo il dipinto dal basso verso l'alto, cogliamo infatti il momento precedente all'apparizione angelica, la lettura del libro; il momento umanissimo del dubbio, espresso dalla mano destra, che si protende in avanti, come a fermare l'angelo, a chiedere spiegazioni e dalla mano sinistra, che chiude i lembi del velo. Si arriva così, aiutati anche dalla composizione piramidale del dipinto, al culmine di quest'opera, allo stupendo volto della Vergine, da fanciulla siciliana, che lascia trasparire un velo di preoccupazione, ma si compone a serenità e consapevolezza.

Mettendoci nella stessa posizione dell'Angelo, Antonello ci invita a contemplare questa figura di donna, delicata e insieme maestosa, umana, ma già madre di Dio




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