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lunedì 2 marzo 2015

III Domenica di Quaresima


Dal libro dell’Èsodo (Es 20,1-17)
In quei giorni, Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile: Non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano. Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato. Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. Non ucciderai. Non commetterai adulterio. Non ruberai. Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».
 
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 1,22-25)
Fratelli, mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 2,13-25)
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.
 
Il vangelo che la Chiesa ci propone per questa III Domenica di Quaresima è il testo dell’evangelista Giovanni che parla della cacciata dal tempio di Gerusalemme.
Prima di spiegare il senso di questo gesto di Gesù è utile fare tre premesse:
1-      La prima riguarda la collocazione di questo brano, che mentre nei sinottici è posto durante gli ultimi giorni della vita di Gesù, quando è giunto a Gerusalemme e lì sarà arrestato e ucciso, Giovanni pone all’inizio del suo vangelo, in una delle sue discese a Gerusalemme in occasione delle festività ebraiche. Mentre cioè i sinottici legano in qualche modo l’episodio al Tempio, con l’inasprimento dei rapporti di Gesù con le autorità religiose di Gerusalemme, che per questo si convinceranno sempre di più della necessità della sua morte, Giovanni presenta la relazione di Gesù col Tempio come un tratto di tutta la sua vita pubblica.
2-      Inoltre – in sede di premessa – va ricordata l’importanza che il Tempio di Gerusalemme aveva per gli ebrei. Esso era stato costruito – secondo la narrazione biblica – dal re Salomone nel X sec. a.C., per collocarci l’arca dell’alleanza contenente le tavole della legge (i 10 comandamenti, di cui ci narra la prima lettura, nella versione di Esodo – ce n’è un’altra versione nel libro del Deuteronomio); era stato distrutto nel VI sec. a.C. dai babilonesi di Nabucodonosor II ed era poi stato ricostruito al ritorno dall’esilio (per essere di nuovo distrutto dai romani nel 70 d.C. e mai più ricostruito, tant’è che oggi, di esso, rimane solo il “Muro del pianto”).
3-      Il tempio di Gerusalemme era costruito secondo uno schema concentrico: nella zona più esterna potevano entrare tutti i fedeli di fede ebraica; poi c’era una prima barriera, che potevano superare solo le persone di razza ebraica; poi c’era un’ulteriore barriera, che potevano superare solo i maschi di razza ebraica; poi un’ulteriore barriera, che potevano superare solo i sacerdoti. Infine nella parte più “sacra” (= separata), il Santo dei Santi, poteva entrare solo il sommo sacerdote, solo una volta all’anno, durante la festa dello Yom Kippur, la festa dell’espiazione. Il Tempio di Gerusalemme al tempo di Gesù – secondo le ricostruzioni – poteva dunque presentarsi in questo modo:

con questi “scompartimenti”:

Il gesto di Gesù va dunque letto in questo contesto. Ciò che Gesù vuol far intendere è che il modo di vivere il rapporto con Dio, così com’era pensato nello schema del tempio (sacrifici, speculazioni pecuniarie sui poveri, separazione tra maschi e femmine, sacerdoti e laici, ecc…), non è il suo.
La proposta di relazione con Dio che Gesù fa è radicalmente diversa: non si tratta di aver paura di Dio, di fargli dei sacrifici, di usare soldi e bestie dei sacrifici per arricchirsi (con la scusa di arricchire il tempio di Dio); non si tratta di separare le persone secondo un ordine di presunta purezza, così che man mano che ci si avvicina al Santo dei Santi, diminuisca sempre più il numero di chi può avvicinarsi a Dio.
Gesù propone un Dio di cui non si può e non si deve avere paura, perché è un Dio totalmente e sempre schierato dalla parte dell’uomo, di qualsiasi uomo; tant’è che il Dio che Gesù ci ha fatto conoscere è un Dio accessibile a chiunque e dovunque («Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. […] Viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità», Gv 4,21.23); un Dio che dunque non vuole essere gratificato con dei sacrifici, perché la sua ira sia placata o perché il suo amore sia “pagato”, ma che piuttosto, come già insegnavano i profeti, vuole che l’uomo avvolto nel suo amore impari a sua volta ad amare gli altri, praticando la giustizia.
Ecco perché riassumerà i 10 comandamenti in un unico comandamento, che sarà: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34).
Per queste sue idee Gesù verrà ucciso; perché la religiosità reagirà di fronte al suo tentativo di smantellarne il potere: perché il Dio di Gesù rompe ogni giustificazione del potere su base religiosa.
C’è da chiedersi se i cristiani siano (stati) fedeli a questa fede.

martedì 6 novembre 2012

XXXII Domenica del Tempo Ordinario



Dal primo libro dei Re (1Re 17,10-16)

In quei giorni, il profeta Elia si alzò e andò a Sarèpta. Arrivato alla porta della città, ecco una vedova che raccoglieva legna. La chiamò e le disse: «Prendimi un po’ d’acqua in un vaso, perché io possa bere». Mentre quella andava a prenderla, le gridò: «Per favore, prendimi anche un pezzo di pane». Quella rispose: «Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo». Elia le disse: «Non temere; va’ a fare come hai detto. Prima però prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché così dice il Signore, Dio d’Israele: “La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra”». Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia.

 

Dalla lettera agli Ebrei (Eb 9,24-28)

Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte. Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.

 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12,38-44)

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa». Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

 

«Gesù sta avvicinandosi alla conclusione (l’esodo) della sua avventura umana, a Gerusalemme e, man mano che espone sempre più chiaramente alle folle il suo “vangelo”,– come abbiamo potuto ascoltare nelle ultime domeniche ‑ il conflitto con gli scribi, i farisei e i capi del popolo si fa più violento, perché questi sono gli unici che ne capiscono bene la drammatica alternativa al loro insegnamento e ancor più al loro comportamento: Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento (Mc 11,18). Gesù ha proposto con disarmata radicalità le esigenze “smisurate” del Regno nell’intimo delle dimensioni costitutive dell’uomo: dal conflitto sessuale si esce solo per fedeltà, dal conflitto economico si esce solo per comunione, dal conflitto per il potere si esce solo per servizio, come ha fatto il figlio dell’uomo …. Poi ha simbolicamente esautorato il tempio, divenuto un fico sterile e una spelonca di ladroni, indicando nel cuore dell’uomo la “casa” dell’incontro col Padre suo. Ha quindi ripreso e completato il comandamento “primo” sottolineandone la connessione essenziale col secondo: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza, e il prossimo tuo come te stesso (12,29s).É una questione di amore! Ma adesso, che il tempo del suo insegnamento è alla fine, davanti all’ostilità omicida della classe dirigente e all’incomprensione tonta dei discepoli, come spiegare cosa vuol dire “amare”?

Una donna, vedova e sola, gli viene in aiuto!» [Giuliano].

 

Le protagoniste di questa Trentaduesima Domenica del Tempo Ordinario, sono – infatti – due vedove, quella di Sarepta e quella che Gesù vede nel tempio di Gerusalemme; due donne dunque; due donne povere; due donne sole; due donne emarginate… eppure, proprio loro diventano i personaggi principali di alcuni dei passi fondamentali del racconto biblico (il ciclo di Elia, il vangelo…).

Anche se forse ormai siamo un po’ abituati a questi stravolgimenti che la prospettiva biblica insinua dentro alla logica consueta in cui l’uomo vive, ragiona e giudica, non possiamo non tener desta l’attenzione e cogliere – con immenso stupore – la radicalità della scelta proprio di questi personaggi come rappresentanti emblematici della storia della fede di un popolo (Israele, prima; la Chiesa, poi) e soprattutto non possiamo non far la fatica di andare a tentare di capire cosa voglia dire porre la vedova che «gettò due monetine», come esempio di autentica vita umana, in contrapposizione allo stile degli scribi…

Ciò che in particolare colpisce è lo stretto legame tra gli episodi concreti di queste donne che vengono raccontati nel testo biblico e il riferimento alla totalità della vita e della morte che attraversa le narrazioni delle loro storie: la vedova di Sarepta infatti dice «Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo» dove in questo “e poi moriremo” è contenuta tutta la radicalità della situazione che sta vivendo, della tragedia che la attraversa, della totalità chiamata in causa, la vita, la morte, l’esserci, il non esserci, l’esistere, il morire…; della vedova del tempio, Gesù invece sottolinea come mentre gli altri gettavano nel tesoro del loro superfluo, lei «vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere», letteralmente “tutta la sua vita”…

Questa capacità tipicamente femminile di dare “tutta la propria vita” per ciò che si ama, mi ha fatto venire in mente una frase che spesso ripeteva Giuliano: “Una donna quando ama, diventa atea”… intendendo con ciò sottolineare come, mentre una certa modalità maschile, tende sempre – in qualche modo – ad approcciarsi al reale che vive con una mentalità calcolatrice (non a caso la vedova del Tempio aveva due monete e – calcolando – avrebbe potuto metterne una nel tesoro e l’altra tenersela per sé… invece le getta entrambe!) – una donna – laddove ama e lo fa veramente – non trova nessuna norma superiore alla dedizione totale dell’amore: nemmeno dio… ecco perché atea…

 

Questo emerge anche in maniera evidente nel racconto della triste storia della maga Circe che Concita De Gregorio ha mirabilmente rinarrato nel suo Malamore e che vi voglio raccontare: «Si sa che i bambini vogliono sentire sempre la stessa storia. Questa poi è magnifica: racconta di una donna bellissima e anche orribile, a pensarci bene, orribile perché faceva paura. Una maga triste. […] Era diventata cattiva perché non voleva più stare sola, era disperata, tutti le davano dei baci, le dicevano: come si sta bene con te, si sta proprio benissimo come in paradiso. Poi se ne andavano, però. Dopo un po’ la salutavano e partivano. A volte non la salutavano nemmeno, partivano di notte senza dirle niente, così la mattina lei si svegliava e non trovava nessuno. […] Così lei restava di nuovo sola e alla fine si arrabbiava tantissimo, ma tantissimo. Allora faceva le magie.

[…] Euriloco era talmente terrorizzato che non riusciva a parlare. Quando alla fine si era calmato e Ulisse gli aveva di nuovo chiesto chi ci fosse in quella casetta in mezzo all’isola dove erano approdati, Euriloco aveva detto poche e chiare parole: una maga orribile e cattiva. “E che genere di magie farebbe?” aveva domandato Ulisse. “Magie del genere sparizioni e misteriose trasformazioni”. “Ah!” aveva detto Ulisse. […] Siccome tutte le volte che aveva mandato in perlustrazione due uomini e l’araldo, che poi sarebbe l’ambasciatore, era finita che qualcuno se li era mangiati, stavolta Ulisse decise di fare due gruppi di uomini e di tirare a sorte. Il primo gruppo l’avrebbe comandato lui e l’altro Euriloco, il suo uomo migliore, il capitano in seconda. Un gruppo sarebbe rimasto a fare la guardia alla nave, l’altro sarebbe andato a vedere chi c’era nella casetta. Toccò a Euriloco. Non che ne fosse molto contento, però era andato. E il giorno dopo era tornato da solo in preda al terrore. Euriloco era arrivato alla casa con venti uomini, avevano visto i leoni e i lupi che ci giravano intorno ma la cosa strana è che le bestie feroci non li avevano aggrediti, anzi: gli scodinzolavano intorno, come cani addomesticati quando accolgono il padrone. Bussarono alla porta e chiesero permesso. Un’ancella molto bella gli venne incontro e aprì la porta. Poi andò a chiamare la padrona di casa. E arrivò Circe. Questa storia che Circe fosse una maga orribile e cattiva non è che sia proprio esatta. Tanto per cominciare non era affatto orribile, anzi era molto bella. Ma molto bella. Euriloco e i suoi rimasero a bocca aperta non appena la videro. È questa la prima cosa che andrebbe detta di Circe, che era una donna bellissima. Talmente bella che i nostri non riuscirono a trattenersi dall’entrare in casa sua, non appena lei li invitò. Tranne Euriloco, che di donne belle ne sapeva qualcosa e quindi rimase in disparte, si nascose dietro la casa e osservò tutta la scena. Lei gli dà da bere una pozione e li trasforma! […] In maiali. […] Qualcuno grugnì, a qualcuno spuntarono delle setole al posto dei peli sulle braccia, poi gli uscì fuori una coda arricciata e un muso da maiale. La magia le era venuta alla perfezione, Circe era molto soddisfatta. Anche stavolta quegli uomini non l’avrebbero lasciata e, come gli altri, trasformati in lupi o leoni, sarebbero rimasti a proteggerla e a farle compagnia su quell’isola sperduta. Euriloco si era preso un bello spavento a vedere i suoi compagni tramutati in maiali. Era tornato di gran corsa verso la nave. E aveva raccontato tutto a Ulisse. […] Ora ci va lui. Sentì un rumore alle sue spalle, come di foglie, come il fruscio di un paio d’ali. Allora si fermò, si mise in ginocchio e chinò la testa. Aveva capito che quello era Ermes, dio dei ladri, poeta e fingitore e, cosa più importante di tutte, messaggero di Zeus. […] “Dove vai così di fretta, Odisseo?” disse Ermes. […] “Da Circe, la maga, mio signore” rispose Ulisse. […] “È una maga pericolosa, Circe” disse Ermes dai sandali alati. “Ma non è cattiva, e nemmeno orribile. Anzi, vedrai che è molto bella, molto. Lei vorrà darti da bere una pozione magica per trasformarti in qualche bestia selvatica. Perché vuole che restiate qui. Si sente sola, tutti gli uomini che vengono da lei poi scappano. Forse perché è troppo bella, o perché è un po’ magica… va be’, comunque tu prendi questa erba e mangiala, vedrai che la sua pozione non funzionerà. Lei allora vorrà stare con te, vorrà amarti. Tu fallo, lei merita il tuo amore. Ma falle promettere che poi libererà tutti i tuoi compagni. Devi essere molto furbo e deciso con lei, ma nello stesso tempo devi volerle molto bene. E Ulisse va [e] bussa alla sua porta. Circe era davvero molto bella. E non sembrava neppure troppo cattiva. Certo era una donna determinata e, come aveva detto Ermes, c’era qualcosa di magico in lei, qualcosa che può fare anche un po’ paura. Ulisse fece come aveva detto Ermes e la pozione magica di Circe non funzionò. Lei all’inizio rimase abbastanza stupita, poi cominciò a fare gli occhi dolci e a cercare di incantare Ulisse. Allora lui tirò fuori la sua spada e la puntò verso il petto di Circe. “Tu adesso” le disse “devi liberare i miei compagni e trattarci come ospiti di riguardo”. Lei lo guardò spiazzata, non era abituata ad avere di fronte uomini così determinati e sicuri di sé. Allora Ulisse vide che non era poi troppo cattiva, e vide che in fondo ai suoi occhi c’era una grande dolcezza. Lasciò cadere la spada e la baciò. Circe e Ulisse stettero insieme un anno intero. […] Stettero molto bene. Avevano da mangiare, da bere, andavano a caccia, giocavano a dadi e ogni tanto andavano anche al mare. Le ancelle di Circe accudirono con molta attenzione i compagni di Ulisse. E Circe accudì Ulisse. La sera, spesso lui andava a guardare il mare dalle scogliere. E pensava alla sua casa e a Itaca. Però dopo un po’ Circe lo raggiungeva e cercava di distrarlo, insieme passeggiavano per i giardini dell’isola e parlavano. Si stava bene con Circe, era una donna molto intelligente, ed era molto divertente parlare con lei, non ci si annoiava. Ulisse raccontava della guerra di Troia, Circe degli dei e delle loro storie, e parlavano finché il sole non si era del tutto nascosto dietro il mare color del vino. Erano felici. [Ma] Ulisse se ne andò e Circe restò di nuovo sola nella sua isola…». Vedova, anche lei!

 

Certo la storia di Circe è molto diversa da quella delle altre due vedove, soprattutto da quella del vangelo… è la storia di una donna che per amore è disposta ad avere un uomo-leone, un uomo-lupo, un uomo-maile… eppure a sentirla, anche questa fa venire un po’ di giramento di pancia nel notare quanto, colei che abbiamo sempre considerato la cattiva di turno, in realtà era solo una donna che voleva amare… che dunque voleva dare la sua vita… una vita che nessuno era disposto a prendere, ma che indubbiamente rimanda alla stessa disposizione interiore delle due vedove delle letture, a dare la loro vita per amore e a darsi in modo talmente radicale da risultare atee, senza nessun dio, se non l’amato!

E – inaspettatamente – Gesù addita proprio questo lato del cuore femminile come quello giusto con cui stare al mondo! Non a caso è lo stesso che incarnerà a sua volta solo poche pagine dopo, morendo in croce per amore dell’umanità, senza dio… Di un dio che norma l’incondizionata dedizione dell’amore anche lui infatti è ateo! Mentre di una donna che dà incondizionatamente la sua vita per ciò che ama… beh… in quella dedizione lì, Egli ha riconosciuto il “suo Dio”!
«Lì, [infatti,] credo, di fronte alla vedova del tempio, il Signore ha fatto il suo sogno più ardito, come vedesse realizzato l’anelito che in tutta la sua vita di messia e maestro non aveva ancora visto realizzare. In questa povera donna ha sognato la sua chiesa, presto vedova e spaventata, senza appoggi, dispersa come un gregge senza guida, magari in balia di pastori vili o incapaci, ma sempre umilmente irremovibile nel suo amore fedele, nell’affidamento totale al suo Signore – perché, pur dentro le prove e le ferite della storia, la sua vita tutt’intera rimaneva donata a lui! Affascinato da questa donna, Gesù vuol coinvolgere i discepoli in questo grande evento (pur impercettibile ai più). Come a dire: c’è qui davanti uno (una!) che è capace già adesso di ciò che dovrete imparare anche voi, per essere miei discepoli: “donare tutta la propria vita”. Questa povera vedova è dunque già sacerdote del nuovo tempio, non costruito da mani d’uomo. È protagonista di una nuova dinamica di salvezza, ignota agli uomini del tempio, perché è “amicizia” in Cristo che adesso verrà nella storia non solo e non più “in relazione al peccato”, ma, come suggerisce la lettera agli Ebrei, ormai spinto solo dalla predilezione di amore che lo coinvolge con noi! È la nuova alleanza predetta dai profeti! Gesù la scopre già in atto di fronte a Dio, nella vedova che ha davanti, discepola inconsapevole di quell’altra vedova di Sarepta (per di più straniera!), sua antenata spirituale, che offrì a Elia, il più grande profeta, la farina e l’olio della sua sopravvivenza. Gesù ha meditato, pregato e vissuto le Scritture, prima di spiegarcele (sa che parlavano di lui! “bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi” Lc 24,44). Ha capito il messaggio profetico di queste vedove che hanno donato tutto quanto avevano, tutta l’intera vita. Ancora di più: intuisce e sperimenta che, nelle mani della due vedove, il dono di tutto ciò che hanno (farina e olio, spiccioli e … la vita intera) fa diventare inesauribile ed eterno (cioè eucaristico) il dono stesso, per quanto piccolo e insignificante nella grande storia. Anzi, sarà questa dinamica che fermenterà la storia» [Giuliano].

domenica 11 marzo 2012

Uscire dal Tempio


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Ci scommetto che molti leggendo il Vangelo di oggi (Gv 2,13-25) si lancerebbero in considerazioni sulla commistione tra religione e denaro. Verrebbero alla mente il caso Ior, Marcinkus e quant’altro… Tutte considerazioni giuste e vere probabilmente, ma che in fondo anche un pagano o un ateo saprebbe fare. E Gesù non è venuto per dirci cose che con un minimo di buon senso e di onestà chiunque può sapere… Gesù è venuto a dirci qualcosa di veramente inaudito e impensato dagli uomini. Per riuscire a cogliere questo però è necessario, come sempre, collocarsi ai tempi di Gesù per cercare di vedere, come sottolineo sempre, e non solo leggere, ciò che l’evangelista Giovanni ci vuole mostrare. Occorre “vedere” il Tempio di Gerusalemme al tempo di Gesù e capire “cosa” ha “mandato in bestia” il Signore… Senza questo studio non potremmo veramente capire quale capovolgimento di prospettiva gli apostoli ci sollecitano a compiere. Perché non dimentichiamolo sono gli apostoli che ci stanno trasmettendo quello che loro, alla luce della Resurrezione, hanno colto di essenziale in Gesù. I Vangeli sono la loro pedagogia alla fede.

Planimetria del Tempio
Il Tempio di Gerusalemme al tempo di Gesù era il centro della vita religiosa e spirituale di Israele. E Israele ne andava orgoglioso, come anche gli apostoli ci testimoniano rivolgendosi a Gesù (cfr Mt 24,1s). Sennonché Gesù li raggelò rispondendo secco: “Non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”! Perché una tale risposta?

Il Tempio cosiddetto di Erode, detto anche secondo Tempio di Salomone rispetto al primo andato anche lui distrutto, fu iniziato nel 19 a.C. Anche se dopo un anno e mezzo era di già operativo, fu veramente finito solo dopo 83 anni, nel 64 d.C. Appena in tempo per essere definitivamente distrutto 6 anni dopo nel 70 d.C. dalle legioni romane come ritorsione all’insurrezione del popolo. Tutto questo lavoro e questa fatica (vi lavorarono 11 mila operai) andò così perduto per sempre.
A oriente del Tempio c’era il Portico di Salomone: dove i rabbini si trovavano per spiegare la Torah e dove Maria e Giuseppe trovarono Gesù quando lo avevano smarrito…
A sud c’era il Portico Regio o Regale lungo 185 metri e largo 4 file di colonne alte 12 metri.
Sotto il Portico Regio (visibile nel secondo video), si vendevano agnelli, colombe, buoi, era lì che si faceva commercio necessario al funzionamento del Tempio: una macchina sacrificale dove si ammazzavano animali per offrirli in olocausto al Signore in cambio della sua benevolenza… Da qui venivano introdotti nel Tempio in alto per essere uccisi.
Anche l’ingresso sud-occidentale al Portico Regio aveva una gradinata monumentale che introduceva nel Tempio. Era alta 17 metri e larga 15. Questa scalinata usciva verso occidente e poi piegava verso sud, parallela alle mura esterne del Tempio in direzione della piscina di Siloe. Proprio qui all’inizio della gradinata, in basso dove inizia a salire, c’erano 4 stanze (anche queste visibili nel secondo video) in cui stavano i cambiavalute. Anche i cambiavalute erano necessari al funzionamento del Tempio perché chi voleva fare offerte o comperare animali per il sacrificio (come hanno fatto anche Giuseppe e Maria) dovevano adoperare delle monete che non avessero l’effige dell’imperatore. Erano chiamate anche mine (cfr Lc 15,8-9.19,13-26).

Dinamica dei fatti descritti
Ora immaginiamo la dinamica della scena descritta dal Vangelo: dapprima Gesù sale nel Portico Reggio fa una sferza con delle cordicelle (probabilmente le stesse che servivano a legare gli animali), e comincia a cacciare fuori tutti, persone e animali (cfr Gv 10,3 dove Gesù, pastore, spinge fuori le sue pecore dal recinto!). Immaginate anche il volto adirato, l’opposizione che ha trovato e la forza che ha dovuto usare per cacciarli fuori: una immagine ben diversa da quella a cui ci ha assuefatti una certa iconografia. Salva così gli animali (nella simbologia giovannea, gli uomini!) da morte sicura. Poi scende da quella gradinata presumibilmente di corsa (difficile immaginarlo passeggiare!), e sempre col volto adirato, va in quelle quattro stanze e butta all’aria i tavoli dei cambiavalute dicendo “non fate della casa del Padre mio, un mercato”.

Le ragioni del comportamento di Gesù: una logica da ribaltare
Cerchiamo ora di capire meglio il senso dell’agire di Gesù e per farlo dobbiamo capire ora la logica che presiede al Tempio. Perché in realtà è questa “logica” che Gesù vuole “ribaltare”…

Nei Vangeli per indicare il “Tempio” si usano due termini: hyeros e naòs. Con hyeros si intende propriamente il Tempio nella sua complessità fatta di edifici, portici, cortili, suppellettili. Da hyeros derivano l’italiano “ieratico”, “geroglifico” e anche “gerarchia”.

Il cuore del Tempio era il naòs, il Santuario (detto anche “il Santo”). Quindi in realtà i Vangeli distinguono il Tempio dal Santuario. Un po’ come noi quando distinguiamo la chiesa e il presbiterio (dove si trova l’altare)… La chiesa è un luogo sacro ma il presbiterio che è il centro di ogni chiesa è ancor più sacro e non tutti possono accedervi…

Ora, in questo Tempio non è che potessero entrare tutti liberamente, in realtà il Tempio era un susseguirsi di barriere. Più ci si avvicinava al Santuario e più si veniva selezionati.
Se escludiamo la cinta esterna del Tempio che lo separava dal resto della città (impuro e profano), al suo interno, nel Tempio, c’erano vari livelli di separazione.

1. Nella spianata grande potevano entrare tutti i fedeli anche i non-ebrei (ovviamente a certe condizioni che dovevano rispettare tutti come vedremo) e infatti era chiamato l’“Atrio dei Gentili” cioè delle “genti” (un termine che potremmo tradurre con “stranieri” ma aveva un senso dispregiativo in bocca agli ebrei). Subito però, anche al suo interno, cominciavano i muri di separazione. I primi erano quelli che bloccavano i non-israeliti, era una balaustra alta un metro e mezzo su cui c’erano 13 incisioni con parole di minaccia di morte per chi, non ebreo, osasse oltrepassarla. Quindi oltre questa balaustra potevano procedere solo gli ebrei, donne comprese.
2. Procedendo però verso l’interno del Tempio c’era un altro muro balaustrato che bloccava le donne, pena la lapidazione. Solo i maschi ebrei circoncisi potevano inoltrarsi: nella logica giudaica era ovvio in quanto le donne non potendo essere circoncise non portavano il “segno dell’Alleanza”.
3. Ma anche gli uomini (quindi anche Giuseppe e Gesù!) venivano fermati da un portale che introduceva al Santuario : solo i sacerdoti potevano varcarlo quando si trattava di entrare nel Santuario. Il Santuario o Santo era quindi la costruzione più importante di tutta la spianata.
4. A sua volta all’interno del Santuario oltre all’altare dove si offriva l’incenso, accessibile a turno ad ogni sacerdote (cfr Zaccaria in Lc 1,9), circoscritto da una tenda (la Shekinah) c’era un luogo “segreto” detto del “Santo dei Santi” (letteralmente [luogo del] “Santissimo”: cioè Dio) detto anche Tabernacolo. Il Tabernacolo era il luogo dove si riteneva fosse realmente presente YHWH. E lì nella stanza del “Santo dei Santi” all’interno del Santuario – altra selezione – poteva entrare soltanto il Sommo Sacerdote e solo una volta all’anno nel giorno liturgico dello Yom Kippur (“giorno di timore reverenziale”). Giorno di penitenza e digiuno totale in cui si chiedeva perdono a Dio dei propri peccati e festa più solenne del calendario ebraico (quest’anno 2012, cadrà al tramonto del 25 settembre fino all’apparire delle stelle del 26). E solo in quell’occasione il Sommo Sacerdote in carica, nella preghiera pronunciava il nome di Dio, il sacro Tetragramma (YHWH) di cui solo i Sommi Sacerdoti si tramandavano la vocalizzazione. [Che normalmente viene vocalizzato in YaHWeH – più probabile – o YeHoWaH meno probabile ma legittimo: quindi non perdete tempo a discutere su questo con i Testimoni di Geova, per noi cristiani il nome di Dio è “Gesù Cristo”!]. Ovvio che il Tabernacolo era considerato il punto più sacro non solo del Santuario e quindi del Tempio ma anche del mondo. Così sacro che se qualcuno doveva entrare per delle riparazioni questi veniva calato dall’alto perché non poteva toccare il suolo sacro coi piedi (cfr Gv 13,3-5 dove si capisce perché nella logica simbolica di Giovanni, Gesù deve lavare i piedi degli apostoli/discepoli: Non solo per significare che ora sono/siamo tutti puri ma anche per annunciare che la Passione in cui entreranno/entreremo è il luogo della presenza definitiva di Dio nella storia). Il Santuario stesso fu costruito solo dai sacerdoti appositamente istruiti nell’arte della costruzione.
5. Nel Santo dei Santi – praticamente vuoto – a sua volta c’era una barriera invalicabile: un velo di colore porpora che copriva (andata oramai perduta l’Arca dell’Alleanza per la deportazione babilonese) una roccia sulla quale si riteneva che Dio sedesse in trono. Secondo la tradizione ebraica questa roccia si trovava proprio al centro del mondo e fu la base sulla quale Dio creò e regge il mondo (cfr Lc 6,48 in riferimento alla roccia!). Quindi anche il Sommo Sacerdote si trovava davanti a un velo e quindi anche a lui era “nascosto” il “volto di Dio”.

Già da questa esposizione – necessariamente sommaria, ma nella quale possiamo riconoscere la struttura delle nostre vecchie chiese – deduciamo che la prima caratteristica di questo Tempio era la “separazione”, la discriminazione delle persone. La sua logica religiosa era una logica pagana di esclusione rendendo impossibile ai più di accostarsi al Signore. Non c’era solo un concetto ieratico di Dio che concettualmente lo separava dalla gente, ma c’era un profondo disprezzo di ogni occupazione umana che non fosse quella liturgico-sacrale (ricordo che solo i sacerdoti potevano presentarsi alla presenza del Signore nel Santuario). Inoltre neppure tutti (israeliti e non) potevano essere ammessi nel Tempio: gli storpi, i paralitici, i lebbrosi… coloro che facevano dei lavori considerati impuri come i pastori e pubblicani… erano tutte persone impure, cioè vivevano in una condizione di fatto peccaminosa e quindi non potevano nemmeno mettere piede nel Tempio.
Questo barriere impedivano alle persone (diremmo oggi, laici e laiche!) di sentire Dio vicino a loro e impediva a loro di avvicinarsi a Dio. Non che Dio fosse impedito da questo, quando ha voluto non ha esitato abitare nella casa “impura” di una ragazza di Nazareth facendone il suo santuario… ma la stragrande maggioranza del popolo, anche israelita, aveva una visione “dannata” della propria esistenza a causa di un Dio percepito (così veniva loro insegnato dai sacerdoti, dai farisei, dai dottori della legge, ecc.) come una “realtà” non solo lontana ma anche ostile al loro stile di vita…

Questo era il Tempio con l’apparato dottrinale che lo giustificava, che Gesù ha incontrato! Appare ovvio che il Figlio di Dio venuto per mostrare un volto di Dio finalmente Padre, finalmente prossimo, vicino ai suoi figli fino a condividerne il vissuto, non potesse tollerare tutto questo. Ecco perché nella sua vita Gesù ha abbattuto definitivamente tutte le barriere. Quelle del Tempio e quelle che noi costruiamo per difendere la “santità” di Dio o la nostra “dignità” cristiana di “popolo sacerdotale” (cfr seconda lettura 1Cor 1,22-25 sulla stoltezza della Croce: dov’è lì la presunta “intangibilità” di Dio?...).
Nella Lettera agli Efesini (2,14s) quando Paolo dice che in Gesù Cristo è stato definitivamente abbattuto il muro di separazione tra i due popoli – giudei e greci – non parlava in metafora, ma da israelita osservante aveva davanti agli occhi proprio i muri di separazione del Tempio di Gerusalemme… Paolo ci ricorda quanto aveva profetizzato Gesù: Di ogni barriera che noi poniamo tra l’uomo – qualunque uomo – e Dio, prima o poi non resterà pietra su pietra! Perché è Dio stesso che si preoccupa di abbatterla!
Appare evidente che c’era e c’è quindi una radicale incompatibilità tra la proposta di Gesù dell’autentico volto del Padre (che fa piovere e sorgere il sole sui buoni e sui cattivi) e il concetto “sacrale”, ieratico appunto, di ogni religione.
Per questo alla morte di Gesù come ci ricordano gli evangelisti, persino il velo che costituiva il cuore del Santuario, il “Santo dei Santi”, “si squarciò in due da cima a fondo” (Mc 15,38) cioè senza possibilità alcuna di ricomposizione (L. Moscatelli). E Matteo (27,51) che parla ai cristiani convertiti dal giudaismo, rincara la dose coinvolgendo nello squarcio anche la roccia su cui, secondo la tradizione ebraica, il mondo si regge.
Devono squarciarsi! se si vuole indicare la definitiva impossibilità a qualunque “ostacolo” di impedire all’uomo di incontrarsi con Dio. Con la caduta dell’ultima barriera del velo e la rottura della roccia, non ci sono più condizioni preliminari né a Dio né all’uomo per incontrarsi. Non c’è più bisogno di alcun sacrificio né di “mercanteggiare” (D. Petrini) la benevolenza di Dio: Questo è il significato originario quindi dell’espressione “non fate della casa del Padre mio un mercato”.
Giusti e peccatori; sacro e profano; il “Santo dei Santi” e il peccatore… sono definitivamente uniti, accumunati dal comune abbraccio misericordioso del Padre. È in questa “commistione” che Dio rivela la propria santità: nel suo chinarsi sui suoi figli! Questa è la “stoltezza” della Croce!

Arrivati a questo punto, ciascuno faccia le sue “attualizzazioni”, io non voglio influenzare nessuno, ma certamente ora anch’io mi pongo alcune domande…
Quando noi cattolici, in base a profonde motivazioni liturgiche, costruiamo balaustre intorno agli altari; quando grazie a profonde motivazioni teologiche e dottrinali, impediamo alla gente di fare comunione con Dio perché è in peccato mortale; quando noi escludiamo sistematicamente certe categorie di persone che come i pastori e pubblicani vivono una condizione di peccato; quando noi permettiamo che solo coloro che appartengono alla Gerarchia possono toccare le cose sacre (alcuni contestano ancora oggi la comunione nella mano); quando impediamo nella messa alle donne di fare cose perché possono farle solo i maschi (e questo non vuol dire “ordinare le donne” ma semmai spogliare della dimensione di potere ieratico e autarchico gli uomini: vedi nota in basso)… noi a quale Tempio apparteniamo? A quello che moltiplica continuamente i muri di separazione? o a quello il cui velo si è definitivamente squarciato? Noi a quale Esodo apparteniamo, a quello di Mosè che libera dalla schiavitù e costruisce itinerari di liberazione (decalogo) o a quello dell’imperatore Nabucodonosor che ha portato tutti schiavi in Babilonia?
Attenzione però non basta allargare i “confini” del Tempio, spostando le barriere per accogliere il più grande numero di persone (C. Giuliani) perché in tal caso resta sempre qualcuno “fuori”. Qui la logica di fondo è proprio la distruzione definitiva di ogni Tempio, di ogni recinto, perché tutti e tutte nel vero Santuario che è il Cristo (traduzione più corretta e comprensibile delle parole di Gesù: “Distruggete questo Santuario – perché è lì secondo la fede ebraica che abita la pienezza della divinità – e in tre giorni lo farò risorgere”): hanno ora immediato accesso al Padre in qualunque situazione si trovino…
Semplificando: quando pensiamo che la nostra vita è – qualunque sia la ragione – “un fallimento” e ci chiediamo “se Dio ci vorrà ancora bene, se potrà ancora accoglierci…”, dobbiamo risponderci guardandolo in croce: “certo che continua ad accoglierci e a volerci bene, perché ci vuole bene più di quanto ne voglia a se stesso!”…

Chi è veramente cristiano allora? chi è veramente cattolico? Me lo chiedo e lo chiedo…
Ah! Se leggessimo con più attenzione la bibbia… Nel libro di Isaia, ad un certo punto (Is 44,28-45,5) il profeta parla dell’imperatore Ciro, definendolo oltre che pastore, Messia del Signore (così nel testo ebraico e che in greco si traduce Cristo) cioè “eletto” dal Signore! Sono gli stessi “titoli” che i Vangeli riservano a Gesù, al Figlio di Dio, al Verbo incarnato, al Salvatore del mondo…! Ora però c’è un problema. Ciro, era pagano, idolatra, che è rimasto idolatra, con le sue concubine e la sua logica di conquista e che probabilmente ha liberato gli israeliti più per calcolo politico che per amore della giustizia… Ebbene, come è possibile che la bibbia, che noi sappiamo libro ispirato da Dio, definisca un uomo del genere “Messia”? Agli occhi di un cristiano oggi, come di un buon israelita sano di mente sembrerebbe più una bestemmia che una “parola di Dio”!
La risposta l’abbiamo nelle letture di oggi: Chi – chiunque egli sia (Lc 9,49s e Lc 18,16) – vive, lavora, si mette in gioco, per abbattere le barriere, qualunque barriera, che separa gli uomini tra di loro e da Dio… costui e soltanto costui si può legittimamente chiamare Cristo e Messia: cristo nel Cristo, messia nel Messia, figlio di Dio nel Figlio di Dio…
Solo una religione che al suo interno (e non solo al di fuori) abbia come “progetto culturale” l’abbattimento di ogni barriera, è un religione degna del nome cristiano. Costi quel che costi, questa è l’unica strada possibile alla santità! Quando questo accadrà la storia potrà finalmente dirsi compiuta.

Nota: L’episodio evangelico ci rivela anche un “metodo” da seguire valido in ogni ambito: occorre fare attenzione che nel voler abbattere delle discriminazioni non si alimenti, facendola propria, la mentalità che le crea! Provo a esplicitare. Gesù poteva reagire alle discriminazioni sopra descritte in vari modi: dandosi fuoco nella spianata del Tempio; forzare la porta che dà accesso al Santuario; organizzare una ribellione; rivendicare il diritto per tutti di accedere non solo al Santuario ma anche al Tabernacolo, ecc… ma in ognuno di questi casi avrebbe di fatto riconosciuto la legittimità del Tempio e la logica che lo presiede. Infatti anche se le donne e gli uomini – con le buone o con le cattive – avessero avuto accesso al “Santo dei Santi”… restava il fatto che per incontrare Dio, bisognava non solo recarsi fisicamente al Tempio, con l’automatica esclusione di chi non poteva permetterselo per ragioni economiche o altro, ma comportava anche accettare la logica del “mercanteggiamento” sacrificale per conquistare la benevolenza di Dio. Ecco allora che il gesto di Gesù acquista valore “profetico” nel senso che annunciando la nascita del vero Santuario – la sua persona risorta – in cui in qualunque luogo e qualunque situazione ognuno può incontrare il Padre, dichiara definitivamente “vuoto” ogni pellegrinaggio che non serva a far scoprire l’incontro con Dio a casa propria.
Ora c’è da chiedersi se la rivendicazione in ambito cattolico dell’ordinazione femminile, facendola propria, non accentui di fatto la discriminazione del binomio tempio/sacerdozio. Mentre come cerco di dimostrare nell’articolo, il cambiamento che Gesù ha provocato è ben più radicale…


(Con i contributi di fratelli e sorelle della lectio del venerdì sera e di F. Armellini per gli spunti esegetici)

Ultimo aggiornamento: lunedì 12 marzo 2012, ore 19
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