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venerdì 19 marzo 2010

Quando "ciascuno" diventa "qualcuno"

Il brano del vangelo di Giovanni che la Chiesa ci propone per questa quinta domenica di Quaresima, è un testo molto conosciuto – la sua parte centrale è divenuta addirittura proverbiale («Chi è senza peccato, scagli la prima pietra») –, ma forse la familiarità con cui ci accostiamo ad esso rischia di farci perdere qualche sfumatura, o peggio travisarne il contenuto.
Infatti, di fronte alla frase «Chi è senza peccato, scagli la prima pietra» – frase tra l’altro piuttosto diversa dalla nuova e più corretta traduzione che la CEI ha proposto nei mesi scorsi («Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei») – la riflessione è inevitabilmente orientata verso un amaro prendere coscienza della generalità del peccato e della sua diffusione che accomuna tutti: come se il problema del testo fosse questo, cioè ricordare a tutti che siamo peccatori, e che dunque tutto va inevitabilmente male, e che il mondo in cui viviamo fa schifo, ecc… ecc… ecc…
In realtà questa maniera immediata con cui ci viene da leggere il brano è assolutamente riduttiva. Per comprenderlo basta far un poco la fatica di collocarlo all’interno del contesto letterario in cui Giovanni lo pone. Il rischio è altrimenti quello di prenderlo come un fungo solitario spuntato non si sa bene da dove…
Innanzitutto la collocazione: siamo al capitolo ottavo del vangelo di Giovanni. Gesù si trova a Gerusalemme dove – come ci informa Gv 7,1-10 – è salito con i suoi fratelli per la festa delle Capanne. Nonostante vi si fosse recato «non apertamente, ma quasi di nascosto» (7,10) – dato che dopo l’ultima volta che vi era stato «non voleva più percorrere la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo» (7,1) – suscita subito un certo vespaio: «I Giudei intanto lo cercavano durante la festa e dicevano: “Dov’è quel tale?”. E la folla, sottovoce, faceva un gran parlare di lui. Alcuni infatti dicevano: “È buono!”. Altri invece dicevano: “No, inganna la gente!”. Nessuno però parlava di lui in pubblico, per paura dei Giudei» (7,11-13).
In mezzo a questo rincorrersi di voci e pareri sul suo conto, Gesù pensa bene di recarsi al Tempio e mettersi ad insegnare (7,14): «I Giudei ne erano meravigliati e dicevano: “Come mai costui conosce le Scritture, senza avere studiato?”» (7,15); altri dicevano: «Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, eppure non gli dicono nulla. I capi hanno forse riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia» (7,25-27); fino a giungere al commento dell’evangelista stesso, che dopo i vari tentativi di risposta di Gesù, annota: «Cercavano allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora» (7,30).
La situazione si ripete diverse volte, fino all’ultimo giorno della festa, quando sacerdoti e farisei sgridano le guardie per non aver condotto da loro Gesù in catene: «“Perché non lo avete condotto qui?”. Risposero le guardie: “Mai un uomo ha parlato così!”. Ma i farisei replicarono loro: “Vi siete lasciati ingannare anche voi? Ha forse creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!”. Allora Nicodèmo, che era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: “La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?”. Gli risposero: “Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!”. E ciascuno tornò a casa sua» (7,45-53).
Proprio a questo punto inizia il nostro capitolo 8, con Gesù che si reca «verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro » (8,1-2). È a questo punto che scribi e farisei gli conducono la povera donna «sorpresa in flagrante adulterio» (8,4), che – come ormai dovrebbe essere chiaro – non è affatto il centro del brano, non è il problema dei farisei, ma mero espediente per colpire Gesù: «La posero in mezzo e gli dissero: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo» (8,4-6).

Gioco antico, questo del sacrificio del piccolo, del povero, del diverso, della donna, dello straniero, per logiche di potere altre… antico e però ancora molto attuale. Gioco, il cui capro espiatorio è necessariamente un signor “nessuno”, senza volto, senza nome, senza storia, senza possibilità di parola. Capro espiatorio che per forza deve essere “nessuno”, perché se fosse “qualcuno”, potrebbe esserci chi lo riconosce, chi lo reclama come suo, chi lo difende… Questa donna invece non è nessuno. Nessuno dice come si chiama, chi sono i suoi genitori, chi era suo marito e perché lo tradiva (molte donne nella Palestina del tempo erano lapidate come adultere perché, in realtà, violentate dai soldati romani – ma contro Roma i farisei non si mettevano…), se aveva figli a casa che la aspettavano… Niente: un mero espediente anonimo per arrivare a “stanare” Gesù – minaccia del potere costituito. Proprio come le masse degli espedienti anonimi di oggi…
Un esempio su tutti: i famosi rimpatriati in Libia… meri espedienti anonimi del fantomatico bisogno di sicurezza degli italiani, ingenerato dalle paure disseminate maliziosamente e con molte manipolazioni nell’opinione pubblica. Rimpatri sbandierati come soluzione per il problema reale dell’immigrazione e dell’integrazione… Peccato che i rimpatri siano minimi (pensate per esempio al fatto che se un membro delle forze dell’ordine ferma oggi un clandestino, deve portarlo in Questura per le pratiche necessarie – perdendo diverso tempo… – e poi deve farsi carico di condurre il “delinquente” in luoghi atti al successivo rimpatrio – dopo ovviamente il processo per direttissima e solo se ha un documento di riconoscimento, perché se non ce l’ha dopo il processo per direttissima gli viene dato il foglio di via e lasciato andare da solo a rimpatriare –, di solito un CPT. Ovviamente il CPT più vicino. Per esempio c’è a Milano. Ma se questo è pieno, l’altro più vicino, per esempio in Emilia Romagna. Ma se è pieno, l’altro più vicino. Fino al paradosso che agenti lombardi portino i clandestini a Barletta o in Sicilia… Ora, considerando che per andare e tornare nel sud Italia ci vogliono almeno due giorni, che di solito le forze dell’ordine hanno famiglia, che spesso gli si consiglia di non fare straordinari, perché i soldi son pochi, che altrettanto di frequente gli si consiglia di non sprecare troppa benzina, credete davvero che siano molti quelli che seguano questo iter!??!?!); e oltre che minimi i rimpatri sono spesso tragici (e per questo vi rimando ai servizi postati da Mario in questo blog il 2 febbraio 2010 “I frutti del respingimento” e il 18 marzo 2010 “La salvezza viene sempre da fuori…”, dove – soprattutto nel filmato – si vede bene in cosa consistano i “respingimenti” che – quando vengono proclamati – pacificano le nostre notti trepidanti per paura dei ladri…).
Dunque questi “respinti” – almeno per certi aspetti – sono proprio simili a questa “donna-fantoccio” di cui non interessa niente a nessuno, se non per l’occasione che dà per sopprimere chi minaccia con la sua verità l’ordine costituito…
Gesù si accorge subito della situazione in cui lo vogliono trascinare, della scelta a cui vogliono costringerlo – o entra nella loro logica dis-umanizzante, (nel senso che toglie umanità – carne, storia, volto, nome) che tratta con legalismo le persone, rendendole appunto “numeri”, “casi”, “anonimi”, per salvare se stesso; o si scontra, armando la mano di chi vuole ucciderlo – e decide di tacere: «Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra» (8,6).
«Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra» (8,7-8).
La “donna-fantoccio” diventa improvvisamente “qualcuno”, diventa “lei”, un volto, un corpo, una storia, contro cui lanciare, a titolo personale e non nascosti nella mischia, una sassata, che deturperebbe quel volto, macchierebbe di sangue quel corpo, porrebbe fine a quella storia… Da caso legale anonimo a persona a cui è ridonata – con una semplice frase incastonata tra lo stare chinato di Gesù a scrivere per terra (cioè con gli occhi che guardano in giù!) – la pienezza della sua umanità riconosciuta.
Tant’è che i presenti capiscono subito che Gesù ha disinnescato la loro trappola maliziosa, e «cominciando dai più anziani, se ne andarono uno per uno» (8,9)… per lasciare sulla scena Gesù e la donna soli (almeno così sembra a questo punto del racconto) a riconfermare, nel dialogo breve ma intensissimo che hanno, il fulcro centrale della buona notizia che è l’incontro con Gesù: il fatto che lo sguardo con cui lui guarda è sempre quello di chi vede di fronte a sé “qualcuno” e mai “nessuno”! Questo è il lieto annuncio: che per Gesù ognuno è “qualcuno”! Con la sua storia, i suoi peccati, il suo volto, il suo nome, le sue bruttezze, le sue bellezze… Ciascuno è “qualcuno” agli occhi di Dio!
Mentre gli altri tipi di potere hanno sempre bisogno di tanti signor nessuno da macellare lungo la storia, da tritare nel loro procedere… masse di anonimi che l’istituzione ha schiacciato sotto la sua immensa macchina divoratrice… e che però erano padri e madri, amati e amanti, figli e figlie di qualcuno… proprio come i nostri “respinti”… che noi consideriamo massa anonima ed indesiderata, ma che è fatta di volti, di nomi, di storie… di gente che è nata da una donna specifica, che avrà sofferto nel generarli, che li avrà allattati, custoditi, mandati un po’ a scuola se si poteva o a cui comunque ha insegnato tante cose… e che magari è ancora lì ad aspettarli… loro che invece – abbandonati nel deserto – muoiono in posizione fetale invocando il suo nome… proprio come i nostri soldati nelle Guerre Mondiali… proprio come chissà quanti dimenticati…

Un’ultima cosa… il capitolo ottavo di Giovanni – dopo che sulla scena ricompaiono dei “loro” a cui Gesù rivolge nuovamente la parola e fa un lungo discorso (8,12-58), che si conclude con la pretenziosa frase «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono» – finisce così: «Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui» (8,59), a sottolineare che chi fa di “ciascuno” “qualcuno”, è scomodo al potere costituito, che si nutre di “signori nessuno”, e diventa bersaglio delle medesime pietre da cui aveva scampato “qualcuno”, anzi “qualcuna”…

4 commenti:

Denise Cecilia ha detto...

Una nota.
Scrivi:
(molte donne nella Palestina del tempo erano lapidate come adultere perché, in realtà, violentate dai soldati romani – ma contro Roma i farisei non si mettevano...)

E' certamente corretto.
Ma lo zerbinaggio verso Roma non costituiva, per il giudaismo, l' "autorizzazione a procedere" alla lapidazione.
La riflessione che fai seguire - a proposito di ordine costituito e capri espiatori - è apprezzabile e riscontrabile tutta anche in questo esempio: la donna in quanto "essere (presunto) debole" ben si presta ad espiare, a rappresentare un'umanità che si ispira al valore della carità piuttosto che a quello del potere. L'abbiamo visto in più di un'occasione qui, proprio nelle tue belle lectio.
Ma va anche detto, a fianco, che le adultere erano considerate tali a priori, poiché in generale non si riteneva tecnicamente possibile che una donna subisse un rapposto sessuale senza aderirvi con la propria volontà, idea per altro, purtroppo, affatto sconfitta.
E che la lapidazione come condanna dell'adulterio faceva capo, innanzitutto, ad una visione del mondo per la quale la sacralità (compresa quella riferita al corpo) contava in sè e per sè più di ogni altra cosa, con la conseguenza che la sua interruzione non ammetteva pressoché alcuna giustificazione.
Si lapida(va) la donna non tanto (non soltanto) perché si sta(va) con il potere costituito, dunque, ma perché si sta(va) contro l'impurità, vera o presunta, e contro la persona che ne è portatrice.
Vero è che anche il potere religioso, oltre a quello politico-militare esterno, era a tutti gli effetti un potere costituito, imposto ed impositivo: tuttavia le norme sulla purezza (potremmo anche dire sicurezza) erano e sono percepite ad un livello personale prima che comunitario, e ben più in profondità rispetto alle norme codificate di convivenza (e convenienza) sociale. Sono insomma norme morali / etiche oltre che sociali.
E l'adultera avrebbe rischiato la propria pena anche se non fosse stato un romano a violarla, ma un ebreo.

Sam ha detto...

carissima chia, a me il tuo post ha invece ricordato un brano di una lettera di teresina (maggio 1897) in cui si tratta della giustizia e della misericordia, commentato anche da Moioli...e pensa un po', è Teresina che si paragona all'adultera e in seguito a un episodio che a noi sembra banale (aveva rifiutato, o almeno così le sembrava, un favore a una consorella che di solito è molto severa con lei...e la sorella madre Agnese "immagine della misericordia divina" l'aveva difesa...ma invece di essere rimproverata dalla consorella "immagine della giustizia divina" viene abbracciata e le viene chiesto scusa!)Teresina si chiede che cosa Gesù pensi di lei, e conclude: "nessuno mi ha condannata, e so che posso andarmene in pace, perchè neanche voi mi condannerete...Gesù è sempre così dolce con me" e così prende come ultimo riferimento questo atteggiamento di Gesù, come armonia (dice Moioli) tra giustizia e misericordia....

Sam ha detto...

Aggiungo due parole al mio commento di ieri...credo di aver lasciato a metà il mio pensiero. A me sembra che non abbia importanza, in fondo, sapere se l'adultera aveva colpa o no, mi ricordo di aver letto dell'episodio di teresina e di essermi accorta di quanto si fosse sentita colpevole per una cosa da nulla (per non dire che non avrebbe dovuto sentirsi in colpa lei, ma piuttosto l'altra). Io stessa il più delle volte mi sento in colpa per delle cose stupide, e poi magari no per altre ben più gravi...ma la cosa che mi consola di più è sapere (cerco di ricordarmelo, almeno, anche se non sempre ci riesco)che al di là di tutto questo vengo sempre accolta da Dio

maria sole ha detto...

Qesto brano mi ricorda due aspetti:
il silenzio di Gesù e l'ultima esortazione " và e non peccare più" .
Signore mio, come faccio? Non riesco a stare zitta per tanto tempo.... Non riesco mai a non gudicare.... Vado avanti.... meglio che mi fermi.
Signore, ascoltami, io ho sempre e continuamente bisogno della tua amorevole misericordia. Secondo me l'adultera era proprio un' adultera, senza tanti giri di parole strane.
Buona notte

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