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martedì 1 novembre 2011

XXXII Domenica del Tempo Ordinario

La liturgia della Parola di questa Trentaduesima Domenica del Tempo Ordinario ci presenta i primi versetti del capitolo 25 di Matteo. Il salto, rispetto a settimana scorsa, è di un intero capitolo: là infatti abbiamo letto il capitolo 23, mentre oggi ci viene presentato l’incipit del 25. Tutto il 24° capitolo è perciò “saltato”.

Per comprendere però la parabola di questa domenica è utile – anche solo rapidamente – andare a guardare cosa contiene questo 24° capitolo, per evitare di far della parabola delle dieci vergini, una lettura estemporanea.

Ebbene nel capitolo 24 inizia il V e ultimo discorso che Matteo inserisce nel suo vangelo (dopo il Discorso della montagna, il Discorso missionario, il Discorso delle parabole, il Discorso ecclesiale), il cosiddetto “Discorso escatologico”, cioè “parola sugli eskata”; dove eskata sta per “cose ultime, finali, che riguardano la fine / il fine della storia”.

Siamo perciò all’interno di un contesto letterario in cui Matteo, dovendo narrare l’approssimarsi della fine della vita di Gesù (al cap. 26 inizierà il racconto della sua passione), raccoglie e organizza le parole del suo Maestro intorno – appunto – al tema della fine / del fine delle cose.

È un discorso che inizia in Mt 24,1 e termina in Mt 25,46 (le prossime domeniche prima che inizi l’Avvento, dunque quelle conclusive di questo anno liturgico, saranno tutte impegnate in testi tratti da questo discorso. Anche per questo pare utile spendere oggi qualche parola in più sulla sua contestualizzazione). Nell’organizzazione matteana, è un discorso che si svolge a Gerusalemme: Gesù è appena uscito dal tempio (Mt 24,1), dove aveva avuto duri scontri con i venditori (Mt 21,12-13), con i sommi sacerdoti e gli scribi (Mt 21,14), con gli anziani del popolo (Mt 21,23 ss), con i farisei (Mt 22,15 ss; Mt 22,34-24,39) e con i sadducei (Mt 22,23 ss) ed è interpellato dai suoi discepoli: «Mentre Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio» (Mt 24,1). Questo invito diventa per Gesù (e letterariamente per Matteo) l’occasione per introdurre una riflessione dal tenore – appunto – escatologico (finale): Gesù infatti avverte che di tutte quelle cose «non resterà pietra su pietra che non venga diroccata» e, allargando il discorso, nuovamente sollecitato dai discepoli («Dicci quando accadranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo» Mt 24,3) inizia a parlare di guerre, carestie, terremoti, supplizi, uccisioni, falsi profeti... che anticiperanno, ma non saranno la fine. Il discorso si sposta allora sull’atteggiamento che i discepoli dovranno tenere in questa attesa del ritorno del Figlio dell’uomo: quello dell’essere vigilanti, sottolineato dall’inserzione di ben tre parabole: quella del maggiordomo (Mt 24,45-51), quella delle dieci vergini (Mt 25,1-13) e quella dei talenti (Mt 25,14-30).

La seconda di queste parabole è la nostra; la terza, quella di settimana prossima.

Per comprendere bene questi brani, non va dunque dimenticato questo “contesto escatologico” che abbiamo provato a descrivere: il problema che vi soggiace è quello della vigilanza nel tempo dell’attesa del ritorno di Gesù, cioè nel tempo della storia. Come se il problema fosse: Come vivere la storia? Con quale atteggiamento attraversarla? Come pensare al rapporto col Signore, dunque con se stessi, dunque con gli altri, in un tempo in cui Gesù non è più incontrabile come prima per le strade della Galilea? Sapendo che a queste domande in positivo, nel nostro cuore soggiacciono quelle ben più angosciose del tipo: Che senso ha la storia? Ha un senso? Da dove veniamo e verso cosa andiamo? Dal caso al niente? E di me, che ne sarà? Di ciò che ho amato, vissuto, sofferto, accarezzato, gioito? Di ciò che mi si è scritto nella carne? Che cosa devo fare in questa storia che – a volte – si teme non abbia senso, data la lontananza del suo creduto fondamento e l’incertezza della sua destinazione?


La nostra parabola è la prima risposta, che i vangeli di questa settimana offriranno, a queste domande: “Vegliate”!.

Vediamo meglio di che si tratta facendoci aiutare dalle parole di Paolo Curtaz: «Siamo ormai a qualche settimana dalla fine dell’anno liturgico, che vuol dire che saluteremo Matteo, incontreremo Marco, e inizieremo il tempo di Avvento, Natale e via discorrendo. Matteo ci ha accompagnato in queste ultime domeniche con vangeli piuttosto impegnativi, quello di domenica scorsa in particolare: questo vangelo di questa lunga sequenza in cui Gesù contesta duramente quella che era la classe dei devoti (i farisei, i sommi sacerdoti, gli scribi) del suo tempo.

Ma il vangelo di oggi non è da meno, anche se bisogna, prima di interpretarlo bene, capire alcune cose.

Perché? Perché è un vangelo zeppo di contraddizioni. La storia è molto bella e ovviamente ricalca quella che era la cerimonia, la tradizione, la cultura dei matrimoni al tempo di Gesù, in Israele.

La festa durava diversi giorni e il primo giorno era lo sposo che andava a casa del suocero a prendere la sposa. E veniva accolto dalle damigelle, cioè dalle amiche della sposa, che facevano un lungo corteo di accoglienza. Se questo matrimonio avveniva quando ormai era calata la luce, cioè dopo le cinque della sera, c’erano delle lampade, delle fiaccole per accompagnare lo sposo incontro alla sposa, visto che non c’era l’illuminazione pubblica.

Una seconda cosa da capire, da sapere e che aiuta a correttamente interpretare quello che probabilmente Gesù ha detto, è il fatto che più di una volta nell’AT, Israele è chiamata come la sposa. E anche il numero delle cinque vergini, in questo caso dieci, cinque più cinque, ha a che fare con Israele.

Come dire: probabilmente Gesù quando dice questa parabola si sta rivolgendo alle persone che lo stanno ascoltando, alla sposa che è Israele.

E sta dicendo che cosa? Un po’ sulla falsa riga di quello che ha detto domenica scorsa: ci sono persone che accolgono (le vergini sagge) e delle vergini che non accolgono (che sono quelli che rifiutano il suo messaggio).

E da questo punto di vista allora, sicuramente, sta tutto in piedi: capiamo il discorso di Gesù, capiamo la sua ammonizione, cioè lui sta dicendo al suo uditorio: “Cercate di fare come le vergini sagge che accolgono e non come quelle sciocche che non accolgono”.

Cos’è successo allora? Perché Matteo quando prende questa parabola la infarcisce di elementi che provengono sicuramente dalla bocca di Gesù, ma non in quel contesto?

Il clima è molto più teso, è quasi terroristico; e poi, soprattutto, stupisce questa strana conclusione per cui Gesù dice di vegliare, ma, in realtà, anche le vergini sagge si sono addormentate.

Poi cos’è questa storia che nel cuore della notte bisogna andare a cercare olio per le lampade? Una cosa assolutamente assurda; nessuno nel cuore della notte vende dell’olio per le lampade.

E poi che sposo è mai questo, che non arriva all’imbrunire e neanche all’inizio della notte, ma nel cuore della notte?

Allora dobbiamo stare un po’ attenti a interpretare bene quello che Matteo fa: Matteo fa un’opera che a volte facciamo anche noi: prende cioè una parola di Gesù e cerca di adattarla, di attualizzarla per il suo uditorio, per la sua parrocchia, per la sua comunità.

[…] Cioè, questa parabola che fila via liscia nella bocca di Gesù, Matteo poi la rielabora un pochettino: non più rivolta, quindi, a Israele, che è diviso in vergini sagge e vergini folli (vergini pigre, vergini distratte), ma rivolta alla comunità cristiana. Comunità cristiana invitata a vegliare.

Perché? Perché c’era un grande fermento all’interno delle comunità: si pensava che Gesù dovesse tornare da un momento all’altro. Tutti erano convinti di questo.

C’è sempre la sensazione che tutto finisca, c’è sempre la sensazione che debba, da un momento all’altro, capitare di queste cose. Ebbene al tempo di Gesù, nelle primissime comunità, nei primi decenni dopo la risurrezione di Gesù, c’era questo clima un po’ euforico, che faceva sì che alcuni, addirittura, tirassero i remi in barca, cioè che non facessero più nulla. Paolo stesso, scrivendo alla comunità di Tessalonica, dice: “Chi non vuol lavorare neppure mangi”, cioè uno diceva “Beh, tiro i remi in barca, perché tanto arriva la fine del mondo”.

Solo che quando poi si vedeva che non arrivava la fine del mondo, ecco che qualcuno tornava alle abitudini di prima: cioè diceva “Tutto quello che abbiamo saputo, creduto erano tutte delle emerite baggianate”.

[…] Matteo si sta rivolgendo alla sua comunità, dicendo: “State attenti, perché anche se il Signore non è ancora arrivato, non è il caso di abbandonarsi alla logica del mondo, ma dobbiamo avere l’umiltà e il coraggio di aspettare, di vegliare operativamente, cioè non lasciandoci andare, non impigrendoci, addormentandoci. Perché il grosso rischio – e nella storia è successo più di una volta – è che i cristiani stessero seduti ad aspettare la venuta del Messia, pensando al paradiso, e intanto lasciavano tutto il mondo andare a rotoli”» [http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/23804.html].

Ora questa parabola è rivolta anche a noi (è il suo III livello, dopo quello di Gesù e quello dell’evangelista): anche a noi è rivolto l’invito (pressante) a vegliare; a vegliare per non essere come le vergini distratte che perdono l’incontro con lo sposo, cioè che non accolgono Gesù; a vegliare per non dividerci tra l’estremo di chi tira i remi in barca (tanto prima o poi arriva il Signore) e quello di chi – dato che Egli non è ancora sopraggiunto – declassano il suo vangelo a “baggianata”, “illusione”, “fantasia”…

Fuor di metafora, la parola del vangelo che la Chiesa ci consegna in questa Trentaduesima domenica del Tempo Ordinario ci invita a vivere, nella storia che ci è data, come coloro che hanno l’olio; come coloro, cioè, che attraversano la storia costruendosi interiormente in quel particolare e personale modo (non prestabile ad altri, non sostituibile con quello altrui), che li rende “pronti” al rapporto col Signore, riconosciuto nei luoghi e volti ove si fa presente nella storia (i piccoli).

A conclusione, qualche appunto di Giuliano su questo vangelo… dato che la lectio vera e propria di 3 anni fa sulla XXXII Domenica del Tempo Ordinario non esiste. Tale Domenica era, infatti, “saltata” nella Liturgia della Chiesa, in occasione della Celebrazione dei Defunti.



Mt 25 , 1-13

1 Il regno dei cieli è (sarà!) simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. 2 Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; 3 le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; 4 le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi. 5 Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. 6 A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro (uscite per l’incontro!) 7 Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. 8 E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. 9 Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. 10 Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. 11 Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! 12 Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. 13 Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora.



La vita è uscire verso lo sposo… vista in questa parabola alla luce dell’esodo … finale ! o determinante, che è il risultato di tutto il cammino!

Di quanti esodi ( con relativi sbandamenti verso gli idoli fallaci) abbiamo bisogno per capire che uno solo (lo sposo – il Signore) è quello che cerchiamo… Ma non riusciamo a capacitarcene se non svendendoci varie volte… e sperimentando di restare senza olio…   e solo attraverso il fallimento, ( delusione, esilio distruzione del tempio…)  maturare la convinzione di chi è il Signore… e dov’è…  e cercarne e trovarne la strada – visto che ne abbiamo la possibilità e la libertà (metà saggi e metà stolti! È la storia di Israele, della Chiesa… di ciascuno )



L’olio è la maturità cristiana del discepolo di Gesù! È la ri/conoscenza interiorizzata – cioè verificata pian piano nel cammino… che l’unico che ci salva è lui – nello Spirito.

E’ un’esperienza delicata di cui Gesù parla continuamente (il vino di Cana, l’acqua zampillante dal di dentro della Samaritana, il fermento che lievita la pasta, il seme che germoglia dentro con la sua forza autonoma… il gemito dello Spirito in noi …) come di una realtà / dono che innesca un circolo interiore vitale.  Esperienza di essere amati/salvati e trepidante tentativo di risposta, di coinvolgimento sempre più vero, che innesca un flusso  di /riconoscenza della presenza efficace del Signore  nella nostra vita. E dunque una forza interiore (dallo Spirito, perché noi non siamo capaci) benefica e dolce, sanante e balsamica… che ci convince dal di dentro che questa è la strada giusta. E così la morale diventa amore – la Parola diventa esperienza di luce: olio e fiaccola. E camminando tra tanti dubbi e incertezze si fa sempre più forte e radicata la convinzione di una conoscenza nuova di lui, di una frequentazione dello sposo/amico…di un incontro (ri/conoscenza!) pur nelle difficoltà e fragilità della vita… con relativa gratitudine che risana le inadempienze…



L’olio non si può scambiare né comprare… la parabola chiude la strada ad ogni possibile interpretazione contrattuale

 Non sta parlando della salvezza eterna… ma dell’apprendimento dell’attesa cristiana (vegliate!)… Ogni strumento religioso (fiaccole… servi incaricati di svegliare al mento opportuno…  solidarietà … è inadeguato… si tratta di imparare una relazione di amore che coinvolge la vita… non è scambiabile, si può dar aiuti e consigli, ma non saranno mai al livello adeguato, ( ricascano nella inutile religione contrattuale!)  perché non è comprensibile da chi non entra nel bisogno/esperienza che la fede è un affidamento di amore, che se non matura un rapporto personale, rimane sterile e nana…



Le pronte entrarono… alle altre: non vi conosco!

Si tratta dell’esito del percorso di fede di una vita: che sboccia in ri/conoscenza o disconoscenza… La vita eterna è vista come continuazione e esplosione, senza più limiti storici, dell’amore Gesù/discepolo… nel grande convito celeste: ci entra chi è ri/conosciuto dal Signore, per la lunga frequentazione che ne ha avuto nelle varie ricerche e notti (esodi) della vita… Non è riconosciuto (anche se crede d’aver comprato la conoscenza) chi non ha mai riconosciuto e  amato il Signore nei luoghi e volti ove si fa presente nella storia…

… datevi dunque da fare, dice il Signore!


1 commento:

maria sole ha detto...

Grazie Chia, perchè mi dai sempre una boccata SANA di ossigeno attivo...
soltanto sul quel darsi da fare non concordo in questo momento per me.....
cerco di imparare ad essere, ad arrivare a quella maturità personale interiore che nessuno mi può dare se non la mia continua ricerca, il mio continuo ascolto, il mio continuo fallimento, il mio continuo, incessante, desiderabile VIVERE.

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