Nel Vangelo, come ci dice Luca stesso, è già spiegato tutto quello che Gesù fece e insegnò nella vita terrena, “…fino a quando fu assunto in cielo…”. Ora, nel ‘diario’ di primi passi della comunità cristiana, l’evangelista racconta che Gesù, dopo la risurrezione, alla fine dei quaranta giorni durante i quali si è mostrato a tanti testimoni in diverse apparizioni ‑ ricorda ai discepoli l’imminenza della realizzazione della “promessa del Padre”, il dono dello Spirito Santo, di cui tutta la sua vita messianica è stata la preparazione e la rivelazione. Ma loro, privi ancora di questa pienezza dello Spirito, non hanno capito questo dono (la compiutezza del Regno del Padre), ma sono preoccupati piuttosto del realizzarsi dei loro progetti umani (il Regno per Israele!). Questo è il “fraintendimento originario”, nel quale la chiesa è nata e che si porta nei millenni come una ferita inquinante, che solo lo Spirito può incessantemente purificare. L’Ascensione – mentre lo guardavano fu innalzato e una nube lo sottrasse ai loro occhi! ‑ è la smentita di questo fraintendimento: Gesù Cristo Messia trionfante non è in mezzo a noi! Bisogna aprirsi nello Spirito a un nuovo rapporto con lui! Il fraintendimento è chiarito e sciolto alla radice, dalla parola di Gesù, “mentre era a tavola con essi”, con due consegne finali ai suoi: rimanere “assidui e concordi in preghiera…” nell’attesa dello Spirito, ‑ ed essere testimoni di lui fino ai confini della terra.
Quante tensioni sono condensate in questo linguaggio e in questi simboli! Che cercano di trasmetterci l’esperienza intensa e lacerante (alcuni dubitavano! Mt 24,16) che la prima comunità ha fatto del mistero che è condensato in questa partenza di Gesù, detta “ascensione”! Eppure questa speranza a cui ci ha chiamati, il dono che ci ha promesso (un’assenza che non abbandona, una orfanità consolata) è la condizione della nostra stessa vita di credenti in lui, che ci avvolge e impregna come Gesù stesso continua a ribadire – ormai non più a loro, ma a noi: “Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore…” (Gv 16,7); “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me… quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io.” (14,1ss). Questa doppia tensione dialettica è indivisibile: rimanere e partire, riunirsi a pregare per resistere nell’attesa dello Spirito e annunciare l’amore del Padre fino alle frontiere del mondo, guardare in cielo e dedicarsi alla terra… Da questa tensione è nata (anzi, è in nascita continua) la chiesa – il corpo mistico di Cristo rimasto in terra, collocata esistenzialmente nel “frattempo” che intercorre tra la sua partenza e il suo ritorno. Non è una difficoltà passeggera provocata dalla paura o dalla impreparazione dei discepoli alla dipartita di Gesù, ma è strutturale, interna al suo nuovo rapporto con noi. È la condizione storica della chiesa, proprio per la sua condizione di ospite e pellegrina in un mondo a cui non appartiene, ma insieme luce levata tra le nazioni, la cui salvezza è affidata alla sua testimonianza “di Lui”.
Il mistero del’Ascensione
Il continuo tentativo di tutto il Nuovo Testamento di spiegare il nuovo rapporto del credente e della chiesa con Gesù, ha la sua chiave ermeneutica fondamentale nel mistero dell’Ascensione. Gesù, il crocifisso risorto glorificato alla destra del Padre, presso il quale intercede per mandare a noi lo Spirito (Gv 14,15), proprio in questa sua nuova condizione ‑ per mezzo dello Spirito! ‑ è la sorgente da cui scaturisce la nostra fede, la luce che ci fa comprendere la nostra vita e nutre la nostra speranza in questo mondo ‑ e ci rigenera nell’amore, cioè nella capacità di osservare i suoi comandamenti e testimoniare al mondo il suo vangelo di salvezza, amandoci come lui ci ha amati. La tentazione è di rimanere in attesa del suo ritorno glorioso, rassegnati o tristi per le vicende dolorose e oscure della nostra vita e della storia (le nubi che oscurano il nostro sguardo fisso su di lui!). Finché ci stanchiamo di guardare all’inaccessibile luogo dove se ne è andato. E la tensione del suo ritorno rischia di trovarci smarriti … un angolo dell’attività frenetica del mondo, o aggressivi in concorrenza con il mondo, nell’attesa che arrivi il momento in cui il mondo capirà che abbiamo ragione noi! Mentre la condizione cristiana si apre qui alla sua verità storica , che è accogliere e aderire allo Spirito promesso, la cui venuta in noi è proprio il dono che ci fa capaci di imparare a “patire” l’assenza di Gesù, che ci “obbliga” a diventare testimoni di lui, – cioè a mantenere il contatto con la sua presenza “diversa”. Questo è il messaggio e il contenuto stesso del mistero dell’Ascensione.
… alcuni però dubitavano!
Perché è inevitabile (fa parte dell’avventura del credente!) che nell’adorazione, cioè nel totale riconoscimento della presenza divina in Gesù, s’insinui il dubbio, il timore, la riserva di una parte di sé che non riesce a consegnarsi … a questa assenza! E continua a domandarsi: Cosa gli è capitato? Dove è andato? Perché mai è bene per noi questa sua distanza da noi? Dunque ancor più è necessario capire cosa intendessero nella prima comunità dicendo: fu elevato e una nube lo sottrasse ai loro occhi! L’ascensione non è un distanziamento fisico, come quasi inevitabilmente si tende a immaginare, tant’è vero che si traduce: fu elevato in cielo… mentre il greco qui dice solo: fu elevato! – anche se poi il contesto stesso aggiungerà : in alto o in cielo! Ma vuol dire: “in Dio!” Non certamente in un altro luogo, pure iperuranico! Si può piuttosto immaginarlo, alla luce dell’esperienza che ci è narrata, questo “trasferimento” di Gesù in Dio, come l’immersione nell’oceano originario dell’essere, non tanto ontologico o metafisico, ma nell’ “essere per”, che è l’amore di Dio, da cui appunto era partito per venire a salvare noi: Dio ha tanto amato il mondo da mandare il Figlio… perché il mondo fosse salvo per mezzo di lui! Ecco dove è tornato – dove lo stesso amore che gli ha fatto donare la vita per noi, si esprime adesso mandandoci il secondo Consolatore. Il Verbo fatto carne nell’uomo Gesù lo porta con sé, ritorna in Dio, nel seno del Padre, con tutta la sua umanità integrale, carne della nostra carne, nel più intimo di Dio: una totale traslocazione al di sopra, o al di là o nel più profondo ‑ ogni simbolo o figura è inadeguata! ‑ ma certamente “al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare, non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro”.
Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo!
… una distanza dunque che se pur ci fa soffrire, temere e talora piangere e disperare, è intima a noi, perché Gesù non può smentire la sua promessa. Una distanza che paradossalmente si rivela insieme come intimità consolante. È nell’intimo del nostro essere, dove la benevolenza del Padre ci genera alla unica vita dell’essere e dell’amore, che occorre rientrare per prendere il contatto vitale con Gesù mentre è “trasferito” nel Padre. Perché lì Gesù è “ritornato” e abita come uomo / Dio. Ha trascinato e coinvolto nella sua “glorificazione” (inserimento nel cuore del Padre) tutto l’essere umano, tutto il nostro faticoso rapporto con la storia che ci conduce e ci travolge, tutta la realtà che noi diciamo terrestre, che l’ha nutrito e intriso nella sua vita terrena. Ma soprattutto la rete vitale dei rapporti umani che hanno intessuto e fatto crescere il suo vissuto umano conoscitivo e affettivo… i suoi amori e le sue piaghe, le sue fatiche e le sue gioie. “Tutto questo”, nato e cresciuto nell’avventura umana di Gesù nella persona del Verbo, è stato come raccolto, condensato e imploso nell’intimo di Dio… Ma “tutto questo” non è andato ad abitare chissà dove (cieli, super cieli, troni potestà… che nell’immaginario religioso erano il luogo degno di Dio), ma è andato ad abitare nel profondo del nostro cuore, perché non c’è altro luogo più degno nell’universo, più capace (pur nella sua miserrima fragilità!) di interloquire da amico con Dio, per il dono che il Padre stesso gli ha fatto di “essere per”… e di essere figlio, fratello di Gesù. Il quale ci ripete: “Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me… anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre. Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio”. Dunque questo suo ritorno all’origine, che l’aveva lanciato nella sua avventura umana di manifestazione dell’amore di Dio nella storia, è il luogo da cui promana adesso la Forza, l’Energia consolante e trasformante per chi si affida a lui – si lascia impregnare dalla Parola, e con Gesù acquista la sua singolare capacità di riportare a pienezza tutto il creato e l’umanità intera : Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo… cioè, letteralmente:
…la pienezza di colui che si riempie di tutte le cose in tutti…
…una passione “umana” infuocata è entrata dentro Dio ed ha assunto la potenza di Dio. È un corpo umano tanto sprofondato e assorbito nella divinità che con essa può impregnare di tenerezza “umana” divinizzata ogni cosa e tracima invadendo tutto il mondo, l’universo, gli angeli e ogni essere che possa esistere, nel tempo e fuori del tempo, come Dio ‑ un Dio di carne trasfigurata, che sa cos’è lo spazio e il tempo e la materia, ma non lo limitano più. Ecco l’Ascensione! Per di qui quest’amore (lo Spirito!) trabocca e preme in noi per illuminare la comprensione e rianimare il cuore… la possibile nostra di partecipazione alla glorificazione di Gesù che è avvenuta nella risurrezione. Dunque il mistero dell’Ascensione (di Gesù immerso nel cuore del Padre) trasmette alla nostra faticosa ricerca di amore, di pace e di perdono la sua energia, il flusso vitale potente di cui sta riempiendo con la sua umanità trasfigurata l’universo, secondo l’esperienza che ci è narrata e che diventa preghiera per noi: “Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti”.
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venerdì 2 maggio 2008
Per comprendere a quale speranza ci ha chiamati.
postato da
Mario
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