In questa domenica di Pentecoste (cinquantesimo giorno) i testi che la Chiesa ci propone nella liturgia fanno riferimento all’evento celebrato in questa festa: il dono dello Spirito santo.
Questi testi non vanno pensati come scritti “in presa diretta”, come se fossero un diario di bordo in cui gli apostoli riportavano i fatti contemporaneamente al loro accadere. Essi sono piuttosto il frutto di anni di riflessione che le prime comunità cristiane hanno messo in atto riguardo al “problema” della nuova situazione, creatasi dopo l’Ascensione di Gesù.
La questione era tenere insieme i dati complessi della realtà: da un lato il fatto che Gesù non fosse più presente in carne ed ossa e nemmeno nel modo post-pasquale delle apparizioni («egli fu assunto in cielo», At 1,2); dall’altro, il fatto che avesse promesso un secondo Consolatore («Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre», Gv 14,16) e che quindi non ci sarebbe stata una situazione di orfanità per l’uomo («Non vi lascerò orfani», Gv 14,18).
Ma come pensare questa nuova vicinanza segnata dai tratti della mancanza? Questa presenza immersa nell’assenza?
La svolta, narrata poi nei termini che conosciamo di «un vento che si abbatte impetuoso» e di «lingue come di fuoco» o nella forma giovannea di Gesù che «soffiò», è stata la graduale presa di coscienza della concretizzazione delle parole promettenti di Gesù: «Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire» (At 2,33).
È stata cioè la constatazione nella vita, nell’esperienza impastata di sangue e fango, di un’energia effettiva, da «vedere e udire»; è stato il ritrovarsi addosso questo Spirito e la sua potenza: «essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi» (At 2,4), «Pietro, pieno di Spirito Santo, disse…» (At 4,8), «tutti furono pieni di Spirito Santo e annunziavano la parola di Dio con franchezza» (At 4,31), «Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere ciò che là mi accadrà» (At 20,22); è stato lo scoprire che esso entrava in relazione potentemente col il loro nucleo più intimo, la sede delle loro decisioni: «Lo Spirito mi disse di andare con loro senza esitare» (At 11,12), «Essi dunque, inviati dallo Spirito Santo…» (At 13,4), «Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi…» (At 15,28), «avendo lo Spirito Santo vietato loro di predicare la parola nella provincia di Asia» (At 16,6); è stato infine, il percepire che questa era una forza dinamica, non statica, che circolava e si diffondeva: «non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, scese su di loro lo Spirito Santo e parlavano in lingue e profetavano» (At 19,6).
È questa constatazione della presenza reale dello Spirito che abilita la riflessione dei primi cristiani e permette un suo disvelamento, una sua graduale conoscenza, una sua intelligenza e in questo modo anche un potersi rapportare ad esso.
Nel Nuovo Testamento sono tanti i modi in cui si parla dello Spirito, in cui si tenta di dirlo, o attraverso immagini, o proponendo i suoi effetti (per stare alla lettura di questa domenica: «Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue»), ma il modo che a me pare più chiaro è quello contenuto sempre nella 1 Lettera ai Corinzi, ma qualche capitolo prima, rispetto a quello della lettura proposta dal liturgista. In 1Cor 2,11 infatti Paolo dice: «Chi conosce i segreti dell'uomo se non lo spirito dell'uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio».
Mi pare una delle formulazioni più chiare perché accostando una realtà umana, una dinamica antropologica, a Dio, rende tutto immediatamente più comprensibile: come lo spirito dell’uomo (cioè il suo nucleo vitale, il suo essere di fronte a se stesso, la sua autocoscienza…) è l’unico a conoscerne l’intimità verace, l’interiorità autentica, così è lo Spirito di Dio per Dio; è l’intimo di Dio, la “pancia” di Dio… tant’è che per la teologia cattolica esso è identificato con l’amore che il Padre e il Figlio si scambiano e che in qualche modo trabocca e si dona all’uomo: «noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio» (At 2,12).
Ed esso è proprio quella realtà che i primi cristiani riscontravano presente!
Ecco dunque, man mano, come si è evoluta la riflessione sulla nuova situazione data dalla presenza di Dio nell’assenza di Gesù: il cielo squarciato non si è richiuso, l’uomo non è rimasto solo, il cuore di Dio non ha nuovamente nascosto i suoi segreti! Ma anzi nell’incontro tra Spirito di Dio e spirito dell’uomo è possibile proprio l’incontro tra l’intimità dell’uno e quella dell’altro, tra la loro verità, tra le loro libertà!
È strano come questo annuncio risuoni insignificante ai nostri giorni, spesso anche ai nostri cuori: che rilevanza ha infatti nella mia vita il fatto di poter “mischiare” il mio spirito con quello di Dio? Che poi è lo stesso che chiedersi: perché noi oggi non constatiamo per nulla questa presenza nuova di Dio nel mondo, che i discepoli dicevano di poter «vedere e udire»?
Forse il problema sta nel fatto che noi non abbiamo idea (l’abbiamo persa) di che cosa voglia dire “Dio” (di chi sia) e di che cosa voglia dire “io” (chi sono).
Sul primo versante (quello di Dio) siamo sempre più dispersi tra una sovrastruttura religiosa, determinata unicamente dal senso del dovere o dall’abitudine o dal pagano timore di una rivendicazione di dio a fronte di una nostra eventuale trasgressione, cioè tra una religiosità formale e che non tocca minimamente la nostra vita e un senso vago e misterioso del divino, con qualche simpatia per le incursioni orientaleggianti, le pratiche meditative, i benefici psicologici dell’immersione nell’infinito… del tutto dimentichi del fatto che la fede cristiana è quella di chi dice: «Gesù è Signore», cioè questa sua libertà storica è il Signore! E guarda caso proprio questo è ciò che lo Spirito (di Dio) urla in noi: «Fratelli, nessuno può dire: “Gesù è Signore!”, se non sotto l’azione dello Spirito Santo»; insieme all’altro grande sussulto che Egli ci fa fare: «Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre» (Gal 4,6).
È quello che, forzando un po’ i termini per farsi capire, diceva mons. Coletti ad un incontro: “Il cristiano non è chi crede in dio, ma chi crede in Gesù!”. E nel Dio di Gesù, che egli ci ha insegnato a chiamare “Papà”!
Allo stesso modo, oltre a chi è Dio, noi oggi rischiamo di dimenticare anche chi è l’uomo, chi sono io… di ritenere impossibile (e questo è il male, il male radicale!) esser-ci, essere Uomo su questa terra, avere orizzonti ampi, raggiungere quella che Etty Hillesum chiamava la sorgente dentro di sé: «Dentro di me c'è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c'è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta di pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo».
Ed è per questo, perché abbiamo perso di vista chi è Dio e chi è l’uomo, che l’incontro tra i loro spiriti ci appare così insignificante, estrinseco rispetto alla nostra vita… Questo incontro, che è la vita nello Spirito che ci si è spalancata a Pentecoste, oggi ci appare infatti lontano, legato a un passato inaccessibile, impossibile, quasi infantile; tanto che ci scappa detto: è troppo bello per essere vero… la vita, quella vera, è un’altra cosa e per quanto sia bello sognare, ad un certo punto bisogna tornare coi piedi per terra…
Ma come siamo arrivati a questo punto? A considerare il vangelo un racconto fantasioso, quasi favolistico?
Sicuramente la risposta sarà un aggrovigliamento di situazioni personali, sociali, filosofiche, culturali, ambientali… ma come non dire una parola sul percorso ecclesiale che c’ha portati qui?
E mi vengono alla mente le parole del prof. Sequeri, quando – commentando la Lettera ai Romani di Paolo – diceva: Il soggetto di Rm 7-8 è un credente che riconosce in sé la permanenza dell’uomo peccatore, che sta sotto la legge ed è chiamato a vigilare su di essa, e insieme esultante per la libertà a cui l’ha portato la fede in Gesù (la liberazione dalla legge! In questo senso è significativo anche il fatto che la Pentecoste ebraica era la festa per il dono della legge sul Sinai, mentre i cristiani hanno cristianizzato la festa, celebrando in quel giorno il superamento della religione della legge a favore dello Spirito!).
Continua Sequeri: Nella seconda parte della Lettera ai Romani è invece rappresentato il risvolto storico, pubblico, collettivo: è emblematicamente rappresentata la situazione di Israele, il suo essere popolo eletto. Israele – come i cristiani di Roma, eletti del nuovo popolo di Dio – ha iniziato dall’essere in quattro gatti, una manciata di beduini litigiosi persino tra loro e dispersi nel niente (deserto). Questi erano gli “eletti”. Il loro guaio è stato quando hanno incominciato a dimenticarsi di questi inizi. Erano stati avvertiti in molti modi (profeti) che la Legge era necessaria, ma non sufficiente all’alleanza. Senza lo Spirito dell’alleanza le stesse norme istituzionali si incancreniscono. Paolo in questo modo ammonisce i Romani, perché non ripercorrano l’errore di Israele di anchilosarsi su una religione di sito.
E lo fa, lasciando urlare il perno della rivelazione di Gesù, che è la critica alla religione. Senza questa critica infatti la rivelazione non ha modo di far percepire la sua singolarità, che è parlare di Dio (dei segreti di Dio). La fede si purifica combattendo la religione e questa sua impressionante capacità di involuzione: che passa dall’incanto dell’elezione a pedante amministrazione!
Ma forse, le parole che Paolo diceva ai Romani, non sono bastate… Anche il Cristianesimo spesso lungo la storia ha preso la deriva religiosa, dimenticandosi della libertà dello Spirito… e spesso forse, anche a noi ha fatto comodo sistemarci dentro ad un apparato istituzionale rassicurante… e questo sempre perché la vita nello Spirito spaventa l’istituzione per la sua libertà e spaventa noi per la sua impegnativa radicalità…
Se solo dessimo credito all’esplosione di Vita dei primi passi della Chiesa e di tutti gli uomini e donne spirituali lungo la storia… e al fatto che è possibile anche per noi…
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