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giovedì 1 maggio 2008

Ascensione

La prima impressione leggendo i testi che la liturgia ci propone per questa festa dell’Ascensione del Signore, può, forse, essere quella di una sorta di asetticità, impersonalità, lontananza... Da un lato infatti Luca negli Atti fa come una sorta di ricapitolazione del fatto dell’ascensione (già raccontato per altro alla fine del suo vangelo), dando quasi l’impressione di aver di mira unicamente il raccordo tra il suo primo libro e il secondo. E di fatti il tono sembra quello di una semplice trascrizione del racconto, ormai oralmente raccontato chissà quante volte, e dunque fissato in un modello sistematizzato.
Dall’altro l’episodio evangelico (la finale di Matteo) ci rimanda: per un verso a formule ormai fissate dalla liturgia della prima chiesa («battezzando nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo»), che nelle nostre orecchie, riascoltate all’infinito, risuonano come anestetizzate, de-potenziate, ormai private della loro vitalità; e per l’altro mette in bocca a Gesù uno degli inviti forse più conosciuti dai cristiani di ogni tempo, ma mai come oggi così insignificanti: «Andate e fate discepoli tutti i popoli». Esso infatti fa comparire in tutti (esplicito o meno) un sorriso sarcastico: l’hanno già fatto... Nel giro di pochi decenni l’annuncio cristiano aveva percorso tutto il mondo conosciuto; addirittura l’impero, a distanza di pochissimi secoli, era cristiano... ma poi... alla lunga... non ha tenuto questo “essere andati”... e si è riandati, e ancora... e ancora... spesso facendo più danni che altro...
Per non parlare delle parole di Paolo... sempre così vibranti di passione... ma anche sempre così aeree per noi che né sappiamo storicamente e contestualmente collocarle, né abbiamo mai avuto l’impressione che andassero troppo al di là dei bonari consigli del parroco, che troppo spesso ce le ha presentate così... E così anch’esse si ritrovano nei nostri orecchi mancanti di qualsivoglia recettore che le giudichi significative per la nostra vita.
La domanda dunque, alla fine della lettura della liturgia della parola, potrebbe essere: e noi? E io? Cosa c’entro con tutto questo racconto della chiusura della presenza storica di Gesù nel mondo e dell’inaugurazione trepidante della vita della Chiesa? Di quella stessa Chiesa che ormai, dopo 2000 anni sa trasmettere solo un senso di disillusione, di scoraggiamento...? Di quegli inizi, così carichi di densità antropologica e teologica, a noi, che li abbiamo sentiti raccontare così tante volte, cosa rimane, se non la percezione di un mito fondatore arcaico... straordinario certo, nel senso di promettente... ma anche nel senso di extra-ordinario, di estraneo alla nostra storia, a quella così disincantata che ci è messa in mano ogni mattina, ogni volta che vi fermiamo a guardare questa chiesa, questo mondo...?
Ma forse, provando a scrollarsi un po’ di dosso questa prima sensazione, qualcosa che c’entra anche con me, con noi, c’è... se non altro il fatto, non scontato (neanche per i discepoli della prima ora) che con Gesù non finisca la storia! Anzi, essa è invece ri-aperta, ri-abilitata, ri-umanizzata, ancora percorribile in modo vivificante per ciascun uomo che in essa vi entra... Come se con ogni uomo essa ricominciasse.
Luca parla di questa possibilità nei termini di una “immersione nello spirito” («battezzati in Spirito Santo»): questo è ciò senza cui non ci si può allontanare da Gerusalemme, ma anche ciò per cui poi non si può stare ad attendere col naso all’in su, ma ci si deve avventurare sulla via personalissima della costruzione della vita.
È questo infatti il senso profondo della doppia narrazione del fatto dell’Ascensione: mentre infatti il vangelo di Luca (che aveva lo scopo di trattare «di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo», di guardare dunque le cose avendo come centro la vita storica di Gesù) si conclude con i discepoli che «stavano sempre nel tempio lodando e ringraziando Dio», gli Atti si aprono con lo sguardo puntato sulla vita che continua (senza la presenza in carne ed ossa di Gesù)... e da questo punto di vista ribadiscono con forza (e anche con un po’ d’ironia) come non si possa stare a guardare il cielo («Perché state a guardare il cielo?»), ma ci sia da vivere, da costruire personalmente e comunitariamente la consistenza di un’esistenza.
Ecco dunque il senso anche per noi, per me: che con il non finire della storia in Gesù, a ogni uomo che si ritrova a nascere in questo nostro mondo è messa tra le mani l’avventura della scrittura della propria storia; non “come se niente fosse accaduto” (in Cristo), ma col l’abilitazione (nello Spirito, che è la sostanza del Padre e del Figlio) a intersecarsi con quella libertà storica che è Gesù di Nazareth: è come se ci venisse detto che il senso della vita di ogni uomo che nasce è essere uomo... e per sapere cosa vuol dire essere uomo c’è da guardare a quell’uomo lì, Gesù.
Questo è il compito sacro di chi nasce uomo su questa terra: essere cristici... Non essere Cristo, non ripetere la sua avventura umana, ma in lui, costruire la nostra, singolarissima e personalissima.
È questo che Paolo augura a ciascuno: che «il Padre – nello Spirito – illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati»... E proprio questa è la speranza: che per ciascuno è possibile essere uomo così, essere consistente così, essere felice così... esser-ci e non semplicemente sopravvivere o passare su questa terra come uno dei tanti, confuso nelle catalogazioni dei manuali di storia o di sociologia...
Ed è questo quello da andare a dire a tutti i popoli, a ciascun uomo di ciascun popolo: che questo incontrarsi e mischiarsi e vivere col Signore è possibile per me, per te, sempre: e solo così trova risposta l’anelito di ciascun uomo che si ferma a guardare il cielo.
«Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» è un’espressione che ha questo peso... e chi la legge o la fa leggere come la classica e cattolicissima pacca sulla spalla, tradisce e svilisce la potenza della novità di Cristo: dopo la sua vita terrena, la sua presenza non svanisce, non si ritira nell’alto dei cieli... ma continua la possibilità, nello Spirito, di stare con lui e quindi di costruirsi con lui (proprio come con chi ci vive accanto, di cui inevitabilmente, alla lunga, prendiamo la parlata, i modi di fare, la mentalità, l’orizzonte di senso...). In questo mischiarsi, di singolarissima libertà storica di Gesù e personalissima autocoscienza mia, si scrive la storia... della Vita.

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