Il pastore alternativo!
Il buon pastore di cui il vangelo racconta, è una guida illuminata e amorevole, tra i pochi saggi che, nel lungo succedersi dei secoli, hanno inutilmente predicato un po’ di umanità… o piuttosto, come lui stesso afferma di sé, è la pietra angolare della nuova creazione, scartata e gettata in discarica dalla coalizione dei poteri di oppressione e di morte, in un mondo ormai cresciuto e consolidato secondo una logica spietata di competizione e sopraffazione, che ha cercato di eliminare per sempre anche lui?
“La figura del pastore, come oggi si presenta nella Bibbia e nel mondo biblico, è una figura drammatica, che si pone in modo antagonistico rispetto a quello che, nella prospettiva naturale dopo il peccato, è il pastore di tutta l’umanità, a cui nessuna pecora può sottrarsi, cioè la morte! E quindi il suo pastorato assume una connotazione drammatica, perché si definisce fin dal principio come un pastorato che si deve opporre al pastorato della morte, che deve riuscire a far vincere il sovrano che domina l’umanità: se Cristo non fosse entrato nel regno della morte a strappare tutto il gregge dalle mani di questo terribile pastore, il gregge non avrebbe potuto essere libero…” (G. Dossetti, omelie del tempo di Pasqua, Paoline 2007, p. 186).
Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza! (10,10)
Questa è l’affermazione che apre la pagina del vangelo di oggi, per introdurre l’appassionata ripetuta proclamazione dell’urgenza del dono della “sua” vita per la vita delle sue pecore… Non solo per i suoi discepoli, ma per tutti gli uomini, per tutto il mondo. Deve donare la sua vita, perché le pecore sono in balia di pastori mercenari, il cui obiettivo è il danaro non il bene delle pecore. E questi obbediscono al “mercato”, quindi al primo pericolo di perderci, le lasciano smarrite e disperse in balia del lupo. Deve donare la “sua vita” perché la vita è il dono che ha ricevuto dal Padre per comunicarlo a loro e il Padre lo ama proprio in questo e per questo suo essere il tramite del suo amore paterno in loro! Deve donare la vita alle pecore di ogni specie e di ogni tempo cioè, far convergere le diverse appartenenze disperse, perché la sua voce (la sua Parola) sarà riconosciuta come voce e parola del Padre, e proprio il “riconoscimento” di questa origine e destinazione “paterna” farà, infine, che ci sia un solo gregge guidato da un solo pastore.
In nessun altro c’è salvezza
Perché tanta insistenza sulla necessità di donare la vita… alla gente? Siamo un gregge di moribondi? Il termine ‘gregge’ ha un significato peggiorativo: una massa di individui che non sanno cosa fanno, che vagano senza sapere bene dove orientarsi. Allora l’umanità intera è vista come un grande gregge spintonato da pochi interessati che decidono cosa gli altri devono pensare, mangiare, perseguire… Un gregge di alienati, alla deriva, in vista di quale esito? Come pecore sono avviate agli inferi, loro pastore è la morte (Salmo 49). Sotto il potere supremo della morte, in fin dei conti!... È questa l’inevitabile fine di tutti, anche di chi ha creduto di comandare sugli altri, o di preservare qualcosa per sempre!… Tutti obbediscono alla morte, senza eccezione.
…per questo il mondo non ci conosce!
La nostra fede contiene una speranza antitetica alla dinamica del mondo. È refrattaria alla sua logica e il mondo la rifiuta come ingenua o alienante. Ma anche noi stessi, essendo un pezzetto di questo mondo, ci troviamo lacerati, perché: “noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato”. Dunque la nostra comprensione della vita e dell’amore che ci abita è debole e incompiuta. La nostra fede stessa nel supremo pastore che ha tolto il pastorato alla morte, mentre ci sta conducendo alla vita vera che non muore, si scontra con le smentite e i fallimenti o il buio del cammino quotidiano, in un contesto di sofferenza e competizione, nel quale sembra vincere la tentazione di abbandonare gli altri alla loro sorte di perdizione e di morte… e cadere nella stessa logica del mondo che Gesù ha combattuto, di pensare a salvare noi stessi!
Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Man mano, dunque, che “vediamo” come egli è, man mano che la sua parola illumina la nostra condizione e il dramma che in essa si svolge tra la vita e la morte, tra la speranza e la desolazione, si manifesta anche nella nostra vita il destino di Gesù. Non solo alla fine, perché la sua presenza fa parte della dinamica della fede nella storia: alla fine ci sarà solo l’esplosione di quanto quaggiù il fermento in noi della sua parola e della sua eucaristia ha trasformato e lievitato nell’impasto di paura e di aggressività, che è il terreno del mondo. Questo suo fermento nel mondo è il Regno di Dio – il seme che ci fa figli di Dio, figli della risurrezione. La lettera di Giovanni ne ribadisce, appunto, la consapevolezza certa quanto misurata, cioè ancora in cammino nella storia: noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato – se non in Gesù!
Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata
…da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d'angolo. In nessun altro c'è salvezza. Qui si parla della sola pecora – l’agnello sgozzato! – che lucidamente ha intrapreso e percorso la via della morte, come tutti, ma assumendola con tutto il suo carico di male, senza lasciarsene avvelenare, sapendo che il passaggio dentro il cammino di morte (la sua Pasqua!) la tramutava in via della vita per sé e per tutti. Nella sua vita ha accolto pienamente la voce del Padre, ne ha testimoniato fino alla fine l’amore e la verità. I discepoli riscoprono nelle Scritture che l’Agnello condotto al macello, sgozzato e insieme trionfante, inerme e insieme invincibile, è il segno e il sacramento, la via e la verità, che apre la strada ai suoi fratelli, per vincere anche loro la morte. Per questo il mondo, dove la paura e la minaccia della morte è il criterio dominante, non l’ha potuto sopportare, ed ha creduto di chiudere la partita espellendolo fuori dell’accampamento civile e religioso, uccidendolo e disperdendone i discepoli. Ma il Crocifisso risorto è divenuto il buon pastore che ha vinto la morte in sé stesso ed ha strappato dal suo potere annichilente chi ne era soggiogato in terra e negli inferi… e così ha aperto la porta dei pascoli di salvezza a tutti quelli che credono in lui, ne accolgono lo spirito, imparano a perdonarsi, si uniscono tra loro nella comune partecipazione alla stessa avventura nel suo corpo e del suo sangue, donati per noi e capaci di coinvolgerci in questo dono.
…non vi è infatti altro nome nel quale noi siamo salvati
Per poter cogliere questo spiraglio di luce, per poter accedere a questa strada stretta, bisogna lasciarsi dunque illuminare dalla luce di Cristo e reinterpretare le Scritture alla luce della sua parola. Ci salva una fede illuminata dalla risurrezione di Gesù. Allora le Scritture rischiarano la nostra storia e ne sono reciprocamente illuminate. E noi impariamo a percepire la lotta drammatica all’interno della Bibbia per l’affermarsi, lungo i millenni, di questa luce, sempre più forte, che Dio è il buon pastore di tutti, anche se l’esito immediato di tutti i suoi successivi interventi che lì si raccontano è centrato sull’obiettivo particolare del momento. Non si trattava dunque semplicemente di portare il popolo fuori dalla schiavitù d’Egitto o condurlo alla terra promessa o richiamarlo dall’esilio, o di riportare alla purezza rituale e morale il popolo… ma l’obiettivo del suo pastorato è portare tutti, in Cristo, con i passi lenti e pesanti della storia, alla vita definitiva, al di là dell’esistenza terrestre!: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola (10,27ss).
Chi ha il potere di donare la vita, ha anche il potere di riprendersela!
Questo può essere il motto dell’esperienza di Gesù e quindi della nostra! Lo “scarto” della proposta cristiana rispetto alla funzionalità sociale, psicologica, politica, economica, è radicale! La scelta (o la beatitudine) della povertà rispetto alla pienezza, alla potenza, alla ricchezza… l’atteggiamento di mitezza non violenta che assume su di sé il male invece che trasmetterlo in ritorsione inarrestabile, l’amore e la benevolenza, insomma, come criterio di vita, sono il nuovo statuto cristiano… (oro e argento non ho… ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo…). Nasce una contraddizione insanabile dei discepoli di Gesù con la logica e la struttura della società religiosa politica economica (quella che aveva scartato Gesù…), nonostante tutti i legittimi tentativi di mediazioni storiche sperimentate nei millenni per sopravvivere da cristiani nella storia – chiamati però a non cedere mai all’“antropologia di potenza”, che permea l’uomo, le istituzioni, gli stati, il mercato (ove tutti sono mercenari, pena l’espulsione… dalla competizione, appunto!). Il costo è qualche pezzo di vita, e poi magari tutta quanta, che ci portano via. In palio c’è questa sfida suprema di Gesù: solo la vita che si dona è salva! Non muore più… e potrai riprendertela trasfigurata, come ha fatto Lui!
Il buon pastore di cui il vangelo racconta, è una guida illuminata e amorevole, tra i pochi saggi che, nel lungo succedersi dei secoli, hanno inutilmente predicato un po’ di umanità… o piuttosto, come lui stesso afferma di sé, è la pietra angolare della nuova creazione, scartata e gettata in discarica dalla coalizione dei poteri di oppressione e di morte, in un mondo ormai cresciuto e consolidato secondo una logica spietata di competizione e sopraffazione, che ha cercato di eliminare per sempre anche lui?
“La figura del pastore, come oggi si presenta nella Bibbia e nel mondo biblico, è una figura drammatica, che si pone in modo antagonistico rispetto a quello che, nella prospettiva naturale dopo il peccato, è il pastore di tutta l’umanità, a cui nessuna pecora può sottrarsi, cioè la morte! E quindi il suo pastorato assume una connotazione drammatica, perché si definisce fin dal principio come un pastorato che si deve opporre al pastorato della morte, che deve riuscire a far vincere il sovrano che domina l’umanità: se Cristo non fosse entrato nel regno della morte a strappare tutto il gregge dalle mani di questo terribile pastore, il gregge non avrebbe potuto essere libero…” (G. Dossetti, omelie del tempo di Pasqua, Paoline 2007, p. 186).
Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza! (10,10)
Questa è l’affermazione che apre la pagina del vangelo di oggi, per introdurre l’appassionata ripetuta proclamazione dell’urgenza del dono della “sua” vita per la vita delle sue pecore… Non solo per i suoi discepoli, ma per tutti gli uomini, per tutto il mondo. Deve donare la sua vita, perché le pecore sono in balia di pastori mercenari, il cui obiettivo è il danaro non il bene delle pecore. E questi obbediscono al “mercato”, quindi al primo pericolo di perderci, le lasciano smarrite e disperse in balia del lupo. Deve donare la “sua vita” perché la vita è il dono che ha ricevuto dal Padre per comunicarlo a loro e il Padre lo ama proprio in questo e per questo suo essere il tramite del suo amore paterno in loro! Deve donare la vita alle pecore di ogni specie e di ogni tempo cioè, far convergere le diverse appartenenze disperse, perché la sua voce (la sua Parola) sarà riconosciuta come voce e parola del Padre, e proprio il “riconoscimento” di questa origine e destinazione “paterna” farà, infine, che ci sia un solo gregge guidato da un solo pastore.
In nessun altro c’è salvezza
Perché tanta insistenza sulla necessità di donare la vita… alla gente? Siamo un gregge di moribondi? Il termine ‘gregge’ ha un significato peggiorativo: una massa di individui che non sanno cosa fanno, che vagano senza sapere bene dove orientarsi. Allora l’umanità intera è vista come un grande gregge spintonato da pochi interessati che decidono cosa gli altri devono pensare, mangiare, perseguire… Un gregge di alienati, alla deriva, in vista di quale esito? Come pecore sono avviate agli inferi, loro pastore è la morte (Salmo 49). Sotto il potere supremo della morte, in fin dei conti!... È questa l’inevitabile fine di tutti, anche di chi ha creduto di comandare sugli altri, o di preservare qualcosa per sempre!… Tutti obbediscono alla morte, senza eccezione.
…per questo il mondo non ci conosce!
La nostra fede contiene una speranza antitetica alla dinamica del mondo. È refrattaria alla sua logica e il mondo la rifiuta come ingenua o alienante. Ma anche noi stessi, essendo un pezzetto di questo mondo, ci troviamo lacerati, perché: “noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato”. Dunque la nostra comprensione della vita e dell’amore che ci abita è debole e incompiuta. La nostra fede stessa nel supremo pastore che ha tolto il pastorato alla morte, mentre ci sta conducendo alla vita vera che non muore, si scontra con le smentite e i fallimenti o il buio del cammino quotidiano, in un contesto di sofferenza e competizione, nel quale sembra vincere la tentazione di abbandonare gli altri alla loro sorte di perdizione e di morte… e cadere nella stessa logica del mondo che Gesù ha combattuto, di pensare a salvare noi stessi!
Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Man mano, dunque, che “vediamo” come egli è, man mano che la sua parola illumina la nostra condizione e il dramma che in essa si svolge tra la vita e la morte, tra la speranza e la desolazione, si manifesta anche nella nostra vita il destino di Gesù. Non solo alla fine, perché la sua presenza fa parte della dinamica della fede nella storia: alla fine ci sarà solo l’esplosione di quanto quaggiù il fermento in noi della sua parola e della sua eucaristia ha trasformato e lievitato nell’impasto di paura e di aggressività, che è il terreno del mondo. Questo suo fermento nel mondo è il Regno di Dio – il seme che ci fa figli di Dio, figli della risurrezione. La lettera di Giovanni ne ribadisce, appunto, la consapevolezza certa quanto misurata, cioè ancora in cammino nella storia: noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato – se non in Gesù!
Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata
…da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d'angolo. In nessun altro c'è salvezza. Qui si parla della sola pecora – l’agnello sgozzato! – che lucidamente ha intrapreso e percorso la via della morte, come tutti, ma assumendola con tutto il suo carico di male, senza lasciarsene avvelenare, sapendo che il passaggio dentro il cammino di morte (la sua Pasqua!) la tramutava in via della vita per sé e per tutti. Nella sua vita ha accolto pienamente la voce del Padre, ne ha testimoniato fino alla fine l’amore e la verità. I discepoli riscoprono nelle Scritture che l’Agnello condotto al macello, sgozzato e insieme trionfante, inerme e insieme invincibile, è il segno e il sacramento, la via e la verità, che apre la strada ai suoi fratelli, per vincere anche loro la morte. Per questo il mondo, dove la paura e la minaccia della morte è il criterio dominante, non l’ha potuto sopportare, ed ha creduto di chiudere la partita espellendolo fuori dell’accampamento civile e religioso, uccidendolo e disperdendone i discepoli. Ma il Crocifisso risorto è divenuto il buon pastore che ha vinto la morte in sé stesso ed ha strappato dal suo potere annichilente chi ne era soggiogato in terra e negli inferi… e così ha aperto la porta dei pascoli di salvezza a tutti quelli che credono in lui, ne accolgono lo spirito, imparano a perdonarsi, si uniscono tra loro nella comune partecipazione alla stessa avventura nel suo corpo e del suo sangue, donati per noi e capaci di coinvolgerci in questo dono.
…non vi è infatti altro nome nel quale noi siamo salvati
Per poter cogliere questo spiraglio di luce, per poter accedere a questa strada stretta, bisogna lasciarsi dunque illuminare dalla luce di Cristo e reinterpretare le Scritture alla luce della sua parola. Ci salva una fede illuminata dalla risurrezione di Gesù. Allora le Scritture rischiarano la nostra storia e ne sono reciprocamente illuminate. E noi impariamo a percepire la lotta drammatica all’interno della Bibbia per l’affermarsi, lungo i millenni, di questa luce, sempre più forte, che Dio è il buon pastore di tutti, anche se l’esito immediato di tutti i suoi successivi interventi che lì si raccontano è centrato sull’obiettivo particolare del momento. Non si trattava dunque semplicemente di portare il popolo fuori dalla schiavitù d’Egitto o condurlo alla terra promessa o richiamarlo dall’esilio, o di riportare alla purezza rituale e morale il popolo… ma l’obiettivo del suo pastorato è portare tutti, in Cristo, con i passi lenti e pesanti della storia, alla vita definitiva, al di là dell’esistenza terrestre!: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola (10,27ss).
Chi ha il potere di donare la vita, ha anche il potere di riprendersela!
Questo può essere il motto dell’esperienza di Gesù e quindi della nostra! Lo “scarto” della proposta cristiana rispetto alla funzionalità sociale, psicologica, politica, economica, è radicale! La scelta (o la beatitudine) della povertà rispetto alla pienezza, alla potenza, alla ricchezza… l’atteggiamento di mitezza non violenta che assume su di sé il male invece che trasmetterlo in ritorsione inarrestabile, l’amore e la benevolenza, insomma, come criterio di vita, sono il nuovo statuto cristiano… (oro e argento non ho… ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo…). Nasce una contraddizione insanabile dei discepoli di Gesù con la logica e la struttura della società religiosa politica economica (quella che aveva scartato Gesù…), nonostante tutti i legittimi tentativi di mediazioni storiche sperimentate nei millenni per sopravvivere da cristiani nella storia – chiamati però a non cedere mai all’“antropologia di potenza”, che permea l’uomo, le istituzioni, gli stati, il mercato (ove tutti sono mercenari, pena l’espulsione… dalla competizione, appunto!). Il costo è qualche pezzo di vita, e poi magari tutta quanta, che ci portano via. In palio c’è questa sfida suprema di Gesù: solo la vita che si dona è salva! Non muore più… e potrai riprendertela trasfigurata, come ha fatto Lui!
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