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venerdì 22 maggio 2009

Asceso al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose!

L'Ascensione, o l'Innalzamento, secondo san Giovanni
Il crogiolo incandescente della nostra fede
Da quando l’uomo è sulla faccia della terra fino ad oggi, diminuiscono sempre più gli spazi e i tempi non violati dalla sua conoscenza e non desacralizzati dalla sua tecnica. Al là del linguaggio mitico, il Nuovo Testamento prende atto del misterioso compimento dell’itinerario biblico di rivelazione dell’identità arcana di Dio nel suo figlio Gesù, crocifisso risorto. L’inizio del racconto degli Atti, prosecuzione inscindibile del capitolo finale del Vangelo di Luca, racconta la dipartita del Signore da questa terra. Nel Vangelo, infatti, Luca dice di aver spiegato tutto quello che Gesù fece e insegnò nella vita terrena, “…fino a quando fu assunto in cielo…” Ora, nel ‘diario’ dei primi passi della comunità cristiana, l’evangelista racconta che Gesù, dopo la risurrezione, alla fine dei quaranta giorni durante i quali si è mostrato a tanti testimoni in diverse apparizioni, annuncia ai discepoli l’imminenza della realizzazione della “promessa del Padre”, il dono dello Spirito Santo, di cui tutta la sua vita messianica è stata la preparazione e la “sperimentazione”. Ma loro, privi ancora di questi sensori dello Spirito, non sanno che proprio questo dono è la compiutezza del Regno del Padre nel mondo, e sono preoccupati piuttosto dei loro progetti umani (il Regno per Israele!). Con l’ascesa di Gesù e il dono dello Spirito, non è più tempo di attendersi soluzioni potenti dall’alto: perché state a guardare il cielo?- Non c’è più alcun progetto sociopolitico sacro (teocratico), quaggiù in terra, monopolizzato dai suoi discepoli: non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere. Non c’è dunque più tempo, né luogo, né razza, né uomo più sacro di altri: ma tutta la storia è attesa e preparazione fervida e operosa del suo ritorno. La preoccupazione pressante di tutto il Nuovo Testamento di spiegare il nuovo rapporto del discepolo e della chiesa con Gesù, dopo la sua morte e risurrezione, ha la sua sorgente e la chiave ermeneutica fondamentale nel mistero dell’Ascensione e della Pentecoste. Tutto il ciclo pasquale confluisce qui! Gesù, il crocifisso risorto glorificato alla destra del Padre, presso il quale intercede incessantemente per mandare a noi lo Spirito (Gv 14,15), proprio lui, in questa sua nuova condizione di totale immersione in Dio, è la sorgente umano-divina da cui scaturisce la nostra fede, la luce che ci fa comprendere la nostra storia, il pane che nutre la nostra speranza in questa attesa e ci rigenera già quaggiù nell’amore. Che è la capacità di testimoniare al mondo il suo vangelo di salvezza, amandoci come lui ci ha amati. Da questo – non da altro! riconosceranno che siamo suoi discepoli (Gv 13,15)!

… il mistero dell’Ascensione
Viene dunque introdotta in noi una nuova sorprendente dinamica dello Spirito (lett.: riceverete una energia proveniente dal santo Spirito su di voi!), che ci spinge incessantemente alla trascendenza dell’esperienza contingente ed effimera della nostra vita. Noi, però, siamo la generazione più distante … non tanto dal mistero dell’Ascensione, che è compresente a tutta la storia, ma dal linguaggio che lo riveste e lo trasmette. Abbiamo già fatto fatica a seguire il racconto della passione, per l’istintivo rifiuto (evidente anche negli apostoli) della sofferenza e del fallimento, ma ci ha affascinato questa sua capacità di portare il male continuando ad amare. La risurrezione ci ha provocato ad un sussulto, perché anche per noi, come per i sapienti dell’Areopago, è troppo refrattaria alla nostra corta visione del mondo. L’Ascensione, adesso, ci investe e ci coinvolge come un fermento esplosivo a espansione lenta ma inarrestabile. Corrode dall’interno tutto il cantiere antropologico che l’uomo ha congegnato e rielabora continuamente nei millenni, scuotendone i presupposti cosmologici e teologici. Perché impegna e avvolge in un paradosso incontenibile il centro stesso della fede: Gesù Cristo, senso della nostra vita e della comprensione di essa. Un paradosso fatto di una partenza dal cuore del Padre e un ritorno a Lui, una distanza e una vicinanza, un “rimanere” di lui in noi, che però se ne è andato da questa nostra storia, a collocarsi là dove noi non possiamo seguirlo (Gv 13,33)… Forse la dimensione spaziale che suggerisce inconsciamente un “trasferimento” di Gesù lontano (nei cieli – in Dio) ci frastorna ancora. Gesù, invece, non è andato lontano, non ha abbandonato la storia e l’umanità, ma si è reso ancor più intimo a noi, immerso là dove scaturisce e ci dà vita e ci sostiene tacitamente l’amore creatore del Padre, nello spessore sorgivo più fondo del nostro essere e dell’essere di tutte le cose. Per questo, pur essendo “andato” via, per i nostri parametri fisici e psichici, non ha ostacoli di tempo o di spazio, né di altre barriere “…mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra” (Mt 28,18). E dunque, in verità, è vicino a noi: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Il suo corpo glorificato e immerso in Dio, è unito adesso a noi, che pure viviamo una condizione diversa, in un mistero talmente intimo da ricapitolare in sé ogni forza e influsso salvifico. Penetra e impregna e colma del suo amore “fraterno” tutto l’essere e ogni persona singolarmente: non tanto, come verrebbe da dire secondo l’immagine spaziale, “perché le ha portate in Dio”, ma perché la sua “glorificazione totale” nel Padre (questa è infine l’Ascensione) lo rende capace di “riempire della sua pienezza tutte le cose” (Ef 1,23.
Per evitare la schizofrenia ecclesiale…
Un tempo si cercava di evitare che questi due poli della dinamica della fede cristiana si contrapponessero e dividessero la chiesa, delegando per così dire, a due classi differenti e complementari di fedeli la rappresentanza simbolica degli interessi del cielo e dei bisogni della terra: i laici comuni, che guardano in basso e curano le cose del mondo e gli ecclesiastici o, ancor più, i monaci, che dovrebbero guardano solo in alto. La lacerazione tra adesso e dopo, tra l’essere in questo mondo senza essere del mondo, vanno invece tenute lucidamente nel cuore di ogni cristiano. Da questa ferità che da Giacobbe in poi fa zoppicare ogni credente sulle strade del mondo, nasce infatti la tensione che ci spinge ad agire per il Regno e, insieme, a non rinchiuderci nelle impalcature culturali provvisorie della nostra fede. E la vita cristiana fatica a mantenere un punto di equilibrio nella difficile tensione escatologica, nata dall’Ascensione, che è insieme un’assenza del Signore, abitata dallo Spirito – e un’attesa del suo ritorno, impegnata nell’annuncio fattivo del Regno a tutti gli uomini. Ci sono stati nella storia della Chiesa e ci sono ancora in tanti cuori e teologie, rigurgiti di fede “cattolica”, intesa come discriminante di ogni altro modello culturale o diversa visione del mondo, e non (quale veramente è) come fermento eversivo potente (attraverso la Parola e l’Eucaristia) di ogni modello culturale e di ogni visione teologica. Un simile approccio di fede, ormai, non basta più a reggere l’usura del tempo e della pluriculturalità. Lo Spirito, come il Signore aveva predetto, ci ha dilatato orizzonti sorprendenti, ha aperto versanti della verità tutta intera, che erano impensabili anche ai profeti che li avevano intravisti da lontano. Ma il termine cattolico – proprio quello che si usa per definire quella fede contrapposta! torna profeticamente a significare “da per tutto”. Senza questa cosciente tensione tra impegno radicale nell’inadeguatezza del presente e attesa instancabile del Regno, l’implorazione al ‘Padre nostro’ (che è il gemito dello Spirito dentro di noi) si spegne. E finiamo per identificare noi stessi e le nostre idee con la salvezza. Svuotando di senso il mistero dell’Ascensione, cioè della necessità che lui se ne andasse da questa nostra storia, senza lasciarla orfana, perché ha assunto una nuova qualità di presenza, proprio perché si manifestasse che nella Resurrezione del Signore sta il segno e la promessa che il mondo è salvo, che la pace è stata firmata nel suo sangue, che il futuro è redento e la sua realizzazione affidata allo Spirito nella sua Chiesa.
Per riempire di sé tutto l’universo…
Paolo stesso sintetizza meglio di ogni spiegazione il cuore di questo mistero:
… a ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo è detto: asceso verso l’altezze, ha portato con sé prigioniera la [nostra] prigionia, ha distribuito doni agli uomini. Ma colui che è salito in alto chi è se non lo stesso che disceso nelle caverne della terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, affinché riempisse [di sé] tutte le cose. (Da qui dunque nasce la compagine ecclesiale per la salvezza del mondo. Infatti prosegue) … egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo. … Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità (Ef 4, 1ss].

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