L’ultimo metrò di Giacomo Poretti*
Ho fatto un brutto sogno: non avevo sentito la sveglia e dovevo recarmi in un luogo per fare una cosa importantissima, ma non ricordavo cosa. Corsi giù nella metropolitana, mi sarei ricordato strada facendo. Sulla banchina la ressa era indescrivibile, quando il treno si fermò la gente iniziò a spingere e a urlare: «Dove essere garrozza per negro di Sudan?», «Via di qua non fale fulbo questa e calozza di filippino, no cinese», «Cvtrrrrr nglllfz bwqqkkhhh» (idioma di un popolo a noi sconosciuto che sostanzialmente diceva «mi hanno rubato il portafoglio»), «No signora, esto es un tram por equadorenios no costaricanos, el costaricanos està dopo los ukrainos es la terzultima carossa», e la signora rispondeva: «Cabrón, tu no ai respecto por los anzianos».
Ero disperato di non trovare posto quando comparve la mia carrozza: lunghissima, almeno come il campo di San Siro, pulita, color verde pistacchio metallizzato. Si aprirono le porte automaticamente e le note di «O mia bela Madunina» mi avvolsero e mi fecero sentire a casa; le millesettecentottantatue poltrone di prima classe in alcantara color verde bottiglia erano quasi completamente vuote, si contavano solo due persone sedute, e le loro giacche verde smeraldo abbagliarono i miei occhi. Passò una hostess che indossava un tailleur verde acqua, reggeva un vassoio con brioches al gorgonzola, tramezzini alla caseula. Chiesi un caffè marocchino: la hostess prima mi guardò male, poi mi propose un cappuccino con schiuma di ossobuco, risposi che grazie ma ricordavo solo ora di essere a digiuno. La hostess gettò il vassoio a terra e urlò che erano ormai trent’anni che le parole «digiuno» e «ramadan» erano abolite.
In quel mentre entrarono tre controllori vestiti con una camicia color verde pianura padana, chiesero i documenti a una delle due persone sedute e immediatamente dopo la scaraventarono fuori dal finestrino con il treno in corsa: non aveva alcun diritto a sedersi in quella carrozza, era residente a Poggibonsi! La ronda di controllori avanzò verso di me e il capo, che aveva la faccia di un cane lupo e la voce di Borghezio, mi intimò di consegnargli biglietto e carta di identità. Fui travolto dal panico, ecco dove stavo andando: in Comune a fare il cambio di residenza! Il cane lupo lesse «residente a Trani», abbaiò e mi mostrò le fauci. A quel punto mi sono svegliato: ero nel mio letto, a Milano, avvolto dalle lenzuola verde pisello. Allora mi sono messo tranquillo: da noi certe cose non succederanno mai.
da "Popoli" (rivista dei Gesuiti), n° di giugno-luglio 2009 (di prossima uscita)
*Comico
grazie a egivus per l'informazione
2 commenti:
Fantastico! Poretti non avrebbe potuto descrivere meglio un incubo che rischia di diventare realtà!
Comico, umoristico, se fosse miglia e miglia lontano dal modo di pensare dei nostri politici, ma invece drammaticamente vicino. Ma è mai possibile che, dopo migliaia d'anni di civiltà (a questo punto, si fa per dire!!), l'umanità non abbia ancora capito che è meglio stare insieme, che separati? Uniti, invece che divisi? Fratelli, invece che nemici?
A volte la rubrica di Poretti su Popoli mi lascia perplesso. Stavolta, invece, il comico coglie nel segno,svelando la assurdità di certe proposte...
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