Anche a noi avviene, in certi momenti di grazia, che si aprano gli occhi della mente e crollino le barriere del cuore e allora si liberano i grandi orizzonti che pure ci sono stati annunciati e ci premono dentro... Allora ci accorgiamo delle prigionie cultuali o spiritualistiche (sempre tragicamente discriminanti!) nelle quali siamo chiusi. E si accendono scintille che illuminano le esigenze del vangelo nella vita difficile di ogni giorno. Interiorità e missione – e il loro indissolubile rapporto – è il tema delle letture di oggi! cioè l’adesione convinta del cuore al messaggio di amore del Signore, e la tensione per realizzarlo nella vita relazione con sé e relazione con gli altri – custodia e accudimento della propria fragile autenticità intima, e, insieme, disponibilità aperta e intensa al dono di sé. Ogni bene deperisce se non custodito, ma anche imputridisce, se non è condiviso. Gesù vuol introdurre i discepoli a questo equilibrio, perché possano divenire gli umili testimoni della nuova umanità. Uomini comuni, impregnati dall’ambiente religioso, ma non molto osservanti e culturalmente prigionieri inconsapevoli “della legge fatta di prescrizioni e decreti” … vengono coinvolti in cose più grandi di loro. E ci hanno trasmesso questa esperienza, stupiti e ammirati, talora incapaci e smarriti… intuendo l’interiorità sovrumana di questo Maestro fuori misura. Anche senza capire bene del tutto ciò che dovevano trasmettere. Una verità di cui non possono portare tutto il peso… un mistero di amore che solo lungo i secoli, sotto la guida dello Spirito, lascia emergere la sua potenza di fuoco, sotto le sembianze impercettibili di un piccolo fermento o di un seme di senape…
Interiorità e missione
Pochi versetti, il vangelo di oggi! Sufficienti a farci intuire, ancora una volta, la profonda empatia che faceva vibrare il cuore di Gesù di fronte alla gente con cui si trova a vivere. Tanto più se si pensa alla “missione sperimentale” sorprendente ed emozionante, dalla quale i discepoli provengono, in questo momento, stanchi e contenti. La missione, perché? Perché il messaggio che era venuto a portare e con il quale aveva un poco contagiato i suoi discepoli, non poteva esser conservato senza comunicarlo, proprio perché è un messaggio di liberazione e di comunione d’umanità. Empatia vuol dire sentire e comprendere l’altro, cioè entrare in vibrazione “nel proprio interno”, con ciò che la gente sente dentro di sé. Gesù sente e si commuove dell’entusiasmo e della sorpresa dei discepoli, partecipa del loro dolore per i rifiuti e della loro gioia per i casi di guarigione. Come sempre, mette in comunione il suo essere interiore con le interiorità lacerate che incontra, per condurle ad unità liberandole dai lacci che ne impediscono la dilatazione e l’armonia. Ed avvia a questo lavoro di ricostruzione dolce e intensa dell’umanità frantumata e stanca i suoi discepoli. Ma questi ne sono scossi interiormente, se pur entusiasti… e perciò li invita alla custodia e accudimento della loro interiorità, perché rimanga vigile e autentica, e non si svuoti … in mestiere impersonale, o formale, cultuale o miracolistico. Il gruppetto dei discepoli ne è travolto: era infatti molta la gente che andava e veniva e non avevano neanche più il tempo di mangiare. Per cui ritornerà l’invito all’umile saggezza di ritrovarsi un poco in disparte a riposarsi. Occorre prendere distanza interiore, confrontarsi, ricondursi all’essenziale. Se no si rischia il formalismo, si appassisce la passione, si rischia l’ipocrisia o la schizofrenia…
La passione messianica
Gesù si commosse per loro. E ricomincia così il circolo empatico di vibrazione interiore per la solitudine abbandonata, che troppa gente soffre nel suo deserto interiore, e allora occorre abbandonare il momento di distanziamento per rituffarsi a insegnar loro ciò che “dentro di lui” abita ed è il dono essenziale della sua identità: il riferimento interiore che lo costituisce – il volto del Padre, che mai lo abbandona – che lui ci comunica, perché anche noi possiamo fondare su questo asse interiore il tessuto delle nostre relazioni. La commozione “dentro” – il lasciarsi smuovere il cuore per patire la “commozione” dell’altro, non è solo il filo conduttore del racconto. È la presenza rivelatrice della benevolenza paterna di Dio in mezzo a noi. La gente sente emanare da Gesù e ora anche dal suo gruppo di discepoli, questa straordinaria passione per l’umanità malata e per questo li ricerca e li rincorre. E allora Gesù entra ancora in empatia profonda, soffre con loro la loro dispersione, e addirittura, a stare al verbo greco “gli sussultano le viscere”… si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. Il progetto di un momento di riposo entra in conflitto con la sofferenza della folla che domanda, muta, attenzione e accudimento. Il principio che prevale è quello di essere a disposizione dell’uomo sempre… Il tempo dell’uomo appartiene alla “commozione per l’altro”, alla compassione, sempre. I discepoli imparano l’arte ardua di dimenticarsi – l’unica stretta strada che mantiene viva e autentica la passione messianica, e ne segna già il destino.
L’annuncio del regno
Sempre più Gesù diventa “rivelazione” che promana dall’intimo della sua persona – come qualcosa che lo ha avvinto dal di dentro ed entra in vibrazione irresistibile di fronte alla sofferenza! Gesù diventa sempre più dimostrazione vivente, prova umana, testimone visibile del Regno, appunto perché in lui i discepoli vedono e sentono ciò che avviene quando una persona lascia che sia Dio a guidare la sua vita, a “regnare” in lui! I discepoli capiranno cosa voleva dire quando ripeteva: “di me parlano le Scritture”. Che vuol dire, appunto, cosa Dio aveva in mente quando chiamava Abramo, Isacco, Giacobbe… fino a Mose e ai profeti … : «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo…Dopo tanti tentativi e innumerevoli vicissitudini, adesso è arrivata la vera liberazione, non secondo le misure di potenza delle attese umane, ma in modo piccolo e modesto, come un seme, che poi crebbe fino a diventare albero grande, dove la gente poteva ripararsi (Mc 4,31-32). E la gente stessa si incaricava di diffondere la notizia. Gesù, che era stato misconosciuto dai suoi compaesani, ha appena assaporato il destino dei profeti di essere inascoltati e anche perseguitati, ma proprio adesso, secondo Marco, intensifica la sua azione raggruppando un piccolo nucleo di discepoli… che manda in missione. Giovanni, l’ultimo e più grande di tutti i profeti, nel frattempo è stato imprigionato e assassinato da Erode. Gesù dilata la sua azione in molti modi: scaccia gli spiriti immondi, cura i malati e coloro che sono maltrattati, libera coloro che sono esclusi a causa di impurità rituali, accoglie gli emarginati e fraternizza con loro. È una passione che si rivela. Passione per il Padre e per la gente povera ed abbandonata della sua terra. Lì dove trova gente che lo ascolta, parla e trasmette il Vangelo.
Lo scontro con l’insegnamento dottrinale
I maestri del popolo, come sempre, hanno imparato nelle sinagoghe, nelle scuole del tempio, nei seminari… hanno imparato anche seriamente la storia della salvezza raccontata nelle Scritture. Recitano a memoria le formule e le preghiere prescritte, ma non hanno dentro di sé la passione, l’empatia, l’autorevolezza forte e dolce di un’interiorità costruita e consolidata da poter trasmettere… per contagio d’amore. La gente si è accorta della diversità : «Un insegnamento nuovo! Dato con autorevolezza! Diverso da quello degli scribi!» (Mc 1,22.27. Da qui la gelosia e la persecuzione. Non pochi magari erano interiormente sensibili e capivano il vicolo chiuso in cui la “religione” ufficiale viene sempre a trovarsi. Molti altri ci vivevano sopra, come dice il profeta: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati. È una della forme più gravi del peccato strutturale, che nella Bibbia è all’origine di tutto il concatenarsi del “male” o meglio dell’impossibilità di uscire dal vicolo cieco della violenza e dal disordine interiore di un’umanità che ha perso le sue radici in Dio, e appare come il coltivare e il gestire un modo sbagliato di relazionare. Da Adamo ed Eva fino ad oggi il peccato dell’origine è appunto la sopraffazione reciproca… tramandata, purtroppo, per così dire, nella prassi dei pastori corrotti… mentre a parole dicono il contrario! Finalmente la cura di questa inguaribile malattia passa attraverso la compassione del cuore di Gesù!
Egli infatti è la nostra pace!
Paolo, dopo qualche anno, quando l’annuncio dell’avventura di Gesù il Risorto comincia a risuonare nel mondo allora conosciuto, rilegge con occhio teologico il coinvolgimento di Gesù nella storia umana perennemente insanguinata dalla competizione – che uccide ogni possibile compassione tra gli uomini, rendendo anzi la vittoria sull’altro (la censura di ogni compassione!) l’unica vera soluzione politica definitiva di ogni conflitto. L’inimicizia è la vera chiave di lettura dei conflitti di potere. Il potere infatti non sa cos’è la com/passione, è di natura sua cinico e monopolistico, insidiato da ogni concorrente, che va sottomesso o eliminato! Tutta la scienza politica da Aristotele, a Platone, ad Agostino… a Macchiavelli, ad Hobbes, a Schmitt ruota attorno alla contrapposizione amico / nemico. Gesù proprio qui è intervenuto: abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace. … distruggendo in se stesso l’inimicizia. Come costo di sangue, per lui, la croce! Ma solo così anche noi, invincibilmente lontani da noi stessi, possiamo diventare vicini… per presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito.
Interiorità e missione
Pochi versetti, il vangelo di oggi! Sufficienti a farci intuire, ancora una volta, la profonda empatia che faceva vibrare il cuore di Gesù di fronte alla gente con cui si trova a vivere. Tanto più se si pensa alla “missione sperimentale” sorprendente ed emozionante, dalla quale i discepoli provengono, in questo momento, stanchi e contenti. La missione, perché? Perché il messaggio che era venuto a portare e con il quale aveva un poco contagiato i suoi discepoli, non poteva esser conservato senza comunicarlo, proprio perché è un messaggio di liberazione e di comunione d’umanità. Empatia vuol dire sentire e comprendere l’altro, cioè entrare in vibrazione “nel proprio interno”, con ciò che la gente sente dentro di sé. Gesù sente e si commuove dell’entusiasmo e della sorpresa dei discepoli, partecipa del loro dolore per i rifiuti e della loro gioia per i casi di guarigione. Come sempre, mette in comunione il suo essere interiore con le interiorità lacerate che incontra, per condurle ad unità liberandole dai lacci che ne impediscono la dilatazione e l’armonia. Ed avvia a questo lavoro di ricostruzione dolce e intensa dell’umanità frantumata e stanca i suoi discepoli. Ma questi ne sono scossi interiormente, se pur entusiasti… e perciò li invita alla custodia e accudimento della loro interiorità, perché rimanga vigile e autentica, e non si svuoti … in mestiere impersonale, o formale, cultuale o miracolistico. Il gruppetto dei discepoli ne è travolto: era infatti molta la gente che andava e veniva e non avevano neanche più il tempo di mangiare. Per cui ritornerà l’invito all’umile saggezza di ritrovarsi un poco in disparte a riposarsi. Occorre prendere distanza interiore, confrontarsi, ricondursi all’essenziale. Se no si rischia il formalismo, si appassisce la passione, si rischia l’ipocrisia o la schizofrenia…
La passione messianica
Gesù si commosse per loro. E ricomincia così il circolo empatico di vibrazione interiore per la solitudine abbandonata, che troppa gente soffre nel suo deserto interiore, e allora occorre abbandonare il momento di distanziamento per rituffarsi a insegnar loro ciò che “dentro di lui” abita ed è il dono essenziale della sua identità: il riferimento interiore che lo costituisce – il volto del Padre, che mai lo abbandona – che lui ci comunica, perché anche noi possiamo fondare su questo asse interiore il tessuto delle nostre relazioni. La commozione “dentro” – il lasciarsi smuovere il cuore per patire la “commozione” dell’altro, non è solo il filo conduttore del racconto. È la presenza rivelatrice della benevolenza paterna di Dio in mezzo a noi. La gente sente emanare da Gesù e ora anche dal suo gruppo di discepoli, questa straordinaria passione per l’umanità malata e per questo li ricerca e li rincorre. E allora Gesù entra ancora in empatia profonda, soffre con loro la loro dispersione, e addirittura, a stare al verbo greco “gli sussultano le viscere”… si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. Il progetto di un momento di riposo entra in conflitto con la sofferenza della folla che domanda, muta, attenzione e accudimento. Il principio che prevale è quello di essere a disposizione dell’uomo sempre… Il tempo dell’uomo appartiene alla “commozione per l’altro”, alla compassione, sempre. I discepoli imparano l’arte ardua di dimenticarsi – l’unica stretta strada che mantiene viva e autentica la passione messianica, e ne segna già il destino.
L’annuncio del regno
Sempre più Gesù diventa “rivelazione” che promana dall’intimo della sua persona – come qualcosa che lo ha avvinto dal di dentro ed entra in vibrazione irresistibile di fronte alla sofferenza! Gesù diventa sempre più dimostrazione vivente, prova umana, testimone visibile del Regno, appunto perché in lui i discepoli vedono e sentono ciò che avviene quando una persona lascia che sia Dio a guidare la sua vita, a “regnare” in lui! I discepoli capiranno cosa voleva dire quando ripeteva: “di me parlano le Scritture”. Che vuol dire, appunto, cosa Dio aveva in mente quando chiamava Abramo, Isacco, Giacobbe… fino a Mose e ai profeti … : «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo…Dopo tanti tentativi e innumerevoli vicissitudini, adesso è arrivata la vera liberazione, non secondo le misure di potenza delle attese umane, ma in modo piccolo e modesto, come un seme, che poi crebbe fino a diventare albero grande, dove la gente poteva ripararsi (Mc 4,31-32). E la gente stessa si incaricava di diffondere la notizia. Gesù, che era stato misconosciuto dai suoi compaesani, ha appena assaporato il destino dei profeti di essere inascoltati e anche perseguitati, ma proprio adesso, secondo Marco, intensifica la sua azione raggruppando un piccolo nucleo di discepoli… che manda in missione. Giovanni, l’ultimo e più grande di tutti i profeti, nel frattempo è stato imprigionato e assassinato da Erode. Gesù dilata la sua azione in molti modi: scaccia gli spiriti immondi, cura i malati e coloro che sono maltrattati, libera coloro che sono esclusi a causa di impurità rituali, accoglie gli emarginati e fraternizza con loro. È una passione che si rivela. Passione per il Padre e per la gente povera ed abbandonata della sua terra. Lì dove trova gente che lo ascolta, parla e trasmette il Vangelo.
Lo scontro con l’insegnamento dottrinale
I maestri del popolo, come sempre, hanno imparato nelle sinagoghe, nelle scuole del tempio, nei seminari… hanno imparato anche seriamente la storia della salvezza raccontata nelle Scritture. Recitano a memoria le formule e le preghiere prescritte, ma non hanno dentro di sé la passione, l’empatia, l’autorevolezza forte e dolce di un’interiorità costruita e consolidata da poter trasmettere… per contagio d’amore. La gente si è accorta della diversità : «Un insegnamento nuovo! Dato con autorevolezza! Diverso da quello degli scribi!» (Mc 1,22.27. Da qui la gelosia e la persecuzione. Non pochi magari erano interiormente sensibili e capivano il vicolo chiuso in cui la “religione” ufficiale viene sempre a trovarsi. Molti altri ci vivevano sopra, come dice il profeta: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati. È una della forme più gravi del peccato strutturale, che nella Bibbia è all’origine di tutto il concatenarsi del “male” o meglio dell’impossibilità di uscire dal vicolo cieco della violenza e dal disordine interiore di un’umanità che ha perso le sue radici in Dio, e appare come il coltivare e il gestire un modo sbagliato di relazionare. Da Adamo ed Eva fino ad oggi il peccato dell’origine è appunto la sopraffazione reciproca… tramandata, purtroppo, per così dire, nella prassi dei pastori corrotti… mentre a parole dicono il contrario! Finalmente la cura di questa inguaribile malattia passa attraverso la compassione del cuore di Gesù!
Egli infatti è la nostra pace!
Paolo, dopo qualche anno, quando l’annuncio dell’avventura di Gesù il Risorto comincia a risuonare nel mondo allora conosciuto, rilegge con occhio teologico il coinvolgimento di Gesù nella storia umana perennemente insanguinata dalla competizione – che uccide ogni possibile compassione tra gli uomini, rendendo anzi la vittoria sull’altro (la censura di ogni compassione!) l’unica vera soluzione politica definitiva di ogni conflitto. L’inimicizia è la vera chiave di lettura dei conflitti di potere. Il potere infatti non sa cos’è la com/passione, è di natura sua cinico e monopolistico, insidiato da ogni concorrente, che va sottomesso o eliminato! Tutta la scienza politica da Aristotele, a Platone, ad Agostino… a Macchiavelli, ad Hobbes, a Schmitt ruota attorno alla contrapposizione amico / nemico. Gesù proprio qui è intervenuto: abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace. … distruggendo in se stesso l’inimicizia. Come costo di sangue, per lui, la croce! Ma solo così anche noi, invincibilmente lontani da noi stessi, possiamo diventare vicini… per presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito.
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