Gesù chiama i dodici senza ulteriori dichiarazioni. Perché proprio questi? Non si dice nulla in proposito. Né virtù, né abilità particolari, né attitudine oratoria li distingue. Se manca loro qualcosa all’attuazione del loro incarico verrà ad essi aggiunto. Manca loro senz’altro tutto ciò che viene dato loro quando vengono mandati: l’autorizzazione ad annunciare il regno di Dio, e questo con il potere di scacciare i demoni, il che è unicamente possibile se si ha lo Spirito Santo, che estendendosi ricacci indietro la sfera di azione dello spirito maledetto. Avendo ricevuto questi doni da Gesù, si richiede loro di non mischiarli con i propri mezzi di appoggio o di propaganda; perciò nessuna bisaccia, non pane, non denaro, non abiti per cambiarsi,… e neppure la ricerca di un’abitazione più comoda. Gli incarichi sono l’annuncio, il richiamo alla conversione, non il successo. Se non ci sarà non deve importare, devono semplicemente andare e tentare altrove… (Balhasar)
Chiamati, mandati e respinti
Una chiamata di ordine radicale, quella di Amos e degli apostoli, senza possibilità di pensarci troppo. C’è però nel fare di Gesù una novità rispetto ai profeti antichi, nella chiamata degli apostoli. Gesù se li è scelti, uno ad uno, per nome, ma poi li ha radunati tutti insieme e ha fondato la comunità dei “Dodici”, “perché stessero con lui” - ci aveva informato Marco. E questo era il primo obiettivo immediato della chiamata, che ha sconvolto loro la vita. Ora li convoca di nuovo, ma per realizzare il secondo dei due obiettivi per cui li aveva radunati attorno a sé - “per mandarli ad annunciare” il vangelo, che da lui avevano ascoltato e con lui condiviso, imparando faticosamente a viverlo (Mc 3,14s). È arrivato dunque il tempo per i discepoli di “provare” almeno, come un tirocinio, a nostro insegnamento, a mettere in atto quanto dovrebbe essere il risultato della comunione di vita con Gesù: diventare missionari, come lui, e andare a fare, pur ancora maldestri, quello che finora hanno visto fare dal Maestro.
Un’irresistibile adesione interiore
La loro preparazione non era un seminario dove imparare un mestiere o una vocazione a cui addestrarsi, in una scuola di profeti, per poi praticarla. Ma piuttosto una irresistibile adesione interiore a seguire la chiamata del Signore senza possibilità di fuga. La chiamata si è rivelata un coinvolgimento progressivo e poi addirittura un’immersione in un progetto misterioso, il Regno di Dio, di cui Gesù parlava in continuazione e di cui tutto ciò che faceva, diceva, viveva era la manifestazione e la realizzazione. La loro comprensione di questo mistero e di Gesù stesso, era allora iniziale, informe, ancora grossolana… Ma pur mantenendo tutta la loro debolezza morale, culturale, psicologica, sempre più capiranno che stavano diventando tessere vive di questo immenso mosaico che è il “disegno” di Dio di salvare il mondo… e che in questo progetto tutta la storia di Israele e, in Israele, di tutte le genti, trovava il suo senso. L’annuncio che Gesù gli comanda di portare alla gente è fatto di poche parole (convertitevi), di alcuni doni speciali (liberare gli oppressi da varie forme di menomazioni diaboliche, curare molti malati) – ma insieme è fatto del “modo di essere e di presentarsi” dei Dodici.
Profezia svincolata dai monopoli del potere e dei suoi strumenti
Quando si parla di evangelizzazione, il nostro pensiero corre subito al «che cosa vado a dire?» e meno, molto meno, a «come devo essere io?», al mio stile di vita. Perché lo stile di vita non è un accessorio, magari desiderabile, ma secondario, del messaggero. Le modalità del presentarsi dei messaggeri missionari, cioè gli strumenti economici, il tessuto di relazioni nelle quali si inseriscono, le strutture istituzionali con le quali si incontrano, o si scontrano, nei paesi e nelle città dove arrivano, anche se ancora minime, come in questi inizi… sono già il messaggio! L’istituzione, come gruppo di apostoli, preparati e mandati ad annunciare, ancora sotto lo sguardo di Gesù, è necessaria ed essenziale per rendere percepibile e visibile alla gente il Regno di Dio. Il gruppo, che sarà la chiesa, inizia dunque a diventare sacramento del Regno, una minuscola chiesa, già indicatrice ed operatrice, fragile povera, ma efficace, del vangelo di salvezza! I Dodici non possono non riprodurre però in sé il volto di Colui che li invia, il giovane profeta che cammina povero e libero, senza un luogo dove posare il capo, “commosso nelle viscere per le folle, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore (Mt 9,37). A loro, come ad Amos, un po’ contadino e un po’ pastore, preso da dietro il bestiame, il Signore disse: Va profetizza al mio popolo. Loro, tra gli attrezzi per la pesca, o in varie altre faccende, si sono sentiti dire: vieni! E poi : Andate ad annunciare il Regno! Nessuno di loro pensava minimamente ad un incarico istituzionale. Avevano già il loro mestiere. Sono stati coinvolti dentro questa passione di portare l’annuncio di liberazione e redenzione, nelle città e villaggi. Ma proprio questo atteggiamento di dedizione e libertà, di distacco radicale dai beni economici e dalla ragnatela di legami e dipendenze che comportano, lo schieramento affettivo (appreso dal Maestro) con le folle dei poveri… inquieta il potere! Una chiamata simile a quella del profeta antico e che riproduce facilmente lo scontro con il potere, come previsto da Gesù: pochi anni e – appena apriranno bocca nella missione definitiva si accorgeranno della discriminante “repellente che ha il potere verso Amos ed ogni profeta: vattene, veggente, ritirati… a profetizzare da un’altra parte… perché questo è il santuario del re!” E anche loro troveranno la risposta radicale del profeta che non si vende: meglio obbedire a Dio piuttosto che agli uomini!
Ordinò che non prendessero nulla per il viaggio
Ecco perché Gesù esige uno stile ed una radicalità di disimpegno dai lacci che legano al potere, al denaro, alle convenzioni del consenso socio politico, che sembra ingenuo o poetico o utopistico. Non portate nulla, perché tutto ciò che hai in più, ti divide dall’altro. Tutto ciò che hai di troppo (su cui il potere ti gioca, perché te lo può concedere, lasciar o togliere…) è pericoloso… pane, bisaccia, soldi, vestiti. Il problema si è immensamente complicato oggi – pur rimanendo limpide, incontestabili… e drammatiche queste esigenze “evangeliche”, tuttora inseparabili dal messaggio e dal contenuto del messaggio che è il Regno. È una povertà che è fede, libertà e leggerezza. Un messaggero carico di bagagli, che s’illude possano servire per spiegare e convincere meglio… sarà invece paralizzato o impedito o invischiato dall’ambiguità dei mezzi stessi a cui si affida, incapace di cogliere la novità di Dio e abilissimo nel trovare mille ragioni di comodo per giudicarli irrinunciabili. Scordandosi della forza interna della Parola, che si diffonde solo se chi la porta è testimone appassionato e capace di rischiare la vita, le risorse e il futuro … perché il suo riferimento propulsore è il Signore, non qualche proprio progetto o vantaggio o interesse. E lo Spirito che compie le parole dette!
Entrati in una casa lì rimanete! La missione non tende a formare funzionari di Dio o adepti sottomessi ad una nuova religione, quanto seguaci di Gesù, animati dal dinamismo dello Spirito… per affrontare ogni sofferenza che opprime la gente. Loro compito è annunciare e liberare dalla catene esteriori e interiori e poi guarire, dunque creare dilatazione di umanità e comunione… Il loro approdo, nei centri di convivenza della gente, città e villaggi, è la casa: il luogo della vita più normale, dove, dentro e attorno, l’uomo “sta”, lavora, ama, soffre, accoglie e tramanda vita, speranza e dolore. Il nuovo progetto di missione privilegia dunque quella che noi chiamiamo inculturazione a livello di base, seminando il vangelo nel cuore delle culture e dei tessuti umani, ben attenti ad accogliere la sfida dell’alterità. Che vuol dire di ciò che lo Spirito farà nascere… accudendo i germogli che spuntano e crescono, ma lasciando che siano nuovi e diversi frutti dello stesso vangelo, nelle più svariate situazioni umane, come si vedrà negli Atti degli apostoli, quando avranno ben imparato.-
...dentro un disegno d’immensa benevolenza
Ma c’è anche un altro aspetto che Gesù ci ricorda: l’atmosfera «drammatica» della missione. Il rifiuto è previsto: la parola di Dio è efficace, ma a modo suo. Il discepolo deve proclamare il messaggio e in esso giocarsi completamente, ma deve lasciare a Dio il risultato. Al discepolo è stato affidato un compito, non garantito il successo, e la sofferenza e il rifiuto non ci sono risparmiati. Non si spegne però in cuore, anzi si radica e prende forza, la consolante speranza che il Regno comunque sta venendo e, man mano che secondo le nostre povere possibilità, qualcosa ci spendiamo… qualche barlume di esperienza per confortarci ci è dato… E scopriamo di essere un piccolo frammento di un disegno immenso di benevolenza che il Padre ha riversato su di noi con ogni sapienza e intelligenza, per realizzare l’obiettivo di cui misteriosamente siamo parte viva : ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra… in attesa della piena redenzione di coloro che Dio si va conquistando.
Chiamati, mandati e respinti
Una chiamata di ordine radicale, quella di Amos e degli apostoli, senza possibilità di pensarci troppo. C’è però nel fare di Gesù una novità rispetto ai profeti antichi, nella chiamata degli apostoli. Gesù se li è scelti, uno ad uno, per nome, ma poi li ha radunati tutti insieme e ha fondato la comunità dei “Dodici”, “perché stessero con lui” - ci aveva informato Marco. E questo era il primo obiettivo immediato della chiamata, che ha sconvolto loro la vita. Ora li convoca di nuovo, ma per realizzare il secondo dei due obiettivi per cui li aveva radunati attorno a sé - “per mandarli ad annunciare” il vangelo, che da lui avevano ascoltato e con lui condiviso, imparando faticosamente a viverlo (Mc 3,14s). È arrivato dunque il tempo per i discepoli di “provare” almeno, come un tirocinio, a nostro insegnamento, a mettere in atto quanto dovrebbe essere il risultato della comunione di vita con Gesù: diventare missionari, come lui, e andare a fare, pur ancora maldestri, quello che finora hanno visto fare dal Maestro.
Un’irresistibile adesione interiore
La loro preparazione non era un seminario dove imparare un mestiere o una vocazione a cui addestrarsi, in una scuola di profeti, per poi praticarla. Ma piuttosto una irresistibile adesione interiore a seguire la chiamata del Signore senza possibilità di fuga. La chiamata si è rivelata un coinvolgimento progressivo e poi addirittura un’immersione in un progetto misterioso, il Regno di Dio, di cui Gesù parlava in continuazione e di cui tutto ciò che faceva, diceva, viveva era la manifestazione e la realizzazione. La loro comprensione di questo mistero e di Gesù stesso, era allora iniziale, informe, ancora grossolana… Ma pur mantenendo tutta la loro debolezza morale, culturale, psicologica, sempre più capiranno che stavano diventando tessere vive di questo immenso mosaico che è il “disegno” di Dio di salvare il mondo… e che in questo progetto tutta la storia di Israele e, in Israele, di tutte le genti, trovava il suo senso. L’annuncio che Gesù gli comanda di portare alla gente è fatto di poche parole (convertitevi), di alcuni doni speciali (liberare gli oppressi da varie forme di menomazioni diaboliche, curare molti malati) – ma insieme è fatto del “modo di essere e di presentarsi” dei Dodici.
Profezia svincolata dai monopoli del potere e dei suoi strumenti
Quando si parla di evangelizzazione, il nostro pensiero corre subito al «che cosa vado a dire?» e meno, molto meno, a «come devo essere io?», al mio stile di vita. Perché lo stile di vita non è un accessorio, magari desiderabile, ma secondario, del messaggero. Le modalità del presentarsi dei messaggeri missionari, cioè gli strumenti economici, il tessuto di relazioni nelle quali si inseriscono, le strutture istituzionali con le quali si incontrano, o si scontrano, nei paesi e nelle città dove arrivano, anche se ancora minime, come in questi inizi… sono già il messaggio! L’istituzione, come gruppo di apostoli, preparati e mandati ad annunciare, ancora sotto lo sguardo di Gesù, è necessaria ed essenziale per rendere percepibile e visibile alla gente il Regno di Dio. Il gruppo, che sarà la chiesa, inizia dunque a diventare sacramento del Regno, una minuscola chiesa, già indicatrice ed operatrice, fragile povera, ma efficace, del vangelo di salvezza! I Dodici non possono non riprodurre però in sé il volto di Colui che li invia, il giovane profeta che cammina povero e libero, senza un luogo dove posare il capo, “commosso nelle viscere per le folle, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore (Mt 9,37). A loro, come ad Amos, un po’ contadino e un po’ pastore, preso da dietro il bestiame, il Signore disse: Va profetizza al mio popolo. Loro, tra gli attrezzi per la pesca, o in varie altre faccende, si sono sentiti dire: vieni! E poi : Andate ad annunciare il Regno! Nessuno di loro pensava minimamente ad un incarico istituzionale. Avevano già il loro mestiere. Sono stati coinvolti dentro questa passione di portare l’annuncio di liberazione e redenzione, nelle città e villaggi. Ma proprio questo atteggiamento di dedizione e libertà, di distacco radicale dai beni economici e dalla ragnatela di legami e dipendenze che comportano, lo schieramento affettivo (appreso dal Maestro) con le folle dei poveri… inquieta il potere! Una chiamata simile a quella del profeta antico e che riproduce facilmente lo scontro con il potere, come previsto da Gesù: pochi anni e – appena apriranno bocca nella missione definitiva si accorgeranno della discriminante “repellente che ha il potere verso Amos ed ogni profeta: vattene, veggente, ritirati… a profetizzare da un’altra parte… perché questo è il santuario del re!” E anche loro troveranno la risposta radicale del profeta che non si vende: meglio obbedire a Dio piuttosto che agli uomini!
Ordinò che non prendessero nulla per il viaggio
Ecco perché Gesù esige uno stile ed una radicalità di disimpegno dai lacci che legano al potere, al denaro, alle convenzioni del consenso socio politico, che sembra ingenuo o poetico o utopistico. Non portate nulla, perché tutto ciò che hai in più, ti divide dall’altro. Tutto ciò che hai di troppo (su cui il potere ti gioca, perché te lo può concedere, lasciar o togliere…) è pericoloso… pane, bisaccia, soldi, vestiti. Il problema si è immensamente complicato oggi – pur rimanendo limpide, incontestabili… e drammatiche queste esigenze “evangeliche”, tuttora inseparabili dal messaggio e dal contenuto del messaggio che è il Regno. È una povertà che è fede, libertà e leggerezza. Un messaggero carico di bagagli, che s’illude possano servire per spiegare e convincere meglio… sarà invece paralizzato o impedito o invischiato dall’ambiguità dei mezzi stessi a cui si affida, incapace di cogliere la novità di Dio e abilissimo nel trovare mille ragioni di comodo per giudicarli irrinunciabili. Scordandosi della forza interna della Parola, che si diffonde solo se chi la porta è testimone appassionato e capace di rischiare la vita, le risorse e il futuro … perché il suo riferimento propulsore è il Signore, non qualche proprio progetto o vantaggio o interesse. E lo Spirito che compie le parole dette!
Entrati in una casa lì rimanete! La missione non tende a formare funzionari di Dio o adepti sottomessi ad una nuova religione, quanto seguaci di Gesù, animati dal dinamismo dello Spirito… per affrontare ogni sofferenza che opprime la gente. Loro compito è annunciare e liberare dalla catene esteriori e interiori e poi guarire, dunque creare dilatazione di umanità e comunione… Il loro approdo, nei centri di convivenza della gente, città e villaggi, è la casa: il luogo della vita più normale, dove, dentro e attorno, l’uomo “sta”, lavora, ama, soffre, accoglie e tramanda vita, speranza e dolore. Il nuovo progetto di missione privilegia dunque quella che noi chiamiamo inculturazione a livello di base, seminando il vangelo nel cuore delle culture e dei tessuti umani, ben attenti ad accogliere la sfida dell’alterità. Che vuol dire di ciò che lo Spirito farà nascere… accudendo i germogli che spuntano e crescono, ma lasciando che siano nuovi e diversi frutti dello stesso vangelo, nelle più svariate situazioni umane, come si vedrà negli Atti degli apostoli, quando avranno ben imparato.-
...dentro un disegno d’immensa benevolenza
Ma c’è anche un altro aspetto che Gesù ci ricorda: l’atmosfera «drammatica» della missione. Il rifiuto è previsto: la parola di Dio è efficace, ma a modo suo. Il discepolo deve proclamare il messaggio e in esso giocarsi completamente, ma deve lasciare a Dio il risultato. Al discepolo è stato affidato un compito, non garantito il successo, e la sofferenza e il rifiuto non ci sono risparmiati. Non si spegne però in cuore, anzi si radica e prende forza, la consolante speranza che il Regno comunque sta venendo e, man mano che secondo le nostre povere possibilità, qualcosa ci spendiamo… qualche barlume di esperienza per confortarci ci è dato… E scopriamo di essere un piccolo frammento di un disegno immenso di benevolenza che il Padre ha riversato su di noi con ogni sapienza e intelligenza, per realizzare l’obiettivo di cui misteriosamente siamo parte viva : ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra… in attesa della piena redenzione di coloro che Dio si va conquistando.
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