...Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato e vi siete saziati.. Guai a voi che siete sazi! – così ci rimprovera Gesù, perché noi, appena sfamati, non cerchiamo più, accechiamo i segni, perdendone il significato. Ma i segni hanno senso solo perché rimandano ad un significato ulteriore, di cui appunto sono il segno. L’uomo è unico al mondo capace di interpretare i segni, domandandosi continuamente il perchè delle cose e di se stesso – ansioso di scavare dentro ogni cosa il suo significato. Capace, di fronte al mistero che le cose nascondono, di provare le più diverse reazioni: di piccolezza, di paura, di adorazione, di meraviglia, di dolore, di possesso, di competizione. Gesù afferma qui, ripetutamente, di essere “il pane” per questa fame (il pane della vita – il pane disceso dal cielo – il pane vivente disceso dal cielo...), come più avanti, nel vangelo di Giovanni, continuerà: “io sono”... la luce, la porta, il buon pastore, la vite, la via, la verità, la vita. Si tratta ovviamente di metafore. La metafora è un modo visivo e immediato di trasferire il significato di una parola ad un’altra, per attribuirle intuitivamente la densità di messaggio che si vuol comunicare. Se Gesù è per gli uomini tutte queste cose... o ha una presunzione pazzesca o ha un’empatia infinita con i bisogni della gente. Ecco qui la sua proposta di salvezza drammaticamente consapevole che, se l’uomo non apre una relazione con lui su “qualcosa” di tutti questi significati... muore di svuotamento e di inedia. Questa è infatti la testimonianza dei suoi primi amici: Dio ci ha donato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio, ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita (1Gv 5,11s).
... al tramonto mangerete carne e al mattino vi sazierete di pane!
Gli Israeliti, presi dalla fame nel deserto, «mormorano»! È un brontolare privo di fede, triste e regressivo, fino a reinterpretare il progetto di liberazione e di vita nuova, che li aveva entusiasmati, come un progetto di morte... Hanno in mente solo il bisogno di saziarsi, fosse pure la sazietà dello schiavo! Di fronte a una simile desolante incredulità, Dio esaudisce le richieste del popolo, riconoscendone l’elemento di verità. Nella loro difficoltà a fidarsi, il Signore li educa: sa che l’uomo è alle prese con due grandi insidie. La prima è l’idolo della sazietà fine a se stessa, l’invincibile animalità dell’uomo di carne – biblicamente, la sua “dimensione psichica”! vendermi a chi mi dà il pane e il resto non interessa. La seconda, strettamente collegata, è la bramosia dell’accumulo. Non mi basta saziarmi, ho bisogno di sentire che questa sazietà mi è garantita, che ne ho il controllo. È l’«ansia della vita» (Lc 21,34 etc.), della quale si è inevitabilmente preda quando non ci si affida a Dio, ma, in vari modi, a mammona, il dio della quantità. E allora tutto è disperatamente insufficiente a garantirci dalla paura di morire... Dio sa della nostra invincibile animalità: «mangerete carne e vi sazierete di pane, e saprete che io sono il Signore» (12). Nel misterioso pane croccante, sul suolo del deserto, che viene raccolto come cosa ignota (cos’è ? = manna!) Dio dà un segno, subito usufruibile, ma il cui senso diverrà comprensibile solo molti secoli dopo. Ancora una volta il miracolo veterotestamentario carne e pane, pane che è carne e carne che è pane! – è solo un immagine previa di ciò che Dio darà al mondo in Gesù: gli uomini continuano a morire di fame nei deserti del mondo, fino ad oggi. L’estrema intenzione di Dio non era dunque di conservare o prolungare la vita, ma di dare un segno che aprisse il cuore alla speranza di una risposta alla fame di vita ulteriore, insaziabile con pane terreno.
Gesù non era più là!...
Gesù ha ripreso questo “segno antico”, ma ancora una volta, nel rispondere alla fame dell’uomo, è frainteso: o, almeno, é capito solo nella dimensione fisica, peraltro necessaria. Poi, la miracolosa moltiplicazione dei pane è passata. Ora gli uomini rincorrono il taumaturgo per essere nutriti ancora da lui. Esattamente come la samaritana al pozzo: dammi quest’acqua, perché non abbia più sete e non debba venire fin qui ad attingere acqua... Gesù ci invita a lavorare per qualcos’altro, ad acquistare il cibo per la vita eterna, il che sarà ovviamente un agire di Dio. Perché, appunto, il pane e l’acqua della terra non possono colmare la fame e saziare la sete del cuore umano! Tutte le Scritture convergono su questo. E, d’altra parte, può la parola del cielo saziare il nostro umanissimo bisogno fisico di vita? La risposta alle due domande ci viene da Gesù in persona, lui, la Parola diversa, l’unica, che è “spirito e vita”, che diventa per noi presenza e dono, per sempre: “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Questo fu l’oracolo del Signore a Mosè e fu pure la risposta del Messia, appena battezzato da Giovanni, al Tentatore nel deserto (Dt 8,3; Mt 4,4). E questa è la risposta di Gesù alla folla: datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane. Gesù non deprezza il bisogno materiale di pane (che ha appena moltiplicato!). È rattristato dall’incomprensione del segno che ha dato, è ferito dal rifiuto della gente di passare dal bisogno animale al bisogno spirituale: “Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati” (Gv 6,26). Soffre perché la folla si taglia fuori da una qualità di vita (la vita eterna) che dà pienezza e compiutezza infinitamente superiore alla sazietà fisica. Per “vita eterna” non si deve intendere l’aldilà. Gesù sta parlando a gente immersa nei problemi dell’al di qua. E dentro costoro, dentro la loro vita piena di problemi quotidiani, vorrebbe seminare la fame di un’esistenza condotta in comunione con Dio. Non un’altra vita in futuro, ma una vita ‘altra’ adesso!
questa è l’opera di Dio: “credere”... in lui, mandato da Dio!
Scatta allora la domanda: “Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?”. Non si accorgono di esprimere in tal modo una contraddizione senza uscita, un’aporia: le opere di Dio l’uomo non le può compiere... Dunque l’uomo ha una fame e una sete che non può soddisfare, perché le risorse a sua portata gli sono necessarie per non morire fisicamente, ma sono inefficaci su questa fame/sete più profonda e costitutiva che è la radice della sua umanità. Allora Gesù insiste sulla contraddizione e anche sul suo superamento. “Opera di Dio” è che l’uomo creda, invece di operare. Si doni cioè, a colui che è stato mandato da Dio proprio per salvarlo. Ma loro vogliono un segno, per poter credere: si immaginano sempre la fede come un’opera da fare, ma “dopo” che li avrà convinti con un segno come la manna antica. Ora Gesù si contrappone alla manna come il “vero pane” dal cielo e non un alimento, pur portentoso, che si raccoglie da terra.. La fame “spirituale” (forse bisognerebbe dire ‘antropologica’!), ci spinge oltre l’umano. Non verrà mai saziata da nient’altro che dall’accoglimento di Gesù nella fede, del Gesù che Dio invia nel mondo come vero pane “dal cielo”... Anche il credente dovrà operare, ma unicamente dalla fede, non per credere... perché la fede è accoglienza e dedizione perfetta a Dio che opera, non operazione umana (Balthasar). Ecco il passaggio dalle opere da compiere all’opera di Dio, proposto dal Maestro. La questione, secondo Gesù, non è tanto di fare delle cose per Dio, quasi per meritarsi la fede: osservare norme e precetti, rispettare tradizioni e consuetudini, praticare riti e frequentare funzioni religiose, ma di “affidarsi all’Inviato di Dio”. Questa è l’opera di Dio: la fede, il dono di aprirsi senza riserve e senza pregiudizi alla rivelazione di Gesù, accogliere la sua missione come l’opera di salvezza mandata da Dio stesso nella nostra storia.
io sono il pane disceso dal cielo
... messo alle strette, spinto in competizione addirittura con Mosè, il supremo mediatore della rivelazione divina, Gesù comincia dunque a svelare il mistero della sua identità, che lo porterà alla fine (tu, che sei uomo, ti fai Dio! : sarà il motivo “vero” della condanna!). Gesù esige dai suoi uditori che passino dalla memoria della manna nel deserto all’attesa del “pane del cielo” – che è lui, in persona come dono del Padre: il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo. A questo punto la gente non ci sta, se non, forse, quelli che già a lui si stanno affidando esistenzialmente e affettivamente, perché già di lui vivono, come gli apostoli, le donne che lo seguono, i più poveri e semplici guariti e “salvati” da lui!. Ma per noi, gente normale e non sprovveduta, con qualche risorsa in proprio da difendere... la posta in gioco è troppo alta. Ci vuole ben altro per credere, e glielo rinfacciamo, continuamente: “Quale segno ci fai vedere” per farci smuovere verso di te? ...Questo è il freno che continuamente siamo tentati di mettere in atto nel cammino della nostra fede. Irrimediabilmente in difesa , alla ricerca di motivi razionali e sperimentali , per moderare le esigenze del vangelo, e riportarci e rinchiuderci sempre più nel cerchio del nostro piccolo io, che pure soffriamo come prigionia senza speranza! E toccar con mano che la vera fede è opera di Dio!
nutrito del pane vero... un “uomo nuovo”
... dopo tanto resistere nella sua “religiosa” cocciutaggine, che ci rappresenta tutti, Paolo s’è affidato totalmente a questo Gesù che prima rifiutava orgogliosamente come insignificante ed eretico rispetto alla grande tradizione dei Padri. Scopre finalmente anzi è scoperto... da chi cercava da sempre, colui che risponde alla fame profonda dell’uomo, non con il digiuno o i divieti, ma con “il pane di Dio”. Colui che non deprezza le passioni umane, ma le trasforma e le converge in una relazione totalizzante e rigenerante con lui... Il pane della vita congeda l’uomo vecchio che muore, affannato dietro passioni ingannatrici di pani malfermentati, angosciato per “accumulare” ... credendosi derubato di ogni cosa – finché non si affida a lui, rinnovato nello spirito della mente, per rivestire l’uomo nuovo creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità.
... al tramonto mangerete carne e al mattino vi sazierete di pane!
Gli Israeliti, presi dalla fame nel deserto, «mormorano»! È un brontolare privo di fede, triste e regressivo, fino a reinterpretare il progetto di liberazione e di vita nuova, che li aveva entusiasmati, come un progetto di morte... Hanno in mente solo il bisogno di saziarsi, fosse pure la sazietà dello schiavo! Di fronte a una simile desolante incredulità, Dio esaudisce le richieste del popolo, riconoscendone l’elemento di verità. Nella loro difficoltà a fidarsi, il Signore li educa: sa che l’uomo è alle prese con due grandi insidie. La prima è l’idolo della sazietà fine a se stessa, l’invincibile animalità dell’uomo di carne – biblicamente, la sua “dimensione psichica”! vendermi a chi mi dà il pane e il resto non interessa. La seconda, strettamente collegata, è la bramosia dell’accumulo. Non mi basta saziarmi, ho bisogno di sentire che questa sazietà mi è garantita, che ne ho il controllo. È l’«ansia della vita» (Lc 21,34 etc.), della quale si è inevitabilmente preda quando non ci si affida a Dio, ma, in vari modi, a mammona, il dio della quantità. E allora tutto è disperatamente insufficiente a garantirci dalla paura di morire... Dio sa della nostra invincibile animalità: «mangerete carne e vi sazierete di pane, e saprete che io sono il Signore» (12). Nel misterioso pane croccante, sul suolo del deserto, che viene raccolto come cosa ignota (cos’è ? = manna!) Dio dà un segno, subito usufruibile, ma il cui senso diverrà comprensibile solo molti secoli dopo. Ancora una volta il miracolo veterotestamentario carne e pane, pane che è carne e carne che è pane! – è solo un immagine previa di ciò che Dio darà al mondo in Gesù: gli uomini continuano a morire di fame nei deserti del mondo, fino ad oggi. L’estrema intenzione di Dio non era dunque di conservare o prolungare la vita, ma di dare un segno che aprisse il cuore alla speranza di una risposta alla fame di vita ulteriore, insaziabile con pane terreno.
Gesù non era più là!...
Gesù ha ripreso questo “segno antico”, ma ancora una volta, nel rispondere alla fame dell’uomo, è frainteso: o, almeno, é capito solo nella dimensione fisica, peraltro necessaria. Poi, la miracolosa moltiplicazione dei pane è passata. Ora gli uomini rincorrono il taumaturgo per essere nutriti ancora da lui. Esattamente come la samaritana al pozzo: dammi quest’acqua, perché non abbia più sete e non debba venire fin qui ad attingere acqua... Gesù ci invita a lavorare per qualcos’altro, ad acquistare il cibo per la vita eterna, il che sarà ovviamente un agire di Dio. Perché, appunto, il pane e l’acqua della terra non possono colmare la fame e saziare la sete del cuore umano! Tutte le Scritture convergono su questo. E, d’altra parte, può la parola del cielo saziare il nostro umanissimo bisogno fisico di vita? La risposta alle due domande ci viene da Gesù in persona, lui, la Parola diversa, l’unica, che è “spirito e vita”, che diventa per noi presenza e dono, per sempre: “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Questo fu l’oracolo del Signore a Mosè e fu pure la risposta del Messia, appena battezzato da Giovanni, al Tentatore nel deserto (Dt 8,3; Mt 4,4). E questa è la risposta di Gesù alla folla: datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane. Gesù non deprezza il bisogno materiale di pane (che ha appena moltiplicato!). È rattristato dall’incomprensione del segno che ha dato, è ferito dal rifiuto della gente di passare dal bisogno animale al bisogno spirituale: “Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati” (Gv 6,26). Soffre perché la folla si taglia fuori da una qualità di vita (la vita eterna) che dà pienezza e compiutezza infinitamente superiore alla sazietà fisica. Per “vita eterna” non si deve intendere l’aldilà. Gesù sta parlando a gente immersa nei problemi dell’al di qua. E dentro costoro, dentro la loro vita piena di problemi quotidiani, vorrebbe seminare la fame di un’esistenza condotta in comunione con Dio. Non un’altra vita in futuro, ma una vita ‘altra’ adesso!
questa è l’opera di Dio: “credere”... in lui, mandato da Dio!
Scatta allora la domanda: “Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?”. Non si accorgono di esprimere in tal modo una contraddizione senza uscita, un’aporia: le opere di Dio l’uomo non le può compiere... Dunque l’uomo ha una fame e una sete che non può soddisfare, perché le risorse a sua portata gli sono necessarie per non morire fisicamente, ma sono inefficaci su questa fame/sete più profonda e costitutiva che è la radice della sua umanità. Allora Gesù insiste sulla contraddizione e anche sul suo superamento. “Opera di Dio” è che l’uomo creda, invece di operare. Si doni cioè, a colui che è stato mandato da Dio proprio per salvarlo. Ma loro vogliono un segno, per poter credere: si immaginano sempre la fede come un’opera da fare, ma “dopo” che li avrà convinti con un segno come la manna antica. Ora Gesù si contrappone alla manna come il “vero pane” dal cielo e non un alimento, pur portentoso, che si raccoglie da terra.. La fame “spirituale” (forse bisognerebbe dire ‘antropologica’!), ci spinge oltre l’umano. Non verrà mai saziata da nient’altro che dall’accoglimento di Gesù nella fede, del Gesù che Dio invia nel mondo come vero pane “dal cielo”... Anche il credente dovrà operare, ma unicamente dalla fede, non per credere... perché la fede è accoglienza e dedizione perfetta a Dio che opera, non operazione umana (Balthasar). Ecco il passaggio dalle opere da compiere all’opera di Dio, proposto dal Maestro. La questione, secondo Gesù, non è tanto di fare delle cose per Dio, quasi per meritarsi la fede: osservare norme e precetti, rispettare tradizioni e consuetudini, praticare riti e frequentare funzioni religiose, ma di “affidarsi all’Inviato di Dio”. Questa è l’opera di Dio: la fede, il dono di aprirsi senza riserve e senza pregiudizi alla rivelazione di Gesù, accogliere la sua missione come l’opera di salvezza mandata da Dio stesso nella nostra storia.
io sono il pane disceso dal cielo
... messo alle strette, spinto in competizione addirittura con Mosè, il supremo mediatore della rivelazione divina, Gesù comincia dunque a svelare il mistero della sua identità, che lo porterà alla fine (tu, che sei uomo, ti fai Dio! : sarà il motivo “vero” della condanna!). Gesù esige dai suoi uditori che passino dalla memoria della manna nel deserto all’attesa del “pane del cielo” – che è lui, in persona come dono del Padre: il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo. A questo punto la gente non ci sta, se non, forse, quelli che già a lui si stanno affidando esistenzialmente e affettivamente, perché già di lui vivono, come gli apostoli, le donne che lo seguono, i più poveri e semplici guariti e “salvati” da lui!. Ma per noi, gente normale e non sprovveduta, con qualche risorsa in proprio da difendere... la posta in gioco è troppo alta. Ci vuole ben altro per credere, e glielo rinfacciamo, continuamente: “Quale segno ci fai vedere” per farci smuovere verso di te? ...Questo è il freno che continuamente siamo tentati di mettere in atto nel cammino della nostra fede. Irrimediabilmente in difesa , alla ricerca di motivi razionali e sperimentali , per moderare le esigenze del vangelo, e riportarci e rinchiuderci sempre più nel cerchio del nostro piccolo io, che pure soffriamo come prigionia senza speranza! E toccar con mano che la vera fede è opera di Dio!
nutrito del pane vero... un “uomo nuovo”
... dopo tanto resistere nella sua “religiosa” cocciutaggine, che ci rappresenta tutti, Paolo s’è affidato totalmente a questo Gesù che prima rifiutava orgogliosamente come insignificante ed eretico rispetto alla grande tradizione dei Padri. Scopre finalmente anzi è scoperto... da chi cercava da sempre, colui che risponde alla fame profonda dell’uomo, non con il digiuno o i divieti, ma con “il pane di Dio”. Colui che non deprezza le passioni umane, ma le trasforma e le converge in una relazione totalizzante e rigenerante con lui... Il pane della vita congeda l’uomo vecchio che muore, affannato dietro passioni ingannatrici di pani malfermentati, angosciato per “accumulare” ... credendosi derubato di ogni cosa – finché non si affida a lui, rinnovato nello spirito della mente, per rivestire l’uomo nuovo creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità.
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