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domenica 31 marzo 2013

La Pasqua fa dell’uomo un inno vivente alla gioia!


Leggo su Twitter: Ve lo dico con tutta franchezza la #pasqua  mi deprime quasi quanto il natale che, almeno, ha la piacevole parentesi dei regali…
E l’amica ha già la soluzione: ignoriamola!
Un altro si intrufola e per consolarla dice: ...e le UOVA di #Pasqua?? ;-))
Al che lei risponde: per carità una delle delusioni della vita è la sorpresa dell’uovo di #pasqua!!!!!!
 
Al di là dell’ilarità che può suscitare in molti cristiani, e convinto come sono che anche nel più grande errore c’è un frammento di verità, mi son domandato… “e se non avessero tutti i torti”?
Ce la prendiamo con il mondo che ha perso certi valori. Ma li ha persi veramente? o semplicemente sta esprimendo in modo diverso le domande di sempre?
Dopotutto cosa c’è da festeggiare? Guardiamoci intorno… Non vi faccio l’elenco della crisi profonda a tutti i livelli che stiamo vivendo… E in famiglia? Quante incomprensioni! Ed è il minimo che si possa dire…
E allora ripeto: cosa c’è da festeggiare?. Che gioia c’è da condividere?

Per tentare di rispondere, vorrei partire da che cosa NON è una festa! Perché ci sono anche gioie amare…

Se infatti leggiamo il libro dell’Esodo che di fatto è il vero libro genesiaco della Bibbia (come dicono gli esegeti il libro della Genesi è stato scritto dopo l’Esodo e serve a dare continuità logica, in una storia che risale fino alla creazione, all’avvenimento nativo di Israele come Popolo), vi possiamo trovare due vissuti esistenziali differenti: l’uomo prima dell’esodo e l’uomo dopo l’esodo (inteso come avvenimento storico).
 
Prima dell’esodo la vita di un israelita era una vita di lavoro duro (Es 1,13), una vita “amara” con un “dura schiavitù! (v14) e siccome non bastava, gli egiziani arrivarono a regolamentarne le nascite (1,15ss) da cui Mosè fu sottratto! La storia la conosciamo…
 
Ora mi chiedo: avranno avuto feste, compleanni, riti, nascite, matrimoni, da festeggiare! Con che animo? Che gioia è, la gioia di uno schiavo? Che feste celebra un oppresso?
Immagino non sia molto diversa da quella di un ubriaco che beve “alla salute di chi gli vuol male”, per dimenticare il male che patisce! E che riemergerà intatto appena passata la sbornia! Meccanismo consolatorio di rimozione illusoria!
A pensarci bene, guardando il nostro vissuto, non sono un po’ così anche le nostre feste? Le nostre gioie non ci appaiono spesso effimere?
 
Ecco però che a un certo punto accade qualcosa di completamente nuovo: (3,7s) Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conoscole sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo (prospettiva di guerra!). Senza Dio l’uomo non è capace di propria e altrui liberazione…
 
Conosciamo la storia. A fatica ottengono dal Faraone il permesso di lasciare il Paese che poi ci ripensa, ma Dio interviene e taglia definitivamente il cordone ombelicale che li legava alla schiavitù (successivamente le cose non furono però così semplici) e il Popolo può finalmente festeggiare… e siamo al 15° capitolo!
 
Allora Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto liberatorio e liberante al Signore e dissero:
«Voglio cantare al Signore,
perché ha mirabilmente trionfato:
cavallo e cavaliere
ha gettato nel mare.
Mia forza e mio canto è il Signore,
egli è stato la mia salvezza.
È il mio Dio: lo voglio lodare,
il Dio di mio padre: lo voglio esaltare!
Il Signore è un guerriero,
Signore è il suo nome.
I carri del faraone e il suo esercito
li ha scagliati nel mare;
i suoi combattenti scelti
furono sommersi nel Mar Rosso.
Gli abissi li ricoprirono,
sprofondarono come pietra.
La tua destra, Signore,
è gloriosa per la potenza,
la tua destra, Signore,
annienta il nemico;
con sublime maestà
abbatti i tuoi avversari,
scateni il tuo furore,
che li divora come paglia.
Al soffio della tua ira
si accumularono le acque,
si alzarono le onde come un argine,
si rappresero gli abissi nel fondo del mare.
Il nemico aveva detto:
“Inseguirò, raggiungerò,
spartirò il bottino,
se ne sazierà la mia brama;
sfodererò la spada,
li conquisterà la mia mano!”.
Soffiasti con il tuo alito:
li ricoprì il mare,
sprofondarono come piombo
in acque profonde.
Chi è come te fra gli dèi, Signore?
Chi è come te, maestoso in santità,
….
Il Signore regni
in eterno e per sempre!».

Cioè la festa – che è l’esplosione comunitaria di ogni gioia personale – diventa il racconto di una storia di liberazione vissuta. Non di principi teologici (questi seguiranno come tentativo di codificazione – necessariamente riduttiva – dell’esperienza)! I salmi sono pieni di questa memoria (di lode per esaltarla, di supplica per invocarla).
Prima di questa storia[1] non si può gioire, se non per dimenticare, ora con la liberazione avvenuta, si gioisce come ricordo, memoria, attualizzazione, gratitudine di un avvenimento che ha cambiato la vita, mia e dei miei cari…

Sappiamo che la Pasqua cristiana si inserisce in questa Pasqua ebraica. Non però per ripeterla (vedremo perché) né semplicemente rinnovandola ma “compiendola” cioè realizzandola veramente fino in fondo e definitivamente.

Per capire la novità della Pasqua di Cristo, dobbiamo prendere coscienza del sostanziale fallimento di quella guidata da Mosè (non realizzata da Mosè: è Dio che la realizza!). Anche qui la storia la conosciamo… La paura di una vita straordinaria, il fascino della tranquilla banalità quotidiana, mortificheranno, letteralmente, la spinta propulsiva iniziale. E Israele tornerà schiavo ancora e ancora: babilonesi prima e romani poi! E coi romani la schiavitù se la trovano in casa!

Perché? Do una risposta sintetica che andrebbe spiegata, ma che rivediamo tale e quale nel racconto genesiaco di Adamo ed Eva: l’uomo ha proiettato in Dio il volto del suo aguzzino umano, della sua conflittualità. Abbiamo così introiettato la figura del padrone, che non sappiamo più farne a meno, al punto che abbiamo bisogno di un padrone supremo, “Re dei re” che chiamiamo Dio! Un uomo così sarà forse libero da padroni umani, ma è definitivamente schiavizzato da padroni sacralizzati, dall’immagine proiettata di un dio-padrone!

Di che gioia può vivere un uomo così? Ancora non può che festeggiare le feste del Padrone!
Le feste liturgiche pian piano cessano di essere memoria di una liberazione, per diventare invito a una sudditanza, a una schiavitù suprema, sacrale (cf profeti ad es. Isaia 1,11[2])! Nobilitando questa sudditanza però l’uomo rende definitivo il proprio asservimento a un Dio che si rivelerà immaginario! E funzionale al potere: è il ritorno alla schiavitù originaria. Il disfacimento della liberazione attuata.

È necessario allora che Dio mostri il suo vero volto e impedisca questo ritorno continuo in Egitto… E non può più farlo un uomo che avendo introiettato la figura padronale non è in grado di mostrarlo (cfr Elia in 1Re 18,40!)…
L’uomo cioè non è in grado di realizzare il progetto di liberazione, e quindi di giustizia e di amore del Padre perché non sa “Chi è” in quanto continuamente vi vede proiettata la figura del padrone: non ne conosce altra! E ogni gioia non può che generare una festa effimera, provvisoria, alienante!

È necessario quindi “un nuovo Esodo”, uno vero e definitivo, “altro” rispetto al precedente, così nuovo che quello vecchio rispetto al nuovo è come l’acqua rispetto al vino (Cana in Gv 2,1ss). Così nuovo che quello vecchio è “da dimenticare”  (Isaia 43,16ss[3]). E se ce ne ricordiamo è solo per meglio riconoscere il salto di qualità di quello “attuale”. Così nuova è la Pasqua di Cristo che quella vecchia è “spazzatura” (Fil 3,8-14).
Pietro (1Pt 2,20ss[4]) ha l’immagine forse più stucchevole di tutti. L’Esodo antico rispetto al nuovo (via della giustizia dice Pietro, quindi indirettamente afferma che quella precedente era una giustizia ingiusta! vedremo) è vomito. Lo stomaco cioè il processo di assimilazione della vita, la espelle come estranea, nociva ad essa! E tornare al vecchio è come se un cane dopo aver vomitato si rimangiasse il proprio vomito: se un certo cibo è nocivo, quanto ancor più nocivo deve essere il suo vomito!

Il disgusto che proviamo davanti a queste parole è proprio ciò che provava Pietro nel vedere i cristiani rinnegare la novità nuova di Cristo per tornare alla vecchia giustizia… che avevano vomitato!

Ma qual è questa novità della Pasqua di Cristo, questo vino nuovo?
Qui adesso camminiamo su un filo di rasoio che potrebbe creare qualche difficoltà al sentire comune che ci viene trasmesso nella catechesi e nella pastorale… ma è importante che noi capiamo il rischio che corriamo se non facciamo la fatica di capire la novità evangelica.

Noto che di fatto – ditemi voi se non è vero – facciamo una fatica immane a liberarci dallo schema religioso dell’Antica Alleanza! Noi spesse volte, troppe, rileggiamo il Vangelo nella chiave dell’Antico Testamento. Come se l’avvenuta di Gesù, nella vita concreta, nell’etica, nel vissuto, nella lettura della storia, nell’incontro con le persone, non abbia radicalmente cambiato le cose, a cominciare dal nostro sguardo: non avesse cambiato l’acqua in vino appunto! Ma che vino è se noi continuiamo a scambiarlo per acqua? E allora che vino sia!

Facciamo alcuni esempi rapidi:
La parabola del figliol prodigo in Luca (15,11-32): troppi commenti si soffermano sul processo di conversione del figlio minore… dimenticando che non si è affatto convertito al vero volto del padre!
Troppi commenti ignorano che Barabba (Bar Abba: figlio del padre!)… non si è convertito…
Troppi commenti ignorano che la donna adultera (Gv 8,1-11) non si è minimamente convertita… e qui ancor peggio i commentatori sottolineano che però Gesù le ha detto “va’ e d’ora in poi non peccare più”. Come se Gesù fosse un novello Mosè che aggiunge un undicesimo comandamento!

Che cos’è allora questa nuova Pasqua di Gesù? Vedendo che nessuno veramente si converte, (nemmeno gli Apostoli! O non vorrete farmi credere che si convertono – scusate il linguaggio dissacrante – perché vedono un morto che cammina? Infatti i morti che camminano non convertono nessuno: Lc 16,31 ma anche Gv 12,10) mi sembra ovvia la conclusione: che l’uomo è, per pura grazia, definitivamente salvato, liberato, che gli interessi o no! (notare che Israeliti non volevano, nonostante tutto, lasciare l’Egitto e anzi volevano ritornarci: nel libro dell’Esodo è evidente che Dio li “forza” alla libertà!).
Ancora:
Ditemi voi quale conversione ha fatto il cosiddetto buon ladrone: nessuna! Ha solo applicato i principi fondamentali del diritto romano e ebraico: È evidente – dice sostanzialmente – che tu sei innocente e io “ho ben meritato” di finire in Croce! Giustificando così nei secoli ogni condanna a morte anche per lapidazione: lui, il cosiddetto buon ladrone, l’adultera su citata, con la sua logica, l’avrebbe lapidata, magari – perché “giusto” – insieme all’uomo con cui stava! Così i morti, in nome della sua e nostra giustizia legale, sarebbero stati due!
Eppure come il famoso padre della parabola dei due figli, Gesù l’accoglie nel suo paradiso… così capirà che la giustizia del Padre è altra cosa: Così altra da sembrarci ingiusta: “[religiosamente] scandalosa per i giudei e [razionalmente] stolta per i greci” dirà san Paolo in 1Cor 1,23. Accolto nella casa del Padre proprio come è accaduto ai 2 figli della parabola! Figli che non possono convertirsi prima, perché non avevano ancora ri-conosciuto (cf riconoscenza!) il vero volto del padre. Anzi ogni conversione precedente sarebbe nociva alla scoperta del vero volto del padre, perché frutto di un’idea (ideologica e idolatrica quindi) del padre e non di ciò che il padre è realmente! La conversione consiste allora in questo: riconoscere il vero volto del Padre! La sua vera sapienza e potenza! (1Cor 1,24) nella “giustizia della Croce”! Ecco perché può essere solo post-pasquale: ci vuole il dono dello Spirito di Cristo senza il quale non è possibile convertirsi. Ed è per questo che ad ogni apparizione Gesù alita sugli Apostoli come segno del dono del suo Spirito!
Prima, guardate cosa dice il figlio minore, non può che essere una conversione che insulta il padre: io lo so che mi ridurrai in schiavitù ma almeno avrò carrube da mangiare…! A pensarci bene ha ragione Pietro: schifoso! E Luca lo fa apposta a metterci tutto questo (cf all’inizio del suo vangelo le parole che mette in bocca a Zaccaria…).

Vediamo ora questa “giustizia nuova” manifestata nella Croce!
Nel suo immergersi senza perdersi nel «“no” dell’uomo a Dio», Gesù dice/fa «il “si” suo e di ogni uomo al Padre»: e lo salva: a ogni livello della sua discesa infernale. Là dove l’uomo pronuncerebbe il suo “no”, Gesù proclama e crea il “sì”! E lo fa nostro ponendo nel nostro cuore il suo “sì” definitivo (questo è il suo Spirito donato gratuitamente) al progetto d’amore del Padre su ciascuno di noi. Che all’uomo interessi oppure no: Dio non condiziona il suo voler essere “un Padre scandalosamente e follemente così” alla nostra riconoscenza!

Allora l’uomo che deve fare? Semplicemente vivere di gratitudine (che è il significato anche della parola eucaristia)! Questa è la gioia della Pasqua espressa anche nelle numerose parabole del regno come banchetto! Che vanno quindi ricomprese in questa chiave e non lette all’interno di uno schema moralistico che se va bene si rifanno ancora a quello dell’AT (cf le nostre banali riflessioni sull’abito adeguato)! La salvezza che viene dalla Passione, è infatti totale, gratuita, incondizionata. L’uomo non deve fare altro che gioirne godendone. Punto e basta!

E di questa gratitudine gioisce anche Gesù! e come potrebbe diversamente?
Gv 11,38: Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro [il giorno dopo il terzo: a quello della risurrezione di Gesù segue il nostro!] giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio [è la nuova giustizia di Dio rivelata nella Croce nel linguaggio giovanneo]?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato [cf Dio che ascolta il grido del popolo in Egitto]. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 43Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberatelo e lasciatelo andare [Che è ciò che accade a Barabba!]».

Forse mai come in questa Pasqua ho capito cosa volesse dire la Beata Elisabetta della Trinità quando parlava di voler diventare “la lode della gloria di Dio” (Fil 1,11; e soprattutto il bellissimo inno di Ef 1,3-14): ecco il cristiano è colui che è oramai cosciente che il peccare o non peccare non lo riguarda, perché nella fede in Cristo tutto gli è stato dato e perdonato. E gioisce, gode di questo dono, vive di questo dono e non è più preoccupato della propria e altrui salvezza (perché già avvenuta!) ma vive testimoniando questa riconoscenza. Non quindi insegnamenti morali, ma gioia pasquale che scaturisce da una Pasqua definitiva e che provoca un vissuto esistenziale che rinnova nelle radici più profonde la sua vita: siamo davanti a una morale che scaturisce dalla riconoscenza gioiosa. E non il contrario come ci viene insegnato. La morale infatti non dà gioia anzi induce alla tristezza del peccato (Rm 5,20), ma la gioia genera una morale nuova (È questo il comandamento nuovo di Gv 13,34. Che non è la sintesi del vecchio è tutt’altro: sostituire dieci comandamenti e seicento precetti con uno solo non cambia la logica di fondo)!

Questo toglie la fatica del vissuto? Assolutamente no! Ma, senza cadere in spiritualismi (la “carne” duole sempre!), il cristiano sa ora che comunque vada, lui, diciamo così, ha già vinto (Gv 16,33)[5]! Il dramma allora, la fatica della vita è “stare” in questa riconoscenza che è puro dono anche lei dello Spirito di Cristo (Lc 1,47; Gv 3,5-6.8)! Questo è l’Esodo che siamo invitati a fare a Pasqua. Per questo lo Spirito è il dono per eccellenza della Pasqua: per donare “questa conversione qui”: la gioia vera che nasce da una liberazione vera non più da conquistare o da accogliere (nel senso morale del termine) ma di cui gioirne e goderne (questo è il vero modo di accoglierla!).

Voi mi direte: ma hai lasciato fuori i racconti di Pasqua! Un accenno l’ho fatto! Ma non ho voluto andar oltre perché se non capiamo quanto detto fin d’ora, tutta la Pasqua si ridurrebbe alla deludente sorpresa che troviamo nell’uovo di Pasqua.
In questi giorni quindi facciamo attenzione alle letture e domandiamoci: di che gioia stanno gioendo gli apostoli? Di una gioia che se ne esce con espressioni tipo: “Ma guarda! ti credevamo morto e invece sei vivo!” oppure stanno godendo, a fatica (soffermiamoci anche sulla loro fatica a credere alla nuova giustizia di Dio)… di qualcosa di nuovo che sta nascendo nei loro cuori e nei nostri: il volto “scabroso” di un Padre che veramente fa piovere il suo perdono sui buoni e sui cattivi (Mt 5,45)!

Ecco se tutto questo ci infastidisceun po’, vuol dire che siamo ancora sulla sponda dell’Egitto delle nostre false ipocrite certezze… piangendo nel sbucciar cipolle!




[1] Ammesso che si possa parlare di storia quando non c’è libertà: non è un caso se la storia dell’India l’abbiano scritta gli inglesi. In una visione ciclica della vita – analoga a quella dello schiavo che vive della vita del padrone – non c’è storia!
[2] «Perché mi offrite i vostri sacrifici senza numero? – dice il Signore. Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di pingui vitelli. Il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede a voi questo: che veniate a calpestare i miei atri? Smettete di presentare offerte inutili; l’incenso per me è un abominio, i noviluni, i sabati e le assemblee sacre: non posso sopportare delitto e solennità. Io detesto i vostri noviluni e le vostre feste; per me sono un peso, sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io distolgo gli occhi da voi. Anche se moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei: le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova».
[3] Così dice il Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti, che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi a un tempo; essi giacciono morti, mai più si rialzeranno, si spensero come un lucignolo, sono estinti: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto.
[4] Se infatti, dopo essere sfuggiti alle corruzioni del mondo per mezzo della conoscenza del nostro Signore e salvatore Gesù Cristo, rimangono di nuovo in esse invischiati e vinti, la loro ultima condizione è divenuta peggiore della prima. Meglio sarebbe stato per loro non aver mai conosciuto la via della giustizia, piuttosto che, dopo averla conosciuta, voltare le spalle al santo comandamento che era stato loro trasmesso. Si è verificato per loro il proverbio: «Il cane è tornato al suo vomito e la scrofa lavata è tornata a rotolarsi nel fango».
[5] Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me; nel mondo avrete tribolazione, ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo.

Pasqua 2013: La Paura e la Gioia della Pasqua


martedì 26 marzo 2013

Domenica di Pasqua


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 24,1-12)   ---   vangelo della veglia

Il primo giorno della settimana, al mattino presto [le donne] si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: "Bisogna che il Figlio dell'uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno"». Ed esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli. Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse. Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l'accaduto.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,1-9)   ---   vangelo del giorno

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

 

In questa Domenica di Pasqua sentiremo due brani di vangelo: durante la veglia Lc 24,1-12 e nella messa del giorno Gv 20,1-9.

Appartengono a due tradizioni diverse, quella lucana e quella giovannea, e infatti narrano in maniera diversamente specifica quel «primo giorno della settimana». Eppure entrambi hanno un elemento comune che salta subito agli occhi: nel giorno più importante dell’anno liturgico, durante la festa principale dei cristiani, nel momento in cui si celebra il mistero fondamentale della vita di Gesù, cioè la sua risurrezione da morte, Gesù non è sulla scena.

Si parla di lui, lo si nomina, si ricordano le sue parole, ma lui non c’è.

Altri dominano la scena.

Questo è molto interessante perché, oltre a ricordarci che la risurrezione di Gesù non ha avuto testimoni e dunque non è mai stata raccontata “in presa diretta” (come invece è successo per la sua vita pubblica e in particolare per la sua passione e morte), ci dice anche che il vangelo più che una cronistoria della vita di Gesù, è la messa per iscritto del nascere della fede dei suoi discepoli e delle sue discepole. Si racconta cioè, non il fatto della risurrezione, ma il come lo sono venuti a sapere i suoi, le reazioni di fronte a questa notizia e il farsi strada della loro fede in essa.

Annuncio di resurrezione e costruirsi della fede in essa sono dunque narrate insieme, attorcigliate indivisibilmente.

Sottolineo questo perché a volte noi corriamo il rischio di pensare che la rivelazione del volto del Padre che Gesù ha attuato con la sua vita, sia una cosa; mentre il nostro coinvolgimento in questa vicenda, sia un’altra, quasi una reazione che arriva in seconda battuta, a posteriori: prima c’è la storia di Gesù (quasi un pacchetto di notizie e verità preconfezionate) e poi ci siamo noi (che dobbiamo deciderci rispetto a queste notizie e a queste verità).

In realtà la rivelazione attestata (cioè fatta testo, fatta libro) dell’evento Gesù, ha già dentro di sé il momento umano del coinvolgimento nella vicenda del Signore. Il come si sono “mossi sulla scena” i suoi durante la passione, morte e risurrezione di Gesù, fa anch’esso parte della rivelazione! I tradimenti, i rinnegamenti, gli abbandoni, le menzogne, gli insulti, gli sputi, gli sbeffeggi… come anche la premura nel tirar giù dalla croce il suo corpo, l’avvolgerlo nel sudario, il deporlo in un sepolcro, il prepararsi per pulirne e ungerne il corpo… sono tutti elementi di rivelazione: quando Dio arriva, succede questo. Succede sempre questo.

Sottolineare il “sempre” è proprio per dire che non sono elementi “accessori”, casuali, contingenti: ma strutturanti la rivelazione di Dio. Sono questi i sentimenti umani di sempre legati al sopraggiungere del Dio di Gesù: l’incomprensione, la sensazione di incontenibilità (“è troppo” per star dentro alla nostra misura), la paura di perderlo, la paura di perdersi a causa sua, l’affetto viscerale che fa muovere le donne «il primo giorno della settimana»… l’incredulità…

Ecco perché credo sia fondamentale fermarsi sul come i vari personaggi in scena si sono determinati in quei giorni di risurrezione, sul chi hanno deciso di essere, ponendo quei gesti, avendo quei sentimenti, pronunciando quelle parole.

È indubbio che un posto speciale in questo andare a vedere come si muovono i personaggi ce l’abbiano le donne. Quasi non si sapeva – leggendo fino a qui i testi evangelici – che c’erano anche loro tra i più “vicini” a Gesù (solo qualche accenno qua e là, mai approfondito, mai sviscerato) e invece qui – alla fine – prendono un posto preponderante: che fa dedurre, che quel posto ce l’abbiano sempre avuto, perché uno non si inventa immischiato nella pelle dell’altro in pochi giorni.

In più, se non fosse stato così, non lo avrebbero certo scritto nei loro vangeli queste prime comunità di credenti… Perché la figura della donna, soprattutto come testimone, non aveva alcun valore a quei tempi (come lo stesso Luca lascia intendere: «Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse») e perciò se non fosse proprio stato così – se cioè Gesù risorto per primo non fosse proprio andato dalle sue amiche femmine – non lo avrebbero mai detto. Era infatti controproducente dirlo (controproducente per l’annuncio cristiano) e quindi – se fosse stato falso – di certo a nessuno sarebbe venuto in mente di inventarselo. Perciò, se è scritto, è perché non hanno proprio potuto fare a meno di dirlo… e anzi, dobbiamo ringraziare questi uomini, sconvolti loro stessi probabilmente da questo annuncio previo alle femmine, per aver avuto il coraggio di non censurarlo, di non far prevalere il “buon senso” del “tenercelo per noi, senza però dirlo in giro”, ma di aver fatto risuonare fino ai confini del mondo che il risorto per prime l’hanno visto le donne.

Dunque, innanzitutto le donne.

Esse già durante la passione e morte di Gesù hanno iniziato a far capolino in una maniera finora mai emersa. Ce lo mostra anche la liturgia di questa settimana santa. Infatti il Lunedì Santo il vangelo che viene proposto è Gv 12,1-11, nel quale è narrata l’unzione di Betania, quando cioè Maria, sorella di Lazzaro, «prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo».

Come diceva don Claudio Cacioli, attuale Ispettore dei Salesiani di Lombardia e Emilia, «Noi cristiani entriamo nella settimana più santa della vita di Gesù e quindi della nostra vita accompagnati da una donna, che non fa una predica, che non fa una riflessione di tipo spirituale, ma fa un gesto di grande carica sensuale, di grande affettività nei confronti di Nostro Signore Gesù Cristo. E lo fa in totale libertà. Se potessimo fermarci un po’, tutta una serie di particolari – i capelli sciolti, i piedi… – potrebbero dirci che quella sera lì, in quella stanza, avviene qualche cosa che non è un gesto simbolico. No, no! Avviene proprio un’esplosione di amore che si manifesta come di solito l’amore si deve manifestare: non con le paroline dolci, ma con un abbraccio, con una carica anche di carnalità, di affettività, perché noi siamo fatti di carne e sangue.

Noi entriamo nella Settimana Santa accompagnati da questa donna qua. Non entriamo nella Settimana Santa accompagnati dagli apostoli. E in quella pagina del vangelo Gesù insiste nel dire che quel gesto lì, è un gesto che non solo è giusto che venga fatto, ma è un gesto che illumina di significato quello che viene dopo. Cioè quello che viene dopo – la Passione, Morte e Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo – o sta sotto l’insegna di un amore non a chiacchiere, ma a gesti concreti, oppure non è comprensibile. […] Perché ci sono gesti che avvengono soltanto nell’intimità e sono capaci di comunicare una custodia che è infinita. Prima di essere dilaniato dai flagelli dei Romani, il corpo di Nostro Signore Gesù Cristo è entrato in una dinamica di intimità con questa donna che ha versato l’olio, l’ha accarezzato… E lui ha detto che in quel gesto lì c’era questo immenso amore che lo avrebbe custodito anche nella sua sepoltura. […] Il Signore aveva bisogno di una carezza anche lui. Non ha bisogno di una predica o di risolvere tutti i problemi del mondo. Ha bisogno di essere custodito nell’intimità» [don Claudio Cacioli SDB, Eucaristia e affettività, Conferenza del 15 febbraio 2011].

È la medesima custodia dell’intimità che muove anche le donne di quel «primo giorno della settimana», anche loro con oli e aromi tra le mani, per ungere quel che ormai è solo il cadavere, il corpo morto di quell’uomo cui hanno voluto così bene…

Ma per le donne – mi pare di poterlo dire da donna – la cura del corpo altrui è elemento intrinseco dell’identità… foss’anche di un corpo morto, che però si vuol riconsegnare alla terra pulito, “in ordine” (come ci hanno ripetuto chissà quante volte le nostre mamme prima di uscire per andare a scuola), rivestito con abiti lavati e “stirati”, perché sia bello.

Che poi lo sanno anche loro che tanto non lo vedrà più nessuno, perché poi lo mettono nella cassa e poi nella tomba… ma intanto a loro sembra di aver fatto tutto l’umano possibile per replicare alla tragedia della morte. Una replica totalmente inutile – lo sanno anche loro – ma giusto così, perché la morte – pur vittoriosa e irrimediabile – non abbia almeno del tutto l’ultima parola. L’ultima parola è che io mi prendo cura del tuo corpo morto, del tuo corpo che mi è così caro.

Pensiamo dunque a cosa ha voluto dire per le donne del vangelo non trovare più il suo corpo, non poterlo rivedere neanche per quell’ultima volta, per quell’ultima replica inutile ma fondamentale alla morte…

E infatti il primo pensiero è che gliel’abbiamo rubato! Che quegli uomini che l’avevano così inumanamente straziato, vogliano essere così sadici e crudeli da togliergli anche quell’ultimo gesto di cura, di pulitura, di amore.

 

Invece… qualcosa d’altro era accaduto a quel corpo… Qualcuno che amava quel corpo tanto quanto loro – il Padre di ciascuno figlio dell’uomo che nasce su questa terra – Colui che poteva dare una replica efficace alla morte, lo aveva risuscitato, rendendo quel corpo non solo pulito, ma splendente, non solo oggetto di cura, ma vivo!

E sono proprio loro le prime a vederlo così! Prima fra tutte, secondo Giovanni Maria di Magdala… la prima da cui il Signore vuole andare.

E per capire quanto questa scelta sia radicale, basta provare a chiederci da chi andremmo noi se ci capitasse di risorgere… o più umilmente, chi vorremmo accanto nella nostra morte.

È intenso così il rapporto che Gesù ha avuto con le sue amiche: non una relazione superficiale, nemmeno una relazione funzionale a qualcos’altro (a portare un messaggio, a far capire delle cose…). No! Una relazione profondamente coinvolgente, tale da costruirlo come uomo: Gesù si è davvero fatto uomo (cioè è diventato proprio quell’uomo lì e non un altro), lasciandosi plasmare dalla storia e dalle storie delle persone che ha incontrato, conosciuto, amato.

 

È in questa consistenza umana amante che Dio ha riconosciuto se stesso, in questo suo Figlio rivelatore definitivo del suo volto Egli ha detto chi è. Per questo Gesù non poteva rimanere morto: perché l’ultima parola di Dio sul mondo è che i pezzetti di bene che ci scambiamo (quelli che Gesù chiamava “Regno di Dio”) sono più forti della morte, in Lui si “eternizzano”.

 
Buona Pasqua a tutti.

martedì 19 marzo 2013

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Luca


Dal libro del profeta Isaìa (Is 50,4-7)

Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso.

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési (Fil 2,6-11)

Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.

 

Note introduttive al passio

«la morte di Gesù è il tema centrale, verso cui tutto il racconto converge, perché da lì è partito lo scandalo drammatico e doloroso dei discepoli, che man mano che vedono Gesù perdente, lo abbandonano (noi credevamo!...). Da qui l’incredulità e la sorpresa sconvolgente quando riappare “vivente”…  ribaltando così il problema di lui (e della sua morte) su di noi (e la nostra morte!). Cosa significa questa “sua” esperienza umana di morto/risorto, che irrompe nella nostra vita? rispetto all’incubo che incombe su di noi e pian piano ci corrode… la nostra morte, quando cioè ci toccherà di passare anche noi da questa vita al non esistere più! Questa oscura e censurata certezza, è quella che ci fa spaventati o smarriti o persino cattivi… È di fronte a questa nostra situazione umana senza uscita, che il racconto di Gesù diventa “vangelo”!

Questo racconto della passione e morte del Signore è infatti il nucleo sorgivo di tutto il Vangelo: la scaturigine della fede cristiana, come è arrivata, più o meno indenne, fino a noi. E rimane ancora la pietra di paragone o di misura della nostra fede di oggi. Dunque, va ascoltata con l’atteggiamento di chi sa (o spera?!) che questo racconto sta continuando, fino ad oggi, nelle nostre vicende di disperazione e di speranza, di peccato e di scoramento… Perché nella passione di Cristo è contenuta e si rinnova la passione degli uomini e delle donne di oggi – pena l’inutilità o insignificanza della nostra fede. Dunque da qui nasce anche per noi la “buona notizia”» [Giuliano].

 

L’invito dunque è quello di provare a entrare nel testo, vestendo i panni degli attori in scena in questo dramma

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Luca (Lc 22,14-23,56)

Quando venne l’ora, [Gesù] prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». E, ricevuto un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e fatelo passare tra voi, perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio».

Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me». E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi».

 

“questo è il mio corpo dato per voi”: se proviamo per un attimo a staccare queste parole dalla ritualità della messa in cui siamo abituati a sentirle e le prendiamo di per se stesse (come i discepoli quella sera), forse riusciamo a intravedere la straordinarietà della loro portata. dare il proprio corpo per…

è la spiegazione in anticipo della sua morte… dove “dare il proprio corpo” non è qualcosa di spiritualoide, ma il consegnare la propria carne.

su tutto ciò che ha detto e fatto, proprio di questo gesù dice “fate questo in memoria di me”: di tutto, trat-tenete questo, che spiega tutto il resto.

 

«Ma ecco, la mano di colui che mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell’uomo se ne va, secondo quanto è stabilito, ma guai a quell’uomo dal quale egli viene tradito!». Allora essi cominciarono a domandarsi l’un l’altro chi di loro avrebbe fatto questo.

E nacque tra loro anche una discussione: chi di loro fosse da considerare più grande. Egli disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove e io preparo per voi un regno, come il Padre mio l’ha preparato per me, perché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno. E siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele.

Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli». E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte». Gli rispose: «Pietro, io ti dico: oggi il gallo non canterà prima che tu, per tre volte, abbia negato di conoscermi».

Poi disse loro: «Quando vi ho mandato senza borsa, né sacca, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?». Risposero: «Nulla». Ed egli soggiunse: «Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così chi ha una sacca; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché io vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: “E fu annoverato tra gli empi”. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo compimento». Ed essi dissero: «Signore, ecco qui due spade». Ma egli disse: «Basta!».

 

“La mano di colui che mi tradisce è con me, sulla tavola”

“nacque una discussione: chi fosse più grande”

“Signore con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte”

“Disse: ‘basta!’”

Inizia qui il processo di solitudine di gesù, che sarà compiuto sulla croce. gesù, che per ora è ancora attorniato dai suoi e dunque non è fisicamente solo, inizia ad esserlo interiormente: i suoi non capiscono, non lo capiscono.

 

Uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione». Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione».

 

“entrato nella lotta”… è la fatica, tutta umana di Gesù di tirar dietro al suo cuore, alla sua mente, alla sua “determinata determinazione” («non sia fatta la mia, ma la tua volontà») anche la sua carne, il desiderio di vita che si sprigiona da ogni sua fibra, la paura di morire che corre lungo le sue midolla, il terrore del nulla che gela le sue viscere…

«…la lotta (l’agonia!) per passare dalla “mia” alla “tua” volontà!Gesù vive la tragedia dell’uomo, che non riesce a consegnarsi a Dio (sentito come Padrone crudele, non padre!). Perché gli toglie la vita che gli ha donato e non rimuove il male che lo consuma?… Perché!? Dio abbandona l’uomo che ha creato, per lasciarlo morire?! Gesù si perde davvero in questo abisso, lui giusto, ma solidale con ogni uomo che fa il male (mal fattore!), per paura di questa condanna a morte che incombe su di lui, anche se facesse il bene! Lui, innocente, piange lacrime di sangue da tutto il suo corpo, spremuto come noi, dall’angoscia di dover morire: (togli da me questo calice!). Il peccato, dal quale qui è tentato anche Gesù, è il rifiuto umano di questa insensata condanna a morte, a cui siamo tutti destinati. Ma proprio così, perdendosi per noi, Dio rivela il suo amore… un amore im/pensabile e in/credibile, un amore inerme, impotente, “torchiato” dal cuore squarciato del Figlio. La preghiera (richiamata cinque volte!: la preghiera come implorazione, conforto, angoscia intensa, vigilanza, solidarietà…) è l’unico modo di non cadere in tentazione. Cioè di imparare, come Gesù, a vivere la morte come abbandono nelle braccia impercettibili del Padre (imparò l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono Eb 5,7)!» [Giuliano].

 

Mentre ancora egli parlava, ecco giungere una folla; colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, li precedeva e si avvicinò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: «Giuda, con un bacio tu tradisci il Figlio dell’uomo?». Allora quelli che erano con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: «Signore, dobbiamo colpire con la spada?». E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio destro. Ma Gesù intervenne dicendo: «Lasciate! Basta così!». E, toccandogli l’orecchio, lo guarì.

 

l’unico che si fa male in tutto questo racconto è gesù, che con le sue parole (“lasciate! basta così!”) e il suo gesto (lo guarì) «chiude per sempre la strada della violenza, che s’illude di difendere l’amore con altre armi che non diano amore. Solo l’amore disarmato è credibile! Perché è l’unico che crede davvero alla forza incomparabile dell’amore!» [Giuliano].

Poi Gesù disse a coloro che erano venuti contro di lui, capi dei sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: «Come se fossi un ladro siete venuti con spade e bastoni. Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete mai messo le mani su di me; ma questa è l’ora vostra e il potere delle tenebre».

Dopo averlo catturato, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. Avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno; anche Pietro sedette in mezzo a loro. Una giovane serva lo vide seduto vicino al fuoco e, guardandolo attentamente, disse: «Anche questi era con lui». Ma egli negò dicendo: «O donna, non lo conosco!». Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei uno di loro!». Ma Pietro rispose: «O uomo, non lo sono!». Passata circa un’ora, un altro insisteva: «In verità, anche questi era con lui; infatti è Galileo». Ma Pietro disse: «O uomo, non so quello che dici». E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente.

 

la nostra inadeguatezza a seguire la strada percorsa da gesù, qui è rappresentata in maniera emblematica. pietro rappresenta ciascuno di noi, affascinati da questo maestro che con entusiasmo e determinazione ci mettiamo a seguire, eppure perennemente incapaci di stargli dietro davvero, fino in fondo… per paura…

ma lui il contatto visivo con noi non lo lascia cadere: “il signore si voltò e fissò lo sguardo su pietro”.

 

E intanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo deridevano e lo picchiavano, gli bendavano gli occhi e gli dicevano: «Fa’ il profeta! Chi è che ti ha colpito?». E molte altre cose dicevano contro di lui, insultandolo.

Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i capi dei sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al loro Sinedrio e gli dissero: «Se tu sei il Cristo, dillo a noi». Rispose loro: «Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma d’ora in poi il Figlio dell’uomo siederà alla destra della potenza di Dio». Allora tutti dissero: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed egli rispose loro: «Voi stessi dite che io lo sono». E quelli dissero: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L’abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca».

 

gesù è condannato perché si “fa” figlio di dio.

 

Tutta l’assemblea si alzò; lo condussero da Pilato e cominciarono ad accusarlo: «Abbiamo trovato costui che metteva in agitazione il nostro popolo, impediva di pagare tributi a Cesare e affermava di essere Cristo re». Pilato allora lo interrogò: «Sei tu il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici». Pilato disse ai capi dei sacerdoti e alla folla: «Non trovo in quest’uomo alcun motivo di condanna». Ma essi insistevano dicendo: «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea, fino a qui». Udito ciò, Pilato domandò se quell’uomo era Galileo e, saputo che stava sotto l’autorità di Erode, lo rinviò a Erode, che in quei giorni si trovava anch’egli a Gerusalemme.

 

pilato cerca di scaricare la “patata bollente” gesù a erode. inizia qui il suo lavarsene le mani…

 

Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto. Da molto tempo infatti desiderava vederlo, per averne sentito parlare, e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. Lo interrogò, facendogli molte domande, ma egli non gli rispose nulla. Erano presenti anche i capi dei sacerdoti e gli scribi, e insistevano nell’accusarlo. Allora anche Erode, con i suoi soldati, lo insultò, si fece beffe di lui, gli mise addosso una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici tra loro; prima infatti tra loro vi era stata inimicizia.

 

ma erode che sperava in una specie di “giullare di corte” glielo rispedisce… anche lui se ne lava le mani. è una gara, tra i potenti del tempo, allo scantonamento: che è esattamente l’atteggiamento contrario a quello di gesù, che si immerge nella vicenda della storia, non se ne sottrae, non scappa, non scantona, non fa finta di niente. ma vi si immischia… fino a lasciarci la pelle.

 

Pilato, riuniti i capi dei sacerdoti, le autorità e il popolo, disse loro: «Mi avete portato quest’uomo come agitatore del popolo. Ecco, io l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in quest’uomo nessuna delle colpe di cui lo accusate; e neanche Erode: infatti ce l’ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo punito, lo rimetterò in libertà». Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «Togli di mezzo costui! Rimettici in libertà Barabba!». Questi era stato messo in prigione per una rivolta, scoppiata in città, e per omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, perché voleva rimettere in libertà Gesù. Ma essi urlavano: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato in lui nulla che meriti la morte. Dunque, lo punirò e lo rimetterò in libertà». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta venisse eseguita. Rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per rivolta e omicidio, e che essi richiedevano, e consegnò Gesù al loro volere.

Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: “Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato”. Allora cominceranno a dire ai monti: “Cadete su di noi!”, e alle colline: “Copriteci!”. Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?».

Insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfattori.

Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».

Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte.

Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò.

 

questo fiume di parole ci conduce dalla condanna all’ultimo respiro di gesù. chi ha visto questo ultimo respiro emesso dal corpo di qualcuno che amava, sa cosa voglia dire che il tempo si ferma. è proprio questo che celebriamo in questa settimana santa che inizia con domenica: il tempo si ferma, tutto diventa muto, o forse siamo noi a diventare sordi, come ovattati dall’ineluttabile. perché come cantava in maniera insuperabile de andrè gesù “morì come tutti si muore, come quegli altri cambiando colore”.

 

Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: «Veramente quest’uomo era giusto». Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo.

Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del Sinedrio, buono e giusto. Egli non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Era di Arimatèa, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto. Era il giorno della Parascève e già splendevano le luci del sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo come era prescritto.

domenica 17 marzo 2013

La novità sempre nuova!

Una Giustizia Nuova

Per un approfondimento “esegetico” del brano rimando al post precedente.
Qui segue lo schema dell’omelia.

Per prima cosa le letture di questa V domenica di quaresima ci insegnano che esiste una NOVITÀ:
Dice infatti la prima lettura tratta dal libro di Isaia: nel passato il Signore che ha fatto cose grandi (“aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti, che fece uscire carri e cavalli”) ma ciò che ci prepara è infinitamente più grande al punto che per quanto grande fu il passato non vale più nemmeno la pena di ricordarlo! «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa».

Una novità così grande, così al di fuori della nostra esperienza, che possiamo sempre dire di NON conoscerla.

E qual è questa novità?
Ce lo dice san Paolo nella Lettera ai Filippesi: La Giustizia apportata da Gesù! Paolo parla infatti di “nuova giustizia”! Ecco la NOVITÀ: Quella che ci offre Gesù! Non quella che viene da altro da lui, per quanto sublime: filosofia, legge, comandamenti, religione, morale… La “nostra” giustizia è nuova solo se viene dalla nuova giustizia di Dio rivelata in Gesù Cristo! Per questo, ribadendo lo stesso concetto della prima lettura, san Paolo afferma che tutto, ma proprio tutto ciò che ho conosciuto fin d’ora, è “spazzatura” a confronto di questa novità! Spazzatura eh, e guai a riciclarla!

Quindi NOVITÀ che non cessa mai di essere NOVITÀ, è questa GIUSTIZIA NUOVA!

E in cosa consiste questa giustizia nuova? Ce lo dice il Vangelo con l’episodio dell’adultera:
Ci sono tre personaggi: gli accusatori di un’adultera, l’adultera e Gesù!
Gli accusatori accusano: nessuna comunione anche quando se ne vanno! Non vanno dalla donna a dire «abbiamo sbagliato scusaci!»: Il male è ciò che non crea comunione che sia ARMATO o INDIFFERENTE, sempre assassino è! Al centro la donna, muta, silenziosa, come un agnello condotto al macello! Poi Gesù che prende le difese della donna, e crea vera comunione con lei e, attenti!, la porta a parola! Umanizza!

Per il Vangelo sempre anche quando gli altri se ne vanno la donna resta “in mezzo”! Questo a mio parere sta a sottolineare ciò che è centrale nella GIUSTIZIA NUOVA, nella NUOVA LIBERTÀ: la vera giustizia è quella che è capace di compromettersi per portare a parola a chi voce non ha! (normalmente si dice il contrario in una forma di paternalismo farisaico: dare voce a chi non ha voce!). La GIUSTIZIA NUOVA è una giustizia che si mette sempre e comunque dalla parte della storia fallita di ogni uomo e donna!

Quindi riassumendo l’insegnamento: Siamo davanti a una NOVITÀ che mai possiamo dire di conoscere appieno, e questa NOVITÀ è una GIUSTIZIA NUOVA che è tale perché è SEMPRE DALLA PARTE DI CHI HA SBAGLIATO! Comunque!

Conseguenze:
“Santo” traduce l’ebraico qadosh “separato”: Nel racconto dell’adultera, c’è il rifiuto della santità come separazione: nasce quindi un nuovo modello di santità come commistione!
Nel racconto dell’adultera, Dio non appare più “santo” perché separato, ma “santo” perché si sporca, si immischia con la storia umana: contrariamente a Pilato che se le lava, Dio ama sporcarsi le mani (mi piace pensare a questo significato delle dita nella sabbia di Gesù che rimandano alle mani nel fango di Yhwh nella creazione di Adam il Terrestre)! Così deve fare la chiesa e il cristiano: questo è il vero significato del perdono e quindi dell’amore! (Non si salva il fratello stando fuori dalla storia, nel proprio benessere!).

E allora una Chiesa, un cristiano, un ordine religioso che non scambia e si contamina assumendo su di sé i drammi della vita dell’altro, e che invece si aggrappa alla propria sacrale purezza, cessa di essere “sacramento di liberazione” (cf Vat II). La paura di contaminarsi per timore di perdere la propria identità sacrale fino a “separarsi” dal mondo, dai laici, dagli altri, fa del cristiano, del religioso, della chiesa, la versione moderna del fariseismo!
Ecco perché la Chiesa non può non uscire da se stessa e sporcarsi mani e piedi facendosi missionaria!

Per caso in rete, cercando chi fosse J.M. Bergoglio appena eletto vescovo di Roma, ho trovato questa sua espressione sul tema dell’evangelizzazione, che mi sembra si adatti bene a quanto stiamo dicendo: «Tutta l’attività ordinaria della Chiesa è impostata in vista della missione. Questo implica [che]si deve uscire da se stessi… È vero che uscendo per strada, come accade a ogni uomo e a ogni donna, possono capitare degli incidenti. Però se la Chiesa rimane chiusa in se stessa, autoreferenziale, invecchia. E tra una Chiesa accidentata che esce per strada, e una Chiesa ammalata di autoreferenzialità, non ho dubbi nel preferire la prima».

giovedì 14 marzo 2013

L'adultera: un testo "blasfemo"

Ecco, come l’argilla è nelle mani del vasaio, cosi siete voi nelle mie mani (Ger 18,6)

Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa
Sono immagini inaudite quelle di Isaia, umanamente impossibili da credere, non ricadono cioè all’interno della nostra esperienza… eppure è l’annuncio di qualcosa di nuovo per quanto inaudito! Al punto che tutto quello che abbiamo vissuto, esperimentato, per quanto bello, grande e divino, sublime, prezioso, “tutto”, ma proprio tutto ribadisce san Paolo, tutto è “perdita” di fronte alla sublimità della novità di Cristo! Ma qual è questa novità?

Certamente non può essere una novità puramente marginale al nostro comune senso religioso: Gesù non è la ciliegina sulla nostra torta religiosa. Un abbellimento, una facilitazione alla fede, al nostro comune senso religioso. Gesù è “altro” credere, vivere la fede, la religione, la preghiera, la morale, è “altra” veramente altra perché nuova vita.

Lo scopriamo nel Vangelo di questa domenica.

Sebbene quest’anno liturgico si appoggia fondamentalmente sul Vangelo di Luca, in questa V domenica di quaresima la chiesa ci propone il brano evangelico di Giovanni della donna adultera. Perché? Perché in realtà pur essendo collocato in Giovanni è quasi certamente di Luca (e alla sua teologia).

Infatti la Bibbia di Gerusalemme (BJ) alla nota che introduce il brano in esame afferma: Questo brano, omessa dai più antichi testimoni (mss, versioni, Padri), spostato da altri, dallo stile di colore sinottico, non può essere dello stesso Giovanni. Potrebbe essere attribuito a Luca (cf. Lc 21,38+). La sua canonicità, il suo carattere ispirato e il suo valore storico sono in ogni caso fuori discussione. Andiamo allora a vedere la nota chiave (BJ le segna con un +) in Luca 21,38 e leggiamo: Il contatto letterario con Gv 8,1-2 è evidente. Il brano della donna adultera (Gv 7,53-8,11), che molte ragioni invitano ad attribuire a Luca, troverebbe qui un contesto eccellente.

Proviamo a fare una verifica e vediamo che sono, proprio come dice la nota appena letta, letterariamente identici.

Giovanni 8,1Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.

Luca 21,37Durante il giorno insegnava nel tempio; la notte, usciva e pernottava all’aperto sul monte detto degli Ulivi. 38E tutto il popolo di buon mattino andava da lui nel tempio per ascoltarlo. (Segue il capitolo 22 con l’inizio del racconto della Passione).


Prova ulteriore è che Gv 7,52 continua logicamente in 8,12 e ancora molti commenti esegetici nel commentare il vangelo di Giovanni ignorano completamente l’episodio dell’adultera (vv da 7,53 a 8,11. Così ad es. Henri van den Bussche)...

“Ricostruiamo” allora il vangelo di Luca così come “suggerito” dalle note della BJ.
Che cosa succede? Se nel contesto del vangelo di Giovanni, il brano sottolinea il fatto che Gesù, luce del mondo e acqua viva, è colui che non giudica nessuno e che dal suo giudizio sarà giudicato, in Luca, oltre a tutto ciò, acquista una valenza più profonda e “inaudita”, direi “blasfema” ai comuni occhi e orecchi religiosi e spiegano a mio parere della “censura” di cui è stato oggetto.
Concretamente il brano in Luca diventa una anticipazione di tutto quello che seguirà nella Passione (che inizia subito dopo al cap 22). Ne rivela il significato profondo, né è sintesi e manifestazione “anticipata”: insomma prepara il lettore allo shock con cui Luca guarda e descrive quello che accadrà dopo. Non tanto la crocifissione, ma ciò che nella “Passione” realmente accade nel suo contenuto essenziale!

Allora proviamo brevemente a vedere da vicino questo brano:
Ciò che salta subito agli occhi è la connessione diretta tra il racconto della donna adultera e il racconto della Passione. Per il metodo di scrittura dell’antichità ci sono delle parole chiave che fanno da connessione logica ai racconti. Il lettore è costretto grazie a queste “parole gancio” a fare il collegamento tra i vari episodi e attraverso di esse cogliere una “identificazione” tra i vari racconti…

Per prima cosa notiamo che la famosa frase di Gesù (Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei) non è una semplice frase su un peccaminosità generica. Gesù non sta banalmente dicendo «Ma dai suvvia, anche voi siete dei poveri peccatori, lasciate perdere!». Ma questo lo sapevamo già! (Ecco un buon principio: mai far dire al Vangelo ciò che già sappiamo!)… Oltre al fatto che non si capirebbe perché gli anziani siano i primi ad andarsene! Infatti l’avere più cose da farsi perdonare non dipende dall’età ma dal tipo di vita e da questo punto di vista un giovane può aver più da farsi perdonare di un anziano. In Luca 7,47 questo appare evidente: la prostituta, che evidentemente era nel fiore della propria bellezza giovanile, ha molto amato, perché gli è stato molto perdonato… e se c’era molto da perdonare vuol dire che, nonostante la sua giovane età, aveva molto peccato… Allora perché gli anziani se ne vanno prima? Perché l’adultera non poteva esserlo senza il contributo dell’uomo adultero. Quelle braccia che l’avevano collocata in mezzo pronti per lapidarla erano le stesse che fino a poco prima l’avevano abbracciata… E i vecchi “clienti”, diciamo così, se ne sono andati prima! Il peccato che Gesù ricorda loro è proprio lo stesso per cui volevano lapidare la donna! Questo lo si coglie anche dal finale: va’ e d’ora in poi non peccare più: di quel peccato lì! perché è ovvio che in senso generico certamente quella donna avrebbe peccato ancora!

Proviamo adesso ad immaginarci la scena: cosa abbiamo? Degli “adulteri” che vogliono lapidare un’adultera, posta in mezzo! dall’altra parte Gesù, l’unico non adultero.
C’è una comunione nel male tra la donna e coloro che la voglio lapidare che rompe ogni comunione: prima armata poi indifferente… E apparentemente almeno fino a questo punto, prima della discussione non ce n’è alcuna tra Gesù e la donna.
Gesù all’inizio tace: fa finta di niente? (silenzio di Dio?), “crea” sulla sabbia? traccia il proprio destino? In ogni caso sembra non voler aver niente a che fare con loro…
Resta il fatto che il risultato finale del dialogo è che coloro che erano in comunione nel male con la donna, si dissociano (etimo di diavolo), se ne vanno, ma la donna continua (!) in silenzio (!) a restare nel mezzo: Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo! Logicamente è impossibile che stia ancora in mezzo se tutti se ne sono andati! … Perché Luca insiste sul fatto che sia “in mezzo”?

Il rimando è al racconto della passione a cui la “parola gancio” “in mezzo” rinvia! Luca nel racconto della crocifissione è il solo che dice esplicitamente che Gesù è in mezzo e perché non ci siano dubbi in proposito lo specifica: uno a destra e l’altro a sinistra ai due ladroni (letteralmente: i senza-legge: i senza Torah! i senza Dio!).
Ora qui l’adultera si trova in mezzo proprio come Gesù sarà in mezzo ai senza-Dio: e al lettore attento non può non scattare l’identificazione adultera≡Gesù o meglio, nel racconto della passione, Gesù≡adultera! (l’adulterio è il peccato di Israele verso Yhwh! (idolatria): Negli oracoli dei profeti, e particolarmente di Isaia, Osea ed Ezechiele, il Dio dell’alleanza-Jahv “viene rappresentato spesso come sposo, e l’amore con cui egli si è congiunto ad Israele può e deve immedesimarsi con l’amore sponsale dei coniugi. Ed ecco che Israele, a causa della sua idolatria e dell’abbandono del Dio-sposo, commette davanti a lui un tradimento che si può paragonare a quello della donna nei riguardi del marito: commette, appunto, «adulterio». Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 20 Agosto 1980)
L’associazione immediata è blasfema per la religiosità umana e domanda un salto verso una fede veramente nuova e religiosità altra (cfr prima e seconda lettura). Perché se qui è l’adultera che ha il posto che avrà Gesù, dopo nel racconto della crocifissione è Gesù che ha il posto dell’adultera: “in mezzo”! E quindi nella crocifissione Gesù si identifica con quest’adultera (non quindi con una semplice peccatrice!!) che tutti volevano uccidere, lapidare, crocifiggere! Quando affermiamo che Gesù il giusto è morto da ingiusto, da peccatore, rendiamoci conto che sono espressioni astratte: noi non abbiamo idea, per l’abitudine forse, di che cosa questo significhi concretamente! Gesù insomma assume quel/ciascun concreto e particolare peccato storico che commettiamo.
Salvare, liberare cioè qualcuno, è prendere il suo posto, assumere, portare su di sé il peso della sua storia… altro che “fare la carità”, perdonare le offese facendo finta di niente… ecc.

La donna, il suo essere chiamata così “donna” (cf “Ecco l’uomo” di Pilato), il suo stare in mezzo, il suo subire in silenzio… non possono non rimandare per immediata associazione di immagini, all’Agnello-Gesù della Passione.

Così il risultato finale dell’episodio dell’adultera è l’immagine capovolta della scena con cui è iniziata, è speculare ad essa… l’effetto voluto da Luca è un Gesù che in qualche modo, prende il posto “relazionale” di coloro che la volevano lapidare prima e se ne vanno poi (relazione senza comunione), per liberarla (relazione che crea comunione) e portarla finalmente “a parola”! Solo la comunione instaurata da Gesù dà vita: e finalmente la donna “parla”! e la sua risposta (“nessuno”) è di perdono verso quelli che volevano lapidarla e che andandosene, non instaurano affatto comunione, cioè non vanno da lei “scusandosi” di quello che stanno facendo. Non si convertono nel perdono reciproco). Ed è nello stesso tempo un riconoscimento di Colui da cui viene questa sua capacità di perdono: “Signore”…

La domanda a cui Luca vuole rispondere quindi è “come concretamente Gesù ci salva?”. La risposta qui e nel cap 22 che segue è che avviene in qualche modo uno “scambio” di posizione tra il Giusto Gesù e l’ingiusto peccatore concreto ed è questo scambio che permette all’uomo, qui donna, peccatore di non peccare più (è reso libero!), di diventare “giusta” perché giustificata, ma per fare questo Gesù deve assumere esistenzialmente il destino dell’“empio”, distruggendo l’empietà, la rottura della comunione, coll’abbandono al Padre.

Infatti la scena finale è shoccante: se si guarda l’episodio dall’inizio si vedono gli adulteri che rompono la comunione con la donna adultera, se la guardi dalla fine si vede Gesù che instaura invece la comunione. La donna sempre in mezzo fa da “medium” letterario… ancora… se Gesù instaura una comunione con l’adultera… ebbene ne condivide il destino, e la condanna!
Il risultato è che Gesù, agli occhi di chi legge, appare “adultero”, “prostituto” lui stesso: come ogni uomo che pecca (cfr quanto detto dai profeti dell’AT)!

Si può comprendere adesso, come l’immagine, troppo forte dell’autore lucano, abbia spinto molti a censurare la pagina… o a metterla in un contesto dove questo appare meno evidente per non dire occultato completamente (ecco una prova che mostra la necessità di collocare un testo/brano/fatto/parola nel contesto, per coglierne il suo vero significato). Ma così facendo non si dà ragione della Croce: del perché della “necessità” di una morte così e del perché una morte così “ci” salva. E “salva se stesso” (cf Lc 23,37.39) cioè Gesù stesso, portando a perfezione la sua comunione col Padre (cf Lettera agli Ebrei 5,8)

Aggiungo come questo “in mezzo” è ulteriormente sottolineato da Luca nell’ultima cena, mettendo in bocca a Gesù le parole del profeta Isaia, che gli altri evangelisti invece omettono: «e fu annoverato tra gli empi» (Lc 22,37; cfr. Is 53,12d) e poco prima, afferma: Io sto in mezzo a voi come colui che serve (22,27). A neanche 30 versetti dallo stare in mezzo dell’adultera: l’aggancio è troppo evidente per essere ignorato e non scandalizzare il senso religioso comune!

Conclusione provvisoria (perché il Vangelo è sempre un testo aperto a nuovi approfondimenti e acquisizioni)
1) La salvezza che ci viene da Gesù e a cui ci stiamo preparando non si attua nel suo doloroso morire, e nemmeno nel suo morire da “vittima innocente” (sarebbe uno dei tanti “errori giudiziari”!), né basta che sia un Dio a morire così. L’azione salvifica di Gesù consiste nel suo assumere la nostra vita “di” senza-Dio per introdurvi il Padre! Questo, significa la sua morte ignominiosa – “da” senza-Dio – della Croce! E infatti questo significa la “croce”, non tanto sofferenza, ma ignominia! Gesù “deve” assumere la nostra vita fallita, fin nella nostra morte totale per poterci dare – nel rispetto della nostra storia (senza dannarci cioè distruggerci fissandoci nel nostro fallimento e schiavitù!) – la sua Giustizia, il suo modo di essere, il suo modo di affrontarla, di viverla da Giusto. Quel “come” un malfattore va preso quindi in senso letterale, di vera “assunzione di destini” (da cui il termine “Paraclito”) nel quale prende realmente su di sé l’autodistruzione della nostra vita, i fallimenti dell’umanità, il nostro inferno quotidiano!

Immediato viene il rimando alla vita dei santi (Teresa d’Avila, suor Faustina, ecc.) che hanno fatto l’esperienza misteriosa di assunzione delle prove, tentazioni, di coloro che avevano a cuore o in cura. Es. letterario lo troviamo nel Dialogo delle carmelitane di Bernanos: la priora che fa esperienza della morte “disperata” della consorella affinché lei possa fare esperienza della sua morte pacificata! La “comunione dei santi” è questa comunione di storia!

2) Luca dice nel suo vangelo che solo l’“assunzione” dei drammi del fratello/sorella, libera veramente. Ciò che Luca vuol dire non è ancora sottolineato nella predicazione e nella vita della chiesa che spesso riduce la Croce a dolorismo!
Una chiesa che non scambia e si contamina assumendo su di sé i drammi della vita dell’altro, che invece si arrampica alla propria sacrale purezza cessa di essere “sacramento di liberazione” (Vat II). La paura di contaminarsi per timore di perdere la propria identità sacrale fino a “separarsi” dal mondo/laici/altri, fa del cristiano un neofariseo (significato di fariseo è: separato)! Insomma una Chiesa, un cristiano, un ordine religioso, che non “scambia”, che non si contamina, che non assume, per paura di perdere la propria sacrale identità personale o carismatica, fa del cristiano, religioso, chiesa, la versione moderna del fariseismo.

“Santo” traduce l’ebraico qadosh “separato”: Nel racconto dell’adultera, nello scambio, c’è il rifiuto della santità come separazione: nasce quindi un nuovo modello di santità come commistione!
Nel racconto dell’adultera, Dio non appare più “santo” (separato) ma immischiato con la storia umana: contrariamente a Pilato, Dio ama sporcarsi le mani! Così deve fare la chiesa e il cristiano: questo è il vero significato del perdono e quindi dell’amore! (Non si salva l’umanità standone al di fuori!)

Cristiano implica convertire anche parole: Quindi propriamente parlando “santo” è solo Dio: inaccessibile, separato da questo mondo, trascendente. Nell’ebraismo più correttamente l’uomo che vive in pienezza di Dio è Giusto! L’uso comune che ne facciamo non consente cogliere il suo autentico significato biblico!

Ecco perché quel “in mezzo” di Luca appare ancor più “osceno” cioè fuori da ogni scena religiosa! Il Dio di Gesù Cristo già con l’Incarnazione rifiuta questa accezione di santità. Santo è colui che non si lava le mani, ma si sporca mani e piedi e rischia anche di “dannarsi” (Rom 9,3: Infatti desidererei essere io stesso anatema e separato da Cristo per i miei fratelli, miei parenti secondo la carne) – di separarsi da un certo Dio – pur di non abbandonare il fratello al suo disperato destino! Ecco perché la Chiesa non può non essere missionaria! E missionaria così!

martedì 12 marzo 2013

V Domenica di Quaresima


Dal libro del profeta Isaìa (Is 43,16-21)

Così dice il Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti, che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi a un tempo; essi giacciono morti, mai più si rialzeranno, si spensero come un lucignolo, sono estinti: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi».

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési (Fil 3,8-14)

Fratelli, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 8,1-11)

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

 

P. Giuliano Bettati definiva il brano del vangelo che la Chiesa ci propone per questa quinta Domenica di Quaresima «Un racconto imbarazzante». Scriveva infatti: «Questa pagina è sempre stata, fin dagli inizi, per i tutori della legge, per i responsabili delle chiese, per i crociati della giustizia, un racconto imbarazzante… Al punto che questa pagina del vangelo… non sapevano dove metterla, così che in taluni codici antichi era inserita nel vangelo di Luca, in altri in quello di Giovanni, in altri non c’era proprio – mentre era nota e accolta dai Padri latini come Ambrogio, Girolamo, Agostino (che pensava fosse stata censurata perché ritenuta troppo indulgente con le donne). Ne hanno discusso perfino al Concilio di Trento che ne difese la canonicità – cioè il fatto che, ovunque fosse collocata, era un pezzo del vangelo!».

Anche la collocazione che – alla fine – hanno scelto di dargli, però non è priva di interesse.

Siamo al capitolo ottavo del vangelo di Giovanni. Gesù si trova a Gerusalemme dove – come ci informa Gv 7,1-10 – è salito con i suoi fratelli per la festa delle Capanne. Nonostante vi si fosse recato «non apertamente, ma quasi di nascosto» (7,10) – dato che dopo l’ultima volta che vi era stato «non voleva più percorrere la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo» (7,1) – suscita subito un certo vespaio: «I Giudei intanto lo cercavano durante la festa e dicevano: “Dov’è quel tale?”. E la folla, sottovoce, faceva un gran parlare di lui. Alcuni infatti dicevano: “È buono!”. Altri invece dicevano: “No, inganna la gente!”. Nessuno però parlava di lui in pubblico, per paura dei Giudei» (7,11-13).

In mezzo a questo rincorrersi di voci e pareri sul suo conto, Gesù pensa bene di recarsi al Tempio e mettersi ad insegnare (7,14): «I Giudei ne erano meravigliati e dicevano: “Come mai costui conosce le Scritture, senza avere studiato?”» (7,15); altri dicevano: «Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, eppure non gli dicono nulla. I capi hanno forse riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia» (7,25-27); fino a giungere al commento dell’evangelista stesso, che dopo i vari tentativi di risposta di Gesù, annota: «Cercavano allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora» (7,30).

La situazione si ripete diverse volte, fino all’ultimo giorno della festa, quando sacerdoti e farisei sgridano le guardie per non aver condotto da loro Gesù in catene: «“Perché non lo avete condotto qui?”. Risposero le guardie: “Mai un uomo ha parlato così!”. Ma i farisei replicarono loro: “Vi siete lasciati ingannare anche voi? Ha forse creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!”. Allora Nicodèmo, che era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: “La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?”. Gli risposero: “Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!”. E ciascuno tornò a casa sua» (7,45-53).

Proprio a questo punto inizia il nostro capitolo 8, con Gesù che si reca «verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro » (8,1-2). È a questo punto che scribi e farisei gli conducono la povera donna «sorpresa in flagrante adulterio» (8,4), che – come ormai dovrebbe essere chiaro – non è affatto il centro del brano, non è il problema dei farisei, ma mero espediente per colpire Gesù: «La posero in mezzo e gli dissero: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo» (8,4-6).

Gioco antico, questo del sacrificio del piccolo, del povero, del diverso, della donna, dello straniero, per logiche di potere altre… antico e però ancora molto attuale. Gioco, il cui capro espiatorio è necessariamente un signor “nessuno”, senza volto, senza nome, senza storia, senza possibilità di parola. Capro espiatorio che per forza deve essere “nessuno”, perché se fosse “qualcuno”, potrebbe esserci chi lo riconosce, chi lo reclama come suo, chi lo difende… Questa donna invece non è nessuno. Nessuno dice come si chiama, chi sono i suoi genitori, chi era suo marito e perché lo tradiva (molte donne nella Palestina del tempo erano lapidate come adultere perché, in realtà, violentate dai soldati romani – ma contro Roma i farisei non si mettevano…), se aveva figli a casa che la aspettavano… Niente: un mero espediente anonimo per arrivare a “stanare” Gesù – minaccia del potere costituito.

Concretamente, la trappola che viene ordita per metterlo in scacco è quella di infilarlo in una strada senza via d’uscita, «nella tenaglia tra la legge e la coscienza (la coscienza della mente e del cuore): o Gesù disprezza la legge e invita a non osservarla, oppure consente all’uccisione dell’adultera, rinunciando alla sua stessa umana esperienza di amico misericordioso dei peccatori, venuto per guarirli, non certo per eliminarli. I peccatori, almeno così gravi, andavano stroncati o no?

La donna è posta in mezzo – come peccatrice”: la legge e i suoi difensori pongono al centro dell’attenzione anzitutto il peccato, e così chiudono il peccatore nella sua gabbia di impotenza.

Scribi e farisei sono spinti non semplicemente da una legge, ma da un meccanismo che ha tenuto insieme la società per millenni, scaricando l’aggressività dei singoli e dei gruppi nell’espulsione dei diversi, nei processi e conseguenti roghi di streghe o eretici o zingari od omosessuali… o peccatori, comunque. Si ricompatta così la coesione, scaricando le forze centrifughe e disgreganti che covano in ogni aggregazione sociale sul presunto aggressore… La loro domanda a Gesù è chiaramente coinvolgente: vogliono il consenso di Gesù per una coesione omicida in questa esecuzione collettiva! Il peccato infatti è flagrante. La peccatrice è già condannata : Ma tu, sei d’accordo o no? Gesù si china, in qualche modo si sottrae alla tenaglia della domanda. Apre un altro orizzonte. Un sentiero sull’acqua? Qualcosa del genere, perché scrive sulla pietra (erano nel tempio lastricato!)… Cosa sta scrivendo? Forse vuol dire soltanto che quello che è scritto nella legge è scritto ancora sui cuori di pietra… insensibili all’amore e al perdono, impietriti nel passato. Ma quelli insistono ad esigere una risposta. Allora Gesù li spinge a scavare dentro di sé anzitutto la falsità della loro coesione contro il peccato di lei… poiché tutti, anche loro, siamo sepolcri imbiancati. Come possiamo partecipare alla condanna capitale di chi è come noi? Non sono loro, giusti, di fronte ad una peccatrice: ma tutti sono peccatori, di fronte a peccatori… Lei è solo l’anello debole della catena del peccato. Chi peccava con lei è tra loro, impunito! E le pietre cadono loro dalle mani! La donna rimane al centro, ma non è più “la peccatrice”, ma soltanto una donna ferita e spaurita, e forse anche sbalordita, dall’accaduto».

Non solo tutti se ne sono andati, ma lei, da quel giovane uomo saggio che scriveva per terra, non era stata considerata nessuno, ma qualcuno. Quello sconosciuto l’aveva guardata con uno sguardo diverso da quello con cui tutti gli altri uomini la guardavano. Davvero aveva aperto una strada nel mare, come diceva Isaia.

Gesù con una semplice frase, infatti, ha costretto gli astanti a prendere coscienza che quella che loro consideravano una donna-fantoccio, senza alcuna consistenza umana (senza storia, senza nome, senza relazioni…), utile per il loro fine di mettere in scacco Gesù, in realtà è qualcuno. “Lei” è un volto, un corpo, una storia, contro cui (se ancora lo si vuol fare) lanciare, a titolo personale, però, e non nascosti nella mischia, una sassata, che deturperebbe quel volto, macchierebbe di sangue quel corpo, porrebbe fine a quella storia… Da caso legale anonimo a persona a cui è ridonata la pienezza della sua umanità riconosciuta.

Alla fine «non è rimasto nessuno… dunque non c’era un giusto in quella folla di paladini della giustizia, che potesse lanciare per primo la pietra»… Proprio come noi… che così spesso ci dimentichiamo che custodiamo, proprio come il peggiore dei peccatori che biasimiamo, il pungiglione del male conficcato nella carne.

Infatti tra quelli, un giusto, «veramente c’era… l’unico rimasto con lei! Ma era colui che aveva detto che il compimento vero della legge era di non giudicare né condannare mai nessuno, ma essere misericordiosi come il Padre. Gesù ci ha insegnato, infatti, che ognuno di noi peccatori, smette di giudicare gli altri quando comincia a giudicare se stesso, ed ogni condanna sugli altri è il tentativo drammatico di nascondere la trave nel nostro occhio, che ci autocondanna».

Quegli uomini, a partire dai più anziani, in quel momento l’hanno capito… le parole di Gesù hanno come bruciato questo meccanismo del giudizio sull’altro che lo sottrae, nel nostro orizzonte, al considerarlo carne della mia carne.

Ma Gesù vuole che nemmeno lei si condanni, ma si apra alla fede nel perdono, che «è sapere che c’è un momento, uno sguardo, un brivido di attesa e di angoscia … nel quale sei solo di fronte a te stesso… e lui non ti rimprovera (come tutti fanno, anche fossero così gentili da stare zitti... e andarsene, senza condannarti!). Perché in quel momento sono io che condanno me stesso, senza rimedio – ed è il giudizio più “desolante” – che lascia più soli! Ma lui è lì, e non ti condanna: “Donna, nessuno ti ha condannato? Neanch’io ti condanno!”».

La riapre così alla vita: la donna, secondo la legge, era adultera e andava punita. «Secondo Gesù è anzitutto “donna” … e bisogna aiutarla a riprendersi in mano il suo futuro. E questo la legge non può capirlo. Ma il “Giusto” la difende (“Per il giusto non c’è legge!”, dirà Giovanni della croce). È venuto infatti… “a proclamare ai prigionieri la liberazione, e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi…”(Lc 4,18). Noi usiamo dire che la fede è l’adesione ai dogmi che ci vengono insegnati. Ma la fede è soprattutto questa apertura verso il futuro, a cui Gesù la invita».

Perché: «Perdonare è dare (e ricevere!) la possibilità di ricominciare la vita» (don Michele Do).

 

Un’ultima cosa… il capitolo ottavo di Giovanni – dopo che sulla scena ricompaiono dei “loro” a cui Gesù rivolge nuovamente la parola e fa un lungo discorso (8,12-58), che si conclude con la pretenziosa frase «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono» – finisce così: «Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui» (8,59)…
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