La parabola
Canterò per il mio diletto il mio cantico d'amore per la sua vigna… L’amore tra uomo e donna e l’amore per la vigna, intrecciati in questo canto di Isaia, sono tra le figure bibliche più espressive dell’amore di Dio per gli uomini. Gesù li riprende in questa parabola dolorosa, che a differenza delle due precedenti parabole della vigna, è riportata con rilievo anche da Marco e da Luca, forse perché segna un crinale senza ritorno nel percorso messianico di Gesù: è lui, il figlio, il centro della tragedia preannunciata! Nella sua vita di giovane profeta itinerante, Gesù aveva annunciato il vangelo con un’autorevolezza sconosciuta, aveva compiuto segni e opere inspiegabili senza l’intervento e il favore di Dio… Eppure, dopo tre anni, sente crescere sempre più l’ostilità dei capi e dei sacerdoti… e anche il popolo, che lo stimava per il suo messianismo fatto di tenerezza e misericordia, si allontana da lui, man mano che coglie il suon rifiuto di divenire un messia politico, e si avvia invece decisamente sulla strada pericolosa della denuncia inerme, senza compromessi con il potere. Con la conseguenza, come lui stesso predice ai discepoli più intimi, che verrà travolto e spazzato via dalla coalizione dei poteri politici economici e religiosi, che si sentono minacciati – paradossalmente minacciati, ed hanno ragione! da questa “bella notizia”: che Dio ci ama gratis! di un amore che consiste proprio in questo: che lui ci ama per primo, senza condizioni. E accettare questo amore, vuol dire amare i fratelli come lui ci ha amati (1 Gv 1,10). Questo davvero avrebbe sconvolto la logica del potere nel mondo!
Il fallimento dell’amore
Nelle sue notti di preghiera solitaria, nell’amarezza dell’incomprensione, nello sperimentare tanto rifiuto per odio o paura, nella delusione per lo sfaldarsi di innumerevoli approcci di amore e amicizia offerti a tanti uomini e donne, che sembrava avessero colto il dono smisurato che passava a loro attraverso di lui… gli nasce in cuore l’angoscia del fallimento! Il peggiore che può capitare, il fallimento dell’amore. Perché è il fallimento di tutto! Chi ha visto questa ombra di angoscia negli occhi di amici e conoscenti, nei rapporti tra marito e moglie, tra figli e genitori, nei grovigli della vita comunitaria… chi sta per cedere, nei momenti bui dell’esaurirsi della vita, alla sensazione devastante di aver ormai consumato ogni speranza, intuisce cosa voglia dire questo abisso in cui Gesù sta precipitando, lui che, per di più (a differenza di noi!), è totalmente innocente: Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha fatto uva selvatica? Come mai l’amore, riproposto infinite volte nei modi più appassionati e disinteressati… non funziona? E perché la paura, l’egoismo, la competizione… lo soffocano, appena germoglia?
La delusione di Dio
Cosa fare, ora? Gesù riprende il tema antico del difficile rapporto dell’uomo con Dio, narrato nella storia biblica, con tutti gli innumerevoli tentativi di Dio di farsi ascoltare dagli uomini, di attirarli al suo amore, nella sua Alleanza... Racconta di quella vigna antica, una bella vigna, curata e accudita che di più è impossibile, ma dove è avvenuto troppe volte quello che non doveva avvenire. L’impatto di una incomunicabilità inaspettata, la tragica storia della ribellione dei fittavoli, il rifiuto e l’assassinio dei profeti… sfociano in uno scoramento indicibile. Il mistero della delusione di Dio, l’onnipotente! Nel racconto di Gesù, però, il dolore immenso non paralizza l’amore, che in Isaia, sentendosi rifiutato, reagisce disperatamente (e la vigna è abbandonata e va in rovina!), ma aumenta la passione e la ricerca di sempre nuovi espedienti e interventi di riconquista della vigna… Fino al dramma impensabile – nella pienezza del tempo! – di mandare il suo stesso Figlio. Il Padre, provocato dal rifiuto degli uomini, rivela il suo mistero più intimo: non la giusta inarrestabile rivendicazione dei suoi diritti, ma la sua… umiltà disarmata, l’ostinata invincibile inermità dell’amore, pronta a cadere ingenuamente in una trappola imprevista, l’eliminazione dell’erede e l’usurpazione della vigna! Ma questo, nella parabola, serve per mettere in luce la malvagità irriconoscente del ragionamento degli uomini. Di fatto, nella storia, è per esprimere la logica inarrestabile dell’amore. Non c’è rifiuto, né violenza, né minaccia che può fermare l’amore. Perché l’amore ha già da sempre messo in conto la sorte peggiore, che è la morte (non c’è amore più grande che dare la vita!). Ecco perché l’amore appare sempre ingenuo e perdente e addirittura peggiora la situazione, esponendosi alla possibilità di veder uccidere anche il Figlio.
Le pietre scartate
A differenze di altre parabole che esigono spiegazioni, questa, traspira una così esplicita e appassionata reazione che evidenzia immediatamente il suo obiettivo chiarissimo. I capi e i sacerdoti, ai quali è indirizzata, capiscono bene che si tratta di loro, s’indignano e vorrebbero subito eliminare Gesù (avverando così la parabola), se non godesse ancora il favore del popolo. Secondo Matteo, Gesù fa pronunciare a loro stessi la propria condanna: che cosa farà a quei vignaioli?… La risposta è obbligata: farà perire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri! Questa è la loro sorte di usurpatori e assassini! È questo, infatti, il codice perverso della “normale giustizia umana” che, per eliminare il male, lo aumenta ancora, uccidendo chi ha ucciso. Ma non è il codice dell’amore divino! Nel quale, invece, la “punizione” è sempre salvifica. Vuole rompere i lacci di morte con i quali l’uomo si è incatenato e aprirgli nuove strade di salvezza.
S’illumina così l’incredibile paradosso evangelico: il castigo dei vignaioli perfidi ripercorre il modulo della sorte del figlio del padrone della vigna. Davvero nel suo sacrificio di amore (è gettato fuori della vigna che veniva a salvare ed eliminato come una pietra scartata), il peccato degli uomini viene trasformato in modulo salvifico. Lui è l’amore innocente rifiutato, ma d’ora in poi chiunque sarà scartato e gettato via dagli uomini (anche per un amore sbagliato) diventa con lui membro di diritto del Regno del Padre. Ma ancor più paradossalmente, gli stessi assassini, una volta “giustamente” buttati fuori anche loro e spossessati della vigna, diventeranno anche loro pietre scartate, pronte per scoprire ed accogliere (finalmente!) l’umile disarmata ma invincibile “potenza” dell’amore (Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno!). Questa sarà la sorpresa finale dell’amore manifestato in Cristo: che è stato gettato “fuori” dalla vigna, dal tempio, dal sabato, dalla legge…appeso al legno maledetto e seppellito in fretta, per non contaminare la Pasqua (è il colmo, perché è lui la Pasqua!). Ma diventa il primogenito del nuovo popolo di “scartati” ai quali sarà affidata la vigna e che la faranno fruttificare. La vigna era prima affidata ai grandi del popolo, sacerdoti, scribi e farisei, che hanno tradito l’Alleanza, rifiutando e uccidendo il Figlio.
Al tempo di Gesù il significato della parabola era chiaro. Ma non bisogna equivocarla pensando che i loro eredi siano perciò i cristiani, come chiesa, in quanto sostituti del popolo ebraico. Così si svuota la parabola, limitandone il riferimento alla classe dirigente di Israele. Ma non sarebbe nel Nuovo Testamento se non riguardasse anche la chiesa (von Balthassar). Dunque rimane per noi l’annuncio che il metodo di Dio, quello usato con il Figlio suo, è sempre lo stesso. Usa le pietre scartate da noi (quelle respinte violentemente o subdolamente eliminate dalla nostra convivenza) per costruire anche oggi la sua chiesa e salvare l’umanità. La parabola rinnova per noi (come per gli uditori di Gesù) una specie di ultima ancora di salvezza. Mentre il nostro mondo occidentale implode su se stesso a livello tecnologico, economico e progettuale (cioè politico) la nostra chiesa è tentata da uno sterile ritorno al passato, e noi consumiamo le energie a difenderci e accusarci secondo la logica devastante delle istituzioni che decadono, rischiamo di perdere la sintonia profetica con il futuro che il vangelo ci insegna. Il futuro si costruisce sempre con le pietre scartate da noi!
E il Padre… come ha fatto con il figlio suo, ancora va a raccogliere nei campi di profughi di ogni razza, nelle periferie delle metropoli, nelle schiere di esiliati o diffidati di ogni istituzione civile o ecclesiale, nelle fosse comuni dove sono sepolti i grandi misfatti della storia…i suoi poveri. Loro sono i nuovi fittavoli fidati, magari neanche consapevoli della storia di questa parabola… Ma nella loro carne si ripete il mistero di Cristo Gesù.
Canterò per il mio diletto il mio cantico d'amore per la sua vigna… L’amore tra uomo e donna e l’amore per la vigna, intrecciati in questo canto di Isaia, sono tra le figure bibliche più espressive dell’amore di Dio per gli uomini. Gesù li riprende in questa parabola dolorosa, che a differenza delle due precedenti parabole della vigna, è riportata con rilievo anche da Marco e da Luca, forse perché segna un crinale senza ritorno nel percorso messianico di Gesù: è lui, il figlio, il centro della tragedia preannunciata! Nella sua vita di giovane profeta itinerante, Gesù aveva annunciato il vangelo con un’autorevolezza sconosciuta, aveva compiuto segni e opere inspiegabili senza l’intervento e il favore di Dio… Eppure, dopo tre anni, sente crescere sempre più l’ostilità dei capi e dei sacerdoti… e anche il popolo, che lo stimava per il suo messianismo fatto di tenerezza e misericordia, si allontana da lui, man mano che coglie il suon rifiuto di divenire un messia politico, e si avvia invece decisamente sulla strada pericolosa della denuncia inerme, senza compromessi con il potere. Con la conseguenza, come lui stesso predice ai discepoli più intimi, che verrà travolto e spazzato via dalla coalizione dei poteri politici economici e religiosi, che si sentono minacciati – paradossalmente minacciati, ed hanno ragione! da questa “bella notizia”: che Dio ci ama gratis! di un amore che consiste proprio in questo: che lui ci ama per primo, senza condizioni. E accettare questo amore, vuol dire amare i fratelli come lui ci ha amati (1 Gv 1,10). Questo davvero avrebbe sconvolto la logica del potere nel mondo!
Il fallimento dell’amore
Nelle sue notti di preghiera solitaria, nell’amarezza dell’incomprensione, nello sperimentare tanto rifiuto per odio o paura, nella delusione per lo sfaldarsi di innumerevoli approcci di amore e amicizia offerti a tanti uomini e donne, che sembrava avessero colto il dono smisurato che passava a loro attraverso di lui… gli nasce in cuore l’angoscia del fallimento! Il peggiore che può capitare, il fallimento dell’amore. Perché è il fallimento di tutto! Chi ha visto questa ombra di angoscia negli occhi di amici e conoscenti, nei rapporti tra marito e moglie, tra figli e genitori, nei grovigli della vita comunitaria… chi sta per cedere, nei momenti bui dell’esaurirsi della vita, alla sensazione devastante di aver ormai consumato ogni speranza, intuisce cosa voglia dire questo abisso in cui Gesù sta precipitando, lui che, per di più (a differenza di noi!), è totalmente innocente: Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha fatto uva selvatica? Come mai l’amore, riproposto infinite volte nei modi più appassionati e disinteressati… non funziona? E perché la paura, l’egoismo, la competizione… lo soffocano, appena germoglia?
La delusione di Dio
Cosa fare, ora? Gesù riprende il tema antico del difficile rapporto dell’uomo con Dio, narrato nella storia biblica, con tutti gli innumerevoli tentativi di Dio di farsi ascoltare dagli uomini, di attirarli al suo amore, nella sua Alleanza... Racconta di quella vigna antica, una bella vigna, curata e accudita che di più è impossibile, ma dove è avvenuto troppe volte quello che non doveva avvenire. L’impatto di una incomunicabilità inaspettata, la tragica storia della ribellione dei fittavoli, il rifiuto e l’assassinio dei profeti… sfociano in uno scoramento indicibile. Il mistero della delusione di Dio, l’onnipotente! Nel racconto di Gesù, però, il dolore immenso non paralizza l’amore, che in Isaia, sentendosi rifiutato, reagisce disperatamente (e la vigna è abbandonata e va in rovina!), ma aumenta la passione e la ricerca di sempre nuovi espedienti e interventi di riconquista della vigna… Fino al dramma impensabile – nella pienezza del tempo! – di mandare il suo stesso Figlio. Il Padre, provocato dal rifiuto degli uomini, rivela il suo mistero più intimo: non la giusta inarrestabile rivendicazione dei suoi diritti, ma la sua… umiltà disarmata, l’ostinata invincibile inermità dell’amore, pronta a cadere ingenuamente in una trappola imprevista, l’eliminazione dell’erede e l’usurpazione della vigna! Ma questo, nella parabola, serve per mettere in luce la malvagità irriconoscente del ragionamento degli uomini. Di fatto, nella storia, è per esprimere la logica inarrestabile dell’amore. Non c’è rifiuto, né violenza, né minaccia che può fermare l’amore. Perché l’amore ha già da sempre messo in conto la sorte peggiore, che è la morte (non c’è amore più grande che dare la vita!). Ecco perché l’amore appare sempre ingenuo e perdente e addirittura peggiora la situazione, esponendosi alla possibilità di veder uccidere anche il Figlio.
Le pietre scartate
A differenze di altre parabole che esigono spiegazioni, questa, traspira una così esplicita e appassionata reazione che evidenzia immediatamente il suo obiettivo chiarissimo. I capi e i sacerdoti, ai quali è indirizzata, capiscono bene che si tratta di loro, s’indignano e vorrebbero subito eliminare Gesù (avverando così la parabola), se non godesse ancora il favore del popolo. Secondo Matteo, Gesù fa pronunciare a loro stessi la propria condanna: che cosa farà a quei vignaioli?… La risposta è obbligata: farà perire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri! Questa è la loro sorte di usurpatori e assassini! È questo, infatti, il codice perverso della “normale giustizia umana” che, per eliminare il male, lo aumenta ancora, uccidendo chi ha ucciso. Ma non è il codice dell’amore divino! Nel quale, invece, la “punizione” è sempre salvifica. Vuole rompere i lacci di morte con i quali l’uomo si è incatenato e aprirgli nuove strade di salvezza.
S’illumina così l’incredibile paradosso evangelico: il castigo dei vignaioli perfidi ripercorre il modulo della sorte del figlio del padrone della vigna. Davvero nel suo sacrificio di amore (è gettato fuori della vigna che veniva a salvare ed eliminato come una pietra scartata), il peccato degli uomini viene trasformato in modulo salvifico. Lui è l’amore innocente rifiutato, ma d’ora in poi chiunque sarà scartato e gettato via dagli uomini (anche per un amore sbagliato) diventa con lui membro di diritto del Regno del Padre. Ma ancor più paradossalmente, gli stessi assassini, una volta “giustamente” buttati fuori anche loro e spossessati della vigna, diventeranno anche loro pietre scartate, pronte per scoprire ed accogliere (finalmente!) l’umile disarmata ma invincibile “potenza” dell’amore (Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno!). Questa sarà la sorpresa finale dell’amore manifestato in Cristo: che è stato gettato “fuori” dalla vigna, dal tempio, dal sabato, dalla legge…appeso al legno maledetto e seppellito in fretta, per non contaminare la Pasqua (è il colmo, perché è lui la Pasqua!). Ma diventa il primogenito del nuovo popolo di “scartati” ai quali sarà affidata la vigna e che la faranno fruttificare. La vigna era prima affidata ai grandi del popolo, sacerdoti, scribi e farisei, che hanno tradito l’Alleanza, rifiutando e uccidendo il Figlio.
Al tempo di Gesù il significato della parabola era chiaro. Ma non bisogna equivocarla pensando che i loro eredi siano perciò i cristiani, come chiesa, in quanto sostituti del popolo ebraico. Così si svuota la parabola, limitandone il riferimento alla classe dirigente di Israele. Ma non sarebbe nel Nuovo Testamento se non riguardasse anche la chiesa (von Balthassar). Dunque rimane per noi l’annuncio che il metodo di Dio, quello usato con il Figlio suo, è sempre lo stesso. Usa le pietre scartate da noi (quelle respinte violentemente o subdolamente eliminate dalla nostra convivenza) per costruire anche oggi la sua chiesa e salvare l’umanità. La parabola rinnova per noi (come per gli uditori di Gesù) una specie di ultima ancora di salvezza. Mentre il nostro mondo occidentale implode su se stesso a livello tecnologico, economico e progettuale (cioè politico) la nostra chiesa è tentata da uno sterile ritorno al passato, e noi consumiamo le energie a difenderci e accusarci secondo la logica devastante delle istituzioni che decadono, rischiamo di perdere la sintonia profetica con il futuro che il vangelo ci insegna. Il futuro si costruisce sempre con le pietre scartate da noi!
E il Padre… come ha fatto con il figlio suo, ancora va a raccogliere nei campi di profughi di ogni razza, nelle periferie delle metropoli, nelle schiere di esiliati o diffidati di ogni istituzione civile o ecclesiale, nelle fosse comuni dove sono sepolti i grandi misfatti della storia…i suoi poveri. Loro sono i nuovi fittavoli fidati, magari neanche consapevoli della storia di questa parabola… Ma nella loro carne si ripete il mistero di Cristo Gesù.
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