In questa terza domenica di Avvento la liturgia ci propone ancora la figura del precursore: il protagonista del brano di Vangelo è infatti nuovamente Giovanni, il battezzatore. Rispetto alla domenica precedente però, siamo di fronte a una diversa tradizione evangelica: il testo di oggi infatti non è tratto dalla narrazione di Marco, ma da quella dell’evangelista Giovanni.
La cosa non è insignificante, perché il Quarto Vangelo ha una strutturazione a sé stante rispetto ai tre sinottici, dovuta non solo alla sua redazione posteriore, ma anche al fatto di delineare prospettive teologiche diverse. Questo si ripercuote anche su dati concreti della vicenda: per esempio Giovanni Battista e Gesù sembrano non conoscersi affatto, mentre Luca sostiene che erano parenti.
Ciò che però l’autore del Quarto Vangelo mette in campo come tratto distintivo del Battista, distinguendosi in questo dai sinottici, è il fatto che Giovanni più che come battezzatore sia dipinto come il testimone. Infatti «nella presentazione che di lui fa il quarto evangelista è ricordata sì la sua attività battesimale, ma non ci sono folle che vengono a farsi battezzare, e nemmeno c’è la predicazione morale che viene ricordata da Matteo e Luca. Il Battista è caratterizzato soltanto da una parola, è colui che rende testimonianza» (P. Pezzoli, in “Scuola della Parola 1997”).
Il discorso sarebbe da allargare ulteriormente perché la tematica della testimonianza nel Quarto Vangelo non ha a che fare solo col Battista, ma con tutto lo svolgimento della narrazione: quando infatti la figura di questo primo testimone andrà scemando all’interno del racconto, gliene subentrerà un’altra, quella del discepolo amato. E ancora: tutto il vangelo di Giovanni è inteso come una testimonianza per coloro che «non hanno visto. [...] Gesù – infatti – in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,29-31).
Se così fondamentale è questa funzione testimoniale e se così rilevante è la figura del Battista (tanto che la liturgia ce la propone per due domeniche consecutive), forse è allora proprio necessario tentare di soffermarsi sulla testimonianza che egli pone in campo.
Per avere una panoramica complessiva di questo personaggio del Quarto Vangelo, è utile allargare l’indagine non solo alle parole di Giovanni che riporta il brano della liturgia di questa domenica, ma anche a quelle che dice successivamente. Procedendo in questo modo, potremmo arrivare ad orchestrare i contenuti di questa testimonianza in tre blocchi:
Il primo è quello letto in Chiesa in questa terza domenica di Avvento. Siamo di fronte alla prima testimonianza del Battista, di cui l’evangelista sottolinea fortemente l’ufficialità. «Il Battista – infatti – deve sottostare a un interrogatorio vero e proprio davanti agli inviati della suprema autorità di Gerusalemme, il Sinedrio» (M. Laconi, in “Il racconto di Giovanni”).
Questa “commissione d’inchiesta” formata di sacerdoti, leviti e farisei, impersona l’altra figura tipica del Vangelo di Giovanni, che fa da contraltare proprio a quella del testimone: è la figura degli oppositori, dei contro-testimoni, di coloro cioè che – per dirla con Tommaso d’Aquino - «domandano per impedire, non per sapere»; e sono gli stessi che – in seguito – condanneranno Gesù.
Nello specifico però qui è Giovanni a confrontarsi con questo potere ostile che, come dicevamo, lo sottopone a un vero e proprio interrogatorio. Le domande incalzanti vertono in particolare sulla sua identità («Tu, chi sei? [...] Chi sei, dunque? Sei tu Elia? [...] Sei tu il profeta? [...] Chi sei? [...] Che cosa dici di te stesso?») e sul perché compia certi gesti («Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?»).
La perentoria risposta negativa del Battista («Non sono il Cristo. [...] No»), oltre ad avere l’ovvio scopo di evitare il rischio di “guardare il dito (Giovanni-testimone), mentre esso indicava invece il cielo (Gesù)”, nasconde forse anche una punta polemica. Come scrive ancora M. Laconi, infatti «il quarto vangelo, proprio mentre pone in risalto più degli altri vangeli la figura del Battista, ogni volta tuttavia sembra ridimensionarla. È il “mandato da Dio” ma “non è lui la luce” (1,68), il “testimone” del Cristo, ma non è il Cristo (1,20-23), l’“amico dello sposo”, ma non è lo sposo (3,27-30), la “lampada che arde e splende”, eppure la sua testimonianza non è determinante (5,33-36)... [...] È ragionevole ritenere che l’evangelista abbia di mira certe correnti religiose che, gravitando più o meno nell’orbita cristiana e appellandosi alla gigantesca figura del battista, lo consideravano “il profeta”, magari il Cristo stesso, e in certi casi lo contrapponevano a Gesù».
La prima testimonianza del Battista nel Vangelo va invece proprio in direzione opposta: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo» (Gv 1,26-27).
La seconda testimonianza, immediatamente successiva nella scansione evangelica, non ha più nulla di ufficiale, di drammatico, di polemico. Essa è rivolta a Israele: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele» (Gv 1,29-31). Oltre a ribadire il ruolo di subordinazione del testimone al testimoniato, questo testo fa un’aggiunta importante. Gesù è chiamato «Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo». La situazione pare ribaltata rispetto a quella precedente: non è più il “tribunale” dei Giudei che si erge giudice sul Battista, e di riflesso su Gesù; al contrario, è Gesù che si contrappone al peccato del mondo per toglierlo; dove “peccato” al singolare ha un valore teologico specifico: non si tratta tanto dei “peccati”, al plurale, dunque delle mancanze, delle debolezze, delle perversità dell’uomo, quanto piuttosto di una specie di “assoluto negativo” che si erge contro Gesù: il peccato è essenzialmente il suo rifiuto, il rifiuto della Vita. È dunque la morte per l’uomo (non solo fisica ovviamente), è la sua auto-distruzione: per questo è assoluto, perché con esso l’uomo non-c’è. «Ed è proprio da questa tragedia che, secondo il Battista, Gesù “agnello di Dio” è venuto a liberare il mondo» (M. Laconi). Tant’è che questa liberazione coincide con l’immersione nella Vita, nello Spirito di Vita che è Dio stesso. Non a caso infatti questa seconda testimonianza si conclude: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza [immerge] nello Spirito santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio» (Gv 1,32-34).
La terza testimonianza del Battista coincide con le ultime parole che egli pronuncia in tutto il Vangelo. Si trovano al capitolo 3 e suonano in questo modo: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: “Non sono io il Cristo”, ma: “Sono stato mandato avanti a lui”. Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (3,27-30). Fedele a queste sue parole, Giovanni in effetti “diminuirà”: da qui in avanti infatti – come detto – non dirà più una parola. Di fronte al tentativo (reale o fittizio poco importa) di suscitare invidia, gelosia e dunque competizione con Gesù, Giovanni risponde con quella gioia per il bene che capita all’altro, che solo chi ama può conoscere, senza ombra di amarezza, rivalità, inacidimento.
Come è ormai chiaro l’intento di Giovanni (Battista) e di Giovanni (evangelista che parla di lui in questi termini) è quello di relativizzare il testimone al testimoniato, di lasciare a quest’ultimo la scena, di suscitarne nel lettore l’attesa. Tramite Giovanni infatti è la decisività di Gesù che il Vangelo di questa domenica propone (non a caso siamo in Avvento, nella domenica detta anche Gaudete): «il Signore mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore». Questo è l’evento Gesù, questa è la Vita dell’uomo: chi ci crede non si chiude in sé compiacendo la paura; chi ci crede si apre senza residui nell’amore!
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