L’esperienza di Dio non viene mai per prima…
… prima viene Giovanni Battista! Non viene subito la luce. Prima viene il testimone della luce. Che non vuol essere frainteso. Non è lui la luce, anche se l’uomo storicamente e psicologicamente è portato a identificare subito il segno con la realtà indicata dal segno. L’uomo ha bisogno di camminare di segno in segno, perché questo è il cantiere antropologico, l’immenso alveo culturale nel quale l’uomo nasce e cresce, e rende “umano” tutto quello che è ‘nostro’: materia, anima e spirito, come dice Paolo! Ma l’uomo tradisce la sua umanità quando si ferma al livello corporeo, che pure è la sua piattaforma, o a livello psichico, che è la struttura ove nasce la conoscenza e il desiderio, e neanche al livello spirituale, che pure è lo spazio supremo della libertà e dell’amore... La meta finale (il Dio misterioso e sconosciuto!), presentata di colpo, lo acceca o lo spaventa… o lo illude, come tante volte ha sperimentato il popolo di Israele. Il cammino storico avviene lentamente a passi incerti, nel deserto, verso la terra promessa, che si intravvede da lontano… La tentazione è di scordarsi della meta finale e appropriarsi delle mete intermedie, che così diventano ostacoli, trappole o idoli. Questo è il messaggio centrale di Giovanni, che continua a contrastare ogni identificazione di sé con il Cristo.
… Giovanni era da Dio o dagli uomini? (Mt 21,23)
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Dunque è mandato da Dio, ma era un uomo! “… tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista… La Legge e tutti i Profeti infatti hanno profetato fino a Giovanni". Con Giovanni succede qualcosa di nuovo, secondo i vangeli, nel cammino culturale dell’umanità. “… dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono " (Mt 11,11ss). Non solo dunque un salto di qualità inaudito, mai immaginato nella storia delle religioni , ma un atto di forza, di rottura, atteso e profetizzato, ma impensabile per come è avvenuto: Dio, che aveva già parlato, nei tempi antichi, molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo … Non più dunque un segno, per quanto eccelso, non più gesti sacramentali portatori di salvezza, non sacrifici o comportamenti graditi a Dio… “ in questi giorni Dio ha parlato per mezzo del Figlio fine e principio di tutte le cose!" (Eb 1,1s)
In mezzo a noi sta uno che voi non conoscete!
… Giovanni è la voce che grida nel deserto: In mezzo a voi c’è uno sconosciuto, e non ve ne accorgete… È necessario leggere il seguito del brano per capire il dramma di Giovanni, mentre sta annunciando l’evento centrale della storia, la presenza di Dio stesso nell’umiltà della nostra materia e della nostra vita. Anche lui è coinvolto in questa ignoranza, in questa distanza interiore, di fronte a questa inaccessibile presenza che si è fatta interna alla storia e all’intimo dell’uomo, ma soltanto con un balzo di violenza si lascia conoscere: io non lo conoscevo! Non è questione di virtù od ascesi, anche se Giovanni insiste che bisogna assolutamente prepararsi! Ma occorre soprattutto “convertire la mente”, cambiare completamente la propria idea di Dio, perché la nostra non è l’idea che Dio ha di sé! Se no, vediamo tanto di noi stessi, niente di Dio. Non incontriamo affatto un Dio Onnipotente che viene con gloria e con potenza. Ci è mostrato invece “l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”. È inaudito! Un agnello condotto al macello è il segno di riconoscimento del Messia che deve liberare il popolo e tutta l’umanità dal giogo dell’oppressione e del peccato. Non è una nuova figura indicativa, una metafora. Giovanni è sicuro: “… colui che mi ha inviato a battezzare l’aveva detto… e io ho visto il segno, la colomba scendere e rimanere su di lui!". Una pace portata agli uomini a prezzo di sangue. Mentre Giovanni lo battezza Gesù, quando lo guarda passare, quando lo indica ai propri discepoli come l’Agnello, si illuminano nel suo cuore i versetti di Isaia, meditati e pregati e “non compresi” per una vita: egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori … il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. (53,4ss). Io non lo conoscevo, appunto!. Nessuno avrebbe potuto riconoscere un messia così.
I criteri di Isaia
Ora è chiaro perché ogni forma di culto, di rito, di legge, di istituzione, ogni guida che si proponga di condurre a Dio, per essere riconosciuta come profetica (capace di individuare Dio nella storia e condurci ad un’esperienza autentica di lui!), deve essere sottoposta “prima” al vaglio dei criteri di Isaia. La presenza dello Spirito è rivelata nella ricomposizione armonica delle sofferenze dell’uomo: se gli afflitti, i poveri, i piagati, gli schiavi, i prigionieri… sono consolati… qui c’è Dio. Così farà rispondere Gesù a Giovanni… descrivendogli la sua vita e la sua opera in mezzo alla gente (Mt 11,4)! Così è la lettura della storia che Maria canta nel Magnificat. Ma proprio qui si rivela il sorprendente rovesciamento delle attese dell’uomo religioso. Non si tratta dell’eliminazione magica e indolore del male nel mondo, né dell’adempimento del desiderio sempre storicamente insoddisfatto dell’uomo, ma della sua presa in carico, secondo l’altro criterio fondamentale del profeta: egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori… Si può togliere, dunque, il male del mondo solo caricandoselo sulle proprie spalle. Solo un dio può farlo! Proprio questa è la testimonianza suprema di Giovanni: Io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio.
L’esperienza cristiana
… detto questo, il testimone sa che la sua funzione è compiuta: ha avviato i suoi discepoli a divenire discepoli del Signore (Figlio di Dio), vedere dove abita, parlare con lui, capire chi è…! (Gv 1,38ss) Ha inizio l’esperienza cristiana. La spinta è sempre il desiderio di salvezza, che è alla base dell’anelito religioso dell’uomo, il fondamento della religione popolare. Ma l’esperienza cristiana è il contrario: è il desiderio rovesciato! Non è l’esaudimento del mio desiderio di potenza o di sopravvivenza! È conoscere e accogliere il desiderio di Dio su di me, manifestato in Gesù di Nazareth e lasciarmene trasformare. Non è ancora (né mai in questa terra!) esperienza diretta di Dio, ma sempre di un Altro che ti chiama a trasformare i tuoi desideri… Anche per il cristiano diventano dirimenti i criteri di Isaia, avverati in Gesù. L’esperienza di Israele, che arriva al suo culmine in Giovanni Battista, rimane paradigmatica e irrinunciabile: Dio è inconoscibile, introvabile, ogni segno (presente) è segno del suo mistero inaccessibile. Neanche il nome si può pronunciare, per evitare il pericolo di credere che qualcosa di lui sia sperimentabile, se non la sua assenza! Appena credi di averlo trovato (nei patriarchi, nella terra promessa, nella legge, nella casata di Davide, nel tempio…) tutto sparisce ai tuoi occhi e svuota il tuo cuore, che anela inutilmente a possedere il contenuto del segno… E allora il Messia deve ancora incessantemente venire?! Il messaggio di Giovanni ha interrotto questa attesa interminabile! Se vuoi incontrare Dio, devi seguire Gesù il Cristo ed entrare dietro a lui nei criteri di Isaia: non è importante la tua sofferenza, ma la sofferenza dell’A/altro, a cominciare dal più povero. Non è importante il tuo desiderio, ma il desiderio dell’A/altro, a cominciare dal più prossimo a te! La lotta tra il nostro desiderio e il desiderio del Signore (la lotta tra il cantiere antropologico, che è il laboratorio dell’affermazione di sé - e il germoglio del progetto di Dio che vi è seminato dentro) è come l’amore tra l’uomo e la donna (Is 61,10). L’amore non si esaurisce nella complementarietà sessuale. Ma nel riconoscimento progressivo, gioioso e doloroso, della inevitabile discordanza dei desideri femminili e maschili. Così l’amore evangelico non si esaurisce nell’appagamento dei desideri umani da parte di Dio (l’acqua della samaritana), ma nello scoprire e accogliere, non spegnere, i desideri trasformanti dello Spirito. Non si tratta di una super-morale, ma di una proposta personale (al mio desiderio) di contro/desideri che facciano della vita un’offerta, una consegna di sé per amore. La libertà nasce in questo intervello che emerge nel guazzabuglio del cantiere umano di ciascuno, tra la pressione psicofisica e socio istituzionale che ci avvinghia e ci condiziona e la chiamata dello Spirito di Gesù che geme in noi. In questo intervallo s’affina la preghiera, cresce la maturità cristiana, si apre la porta della mistica – dove il più piccolo è più grande di Giovanni.
… prima viene Giovanni Battista! Non viene subito la luce. Prima viene il testimone della luce. Che non vuol essere frainteso. Non è lui la luce, anche se l’uomo storicamente e psicologicamente è portato a identificare subito il segno con la realtà indicata dal segno. L’uomo ha bisogno di camminare di segno in segno, perché questo è il cantiere antropologico, l’immenso alveo culturale nel quale l’uomo nasce e cresce, e rende “umano” tutto quello che è ‘nostro’: materia, anima e spirito, come dice Paolo! Ma l’uomo tradisce la sua umanità quando si ferma al livello corporeo, che pure è la sua piattaforma, o a livello psichico, che è la struttura ove nasce la conoscenza e il desiderio, e neanche al livello spirituale, che pure è lo spazio supremo della libertà e dell’amore... La meta finale (il Dio misterioso e sconosciuto!), presentata di colpo, lo acceca o lo spaventa… o lo illude, come tante volte ha sperimentato il popolo di Israele. Il cammino storico avviene lentamente a passi incerti, nel deserto, verso la terra promessa, che si intravvede da lontano… La tentazione è di scordarsi della meta finale e appropriarsi delle mete intermedie, che così diventano ostacoli, trappole o idoli. Questo è il messaggio centrale di Giovanni, che continua a contrastare ogni identificazione di sé con il Cristo.
… Giovanni era da Dio o dagli uomini? (Mt 21,23)
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Dunque è mandato da Dio, ma era un uomo! “… tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista… La Legge e tutti i Profeti infatti hanno profetato fino a Giovanni". Con Giovanni succede qualcosa di nuovo, secondo i vangeli, nel cammino culturale dell’umanità. “… dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono " (Mt 11,11ss). Non solo dunque un salto di qualità inaudito, mai immaginato nella storia delle religioni , ma un atto di forza, di rottura, atteso e profetizzato, ma impensabile per come è avvenuto: Dio, che aveva già parlato, nei tempi antichi, molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo … Non più dunque un segno, per quanto eccelso, non più gesti sacramentali portatori di salvezza, non sacrifici o comportamenti graditi a Dio… “ in questi giorni Dio ha parlato per mezzo del Figlio fine e principio di tutte le cose!" (Eb 1,1s)
In mezzo a noi sta uno che voi non conoscete!
… Giovanni è la voce che grida nel deserto: In mezzo a voi c’è uno sconosciuto, e non ve ne accorgete… È necessario leggere il seguito del brano per capire il dramma di Giovanni, mentre sta annunciando l’evento centrale della storia, la presenza di Dio stesso nell’umiltà della nostra materia e della nostra vita. Anche lui è coinvolto in questa ignoranza, in questa distanza interiore, di fronte a questa inaccessibile presenza che si è fatta interna alla storia e all’intimo dell’uomo, ma soltanto con un balzo di violenza si lascia conoscere: io non lo conoscevo! Non è questione di virtù od ascesi, anche se Giovanni insiste che bisogna assolutamente prepararsi! Ma occorre soprattutto “convertire la mente”, cambiare completamente la propria idea di Dio, perché la nostra non è l’idea che Dio ha di sé! Se no, vediamo tanto di noi stessi, niente di Dio. Non incontriamo affatto un Dio Onnipotente che viene con gloria e con potenza. Ci è mostrato invece “l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”. È inaudito! Un agnello condotto al macello è il segno di riconoscimento del Messia che deve liberare il popolo e tutta l’umanità dal giogo dell’oppressione e del peccato. Non è una nuova figura indicativa, una metafora. Giovanni è sicuro: “… colui che mi ha inviato a battezzare l’aveva detto… e io ho visto il segno, la colomba scendere e rimanere su di lui!". Una pace portata agli uomini a prezzo di sangue. Mentre Giovanni lo battezza Gesù, quando lo guarda passare, quando lo indica ai propri discepoli come l’Agnello, si illuminano nel suo cuore i versetti di Isaia, meditati e pregati e “non compresi” per una vita: egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori … il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. (53,4ss). Io non lo conoscevo, appunto!. Nessuno avrebbe potuto riconoscere un messia così.
I criteri di Isaia
Ora è chiaro perché ogni forma di culto, di rito, di legge, di istituzione, ogni guida che si proponga di condurre a Dio, per essere riconosciuta come profetica (capace di individuare Dio nella storia e condurci ad un’esperienza autentica di lui!), deve essere sottoposta “prima” al vaglio dei criteri di Isaia. La presenza dello Spirito è rivelata nella ricomposizione armonica delle sofferenze dell’uomo: se gli afflitti, i poveri, i piagati, gli schiavi, i prigionieri… sono consolati… qui c’è Dio. Così farà rispondere Gesù a Giovanni… descrivendogli la sua vita e la sua opera in mezzo alla gente (Mt 11,4)! Così è la lettura della storia che Maria canta nel Magnificat. Ma proprio qui si rivela il sorprendente rovesciamento delle attese dell’uomo religioso. Non si tratta dell’eliminazione magica e indolore del male nel mondo, né dell’adempimento del desiderio sempre storicamente insoddisfatto dell’uomo, ma della sua presa in carico, secondo l’altro criterio fondamentale del profeta: egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori… Si può togliere, dunque, il male del mondo solo caricandoselo sulle proprie spalle. Solo un dio può farlo! Proprio questa è la testimonianza suprema di Giovanni: Io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio.
L’esperienza cristiana
… detto questo, il testimone sa che la sua funzione è compiuta: ha avviato i suoi discepoli a divenire discepoli del Signore (Figlio di Dio), vedere dove abita, parlare con lui, capire chi è…! (Gv 1,38ss) Ha inizio l’esperienza cristiana. La spinta è sempre il desiderio di salvezza, che è alla base dell’anelito religioso dell’uomo, il fondamento della religione popolare. Ma l’esperienza cristiana è il contrario: è il desiderio rovesciato! Non è l’esaudimento del mio desiderio di potenza o di sopravvivenza! È conoscere e accogliere il desiderio di Dio su di me, manifestato in Gesù di Nazareth e lasciarmene trasformare. Non è ancora (né mai in questa terra!) esperienza diretta di Dio, ma sempre di un Altro che ti chiama a trasformare i tuoi desideri… Anche per il cristiano diventano dirimenti i criteri di Isaia, avverati in Gesù. L’esperienza di Israele, che arriva al suo culmine in Giovanni Battista, rimane paradigmatica e irrinunciabile: Dio è inconoscibile, introvabile, ogni segno (presente) è segno del suo mistero inaccessibile. Neanche il nome si può pronunciare, per evitare il pericolo di credere che qualcosa di lui sia sperimentabile, se non la sua assenza! Appena credi di averlo trovato (nei patriarchi, nella terra promessa, nella legge, nella casata di Davide, nel tempio…) tutto sparisce ai tuoi occhi e svuota il tuo cuore, che anela inutilmente a possedere il contenuto del segno… E allora il Messia deve ancora incessantemente venire?! Il messaggio di Giovanni ha interrotto questa attesa interminabile! Se vuoi incontrare Dio, devi seguire Gesù il Cristo ed entrare dietro a lui nei criteri di Isaia: non è importante la tua sofferenza, ma la sofferenza dell’A/altro, a cominciare dal più povero. Non è importante il tuo desiderio, ma il desiderio dell’A/altro, a cominciare dal più prossimo a te! La lotta tra il nostro desiderio e il desiderio del Signore (la lotta tra il cantiere antropologico, che è il laboratorio dell’affermazione di sé - e il germoglio del progetto di Dio che vi è seminato dentro) è come l’amore tra l’uomo e la donna (Is 61,10). L’amore non si esaurisce nella complementarietà sessuale. Ma nel riconoscimento progressivo, gioioso e doloroso, della inevitabile discordanza dei desideri femminili e maschili. Così l’amore evangelico non si esaurisce nell’appagamento dei desideri umani da parte di Dio (l’acqua della samaritana), ma nello scoprire e accogliere, non spegnere, i desideri trasformanti dello Spirito. Non si tratta di una super-morale, ma di una proposta personale (al mio desiderio) di contro/desideri che facciano della vita un’offerta, una consegna di sé per amore. La libertà nasce in questo intervello che emerge nel guazzabuglio del cantiere umano di ciascuno, tra la pressione psicofisica e socio istituzionale che ci avvinghia e ci condiziona e la chiamata dello Spirito di Gesù che geme in noi. In questo intervallo s’affina la preghiera, cresce la maturità cristiana, si apre la porta della mistica – dove il più piccolo è più grande di Giovanni.
1 commento:
Dove il più piccolo è più grande di Giovanni. Quì sta davvero il nocciolo della cristianità. Ma quanto cammino l'uomo deve ancora percorrere! Quanta fatica e quanti smussamenti, se non addirittura demolizioni, sulla propria mentalità egocentrica, sul proprio desiderio di affermazione. Ma è una sfida da affrontare con coraggio, con entusiasmo: Cristo ci ha passato il testimone, che a nostra volta passeremo ad altri. Grazie, Giuly, per la bella riflessione sul Vangelo di domenica scorsa! Danila
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