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venerdì 19 dicembre 2008

Maria, la discepola chiamata a essere madre

In questa quarta domenica del tempo di Avvento la liturgia, che la Chiesa ci propone, ci porta vicinissimi al mistero del Natale. Ciò che verrà ri-narrato in quel momento è infatti anticipato dalle letture di questa ultima domenica di attesa, nell’annuncio a Maria dell’evento della nascita di un figlio.
Bisogna sottolineare, che anche a livello letterario, il brano di questa domenica è strettamente legato a quello che leggeremo a Natale. Entrambi infatti appartengono alla stessa sezione narrativa, comprendente i cosiddetti “racconti dell’infanzia”.
Per comprendere bene questi testi, evitando soprattutto di farne una lettura ingenua e semplicistica, è utile perciò dare qualche indicazione sulla loro composizione, sull’obiettivo di chi li ha scritti e sul loro senso.
Innanzitutto è necessario ricordare come solo il Vangelo di Matteo e quello di Luca, contengano questa sezione, chiamata abitualmente “Vangelo dell’infanzia”: Marco e Giovanni iniziano invece i loro Vangeli narrando di Gesù già trentenne.Ma anche Matteo e Luca – che pure parlano entrambi di Gesù da bambino – non danno lo stesso resoconto dei fatti: è un’operazione errata perciò tentare di mettere insieme gli eventi narrati dai due evangelisti e – a partire da questo – tentare di ricostruire, anche cronologicamente, un’ipotesi realistica di come sono andati i fatti. Come scrive infatti il biblista don Bruno Maggioni «bisogna resistere alla facile tentazione di unificare i dati dei due evangelisti nel tentativo di offrire una successione verosimile degli avvenimenti. Meglio raccontarli rispettando l’originalità di ciascuno» (in “I personaggi della natività”, Ancora 2004).

Prima però di addentrarci nel particolare punto di vista di Luca, Autore con la sua comunità del Vangelo omonimo, da cui è tratto il brano dell’annunciazione, è utile dare ancora qualche indicazione preliminare. I racconti dell’infanzia infatti non vanno trattati come resoconti storici dell’infanzia di Gesù. Essi non sono e tanto meno intendono essere una cronaca delle vicende di Gesù bambino! Essi sono piuttosto testi teologici. Come scrive ancora il Biblista appena citato «i racconti dell’infanzia sono testimonianza a Cristo, e non solo (e non tanto) semplici ricordi storici. Gli evangelisti non hanno l’intenzione di raccontare la biografia di Gesù bambino. Attraverso i fatti che raccontano, intendono invece mostrarne già la missione e la vera identità. Sono, appunto, testimonianze, formatesi alla luce della fede e dell’esperienza di Pasqua. Questo non impedisce, sia ben chiaro, che in essi si nascondano diversi ricordi storici».
Non fantasie dunque, non storielle, ma dati storici reali ricostruiti e organizzati però con uno scopo teologico: prefigurare nell’infanzia il destino, l’identità, la vita di Gesù. Non a caso questi “vangeli dell’infanzia” sono stati gli ultimi ad essere stati scritti: infatti, come anche per la letteratura non religiosa, «non è mai l’infanzia degli eroi ad attrarre, in un primo tempo, l’attenzione dei biografi, ma la loro vita da adulti, le imprese che li imposero all’ammirazione di tutti; e se, in un secondo tempo, lo sguardo si spinge sino all’infanzia, è quasi sempre per il desiderio di trovarvi già i segni prefiguratori del loro destino».
Ma veniamo al nostro testo. Siamo nell’ambito del Vangelo di Luca. Dicevamo che esso, pur avendo dati comuni a quello di Matteo (fidanzamento fra Maria e Giuseppe, l’adozione legale di Gesù da parte di Giuseppe e quindi l’appartenenza di Gesù alla stirpe di Davide, Nazareth e Betlemme, la verginità di Maria e la nascita di Gesù per opera dello Spirito), ha però rispetto ad esso anche molte differenze. In particolare e soprattutto è la prospettiva ad essere differente: Matteo infatti racconta i fatti dal punto di vista di Giuseppe, Luca dal punto di vista di Maria. In più Luca ha una modalità di organizzazione del materiale (proveniente dalla tradizione) davvero originale e geniale: egli porta avanti come un confronto tra Gesù e il Battista. Dopo la breve introduzione (Lc 1,1-4) infatti egli presenta gli eventi dell’infanzia dei due fanciulli in parallelo: l’annuncio a Zaccaria della nascita del Battista (Lc 1,5-25) – l’annuncio a Maria della nascita di Gesù (Lc 1,26-38); il confronto fra le due madri (Lc 1,39-56); la nascita di Giovanni Battista (Lc 1,57- 80) – la nascita di Gesù (Lc 2,1-21).
Non è possibile dunque comprendere il testo di questa quarta domenica d’Avvento, se non mettendolo in parallelo con quanto lo precede: l’annuncio a Zaccaria della nascita del Battista. È proprio dal confronto tra questi due eventi e tra il modo in cui essi sono narrati, che fa emergere la particolarità della persona di Gesù.
E interessante sarà notare come, delle due, la storia del Figlio di Dio sarà quella laica, profana, semplice, non quella religiosa, sacra e grandiosa!
Quando infatti Luca racconta di Zaccaria che riceve l’annuncio della nascita di un figlio, lo fa presentando sostanzialmente un quadro agiografico: la narrazione si apre infatti con la presentazione di Zaccaria ed Elisabetta, descritti come «giusti agli occhi di Dio, osservanti in modo irreprensibile tutti i comandamenti e i precetti del Signore»; tutta questa perfezione religiosa però è sterile, infeconda, «non avevano figli». Mentre però Zaccaria «esercitava le sue funzioni sacerdotali davanti a Dio nel turno della sua classe, gli toccò in sorte, secondo l’usanza del servizio sacerdotale, di entrare nel santuario per offrire l’incenso» e lì «gli apparve l’angelo del Signore» con l’annuncio: «Tua moglie darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Giovanni». Il contesto è perciò grandioso e solenne: nel tempio, durante la solennità di una liturgia, con protagonista un sacerdote nell’esercizio della sua funzione.
Di Maria invece non è detto nulla di straordinario, né dal punto di vista sociale – è semplicemente una «ragazza promessa sposa di un uomo della casa di Davide di nome Giuseppe» – né dal punto di vista morale– di lei si dice solo che si chiamava Maria. Anche il luogo in cui avviene questo annuncio è – a differenza del tempio – un luogo normalissimo, quotidiano, semplice: «una città della Galilea, chiamata Nazareth» (città che le Scritture neppure conoscono), probabilmente in casa, dato che dell’angelo si dice che «entrò».
Già questo alternarsi di grandezza e piccolezza, solennità e semplicità, sacralità e profanità, lascia intravedere i tratti nuovi e inconfondibili del Dio di cui Gesù è Figlio. Come scrive ancora Maggioni infatti: «Nell’annuncio a Zaccaria il divino si mostra con tratti di grandiosità e solennità, ma proprio per questo si mostra con un volto normale che non sorprende. Nell’annuncio a Maria il divino si mostra nella più assoluta semplicità, nella quotidianità, e proprio per questo svela un volto inatteso e sorprendente. Da una parte, l’uomo entra nella casa di Dio, dall’altra, Dio entra nella casa dell’uomo».
Il confronto tra Zaccaria e Maria prosegue poi con il fatto che, dopo lo sconvolgimento e il turbamento e dopo il rispettivo «Non temere», pongono entrambi all’angelo una domanda; Zaccaria chiede «Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni»; e similmente Maria: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le due domande, molto simili nella formulazione, ricevono però due reazioni diverse da parte dell’angelo: Zaccaria è rimproverato come incredulo («non hai creduto alle mie parole»), Maria riceve invece una spiegazione e un segno, il concepimento di Elisabetta, dalla quale non a caso andrà subito dopo la dipartita dell’angelo («L’angelo le rispose: “Lo Spirito santo scenderà su di te... Ecco anche Elisabetta ha concepito un figlio...»). Questo forse proprio perché l’uno è sacerdote – l’esperto nelle cose di Dio – mentre l’altra è “solo” una giovane donna laica...
Fatto sta che è lei ad emergere come “vincente” nel confronto, così come lo sarà suo figlio, rispetto a quello di Zaccaria!
Forse per le nostre orecchie è ormai abbastanza scontato sentir dire che il Dio di Gesù predilige i piccoli, i semplici, gli umili... E dunque non ci fa più tanto effetto, non tocca più la nostra capacità di sorprenderci e dunque di convertirci... Ma se provassimo a dire la stessa cosa con gli elementi di questo testo, se ci accorgessimo cioè che il Dio di Gesù non solo predilige i piccoli ai grandi, i semplici ai grandiosi, gli umili ai potenti, ma anche le donne agli uomini, i laici ai sacerdoti, il profano al sacro, i giovani ai vecchi... forse la reazione sarebbe un po’ meno scialba... qualche super-cattolico, forse, arriverebbe addirittura a dissentire da Gesù! Ad altri, forse, si aprirebbero un po’ gli occhi, soprattutto dal punto di vista dell’impostazione della vita ecclesiale...
Ma torniamo a Maria...
Ciò che di lei è infatti stupefacente, non è solo il fatto che emerga come “vincente” dal confronto col Battista, ma ciò che questo significa, ciò che questo dice dell’identità di Dio! Dà il senso di questa novità del suo volto una poesia di Frances Croake, intitolata “Consacrazione”: Tra gli animali, nell’umido freddo buio di una stalla, / dopo il dolore, il sangue e il nascere; / Maria guardò il bambino che giaceva tra le sue braccia / e disse: «Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue». / Nelle ombre della brulla collina del Calvario, / dopo il dolore, il sangue e il morire; / Maria guardò il corpo spezzato tra le sue braccia / e disse: «Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue». / È proprio così che disse a lui allora. / E voi, aridi vecchi uomini, / che contraffate la sterilità in broccati, / ordinate che lei non possa dirlo a lui ora.
È questo impastarsi di Dio nel mondo, nel sangue, nel dolore, nel nascere e nel morire, il volto nuovo di Dio che Gesù rivela! Non è un’umiliazione moralistica (non vuol proclamare il valore della piccolezza), non è un’umiliazione pedagogica (insegnarci a essere umili), ma – per parlare nei termini della teologia metafisica – è un’umiliazione ontologica: uno scegliere di essere così, non per finta, non per un momento, non per prova! È piuttosto la risposta di Dio alla domanda: “Chi sono io?”!
Ed è interessante che nel rispondere a questa domanda Dio abbia “bisogno” dell’uomo; o meglio, che scelga di non poter decidere di sé, senza decidersi con l’uomo; di non poter dire chi è Lui, senza insieme dire chi è l’uomo, chi sono io! Storicamente questo è avvenuto nel prendere carne di Gesù nel corpo di una donna!
Ecco perché non soddisfa più dire di lei che è una madre che si fa discepola – come se l’immischiarsi di Dio (in Gesù) con l’uomo arrivasse in seconda battuta; ella è piuttosto una discepola chiamata a essere madre, madre di Dio, dice la Chiesa dopo il Concilio di Efeso (431 d.C.), chiamata cioè a lasciar dire a Dio di sé in lei e con lei. Senza Maria, Gesù non sarebbe stato Gesù. Senza Maria ne va di Gesù. Senza il decidere di noi in Gesù e con Gesù, che fa di ciascuno di noi se stesso, ne va di Dio!

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