La "questione morale" ormai non riguarda più solo l’uno o l’altro politico, l’uno o l’altro partito, ma l’intera politica italiana. Perciò, più che insistere sulla cronaca dei fatti e nel deprecarli, occorre chiederci perché certi episodi si verificano e come restituire un’anima alla politica.
Infatti, anche la politica ha un’anima: gli ideali e i valori, su cui si fondano le scelte e a cui s’ispirano i politici che le compiono. Se la politica (o il partito o il politico) perde l’anima, muore, marcisce e si decompone. Vengono da qui gli scandali, la corruzione, l’anteporre l’interesse particolare o personale al bene comune, l’intreccio tra mafia, affari e poteri pubblici, la partitocrazia, i metodi meschini di lotta politica, fatta di colpi bassi, di insinuazioni, di delazioni, di volgarità.
Quando questo avviene – e in Italia avviene – vuol dire che la politica è morta. Se poi questo avviene in un partito, come il Pd, che vorrebbe presentarsi come "nuovo", vuol dire che non è ancora nato o che è nato morto.
È urgente, dunque, affrontare la "questione morale" sul terreno dove affonda le radici: sul piano dei valori, nelle istituzioni, ma soprattutto nella "casta" dei politici intramontabili.
In primo luogo, vanno recuperati i valori etici e ideali, oggi offuscati. Ciò non dovrebbe essere impossibile, visto che essi sono richiamati esplicitamente dalla nostra Costituzione. Ripartiamo dunque dalla Costituzione! Non basta, però, ribadirli in astratto. Bisogna cercare piste concrete per tradurli in pratica. E ciò va fatto insieme, senza che qualcuno si chiuda nel rifiuto di collaborare e di dialogare, che porterebbe solo a irrigidimenti sterili e controproducenti.
Nello stesso tempo che si recuperano gli ideali e i valori, occorre rinnovare i canali della partecipazione democratica. L’interruzione del dialogo con la gente è un altro aspetto, gravissimo, della morte della politica. Ecco perché non è possibile risolvere la "questione morale", senza le necessarie riforme istituzionali.
Ancora una volta, però, queste riforme (dalla scuola alla giustizia, al federalismo) vanno fatte d’accordo e non a colpi di maggioranze mutevoli; altrimenti nasceranno morte, perché generate da una politica senz’anima. Tuttavia, il passaggio decisivo per risolvere la "questione morale" resta il rinnovamento della classe dirigente.
Non esistono politici intramontabili, uomini per tutte le stagioni. Senza togliere nulla ai meriti di quelli di ieri, occorrono politici nuovi, spiritualmente motivati e professionalmente preparati. È questione di vita o di morte.
La "questione morale" non si risolverà finché la politica non si aprirà veramente all’apporto di energie nuove, pulite e competenti, finché la comunità civile non si riapproprierà della partecipazione attiva alla politica, di cui è stata espropriata dalla "casta".
E il cristiano? La "questione morale" lo interpella due volte, come cittadino e come credente. Perciò, mentre si impegnerà con tutti gli uomini di buona volontà per restituire un’anima alla politica, si sforzerà di precederli con un limpido esempio di stile evangelico: «Operare secondo una logica di servizio al bene comune, quindi con umiltà e mitezza, competenza e trasparenza, lealtà e rispetto verso gli avversari, preferendo il dialogo allo scontro, rispettando le esigenze del metodo democratico, sollecitando il consenso più largo possibile per l’attuazione di ciò che obiettivamente è un bene per tutti» (Cei, Con il dono della carità dentro la storia, 2006, n. 33).
Infatti, anche la politica ha un’anima: gli ideali e i valori, su cui si fondano le scelte e a cui s’ispirano i politici che le compiono. Se la politica (o il partito o il politico) perde l’anima, muore, marcisce e si decompone. Vengono da qui gli scandali, la corruzione, l’anteporre l’interesse particolare o personale al bene comune, l’intreccio tra mafia, affari e poteri pubblici, la partitocrazia, i metodi meschini di lotta politica, fatta di colpi bassi, di insinuazioni, di delazioni, di volgarità.
Quando questo avviene – e in Italia avviene – vuol dire che la politica è morta. Se poi questo avviene in un partito, come il Pd, che vorrebbe presentarsi come "nuovo", vuol dire che non è ancora nato o che è nato morto.
È urgente, dunque, affrontare la "questione morale" sul terreno dove affonda le radici: sul piano dei valori, nelle istituzioni, ma soprattutto nella "casta" dei politici intramontabili.
In primo luogo, vanno recuperati i valori etici e ideali, oggi offuscati. Ciò non dovrebbe essere impossibile, visto che essi sono richiamati esplicitamente dalla nostra Costituzione. Ripartiamo dunque dalla Costituzione! Non basta, però, ribadirli in astratto. Bisogna cercare piste concrete per tradurli in pratica. E ciò va fatto insieme, senza che qualcuno si chiuda nel rifiuto di collaborare e di dialogare, che porterebbe solo a irrigidimenti sterili e controproducenti.
Nello stesso tempo che si recuperano gli ideali e i valori, occorre rinnovare i canali della partecipazione democratica. L’interruzione del dialogo con la gente è un altro aspetto, gravissimo, della morte della politica. Ecco perché non è possibile risolvere la "questione morale", senza le necessarie riforme istituzionali.
Ancora una volta, però, queste riforme (dalla scuola alla giustizia, al federalismo) vanno fatte d’accordo e non a colpi di maggioranze mutevoli; altrimenti nasceranno morte, perché generate da una politica senz’anima. Tuttavia, il passaggio decisivo per risolvere la "questione morale" resta il rinnovamento della classe dirigente.
Non esistono politici intramontabili, uomini per tutte le stagioni. Senza togliere nulla ai meriti di quelli di ieri, occorrono politici nuovi, spiritualmente motivati e professionalmente preparati. È questione di vita o di morte.
La "questione morale" non si risolverà finché la politica non si aprirà veramente all’apporto di energie nuove, pulite e competenti, finché la comunità civile non si riapproprierà della partecipazione attiva alla politica, di cui è stata espropriata dalla "casta".
E il cristiano? La "questione morale" lo interpella due volte, come cittadino e come credente. Perciò, mentre si impegnerà con tutti gli uomini di buona volontà per restituire un’anima alla politica, si sforzerà di precederli con un limpido esempio di stile evangelico: «Operare secondo una logica di servizio al bene comune, quindi con umiltà e mitezza, competenza e trasparenza, lealtà e rispetto verso gli avversari, preferendo il dialogo allo scontro, rispettando le esigenze del metodo democratico, sollecitando il consenso più largo possibile per l’attuazione di ciò che obiettivamente è un bene per tutti» (Cei, Con il dono della carità dentro la storia, 2006, n. 33).
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