E allora, inizio con una confidenza… sono ormai tre anni che faccio questo “mestiere”, di scrivere tutte le domeniche una riflessione sulle letture che la Chiesa ci offre: e siccome è ricominciato il ciclo liturgico, ogni tanto vado indietro a rivedere cosa avevo scritto tre anni prima e ogni tanto “attingo”… Forse qualcuno se ne sarà accorto, ma è stato così caro da non farmelo notare.
In occasioni come queste, poi, quelle in cui le letture non si ripetono ogni tre anni, ma ogni anno – come è appunto per il Tempo di Natale – il materiale su cui “sbirciare” è ancora maggiore…
Per cui – se qualcuno ha bisogno di una meditazione più sofisticata – vada pure a rivedere i miei scritti degli anni scorsi… Ma oggi mi va di fare così: lasciar perdere tutti gli “spiegoni” belli e necessari che andrebbero fatti e concentrarmi su un punto solo: la frase di Paolo che ci dice che cosa siamo qui a fare: «ci ha scelti per essere santi e immacolati nell’amore».
A scanso di equivoci, lo dico subito: non vuol dire irreprensibili e senza macchia nelle cose del sesso, come mi sono accorta certi pensavano quando io citavo questa frase (una delle mie preferite), ma, anzi, tutto il contrario.
Il bello di questa frase infatti – e il motivo per cui mi piace anche spesso citarla – è quello che – se la dici bene – riesci a creare un effetto scaravoltante nell’interiorità della gente. Noi infatti quando sentiamo che dobbiamo essere santi e immacolati, non ci scuotiamo nemmeno di un millimetro: è la morale che da sempre ci sentiamo ripetere dagli altri e abbiamo noi stessi ripetuto ad altri… che bisogna essere bravi, che bisogna comportarsi bene, che non bisogna fare il male, soprattutto quello che – appunto – ha qualcosa a che vedere col sesso, perché – si sa – lì c’è qualcosa di particolarmente grave… e bisogna fare così o non fare cosà perché poi ci sarà un giudizio, per cui non bisogna “sporcare” l’anima, bisogna arrivare lindi all’appuntamento (da cui l’importanza di confessarsi, almeno prima di morire) e così meritarsi il paradiso, o, per lo meno, riuscire a evitare l’inferno…
E se vi sembra una lettura un po’ canzonatoria o ridicolizzante, avete ragione… ma il dramma è che è quella più diffusa tra la gente normale, anche quella dotta… quando la gente pensa al cristianesimo, pensa a questo: una morale, con le sue leggi, i suoi divieti, le sue sanzioni, i suoi premi, il suo giudice, la sua bilancia, ecc…
E infatti lo si vive così: senza saper rendere ragione del perché non si debba fare il male ma piuttosto il bene e proponendo come unico tentativo di argomentazione quello dell’inferno e il paradiso…
Solo che ormai non ci crede più nessuno (perché, a differenza dei primi 1600 anni dell’epoca cristiana, in cui il problema era andare in paradiso, perché si dava per scontata l’esistenza di Dio, oggi il problema – direi il dramma umano – è se Dio c’è o no) e così viviamo o facendo tutto quello che per i nostri nonni era assolutamente da evitare (perché se poi Dio non c’è non vorremmo aver sprecato l’occasione), o tentando di fare gli equilibristi tra “lo faccio” / “non lo faccio”, perché se poi magari è vera la storia dell’inferno, è meglio andar sul sicuro: per cui “lo faccio, ma con moderazione”…
Un parallelismo interessante: se Dio c’è, dobbiamo castrarci la vita; se non c’è, possiamo godercela… come se Dio fosse il Dio della morti-ficazione della vita e la sua assenza, la possibilità della vita… strana sorte per quello che voleva essere un lieto annuncio…
Ecco… io credo che questo in sintesi renda bene l’idea di ciò che percepiamo quando sentiamo la frase di Paolo, per cui dobbiamo essere santi e immacolati: se Dio c’è, addio Vita…
Ma se – con Paolo – diciamo «santi e immacolati nell’amore»…
ecco lo scaravoltamento! Si apre tutta un’altra prospettiva (che a me pare quella autenticamente evangelica): bisogna essere irreprensibili e senza macchia non nella morale (comunemente intesa) ma nella donazione del nostro amore, nella nostra capacità di custodia, di dedizione, di tenerezza, di cura, di fedeltà… nella determinata determinazione di dare il primato al volto dell’altro, di fare spazio perché l’altro ci stia, di dare la vita per lui, chiunque esso sia… insomma di fare ciò di cui davvero il nostro cuore ha sete (perché questo c’è davvero nelle profondità di ciascuno… amare ed essere amati, tanto da poter offrire/trovare due braccia tra cui morire), ma che spesso soffochiamo per paura, disillusione, ritorsioni, rancori, ferite… dedicandoci ad altro e distraendoci, in altre faccende affaccendati.
Invece, questa è la buona notizia che Gesù è venuto a rivelare («Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato»), che se Dio c’è, non c’è più bisogno di salvarsi la vita da soli (a scapito degli altri) o di spremerla fino in fondo per godersela il più possibile (a scapito degli altri)… perché se c’è Lui, la tiene in mano Lui… abilitandomi a dedicarmi a ciò che c’è di più bello, che è volere bene!
Ecco lo scarto, rispetto all’altra visione… che qui, quando c’è Dio, c’è la Vita («In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini»)… e che il bene (che è sempre il “volere bene”, cioè l’amarsi!) – e non il male – è bello, rende la vita bella, ci fa più uomini/donne dilatati interiormente (che è la nuova morale riscritta da Gesù… un’anti-morale perché non ha nessun principio o paletto che sta sopra alla faccia dell’altro, che proprio per la sua unicità è non-racchiudibile in un codice legale, perché è sempre “una storia a sé”)!
L’anno scorso concludevo la lectio su questi stessi testi (intitolata “Buon anno”), con queste parole: «Il modo di salvarci di questo Dio fatto uomo è quello di farci figli: “Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore è la mia eredità”, “Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo”, “A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”.
Molti sono i modi in cui potremmo arrivare ad immaginare la salvezza che un dio può portare agli uomini e molti sono i modi in cui i cristiani stessi la pensano… ciascuno di essi rispecchia l’immagine del dio che ha in testa… Allo stesso modo, la scelta di salvarci, rendendoci figli, dice molto su chi sia Colui che questa salvezza l’ha pensata (e attuata!).
Purtroppo molto spesso l’uomo tra tutte le cose che pensa di dio, non arriva ad immaginarlo come Padre (molto più frequentate sono infatti le figure del “padrone”, del “dominatore”, del “soggiogatore”, in versioni più o meno evidenti); ma purtroppo molto spesso persino i cristiani, che dovrebbero fondare la loro fede sul vangelo, che non fa altro che ripetere precisamente la buona notizia che Dio è Padre, se la scordano e reintroducano le stesse figure pagane di un dio che semplicemente è altro da quello rivelato da Gesù.
Ma più radicalmente ancora, il problema sembra essere quello per cui anche chi incontra davvero questa buona notizia, fatica a convertirsi ad essa… a mantenerla salda in cuore… a tornare sempre a farci affidamento… La paura di un’orfanità in cui spesso ci sentiamo abbandonati e il gelo che essa fa scorrere per la spina dorsale sembra spesso prevalere… tornando a farci “vivere” da schiavi… imbruttiti dal timore della morte e dalla paura dell’altro che me la può dare…
In questo tetro scenario sentir risuonare la parola del Prologo di Giovanni, «A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio», diventa come un caldo balsamo che penetra i nostri terrori e apre scenari nuovi, riallarga gli orizzonti, dona ossigeno all’anima: un mondo fatto di figli… fratelli…
Chissà se riusciremo a dargli credito… per quest’anno… è il mio augurio più caro».
Non so se son stata capace di vivere così quest’anno… quest’anno terribile che mi ha portato via mio fratello, provocandomi un’emorragia di umanità che non si arresta mai e che impedisce di percorrere le vie di prima per arrivare a dar credito alla Vita (servirà scavare nuovi pozzi…); ma vorrei finire il 2010 (dato che oggi che scrivo è il 31 dicembre) e iniziare il 2011 (dato che domenica sarà già il 2 gennaio) con le sue parole semplici, che hanno dissotterrato dai cuori di tante persone il lieto annuncio che dove c’è Dio c’è la Vita e che quindi «l’emorragia di umanità si cura con in reinvestimento dell’esistenza», passando in questa vita col deliberato unico scopo «di alzare il tasso d’amore nel mondo», imparando sempre «ad amare di più»… per essere santi e immacolati nell’amore!
Con i suoi auguri di un tempo, che però, proprio per il bene che c’è passato dentro, è sempre:
Carissimi fratelli e sorelle (che nutrite qualche dubbio…)
Adesso vedo, se mai riesco a dire,
almeno per Natale,
quanto vorrei confidarvi tutto l’anno.
Se per caso qualche dubbio vi è venuto,
che io, ormai, vivo lontano,
e forse neanche mi ricordo più di voi,
perché troppo indaffarato in altre faccende,
intrappolato in altre relazioni,
affascinato da altri volti…
beh!… proprio vi sbagliate!
Se pensate invece che, con infinita trepidazione,
vi so affidati ad altre sollecitudini,
collocati in altre mansioni del mondo e della chiesa,
che io guardo da lontano con riconoscenza, il vostro lavoro,
e che solo grazie a voi io posso fare il mio…
beh!… proprio avete ragione
[…]
C’è rimasta una sola parola, forse,
che ci comprende tutti:
e non discrimina mai:
“fraternità”.
Per questo con me ci siete anche voi!
[Giuliano]
6 commenti:
Vero: ci fai "compagnia" e la tua lectio è l'attesa di qualcosa di nuovo o di vecchio che riproponi ogni settimana. E' l'attesa della "bella notizia" anche attraverso le parole del nostro fratello Giuliano. Ed allora il pensiero corre all'indietro, avendo timore di guardare avanti, come se affrontare il domani fosse faticoso e poi... ripensi ai tanti incontri belli e brutti e aspetti con curiosità e speranza il nuovo tempo, il nuovo giorno, i nuovi incontri o quelli già incontrati rivestiti di nuovo. Un abbraccio
"Auguri a chi ama dormire ma si sveglia sempre di buon umore, a chi saluta ancora con un bacio, a chi lavora molto e si diverte di più, a chi arriva in ritardo ma non inventa scuse, a chi si alza presto per aiutare un amico, a chi ha l'entusiasmo di un bimbo e i pensieri di un uomo, a chi spegne la televisione per fare due chiacchiere, a chi vede nero solo quando è buio, a chi non aspetta il nuovo anno per essere migliore. Che il nuovo anno possa concretizzare i tuoi sogni e fare spazio per quelli nuovi". E' un augurio di una persona speciale detto da lei è una pagina di Vangelo e mi piace condividerlo con tutti voi.
Buon Anno, Chiara! La tua riflessione è bellissima come al solito ed il saluto-augurio di Giuliano semplicemente straordinario. Non ce lo dimenticheremo mai e considero un dono del Padre averlo conosciuto: tu ce lo fai rivivere tanto da sentirlo ancora al nostro fianco. Grazie! Greg50
Non ho più letto alcuna tua lectio: spero tu stia bene, magari hai troppi impegni. Però mi ( e penso ci) mancano le tue riflessioni. A Presto. Greg50
Immagino intendessi me e non chia che è più costante e non perde un colpo.
Per quanto mi riguarda, io... mi censuro!
Ciao Mario, sarà così, ma nel blog che vedo io l' ultimo intervento di Chiara è del 31-12-11: ho forse qualche versione 'vecchia' blog? Grazie dell' eventuale aiuto. Greg50
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