Il vangelo che la Chiesa ci offre in questa terza domenica di Avvento, fa nuovamente riferimento alla figura di Giovanni Battista, anche se – ovviamente – tratta un episodio diverso rispetto a quello narrato settimana scorsa.
In quell’occasione, volutamente, ho preferito non concentrarmi sul precursore, per poter oggi – grazie a questo secondo brano che affianca quello (Mt 3,1-12) – affrontare il discorso con una completezza maggiore.
Siamo al capitolo 11 del vangelo di Matteo; sono quindi “passati” 8 capitoli rispetto al battesimo di Gesù: 8 capitoli nei quali i due cugini hanno avuto destini diversi. Giovanni è finito in carcere a causa della sua predicazione, che creava problemi al potere costituito; mentre Gesù ha iniziato la sua vita pubblica (a questo punto del vangelo ha infatti già annunciato l’approssimarsi del Regno, chiamato i discepoli, compiuto guarigioni, fatto il famoso discorso della montagna e quello missionario… ha già avuto le prime discussioni…); addirittura – per l’evangelista Marco – il momento dell’arresto dell’uno, ha coinciso con l’inizio dell’attività dell’altro («Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio», Mc 1,14), tanto che secondo Giovanni – l’evangelista –, Giovanni – il Battezzatore – avrebbe detto: «Lui deve crescere; io, invece, diminuire», Gv 3,30.
È proprio dopo questi 8 capitoli, che hanno segnato, per i due, una storia così diversa, che sulla scena irrompe la domanda di Giovanni Battista che manda a Gesù i suoi discepoli per chiedergli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».
La domanda non è banale… In Israele al tempo di Gesù c’era una forte attesa messianica e Giovanni da subito aveva individuato in Gesù il compimento di questa attesa (Mt 3 e paralleli)… Eppure ora, dopo 8 capitoli, è un po’ dubbioso… Perché? In che cosa Gesù non lo convince molto come messia?
Per intuirlo è interessante andare a rileggersi l’idea di Dio (e quindi di messia) che ha in testa Giovanni, quella che si può trovare nella II parte del vangelo di settimana scorsa – la “predica” di Giovanni (Mt 3,7-12: «Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: “Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile») e confrontarla con la vita di Gesù narrata nei primi 10 capitoli del vangelo di Matteo… dei quali, basti un assaggio: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste», Mt 5,43-48.
È interessante, perché si vede subito che l’idea di Dio dei due cugini non è precisamente la stessa… anzi…
Per quanto Giovanni aspetti il messia e lo riconosca in Gesù, quest’ultimo nel suo proporsi è sempre sorprendente… non prevedibile, inedito! E questo a volte mette in crisi, perché rompe gli schemi… ed è così per tutti… «Qui, [infatti] il problema del Messia non è più quello del popolo che si converte, alla voce di Giovanni, mentre i maestri e i capi lo rifiutano, ed Erode, prima affascinato, è poi travolto nella logica di morte dalla quale non riesce a togliersi… Il problema è di Giovanni stesso. Proprio lui, il più preparato ad accoglierlo, la cui missione è di preparatore degli altri. Ma anche per Giovanni, quando il Messia s’avvicina, la sua vera identità è sorprendente, inaspettata – anche per lui, come poi per Maria, come per tutti i discepoli, Gesù è il messia, il figlio del Dio vivente, dirà Pietro… ma non come l’aspettavano! E questa è la vera fonte dei nostri guai di fede! Il Signore non è ovvio, non è prevedibile coi criteri miracolosi che ci hanno detto: è sempre inaspettato – sempre, per tutti! Giovanni aveva atteso e predicato, sulla scia di antiche profezie, un Potente che battezza con Spirito e fuoco…una scure incombente alle radici dell’umanità in attesa. Occorre convertirsi subito, o sarà la fine! Ma arriva un Mite, che si mischia coi poveri e i peccatori, li perdona senza castigo, si autoinvita a casa loro…» [Giuliano].
Giovanni si aspettava il Dio della potenza, il Dio giudice, il Dio armato che premierà i buoni e distruggerà i cattivi e dunque vedeva la realizzazione dell’uomo nello sforzo volontaristico di essere gradito a Dio…
Gesù, invece, parla di un Dio che è Padre, che fa sorgere il sole su tutti, sui buoni e sui cattivi, sui giusti e sugli ingiusti… e vede la realizzazione dell’uomo nella sua capacità di imparare ad amare tutti, anche i nemici…
Non a caso la risposta di Gesù ai discepoli di Giovanni va proprio in questo senso… Stanno mettendo in discussione la sua identità messianica e lui risponde dicendo di riferire a Giovanni ciò che vedono e odono, cioè che dove passa lui la morte è trasformata in vita, la tristezza in gioia, l’aridità in fertilità… Per Gesù infatti il Regno di Dio, dunque, il mondo come Dio lo vuole, sono gambe storte che si raddrizzano, occhi ciechi che ci vedono, orecchie sorde che ci sentono, cuori induriti che si sciolgono… insomma l’umanizzazione della dis-umanizzazione in tutte le sue forme. Sia nel macrocosmo (poveri – prigionieri – ciechi – oppressi), sia nel microcosmo (noi, nelle nostre povertà – prigionie – cecità – oppressioni). La prospettiva di Gesù è infatti sempre quella di restituire all’uomo la sua specifica caratura umana (non a caso i suoi miracoli non sono mai segni di potenza, ma sempre di liberazione dal male!).
Questo è Gesù, questo è ciò che lui stesso dice di sé… questo è il suo modo di essere messia, quello per cui «Oramai guarire [non punire] l’uomo è un criterio di riconoscimento» [Giuliano] di Dio.
Il confronto, però, non termina qui, ma prosegue nella scena in cui Gesù – dopo aver congedato i discepoli di Giovanni – parla, alle folle, del Battista stesso… definendolo “il più grande fra i nati da donna”, ma sottolineando anche come il più piccolo nel regno dei cieli sia più grande di lui…
Come a dire che con Giovanni si chiude – seppur in maniera degnissima – un certo modo di interpretare Dio e quindi l’uomo e con Gesù irrompe nella storia qualcosa di qualitativamente diverso: con Giovanni finisce un’epoca, che in lui ha avuto il suo apice, ma che si esaurisce in Gesù, il quale inaugura una possibilità totalmente nuova di stare al mondo, che rivela un volto di Dio inaudito, che mostra una via per l’uomo mai percorsa…
Con Giovanni si chiude l’Antico Testamento (l’antica alleanza, l’antico volto di Dio, l’antico volto dell’uomo) e con Gesù si apre il Nuovo (la nuova e definitiva alleanza, il nuovo e definitivo volto di Dio, l’uomo nuovo…).
Ecco perché Giovanni è definito “quell’Elia che deve venire” (gli ebrei infatti credevano che prima dell’avvento del messia, ci sarebbe stato il ritorno di Elia, del quale la Bibbia non racconta la morte, ma il rapimento su un carro di fuoco, 2 Re 2): Giovanni è l’Elia che deve venire, è l’ultimo atto prima che si inauguri la nuova storia del popolo di Dio, è il precursore… è il massimo che il modello precedente poteva offrire, ma minuscolo di fronte al Regno di Dio che con Gesù arriva: «Giovanni è la nostra verità umana più umile, perciò più vera e più autentica. Tra i nati di donna non c’è nessuno più grande di lui: è la soglia, dunque! Più in là non siam capaci di andare. È presentato da Gesù stesso come il culmine del Primo Testamento, il grande profeta severo e ardentemente impaziente di preparaci per l’arrivo del Signore. Ma, almeno come anelito, Giovanni segna l’avventura intima di ogni uomo» [Giuliano]. Quella per cui il rapporto con Dio è basato sulla paura: l’uomo che teme la morte e sa che Dio lo può salvare, fa di tutto per ingraziarselo (osserva le sue leggi, gli fa dei sacrifici, teme il suo castigo, spera nel suo premio) e guarda a chi gli sta intorno come un mezzo per raggiungere lo scopo (i poveri come mezzi per la nostra santificazione) o come rivale (se il premio è per pochi, deve essere per me, non per te…).
La novità di Gesù sta invece nel fatto che egli pone come base per ogni ragionamento o scelta o modo di stare al mondo, la benevolenza immeritata ma sovrabbondante: l’uomo che teme la morte scopre che Dio è un Padre che gli vuole bene e che lo invita ad entrare in un circolo di benevolenza che passa di mano in mano e umanizza chi lo riceve (e chi lo dà). Per questo guarda agli altri come a fratelli fatti della stessa carne / pasta umana sua… e perciò si dedica alla loro custodia (fino a dare la vita), perché gli altri, chiunque altro, è dei suoi…
Questa seconda impostazione – quella di Gesù – è quella che coincide con il vangelo, con la buona notizia, e che è proposta a chiunque voglia essere discepolo di Gesù… è la buona notizia che con lui prende carne, nel Natale che aspettiamo.
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