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martedì 13 novembre 2007

La laicità tra verità e carità

Mi è parso interessante questo intervento, molto più ampio e di cui vi propongo una parte, che Gustavo Zagrebelsky ha fatto in un convegno ad Assisi. Lo ritengo adatto ad essere declinato anche come analisi di dialettiche comunitarie molto più ridotte di quelle che possono invece riguardare una intera comunità, nazionale od internazionale. Certo il relatore chiama in causa e analizza il macrosistema “politica”, non ci deve però sfuggire come la citazione finale, di questa sezione del discorso, sia la “A Diogneto” che per sua natura è indirizzata al cammino di ognuno di noi uomini, anzi, anche se per pura esigenza letteraria, è costruita “ad Hoc” come risposta a delle questioni sollevate proprio da un uomo interrogato dalla storia che viveva.

Religione della verità o religione della carità

L’utilità o la pericolosità della religione come rimedio contro le tendenze sociali autodisgregatrici dipende forse anche dalla sua autocomprensione, cioè come concepiamo la religione, come gli uomini di fede concepiscono il vivere la fede. E qui il dilemma è tra religione come religione della verità, e religione come religione della carità. Il dilemma è particolarmente vivo per il cristianesimo, nato originariamente nelle prime piccole comunità come religione della carità: il discorso evangelico della montagna, e i primi due comandamenti. Il Cristo interrogato su quali fossero i comandamenti basilari non afferma una dottrina, dice “amerai il Signore Dio tuo con tutta la tua forza, con tutto il tuo cuore e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso”. E in origine la Verità – io sono la via, la verità, la vita – era non un complesso di proposizioni teologiche, e tantomeno teologico-politiche, e ancor meno verità sociali o scientifiche. La verità del Cristo era la confessione del Cristo figlio di Dio. La confessione di Gesù il Cristo. Questa era tutta la verità nelle prime comunità cristiane (...). Progressivamente però il cristianesimo è venuto istituzionalizzandosi come religione della verità, capace, attraverso l’uni-formità di un apparato dogmatico, teorico e organizzativo sempre più complesso, di tenere insieme vaste comunità di credenti, in rapporti di vario tipo – conflittuale o di cooperazione – con il potere politico. (...). Le due concezioni del legame comunitario, carità-verità, coesistono dialetticamente e la loro tensione rappresenta uno dei fili conduttori della storia della Chiesa nei secoli. Ora, la questione che mi sembra da porre è se questa distinzione verità-carità sia rilevante nella discussione circa il valore della religione, in particolare di quella cristiana, come tessuto connettivo della vita sociale. L’ipotesi da considerare è se non sia propriamente l’odierna insistenza sulla verità l’elemento che nelle società pluraliste attuali crea divisioni e conflitti. Mentre le cose andrebbero all’opposto se l’accento cadesse sulla carità, capace - essa sì - di creare solidarietà, legami e convergenze non solo tra cristiani, ma anche tra cristiani e non cristiani. È scritto nella Lettera a Diogneto: “La scienza gonfia, la carità, invece, edifica. Chi crede di sapere qualche cosa, senza la vera scienza testimoniata dalla vita, non sa nulla: viene ingannato dal serpente, non avendo amato la vita”. In breve c’è qui in nuce la contrapposizione tra l’arroganza della verità e l’umiltà della carità. La prima, a dispetto di tutte le proclamazioni in contrario, cerca la potenza, il potere; la seconda, la carità, ne rifugge. Ed essendo il potere essenzialmente conflitto, competizione, e qualche volta perfino sopraffazione, si comprende facilmente come ogni religione della verità corra il rischio di alimentare tutto questo.

mercoledì 17 ottobre 2007

Rivoluzionario e Sognatore, l’uomo tra sufficienza e necessità

Rivoluzionario e sognatore sono due termini che nel sentire comune di tutti noi hanno significati ben delineati e che possiamo sintetizzare con facilità. Il rivoluzionario è, per lo più, ritenuto colui che con una forte carica ideologica ha un approccio pragmatico con la realtà, tendenzialmente è portato a prendere di petto le situazioni. Il sognatore invece è piuttosto alieno ad affrontare i problemi attraverso l’azione, preferisce la fuga o l’alienazione; spesso vive in un mondo parallelo che si è costruito per proteggersi.

Si può tuttavia, tentare una diversa considerazione di questi due tipi umani, analizzandoli nella dialettica che generano ponendoli uno di fronte all’altro, e singolarmente di fronte al reale.
Così al di là del loro etimo, e del loro significato storico, tentiamo una miscelazione e reinterpretazione dei due nella loro dialettica storica alla luce, poi, del Vangelo.
Siamo tuttavia certi che l’uomo in quanto tale, cosciente o meno di ciò, ha in sé entrambe le possibilità, ognuno con diverse modulazioni.

Il rivoluzionario è colui che scopre prima, contesta poi, le ingiustizie valendosi, se necessario, dell’azione violenta. È colui che sottopone a una critica corrosiva tutto i reale, a cui lui stesso scopre d’appartenere, impiegando la ragione. Così facendo trova una forte dissonanza tra le realizzazioni storiche umane e l’ideale-utopia che porta in sé. Scopre, qualcuno direbbe, l’Assurdo: l’inconciliabilità tra desiderio e realtà storica. Il rivoluzionario è uomo che non tollera e non sopporta ma agisce-combatte-cambia. Il rivoluzionario però non può sottrarre sé stesso dall’analisi critica. Giunge così al punto di crisi-giudizio, in cui fa la scoperta di essere esso stesso soggetto sottoposto alla grande possibilità negativa, emersa inesorabilmente nel lucido percorso critico rivoluzionario.
Teologicamente: “appare il grande No di Dio: la sua totale estraneità a questo mondo, che pone il rivoluzionario in una condizione di crisi”. Questa, come conseguenza dell’analisi critica, colpisce al cuore il metodo usato dal rivoluzionario. Il metodo infatti per essere giustificato necessita di solide fondamenta. E come può il rivoluzionario, che scopre di sottostare e far parte esso stesso della ingiusta realtà, creare dopo la lotta e anche durante, un ordinamento giusto? Cadrà nell’insuperabile sconfitta che si proponeva di vincere! Renderà cioè, se agirà, “male per male”.
Il rivoluzionario non accetta, infatti, la realtà storica nel suo divenire, nel suo progresso lento e continuo poiché storico. Il rivoluzionario quindi sarà necessario, ma non potrà essere considerato l’uomo nel suo aspetto più proprio. Bisogna puntualizzare che comunque questa posizione del rivoluzionario è assolutamente maggiormente autentica e preferibile rispetto a quella del reazionario. In quanto sotto la grande possibilità positiva (evangelica, e che protesta!), è l’Amore a giudicare il reazionario definitivamente nel torto, nonostante il torto in cui si trova il rivoluzionario se agisce. Poiché amandoci gli uni gli altri secondo il comandamento nuovo di Gesù, non possiamo voler mantenere l’ordine esistente come tale. Noi attuiamo il comandamento dell’Amore e così il “Nuovo abbatte il vecchio”… “vi è stato detto ma io vi dico…”.
La possibilità nuova che si apre è quella che qualcuno ha chiamato “l’in-azione”. “Che altro posso fare di fronte al “nemico” dopo la riflessione critica, se non ritornare da ogni fare originario, da ogni risposta alla domanda, da ogni azione alla presupposizione?!... Deo soli gloria…”

Il sognatore dal canto suo mescola e combina in sé le potenzialità e le caratteristiche del rivoluzionario e della realtà, secondo una creatività propria, cogliendone così gli aspetti d’ulteriorità, di superamento, rimanendo disinteressato a una realizzazione storica di ciò che sogna. È semplicemente stupito di poter e di aver sognato una ulteriorità della realtà. Il sognatore è colui che davvero è affascinato e nutrito dall’Ulteriorità che lo interroga nella realtà, che produce in esso domande. Così il sognatore avrà il compito di convertire il rivoluzionario a una precedenza dell’Ulteriorità del sogno, sopra e prima del cambiamento storico. D’altro canto il rivoluzionario avrà fornito quella previa e necessaria critica rivoluzionaria che permette un ancoraggio del sognatore alla realtà e che rivela la crisi in cui versano tutte le strutture e i tentativi, religioni e pensieri umani. Sinteticamente potremmo dire che il sognatore si apre alla possibilità che un altro agisca attraverso di lui. Lasciando, cioè, che accada ciò che in relazione con la realtà ha sognato e che con la critica rivoluzionaria ha scoperto di non possedere. È la profezia dell’Avvento di una “impossibile possibilità che accada”, proprio lì dove ci si trova senza alcun sufficiente ostacolo che possa arrestarlo, il Regno del Padre nella storia dell’uomo… Freud direbbe: “che è un Dio, questo, che alla lunga ha la meglio, vince”… e noi aggiungiamo perché vuole tutti e patisce per tutti il nostro lasciarci liberi.
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