Mi è parso interessante questo intervento, molto più ampio e di cui vi propongo una parte, che Gustavo Zagrebelsky ha fatto in un convegno ad Assisi. Lo ritengo adatto ad essere declinato anche come analisi di dialettiche comunitarie molto più ridotte di quelle che possono invece riguardare una intera comunità, nazionale od internazionale. Certo il relatore chiama in causa e analizza il macrosistema “politica”, non ci deve però sfuggire come la citazione finale, di questa sezione del discorso, sia la “A Diogneto” che per sua natura è indirizzata al cammino di ognuno di noi uomini, anzi, anche se per pura esigenza letteraria, è costruita “ad Hoc” come risposta a delle questioni sollevate proprio da un uomo interrogato dalla storia che viveva.
Religione della verità o religione della carità
L’utilità o la pericolosità della religione come rimedio contro le tendenze sociali autodisgregatrici dipende forse anche dalla sua autocomprensione, cioè come concepiamo la religione, come gli uomini di fede concepiscono il vivere la fede. E qui il dilemma è tra religione come religione della verità, e religione come religione della carità. Il dilemma è particolarmente vivo per il cristianesimo, nato originariamente nelle prime piccole comunità come religione della carità: il discorso evangelico della montagna, e i primi due comandamenti. Il Cristo interrogato su quali fossero i comandamenti basilari non afferma una dottrina, dice “amerai il Signore Dio tuo con tutta la tua forza, con tutto il tuo cuore e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso”. E in origine la Verità – io sono la via, la verità, la vita – era non un complesso di proposizioni teologiche, e tantomeno teologico-politiche, e ancor meno verità sociali o scientifiche. La verità del Cristo era la confessione del Cristo figlio di Dio. La confessione di Gesù il Cristo. Questa era tutta la verità nelle prime comunità cristiane (...). Progressivamente però il cristianesimo è venuto istituzionalizzandosi come religione della verità, capace, attraverso l’uni-formità di un apparato dogmatico, teorico e organizzativo sempre più complesso, di tenere insieme vaste comunità di credenti, in rapporti di vario tipo – conflittuale o di cooperazione – con il potere politico. (...). Le due concezioni del legame comunitario, carità-verità, coesistono dialetticamente e la loro tensione rappresenta uno dei fili conduttori della storia della Chiesa nei secoli. Ora, la questione che mi sembra da porre è se questa distinzione verità-carità sia rilevante nella discussione circa il valore della religione, in particolare di quella cristiana, come tessuto connettivo della vita sociale. L’ipotesi da considerare è se non sia propriamente l’odierna insistenza sulla verità l’elemento che nelle società pluraliste attuali crea divisioni e conflitti. Mentre le cose andrebbero all’opposto se l’accento cadesse sulla carità, capace - essa sì - di creare solidarietà, legami e convergenze non solo tra cristiani, ma anche tra cristiani e non cristiani. È scritto nella Lettera a Diogneto: “La scienza gonfia, la carità, invece, edifica. Chi crede di sapere qualche cosa, senza la vera scienza testimoniata dalla vita, non sa nulla: viene ingannato dal serpente, non avendo amato la vita”. In breve c’è qui in nuce la contrapposizione tra l’arroganza della verità e l’umiltà della carità. La prima, a dispetto di tutte le proclamazioni in contrario, cerca la potenza, il potere; la seconda, la carità, ne rifugge. Ed essendo il potere essenzialmente conflitto, competizione, e qualche volta perfino sopraffazione, si comprende facilmente come ogni religione della verità corra il rischio di alimentare tutto questo.
Religione della verità o religione della carità
L’utilità o la pericolosità della religione come rimedio contro le tendenze sociali autodisgregatrici dipende forse anche dalla sua autocomprensione, cioè come concepiamo la religione, come gli uomini di fede concepiscono il vivere la fede. E qui il dilemma è tra religione come religione della verità, e religione come religione della carità. Il dilemma è particolarmente vivo per il cristianesimo, nato originariamente nelle prime piccole comunità come religione della carità: il discorso evangelico della montagna, e i primi due comandamenti. Il Cristo interrogato su quali fossero i comandamenti basilari non afferma una dottrina, dice “amerai il Signore Dio tuo con tutta la tua forza, con tutto il tuo cuore e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso”. E in origine la Verità – io sono la via, la verità, la vita – era non un complesso di proposizioni teologiche, e tantomeno teologico-politiche, e ancor meno verità sociali o scientifiche. La verità del Cristo era la confessione del Cristo figlio di Dio. La confessione di Gesù il Cristo. Questa era tutta la verità nelle prime comunità cristiane (...). Progressivamente però il cristianesimo è venuto istituzionalizzandosi come religione della verità, capace, attraverso l’uni-formità di un apparato dogmatico, teorico e organizzativo sempre più complesso, di tenere insieme vaste comunità di credenti, in rapporti di vario tipo – conflittuale o di cooperazione – con il potere politico. (...). Le due concezioni del legame comunitario, carità-verità, coesistono dialetticamente e la loro tensione rappresenta uno dei fili conduttori della storia della Chiesa nei secoli. Ora, la questione che mi sembra da porre è se questa distinzione verità-carità sia rilevante nella discussione circa il valore della religione, in particolare di quella cristiana, come tessuto connettivo della vita sociale. L’ipotesi da considerare è se non sia propriamente l’odierna insistenza sulla verità l’elemento che nelle società pluraliste attuali crea divisioni e conflitti. Mentre le cose andrebbero all’opposto se l’accento cadesse sulla carità, capace - essa sì - di creare solidarietà, legami e convergenze non solo tra cristiani, ma anche tra cristiani e non cristiani. È scritto nella Lettera a Diogneto: “La scienza gonfia, la carità, invece, edifica. Chi crede di sapere qualche cosa, senza la vera scienza testimoniata dalla vita, non sa nulla: viene ingannato dal serpente, non avendo amato la vita”. In breve c’è qui in nuce la contrapposizione tra l’arroganza della verità e l’umiltà della carità. La prima, a dispetto di tutte le proclamazioni in contrario, cerca la potenza, il potere; la seconda, la carità, ne rifugge. Ed essendo il potere essenzialmente conflitto, competizione, e qualche volta perfino sopraffazione, si comprende facilmente come ogni religione della verità corra il rischio di alimentare tutto questo.
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