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mercoledì 24 febbraio 2016

III Domenica di Quaresima


 

Dal libro dell’Èsodo (Es 3,1-8.13-15)

In quei giorni, mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio. Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele». Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 10,1-6.10-12)

Non voglio che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto. Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono. Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 13,1-9)

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

 

Il vangelo che la Chiesa ci propone per questa III domenica di Quaresima è una parabola tratta dal vangelo di Luca. È la prima parabola che la liturgia domenicale ci fa incontrare in questo anno liturgico.

Ad una prima lettura nascono alcune domande:

I-  Perché il vignaiolo non gli ha zappato intorno e non gli ha messo il concime prima? Cioè perché non ha fatto subito, alle prime avvisaglie di infecondità, ciò che poteva aiutare il fico a dare frutti?

II-    Dov’è che abbiamo già sentito parlare di alberi che non danno frutto e di come ci si comporta in questi casi?

Riguardo alla prima questione non dobbiamo stupirci troppo. Le parabole sono storie inventate, che vogliono condurci verso un momento di svolta. E per costruire letterariamente questo percorso sono necessari degli escamotage: il fatto che da 3 anni il fico sia sterile serve al narratore per sottolineare quanto fosse sensata la richiesta di tagliarlo.

È proprio questa costruzione narrativa infatti che ci conduce al vertice della parabola, che consiste nel fatto che – contro ogni buon senso o senso comune – il fico alla fine non venga tagliato.

La seconda questione è invece più interessante, perché se andiamo a rileggerci Lc 3,9, troviamo quanto diceva Giovanni Battista durante la sua predicazione nel deserto: «Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco».

Fatte queste considerazioni preliminari dobbiamo stare attenti ancora ad un aspetto. Con troppa facilità infatti noi quando leggiamo le parabole, usciamo dal racconto e identifichiamo i personaggi della storia con persone reali. Istintivamente in questo caso ci verrebbe da dire che Dio è il padrone dell’albero e Gesù il vignaiolo.

In realtà io non credo che questa identificazione sia legittima. Piuttosto mi pare sensato identificare il proprietario con la logica umana (ben esemplificata da Giovanni Battista) e il vignaiolo con il volto di Dio che Gesù vuole far conoscere.

 

Fatte tutte queste premesse, e provando a ripercorrere il testo, possiamo chiederci cosa esso ci dice:

 

 
DI DIO
 
DELLA STORIA
 
Non è cieco sulla sterilità della storia
 
lascialo ancora quest’anno
 
È sterile
Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò
 
 
La sua logica è che ciò che è sterile ha bisogno di cure
 
finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime
 
La sua logica è che ciò che è sterile vada tagliato
Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque
 
Ciò che è sterile può tornare a dare frutto
Vedremo se porterà frutti per l’avvenire
 
Ciò che è sterile va tagliato perché non solo non dà frutto, ma sfrutta / rende inutilizzabile altro
Perché deve sfruttare il terreno?
 

 

Lo sguardo che Gesù ha sulla storia, dunque lo sguardo che Egli ci dice che Dio ha sulla storia, non coincide con quello di Giovanni Battista.

Dio non sta con la scure alla radice degli alberi, pronto a tagliare chi non porta frutto, quasi con una foga vendicativa e un compiacimento, tipico di chi pensa di liberare il mondo dal male estirpando i malvagi o i non particolarmente fervorosi per la causa…

Il volto vero di Dio, secondo Gesù, è un altro: è un volto che guarda alla storia diversamente, con un’incrollabile fiducia, che se amati, curati, aiutati, tutti possono dare frutto.

In questo percorso che la quaresima ci sta facendo fare della riscoperta del volto di Dio, credo che questo testo, forse meno noto di altri, sia un passo importante, anche perché si tratta di una narrazione semplice, lineare, chiara.

A partire da essa potremmo tornare a chiederci, nella nostra situazione o nelle tante altre situazioni umane che ci troviamo ad incontrare, qual è lo sguardo che Dio pone su di esse… e provare ad essere figli di un Dio che ha questo volto e non quello scuro di chi ha in mano la scure…

martedì 16 febbraio 2016

II Domenica di Quaresima


Dal libro della Genesi (Gn 15,5-12.17-18)
In quei giorni, Dio condusse fuori Abram e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle»; e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. E gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra». Rispose: «Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo». Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calarono su quei cadaveri, ma Abram li scacciò. Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono. Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abram: «Alla tua discendenza io dò questa terra, dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate».
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (Fil 3,17-4,1)
Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra. La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose. Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!
 
Dal vangelo secondo Luca (Lc 9,28-36)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
 
In questa Seconda Domenica di Quaresima, la Chiesa – come di consueto – ci invita a riflettere sul brano della Trasfigurazione.
È un evento della vita di Gesù particolarmente ostico per noi lettori, o almeno per me. È difficile, dietro al linguaggio degli evangelisti, ricomprendere cosa sia accaduto e quale sia il senso di questa esperienza che Gesù, per primo, e poi i suoi tre discepoli, vivono.
Anche perché le espressioni “il suo volto cambiò d’aspetto”, “la sua veste divenne candida e sfolgorante” possono essere interpretate sia con un senso letterale, sia con un senso figurato.
Nel primo caso la nostra mente si immagina uno (spaventevole) cambiamento dei tratti del volto di Gesù (spaventevole, non perché assuma tratti mostruosi, ma perché il solo fatto di assistere alla modificazione dei connotati del volto è un po’ spaventoso); nel secondo, ci vengono forse più in mente alcune esperienze che anche noi abbiamo fatto di incontrare persone raggianti, per qualsiasi motivo. Davvero, anche in questo caso si potrebbe dire “il suo volto cambiò d’aspetto”.
Io credo che il rischio di interpretare la trasfigurazione nel primo senso (quasi catalogandola insieme all’immaginario di tutti quei cartoni animati o film in cui ci sono questi effetti speciali di trasformazione dei volti) sia forte e apportatore di molti fraintendimenti: ci viene infatti un misto di reazioni disgustate, timorose, sarcastiche.
Lo stesso si può dire dell’incontro con Mosè ed Elia: come va interpretato quell’“apparsi nella gloria”?
Come sempre il problema è il background culturale a cui il linguaggio e le immagini attingono. Bisognerebbe chiedersi se coloro che hanno scritto hanno i nostri medesimi riferimenti, per esempio quando parlano di “gloria”.
Quello che voglio suggerire è che un’interpretazione troppo legata alla lettera, alla plasticità della scena descritta, rischia di farci perdere il senso di questo evento.
L’arte, da questo punto di vista, non ci ha aiutato nel corso dei secoli, sottolineando eccessivamente la extra-ordinarietà dell’episodio.
Forse dovremmo riuscire a non fermarci alla coreografia scenica, per andare al messaggio della rappresentazione che gli evangelisti tratteggiano.

martedì 9 febbraio 2016

I Domenica di Quaresima: Le tentazioni secondo Luca


Dal libro del Deuteronòmio (Dt 26,4-10)
Mosè parlò al popolo e disse: «Il sacerdote prenderà la cesta dalle tue mani e la deporrà davanti all’altare del Signore, tuo Dio, e tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio: “Mio padre era un Aramèo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato”. Le deporrai davanti al Signore, tuo Dio, e ti prostrerai davanti al Signore, tuo Dio».
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 10,8-13)
Fratelli, che cosa dice [Mosè]? «Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore», cioè la parola della fede che noi predichiamo. Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza. Dice infatti la Scrittura: «Chiunque crede in lui non sarà deluso». Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato».
 
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 4,1-13)
In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”». Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la dò a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.
 
In questa Prima Domenica di Quaresima, la Chiesa ci propone il brano delle tentazioni secondo l’evangelista Luca.
È un testo con cui abbiamo già avuto a che fare molte volte e sul quale già è stato detto molto. Quest’anno vorrei concentrarmi su uno dei tanti punti di vista da cui questo testo può essere guardato, ed in particolare provare a guardare alle tentazioni di Gesù come al messia che avrebbe potuto essere e che, invece, ha scelto di non essere.
Dietro a questo approccio restano sullo sfondo due questioni fondamentali per tutto il Vangelo: chi è Dio e che dio ha deciso di non essere; che uomo decido io di essere e dunque che tipo di uomo decido di non essere.
Ma torniamo al testo.
La prima tentazione secondo Luca è «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane».
Gesù cioè avrebbe potuto essere il messia che fa le magie, quello che affronta e risolve i problemi della vita (la fame è quello primario per ciascun uomo) attraverso prodigi.
Come ha ben messo in luce Dostoevskij nel Grande inquisitore (capitolo insuperabile de I fratelli Karamazov), in questo modo, Gesù avrebbe incontrato un grande – forse un indiscusso – consenso.
Eppure… avrebbe rinunciato a instaurare con l’uomo una relazione libera. L’uomo l’avrebbe sì seguito, gli avrebbe dato ascolto, avrebbe fatto tutto quello che Egli voleva. Ma non per amore, bensì per il pane, per vedere soddisfatti i propri bisogni.
E Gesù ha deciso di non essere questo tipo di messia.
Dovremmo farci interpellare molto da questa sua scelta: troppo spesso noi abbiamo instaurato e continuiamo a instaurare con lui una relazione che ha queste caratteristiche: gli chiediamo di intervenire nella storia per risolverci i problemi (dai più sciocchi “Fammi andar bene l’interrogazione” ai più seri “Fammi guarire dal tumore”) e siamo disposti a fare di tutto in cambio dei suoi prodigi (quanti voti, quante preghiere, quante rinunce…). Ma, ponendoci in questo atteggiamento, ci stiamo rivolgendo alla persona sbagliata: Gesù ha deciso di non essere questo tipo di messia. Il Dio che ci ha fatto conoscere non è un dio così e non vuole uomini così.
La seconda tentazione, secondo l’evangelista Luca, suona in questi termini: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la dò a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo».
Gesù cioè avrebbe potuto essere il messia che domina, con potere e gloria, il mondo, rinunciando ad essere figlio del Padre e adoratore del divisore (diavolo vuol proprio dire “colui che divide”). In gioco non ci sono le accuse medievali di adorazione del demonio; qui il diavolo è una figura letteraria che serve per esplicitare le tentazioni e che non a caso Luca chiama “diavolo” (divisore) e a cui non a caso fa dire «se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo»: infatti ciò che “sarà suo” è il potere e la gloria, cioè ciò che di più divisorio esiste al mondo, come mirabilmente ha colto anche De Andrè: «Non ci sono poteri buoni». Il potere infatti divide sempre il mondo tra chi non ce l’ha e chi ce l’ha. Non può esserci il “potere di tutti”, altrimenti non è più potere.
Gesù ha perciò rifiutato di essere il potente che decide per gli altri, che fa andare bene le cose con l’imposizione, l’autorità, con la sua scelta. Fosse pur stata una scelta buona, una decisione giusta, il solo fatto che venisse imposta la rendeva coercitiva. Ma come dirà altrove, Egli non voleva servi, ma amici e gli amici si conquistano nella storia delle libertà, non con la forza.
Anche questa tentazione dovrebbe interpellare da vicino la nostra relazione con Lui: quante volte ci siamo riempiti la bocca di “fare la sua volontà”, interpretando la parola “volontà” assimilandola a quella di un imperscrutabile sovrano, che non comprendiamo, ma che sicuramente – se ci obbliga – ci obbliga per il nostro bene? Ci siamo costretti e abbiamo costretto altri dentro a dinamiche di potere, di coercizione, di soffocamento, di mortificazione, di sudditanza attribuendo questo atteggiamento alla volontà di Dio, mentre suo figlio, quel modo di essere “Signore” lo aveva rifiutato in nome di una relazione diversa con gli uomini.
La terza e ultima tentazione è infine: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». È la più subdola e la più pericolosa: se la prima riguarda l’economia (il pane) e la seconda la politica (il potere), la terza riguarda la religione (il volto di Dio). La figura letteraria del diavolo si fa infatti più raffinata e cita per ben due volte la Scrittura (cita la Bibbia, non qualche giornaletto porno!); e la cita per dire una cosa verissima e bellissima del Dio che il popolo di Israele aveva conosciuto: Dio è un custode.
Come se il diavolo dicesse: “non vuoi essere il messia delle magie, che cerca il consenso dell’uomo intervenendo nella storia risolvendogli i problemi; non vuoi essere il messia potente, che governando la storia col suo dominio può farla andare per il verso giusto; vorrai almeno essere il figlio di un Dio che custodisce?”. Il gioco del diavolo è quello di andare ad attirare Gesù dentro al suo territorio, di dargli ragione, di parlargli di un volto di Dio consonante a quello che Lui ha in testa: un Dio che non cerca consenso con le magie, un Dio che non vuole dominare la storia con la coercizione, un Dio custodente. Ma ecco il colpo dello scorpione: se è un Dio che custodisce, perché non ti butti giù e lo dimostri a tutti e prima di tutto a te stesso (che Dio è davvero così)?
Ma Gesù non si butta (così come non scenderà dalla croce), non accetta cioè di essere quel messia che dimostra come è fatto Dio, che ne dà una prova. Perché la dimostrazione, la prova, così come il pane e il potere impediscono di intessere una relazione personale, da cuore a cuore, da storia a storia, da libertà a libertà.
Anche questa tentazione, anzi, forse soprattutto questa, dovrebbe farci riflettere sulla nostra relazione col Signore: quante volte riduciamo la sua personalità ad uno schemino in cui tutto torna, quante volte citiamo la Bibbia solo in funzione di questo schemino e quanto poco lo lasciamo essere ciò che ha deciso di essere.

martedì 2 febbraio 2016

V Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Isaìa (Is 6,1-2.3-8)

Nell’anno in cui morì il re Ozìa, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo: «Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria». Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti». Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato». Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!».

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 15,1-11)

Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano! A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 5,1-11)

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

 

Continuiamo con la lettura del vangelo di Luca, l’evangelista di quest’anno.

Domenica la liturgia ci propone il brano di vangelo che narra l’incontro di Gesù con i suoi primi discepoli, in occasione di quella che diverrà nota come “la pesca miracolosa”.

Ciò che ha attirato la mia attenzione questa settimana sono alcune espressioni usate dai protagonisti in questa vicenda.

Innanzitutto la constatazione di Pietro, quando Gesù gli suggerisce di prendere il largo e gettare le reti: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla».

Quando Gesù si imbatte nelle persone, la sua proposta è sempre una proposta vitale, che suscita energie positive, che muove a rientusiasmarsi per l’esistenza: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca».

La risposta di Pietro, come credo potrebbero essere le nostre, rimanda invece ad una disillusione: tutta la notte (cioè tutta la vita) abbiamo faticato invano… Ci abbiamo provato davvero, e non per modo di dire, a vivere intensamente e con speranza la vita, ma il risultato è stato deludente… che fatica…

Pietro però aggiunge qualcosa: «ma sulla tua parola getterò le reti». Pietro cioè fa la scelta di ri-fidarsi della vita, nonostante la disillusione, la stanchezza, la mortificazione delle speranze… Torna a fidarsi della vita, che gli si presenta nelle vesti di Gesù, quel rabbi in cui ha intravisto qualcosa di promettente. Si fida della sua parola. E il risultato è sorprendente: un pieno di vitalità che contrasta fortemente con la desolazione precedente.

L’evangelista Luca pare suggerirci allora – attraverso questo episodio – cosa accade quando ci si imbatte in Gesù di Nazareth: ci raggiunge nelle nostre vite affaticate e deluse, ci fa una proposta che promette un’iniezione di vitalità e mantiene le sue promesse: «presero una quantità enorme di pesci».

Ma non si tratta di una magia estemporanea, un’euforia passeggera che a breve ci rigetterà nella mediocrità delle nostre sterili fatiche: è un’iniezione di vitalità che apre possibilità nuove, che abilita a fare passi inaspettati, ad instradarci in percorsi insospettati: «d’ora in poi sarai pescatore di uomini».

Chi si lascia fare da Gesù (cioè chi si fida della sua Parola) la puntura di vitalità che propone (l’iniezione del suo spirito nelle nostre vene) diventa capace di trasformarsi da pescatore di pesci a pescatore di uomini, cioè diventa uno che può tirar fuori dal mare (cioè dal male) gli altri uomini. La sua iniezione di vita diventa contagiosa.


martedì 26 gennaio 2016

IV Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Geremìa (Ger 1,4-5.17-19)
Nei giorni del re Giosìa, mi fu rivolta questa parola del Signore: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni. Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi, àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti di fronte a loro, altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro. Ed ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti».
 
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 12,31-13,13)
Fratelli, desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime. Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo, per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino. Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!
 
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 4,21-30)
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
 
Il vangelo di questa settimana è la continuazione di quello di domenica scorsa. Là avevamo sentito Gesù leggere nella sinagoga di Nazarath il passo del profeta Isaia (con l’omissione dell’ultimo versetto) che in qualche modo era l’autopresentazione di Gesù e dunque del volto di Dio che lui ha voluto rivelarci; qui leggiamo invece della reazione dei presenti: la meraviglia iniziale che si tramuta improvvisamente in rifiuto.

martedì 19 gennaio 2016

III Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro di Neemìa (Ne 8,2-4.5-6.8-10)

In quei giorni, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere. Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntare della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci d’intendere; tutto il popolo tendeva l’orecchio al libro della legge. Lo scriba Esdra stava sopra una tribuna di legno, che avevano costruito per l’occorrenza. Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo rispose: «Amen, amen», alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore. I levìti leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura. Neemìa, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge. Poi Neemìa disse loro: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza».

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 12,12-30)

Fratelli, come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito. E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. Se il piede dicesse: «Poiché non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. E se l’orecchio dicesse: «Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; oppure la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1,1-4; 4,14-21)

Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto. In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

 

Una piccola introduzione didattica…

L’anno liturgico, cioè il calendario della Chiesa, non inizia il 1° gennaio come quello civile, ma la I Domenica di Avvento. È in quell’occasione che “si cambia” l’evangelista di riferimento: un anno si legge Matteo (anno A), un anno Marco (anno B), un anno Luca (anno C).

Domenica 29 Novembre 2015, I domenica di Avvento, è iniziato dunque l’anno nuovo per la Chiesa, un anno C, in cui perciò leggeremo il vangelo di Luca.

In realtà non abbiamo ancora avuto molto modo di gustarlo, perché in avvento e poi durante le feste natalizie abbiamo spesso ascoltato anche brani degli altri evangelisti.

Ma due settimane fa il Tempo di Natale è finito e settimana scorsa abbiamo iniziato il Tempo Ordinario, che verrà interrotto in Quaresima e nel Tempo di Pasqua, per poi riprendere e accompagnarci fino al prossimo avvento, cioè al prossimo anno liturgico.

In realtà settimana scorsa, quando abbiamo iniziato il Tempo Ordinario, la Chiesa ci ha fatto leggere un testo di Giovanni (e non di Luca), le nozze di Cana.

Oggi perciò è il primo vero incontro con il testo di Luca.

Dico questo per spiegare il motivo per cui, a messa, sentiremo un vangelo diviso in due parti: la prima tratta dall’inizio del vangelo di Luca (capitolo 1, versetto 1…), che è poi la sua introduzione; la seconda collocata già al capitolo 4.

La prima parte è proposta perché, appunto, è la prima domenica in cui ci possiamo, con calma, accostare al testo lucano, e la Chiesa vuole che inquadriamo l’evangelista di quest’anno:

«Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto».

Luca si presenta così.

Scrive a “Teòfilo” (che potrebbe essere un cristiano della sua comunità, ma anche “teo-filo” = amico di Dio, in greco, e perciò qualunque persona si senta “amica di Dio”) e l’intento è quello di fondare la fede in Gesù Cristo, in modo che non ci sia dubbio sulla solidità del credito accordatogli.

Luca dice che ha fatto ricerche accurate su ogni circostanza, “fin dagli inizi”, infatti insieme a Matteo è l’unico evangelista che parla dell’infanzia di Gesù.

È per questo che l’inizio del suo ministero pubblico, inizia solo al capitolo 4, che, non a caso, è quello della seconda parte del brano di oggi.

Giovanni, settimana scorsa, aveva presentato l’inizio della vita pubblica di Gesù a Cana di Galilea, Luca, lo presenta a Nazareth. Già questo ci dà un’indicazione importante: le ricostruzioni che gli evangelisti fanno del materiale su Gesù (racconti orali e testi scritti) non seguono un criterio cronachistico, non contengono cioè l’interesse e la pretesa di voler raccontare come effettivamente si sono svolti i fatti. L’intenzione con cui il materiale è organizzato in una storia è piuttosto quella di far capire a chi legge chi è Gesù e quale Dio ci ha rivelato.

Se per fare questo serve mettere un episodio prima, un altro dopo, anche se non si sono svolti effettivamente in quella successione, non fa problema, perché lo scopo, come si diceva, è un altro: non ricostruire la storia di Gesù secondo criteri storiografici moderni (che allora nemmeno esistevano), ma far emergere, dall’intreccio narrativo sviluppato, l’identità di Gesù, e dunque quella del Padre suo.

Veniamo dunque al testo che Luca ha scelto di mettere come primo episodio della vita pubblica di Gesù. Siamo a Nazareth, il paese dov’egli è cresciuto e, come ci dice Luca stesso, «secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere».

Non sappiamo se il testo di Isaia che l’evangelista ci fa leggere sia effettivamente il testo che Gesù ha letto quel giorno nella sinagoga di Nazareth, la prima volta che diceva qualcosa pubblicamente, sappiamo però che certamente Gesù, da buon ebreo, conosceva quel testo e possiamo ipotizzare che, se la prima comunità cristiana lo ha ritenuto così centrale da costruirci sopra un brano evangelico (collocato peraltro da Luca in una posizione così fondamentale – la prima), significa che questo testo di Isaia era molto caro a Gesù, il quale deve averlo usato per mostrare qual era il suo modo di intendere il Regno di Dio, cioè il mondo come Dio lo vuole, cioè come a Dio piacerebbe fosse il mondo.

Ad ogni modo, è un testo in cui la prima Chiesa ha riconosciuto una descrizione azzeccata per dire chi è Gesù, e quindi chi è Dio.

La nuova traduzione CEI (quella del 2008), riporta così le parole di Isaia (non quelle in cui Luca lo cita):

«Lo spirito del Signore Dio è su di me,

perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione,

mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri,

a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,

a proclamare la libertà degli schiavi,

la scarcerazione dei prigionieri,

a promulgare l’anno di grazia del Signore».

Luca, dunque, ci presenta Gesù così.

A tutti i “teo-fili” della storia, interessati a fondare solidamente la loro fede in Dio, propone questi tratti e non altri.

Poteva per esempio aggiungere, sempre prendendolo da Isaia, “mandato a promulgare il giorno dei vendetta del nostro Dio” (che era la frase immediatamente successiva a quella sull’anno di grazia), e invece no, la citazione si interrompe prima.

Per descrivere Gesù le parole di Isaia sono azzeccate fino a lì: in quelle parole Luca ha trovato dipinto il volto del rabbi di Nazareth e le ha regalate alle successive generazioni cristiane, perché non si sbaglino, non si confondano su chi è Gesù, cioè su come è fatto Dio...

martedì 12 gennaio 2016

II Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Isaìa (Is 62,1-5)

Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finché non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada. Allora le genti vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria; sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del Signore indicherà. Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo. Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te.

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 12,4-11)

Fratelli, vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 2,1-12)

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

 

In questa Seconda Domenica del Tempo Ordinario, la Chiesa ci presenta l’inizio della vita pubblica di Gesù, secondo l’evangelista Giovanni. Si tratta della narrazione del noto episodio della trasformazione dell’acqua in vino a Cana di Galilea, durante un festa di nozze.

Quest’anno, ciò che ha attirato la mia attenzione è stato il fatto che questo brano, immediatamente mi suscitasse un certo disagio. Il racconto è famoso, ma risulta comunque sempre un po’ ostico: servirebbero diversi ragionamenti per spiegare la risposta, apparentemente scortese, di Gesù a Maria; così come il senso del segno del cambiamento dell’acqua in vino, ecc…

Allora ho provato a dar retta al mio disagio e provare a staccarmi dalla trama del discorso, per vedere se emergeva qualcos’altro. E in effetti mi è venuto qualche pensiero.

«Non hanno vino» è la constatazione di Maria.

Mi è parsa una bella immagine per descrivere, non tanto e non solo la situazione storica contingente di quel matrimonio, ma in generale la condizione dell’umanità di sempre. Oggi, per esempio, nella vita di questa nostra generazione umana a cavallo tra II e III millennio, mi pare un’espressione molto evocativa il provare a connotarla con «Non hanno vino», che vuol dire che non stiamo bene, non siamo in festa, non siamo allegri, non tanto di quell’allegria euforica e passeggera che connota alcuni momenti della vita, ma di quella più strutturale che presenta l’esperienza del passere su questa terra come qualcosa di fondamentalmente bello.

Non abbiamo vino, non c’è che dire…

A fronte di questa situazione, il vangelo odierno ci presenta una svolta: Gesù dice di riempire di acqua le anfore di pietra usate per la purificazione rituale. E quell’acqua, diventa vino.

Non suggerisce di prendere giare qualunque, ma quelle destinate all’acqua da usarsi per la purificazione. Quell’acqua diventa vino.

La trasformazione che ridona vino alla festa di nozze, e – dunque – seguendo il ragionamento precedente, alla vita dell’umanità, non riguarda un’acqua qualsiasi. È l’acqua della purificazione che va trasformata: che va cioè in qualche modo abbandonata, per lasciare spazio a qualcos’altro.

Quell’acqua non è in grado di dare gioia, va trasformata in vino.

Come a dire che per trovare la vita, la purificazione è sterile. Una religiosità, che in fin dei conti è un modo di pensare la vita e di pensarsi nella vita, fondata sulla necessità di purificarsi, cioè sulla necessità di pulire lo sporco che abbiamo addosso, la schifezza che siamo, non fa trovare la vita.

È l’introduzione della novità del vino che dà gioia, dà vita vera, vita bella.

E questo vino è Gesù. È lui il vino buono, tenuto per quando il pasto è già avanzato.

E non può che essere così. La vita, infatti, solitamente si svolge in questo modo: nasciamo, cresciamo e man mano ci imbattiamo in acqua, acqua per la purificazione, vino; cioè in esperienze che ci dissetano, ci danno l’illusione di essere buoni (puri), finanche in esperienze che ci fanno felici. Esse però, solitamente, sono seguite dal vino nel cartone, cioè da esperienze che smentiscono l’intuizione di bellezza e bontà della vita. E spesso, magari senza accorgercene finiamo alcolizzati… incapaci di staccarci dal nostro cartoccio di vino, che non dà vita, ma almeno riempie di qualcosa il vuoto di una vita senza vino buono.

Oppure, sprezzanti verso gli alcolizzati, ci rifugiamo nell’acqua della purificazione, anch’essa incapace di dare vita, ma se non altro portatrice di quell’illusione di essere migliori (o meno peggio) di quegli altri che si scolano il vino nel cartone.

E, invece, all’umanità senza gioia, Gesù si propone come il vino buono, che arriva quando non credi nemmeno più che esista, che sia possibile un rifiorire della vita.

All’uomo, radicalmente sfiduciato sulla bellezza della vita, avviluppato e avvinghiato, apparentemente senza rimedio, dallo squallore dell’esistenza, convinto ormai che quella desolazione sia la vita, Gesù mostra la sua buona notizia, il suo vangelo: esiste davvero il vino buono ed è possibile per me berne. Quell’intuizione che i vini della vita mi avevano fatto intravvedere non erano le mere illusioni di uno sprovveduto un po’ troppo idealista: contenevano una verità: c’è il vino buono e io posso berne.

martedì 5 gennaio 2016

Battesimo del Signore


Dal libro del profeta Isaìa (Is 40,1-5.9-11)

«Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati». Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata. Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato». Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo a Tito (Tt 2,11-14;3,4-7)

Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone. Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo, che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, affinché, giustificati per la sua grazia, diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 3,15-16.21-22)

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

 

Domenica celebreremo la festa del Battesimo del Signore, il cui racconto quest’anno ci è presentato nella versione di Luca. È un testo molto noto che, peraltro, nelle diverse presentazioni degli evangelisti, leggiamo ogni anno. Vorrei perciò soffermarmi quest’oggi solo su un’espressione: «il cielo si aprì».

Essa infatti mi ha fatto ripensare al vangelo di settimana scorsa, il Prologo poetico di Giovanni. Durante la messa mi aveva colpito – rileggendo quel testo – la parola “presso” («il Verbo era presso Dio»), che è un termine che nell’ultimo anno della mia vita ho riscoperto.

Infatti, abitando insieme ad altre persone, quando qualcuno mi scrive una lettera o una cartolina, deve indirizzarla a Chiara Giuliani, c/o Fraternità carmelitana ecc… c/o, presso. Vuol dire che io sono lì, abito lì, sto lì dentro…

Non ci avevo mai pensato, ma nel Prologo si dice che da sempre Gesù è c/o Dio: se vuoi scrivergli una cartolina devi indirizzarla lì.

venerdì 1 gennaio 2016

II Domenica di Natale


Dal libro del Siràcide (Sir 24,1-4.12-16)

La sapienza fa il proprio elogio, in Dio trova il proprio vanto, in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria. Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca, dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria, in mezzo al suo popolo viene esaltata, nella santa assemblea viene ammirata, nella moltitudine degli eletti trova la sua lode e tra i benedetti è benedetta, mentre dice: «Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele, affonda le tue radici tra i miei eletti”. Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l’eternità non verrò meno. Nella tenda santa davanti a lui ho officiato e così mi sono stabilita in Sion. Nella città che egli ama mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio potere. Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore è la mia eredità, nell’assemblea dei santi ho preso dimora».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni (Ef 1,3-6.15-18)

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. Perciò anch’io [Paolo], avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 1,1-18)

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

 

Il vangelo non è un libro di morale, ma un libro di teologia. Non ci vuole insegnare cosa dobbiamo fare, ma ci racconta chi è Dio e (quindi) chi è l’uomo, perché parla sempre di Dio narrando la sua storia con l’uomo.

Ogni volta che ci troviamo di fronte a un brano di vangelo dovremmo chiederci: cosa ci dice di Dio? Cosa ci dice dell’uomo?

Fare questo oggi, è particolarmente indicato:

 

 
DI GESÙ
 
DEGLI UOMINI
In principio era il Verbo
(c’è da sempre)
Sono stati generati da Dio
 
Il Verbo era presso Dio
(c/o ® come si dice di chi abita presso…)
 
Ha fatto tutto ciò che esiste
 
 
 
In lui c’è la vita
 
 
È la luce vera venuta nel mondo
 
Ogni uomo è illuminato dalla luce vera
 
Dà il potere di diventare figli di Dio
 
Hanno il potere di diventare figli di Dio
 
Si è fatto carne
 
Hanno contemplato la gloria di Dio
(hanno visto quanto è bello)
 
È venuto ad abitare in mezzo a noi
 
 
È pieno di grazia e di verità
 
Hanno ricevuto grazia su grazia
(non “grazie” ma grazia = amore gratis)
 
Ha rivelato Dio
(ci ha raccontato chi è Dio)
Sanno la verità
(sanno come è fatto Dio)

 

 

 

Ecco il vangelo: ecco la buona notizia.

Qualsiasi cosa esca da questa identità di Dio e dell’uomo, ci apparisse anche religiosa, non è evangelica, non è cristiana.

Mi piacerebbe che iniziassimo quest’anno confrontando le nostre presunte verità (teologiche, morali, esistenziali) con questa verità, che parla solo di vita, luce, grazia, verità, abitare, generare, stare presso…
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