Sir 35,12-14.16-18; Salmo 33; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14
fra il credere e il pregare : quale Dio?
...sembrano due divinità diverse, queste a cui si rivolgono i due credenti praticanti che vanno al tempio a pregare. Due divinità e due credenti discordanti, si direbbe! Proprio questo è l’obiettivo di Gesù: di mettere a nudo due modi radicalmente opposti, di credere e pregare, anche se nello stesso tempio. Forse effettivamente ci sono tra noi personaggi simili a questi due prototipi, ma i due atteggiamenti possono anche convivere e combattersi nello stesso animo… Anzi forse tutti dobbiamo passare attraverso questa esperienza bruciante e dolorosa, appena ci accorgiamo, nel cammino della fede, di essere (stati) farisei capaci di ferire i più deboli e sprofondarli nel loro ‘peccato’ dall’alto della nostra “perfezione”. È sempre la preghiera la cartina di tornasole della fede. L’orante è il credente che si mette di fronte a Dio e s’arrischia a cercare nella propria fede un volto amico di fronte a cui esprimersi, con cui entrare in relazione… Allora la prima raccomandazione è la parabola della vedova ostinata: non smettere mai questa preghiera, per nessun motivo, se si vuoi davvero arrivare a incontrare Dio… E questa è la seconda raccomandazione, altrettanto importante, la parabola del fariseo e del pubblicano: fai attenzione che se parli davvero con Dio, il tuo cuore deve diventare misericordioso e ‘amico’ con il fratello.
"alcuni presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri"
Anche Paolo era sicuro di aver combattuto la buona battaglia… ma attendendo con amore la manifestazione del Signore. Anche la vedova era sicura di essere nel giusto!... cioè di aver ragione. Ma in che cosa? nel bisogno di essere soccorsa, amata, custodita… proprio perché da sola non aveva più risorse, né meriti, da vantare… ma solo quest’immensa povertà e fame di bene, che qualcuno doveva pur esaudire… Invece il fariseo ha tante opere da esibire, vere certamente, ed eseguite con corretta precisione. Qual è, allora, il suo problema? Comincia ringraziando Dio, come è giusto, ma è un soliloquio senza interlocutore, perchè poi al centro del tempio c’è lui, che parla solo di ciò che ha fatto bene, e disprezza l’altro… misurandolo sulla propria esperienza - comportamento così diffuso che è divenuto un proverbio . io ho fatto quel che era giusto, chi invece è causa del suo male pianga se stesso!
noi, buoni cristiani praticanti : abbiamo il nemico in casa!
… con questa parabola Gesù mette in guardia proprio i credenti, i religiosi, quelli che frequentano di più il tempio, osservano i precetti della chiesa e le norme morali. Eppure abbiamo il nemico in casa, capace di svuotare di senso il vangelo … e minare ogni rapporto di amore. Questo tarlo si manifesta nei momenti in cui, magari feriti per qualche delusione o scandalizzati per l’altrui comportamento, non abbiamo più misericordia per nessuno e proclamiamo l’elenco minuzioso (perché tanto rimuginato!) dei nostri meriti e di quanto quindi ci è dovuto! Il verme corrosivo rivela il suo veleno soprattutto nel disprezzo degli altri (letteralmente: “nientificazione”, annullamento)!
Il fariseo è un onesto uomo religioso, che, con la propria fedeltà, costanza, fatica, ha conquistato questa posizione di merito. Proprio per questo, coerentemente, “discrimina” (mette dalla parte del crimine!) chi non ha fatto come lui. Se ci è riuscito lui, possono farlo anche gli altri – se ne avessero voglia! Questa logica soffocante rende “duro”e refrattario alla misericordia il cuore dei migliori discepoli o dei credenti più osservanti…
Luca riprende la parabola, perché è proprio questo il rischio più subdolo nella sua chiesa, la fonte di tutte le discriminazioni, condanne reciproche, divisioni … come del resto tra noi, oggi. Infatti, basta vedere quanto ancora tra i credenti, nelle comunità famigliari, religiose, aggregazioni e movimenti ecclesiali… questo vizio “virtuoso” sia persistente, per capire perché il Signore ci insista in modo così shoccante: chi si crede a posto davanti a Dio, per aver fatto quanto doveva fare, è in grave pericolo, perché diventerà presto il giudice inquisitore, difensore della fede e dei costumi, di cui si considera un esperto. Costui, non conosce affatto Dio, e quindi neanche se stesso. Meglio i delinquenti, sembra dire il Signore! Ma perchè una vita ‘religiosa’ seria e impegnata può finire così?
… può essere la trappola del culto
Il culto come voce di lode e comunione della chiesa, radunata attorno alla Parola e all’eucaristia, è il dono più grande offerto al credente, per confortare e nutrire la sua fede, nel cammino della vita. Ma può diventare fine a se stesso, un doveroso tributo pagato a Dio, ed estraniare dalla sua intima verità che è la riconoscenza al Signore e la partecipazione alla redenzione del mondo, che ancora sta fermentando nella storia… Man mano che la preghiera cultuale tende a separarsi dalle condizioni concrete della storia, dalle sofferenze dei fratelli, allora può anche riempire la vita quotidiana di atti di devozione, ma svuotarla di senso. L’indice rivelatore di questa schizofrenia dello spirito è l’insensibilità progressiva alle sorti del mondo e il giudizio impietoso contro il fratello diverso!
… può essere la trappola di una vita impegnata
Avviene che ci mettiamo – sul serio! – alla ricerca di Dio. Come esito di una vocazione autentica oppure dopo un'esperienza forte, un ritiro, un pellegrinaggio, un lutto, una gioia… quando decidiamo di conoscere il Signore, diventare discepoli. Ma la testa e il cuore subito s’ingombrano di preoccupazioni, di desideri, di progetti, di giudizi buoni, ottimi. Che man mano costituiscono il senso della nostra vita... Impercettibilmente, però, tutto questo, con nostro segreto o manifesto compiacimento… si identifica con “i progetti e pensieri di Dio”… Ed ecco che chi ragiona diverso e non li condivide, o vive altrimenti, è nemico di Dio! Con le conseguenti “giuste” contrapposizioni, e poi condanne, e infine il disprezzo del fratello… per difendere la verità e la morale.
la medicina per la schizofrenia dello spirito è la preghiera del pubblicano
È questa la preghiera che ci mette nella posizione autentica di fronte a Dio: abbi pietà di me, peccatore! Il pubblicano della parabola non lo sa ancora, ma la chiesa di Luca ormai lo sa bene, che questa preghiera salva perché è il gemito dello Spirito dentro di noi, effuso in noi per insegnarci a pregare davvero, perchè da soli non siamo capaci.. Ci fa dire: abba, padre! senza altre parole, chiamando con un gemito il Dio di Gesù, non come giudice o creatore … ma come “colui che ha pietà”, l’amore chinato su di noi! Qui sta il nodo fondamentale del fatto cristiano – e l’equivoco determinante di ogni deviazione. Un cristiano che accusa e condanna un altro d’essere peccatore è il colmo dell’incomprensione nel discepolo di Gesù. Esser discepolo consiste invece nella sequela determinata di colui che fu computato tra i malfattori: “…Usciamo dunque anche noi dall’accampamento e andiamo verso di lui, portando il suo obbrobrio” (Eb 13,13). Che questo obbrobrio, questa lontananza di Dio sia abitata da Dio in maniera molto maggiore del simbolo religioso, ecco il mistero! Ma è questa sorprendente dislocazione di Dio rispetto ai nostri pensieri che fa dire a Gesù che le prostitute e i pubblicani passano avanti ai capi ai santi religiosi… nel regno di Dio! Questa invocazione apre al credente lo spazio propriamente cristiano (cattolico) che Gesù di Nazareth ha vissuto con coloro che erano fuori, lontani e perduti… E porta a vivere la povertà di Dio nella storia, attraverso la partecipazione appassionata e simpatizzante con la speranza, la sofferenza, la debolezza di ogni uomo – perché si colloca là dove Dio ha fatto il miracolo, in fondo al tempio, sotto il giudizio impietoso dei “giusti”… Senza mettere mai più la propria fiducia in certezze o progetti o ideologie … ma solo nella testimonianza della misericordia del Signore, come Paolo: Il Signore però mi è stato vicino, mi ha dato forza!
"Io sono come gli altri”… un uomo da salvare”
… il “santo” cristiano è, infatti, un ex-fariseo invaso dalla grazia del pubblicano, per cui non solo non giudica più nessuno, ma si sente salvato dallo stesso amore, scoppia di riconoscenza della stessa riconoscenza del peccatore perdonato, e dunque corre in fondo al tempio, nei crocicchi delle strade, sui marciapiedi della città… ad abbracciare il “peccatore” finalmente fratello, perché da lui ha imparato a pregare! E gioisce che giustamente lo preceda in paradiso, sapendo che gli apre la strada, se lo tiene per mano!
… nessun “fatto cristiano” è più illuminante che la preghiera di Gesù morente in croce nell’estrema lontananza da Dio: per il luogo (fuori del tempio), il tempo (bisogna fare in fretta, perché non contaminare il sabato), l’osservanza della legge (uccidono l’unico giusto!). Ma Gesù prega per il perdono dei suoi assassini e promette compagnia eterna con sé al ladrone : quale maggiore “testimonianza” che Dio accoglie l’estrema lontananza da sé? Non è stato Gesù ad abbandonare il Padre, è stato l’amore del Padre a spingerlo là dove c’era l’assenza, in mezzo ai peccatori, perduti, senza pastore… in modo che, divenuti suoi amici, il Padre non potesse che salvarli e amarli.
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