Voi lo avete crocifisso!
«Salvatevi da questa generazione perversa!» (v. 40). Perché? Nel contesto è chiaro: quella generazione ha crocifisso il Messia, che Dio ha invece esaltato (v. 36). Ha rifiutato e umiliato colui che Dio ha amato e glorificato. In questa scelta disastrosa si concentra ogni dissenso e contrasto fra le vie di Dio e quelle degli uomini. La generazione a cui Pietro si rivolge è ogni generazione, che nasce in qualche modo "storta" (in greco). Ogni generazione, tutti noi, siamo storti, in quanto fuorviati e lontani da Dio: ogni generazione crocifigge il Messia. I nostri criteri mondani di scelta nella storia delle persone e delle istituzioni ci portano a crocifiggere il Cristo, comunque egli si presenti: "via, toglicelo di torno, crocifiggilo" (Lc 23,21). Quanto spesso capita nei confronti di chi disturba i nostri piani, o ci si oppone o è diverso o inutile, inerme ‑ in qualsiasi modo è "povero" dannoso per i nostri progetti. Ognuno di noi potrebbe essere al posto dei protagonisti della passione, dai discepoli che rinnegano, ai capi che sobillano, al popolo che stoltamente acconsente, ai soldati che torturano, a Giuda. Essi sono in qualche modo rappresentanti dell'umanità intera, incapace di accogliere la novità sorprendente di un Dio che si manifesta nella debolezza umiliata e oppressa. Accade ogni giorno, da sempre, che per sfuggire la croce si strumentalizzano o tradiscono i poveri cristi…
Accorgersi di questa “stortura”… personale e sociale, non proviene da un nostro sforzo ascetico, non è scontato. É un dono, spiegato così: "furono trafitti al cuore" (37: "ebbero il cuore trapassato", (conpuncti sunt corde, traduceva Girolamo). Avere il cuore trafitto è un dono di conversione intima. Ogni cammino di fede può raccontare almeno qualche momento di questa esperienza di commozione interiore che il linguaggio antico cercava di esprimere con la parola “compunzione”. L’esperienza irrepetibile di Paolo o di Giovanni, la passione per Gesù dei Padri apostolici… fino alla devozione al Sacro Cuore, o alla “Pietà”, al Cristo della Sindone, a Maria, la madre dal cuore trafitto, di cui profetava Simeone … sono le varie icone nelle quali la tradizione cristiana ha significato questa esperienza, non per deprimerci nel dolore o nel rimorso, ma per scoprire fino a che punto siamo amati e perdonati. Qui è il momento di grazia nel quale muore l'orgoglio, si riscopre la misericordia tenera del nostro Dio che ci avvolge. E nasce allora la domanda…
Che cosa dobbiamo fare, fratelli? Il passaggio dall’atto di fede, sbocciato dalla contrizione del cuore, al cambiamento della vita personale e collettiva … è l’atto di nascita della comunità cristiana. Cosa questo significhi lo sappiamo dagli Atti degli Apostoli. È la scoperta del bisogno di una vita più vera, più autentica, che dalla “stortura” di progetti e desideri e comportamenti deludenti, oppressivi e svianti, ci porta ad una nuova impostazione dei rapporti. Le parole che raccontano questa trasformazione sono diventate per due millenni il punto di riferimento di ogni modello di “conversione comunitaria” cristiana: una fraternità, una mitezza, uno spirito di dedizione reciproca, fondati sulla dottrina degli apostoli, sulla frazione del pane… sulla dedizione reciproca, che riflette l’esempio di Gesù nella sua suprema mitezza: “quando era oltraggiato non rispondeva con oltraggi, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia…” L’annuncio di Gesù, il vangelo le beatitudini, diventano prassi e norma di vita e sconvolgono la dimensione personale e collettiva dell’esistenza: “La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia. Nessuno infatti tra loro era bisognoso…” (At 4,32ss)
Io sono venuto perché abbiano la vita…
In una parola è sintetizzato ciò che rende inconciliabili il rapporto vitale di “appartenenza” con Gesù rispetto a qualsiasi altra relazione. La parola che condensa ogni altra è «vita». Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza. Unica è la “vocazione” alla vita, se vista dalla parte di Dio che chiama tutti con il suo paterno amore creatore! Come è unica la “spinta propulsiva” alla vita, se vista dalla parte del flusso vitale che sboccia nel cuore di tutte le creature: avere la vita in pienezza. Unico il progetto di Dio: che l'uomo diventi Figlio, e possa vivere della sua “paterna” vita divina. Così si spiega la durezza del linguaggio di Gesù, in questa gelosia per chi insidia la vita dei più deboli e piccoli, a cui lui sta donando l’amore che li fa rivivere, perché sono come pecore spaventate e smarrite da voci estranee e ingannatrici: Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: “In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti”… Avevano altri interessi, malvagi o ambigui. Gesù vuole invece donare una vita che colmi il desiderio di pienezza che Dio da sempre ha seminato nel cuore degli uomini. In Cristo questo anelito trova un nome personale, irripetibile e incancellabile. Nel linguaggio metaforico tutti, discepoli e comunità, possono ritrovare il tracciato del proprio rapporto con Gesù, nel cammino della vita: Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce.
io sono venuto perché abbiano la vita… e l’abbiano in abbondanza!
La storia del mondo altro non è che un lungo travagliato cammino verso la vita, insidiato da un pericolo mortale distorcente, cioè “diabolico” : satana è il Sospetto perfido nei confronti di Dio, che ci dipinge come un dio geloso della sua vita divina. Cristo, con il dono totale di sé, ne smonta il meccanismo velenoso: ci insegna la strada, ci apre la porta, offre la sua vita, ci dà l’esempio vivo: “…abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso,… fino alla morte… Per questo Dio l'ha esaltato” (Fil 2,7ss). La vita abbondante che Gesù descrive così, come una porta (io sono la porta) che ci apre nella nostra storia all'amore totale, più forte della morte (chi entra attraverso di me si troverà in salvo); più potente di tutte le barriere (potrà entrare e uscire), dove si sazia tutta la fame e la sete dell’umanità (troverà pascolo). Gesù Cristo è e dà la vita, in sovrabbondanza. Adesso e dopo, per sempre, eterna… oltre ogni misura, esuberante, eccessiva, al centuplo. Egli è la porta attraverso la quale fluisce la salvezza per l'uomo.
Ecco il senso dell’incarnazione del Verbo di Dio:
"Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza". Solo chi non conosce il vero Dio, ha paura di Lui. Il nostro è un Dio per la vita, per la gioia piena. "La gloria di Dio è l'uomo vivente" (sant'Ireneo). Dio è la vita, il luogo dell’amore!. Ha creato l'uomo perché ne partecipasse. Ora tutta la premura di Dio è che l'uomo riabbia la vita e l'abbia in abbondanza, fino a diventare "simile a Lui".La sintesi della lettera di Pietro sta nella congiunzione tra la “Parola della croce” e la “parola del buon pastore”. Gesù non si è ribellato contro il dolore del mondo, anche se l’ha patito atrocemente e ne ha pianto con forti grida e lacrime. Ha portato sulla croce il dolore innocente o colpevole di tutti, affidandosi al Padre, il “giudice giusto”. Ci ha guariti innestando nel nostro cuore, “trafitto” dalla sua misericordia, la disposizione interiore che (il suo Spirito “geme” in noi!) di poter ascoltare il suo esempio, la sua voce, la sua tenerezza che chiama ciascuno per nome e lo conduce (cammina davanti a noi), che eravamo come pecore smarrite. Che imparano “faticosamente” a individuare sempre il Buon Pastore attraverso la Parola più sconvolgente e più affascinante che mai sia stata pronunciata e vissuta nella storia: la parola della croce (1Cor 1,18), la croce che porta la vita: Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti.
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