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giovedì 17 aprile 2008

Parola che trasforma i conflitti in comunione

…iniziano i conflitti nella chiesa dei discepoli di Gesù…
Le tre letture sono una testimonianza intensa della vita e dei problemi dei discepoli di Gesù alle prese con il grande dramma del Nuovo Testamento: come vivere senza la presenza fisica di Gesù? Come entrare nell’ultima beatitudine che Gesù stesso ci ha augurato: beati quelli che pur non avendo visto crederanno? (Gv 20,29). Il disagio sorto nella fervente e unanime comunità di Gerusalemme di cui ci racconta Luca, le tensioni sulla centralità di Cristo, che è insieme pietra scartata per gli uni e pietra angolare per gli altri, il rinnovarsi, nella comunità, delle domande dei tre discepoli, Tommaso (Gv 14,5), Filippo (Gv 14,8) e Giuda Taddeo (Gv 14,22)… sono esempi che esprimono le difficoltà, i dubbi e i contrasti che nascevano tra i discepoli di Gesù verso la fine del primo secolo. Ma sono anche l’eco degli interrogativi eterni che scavano nel cuore dell’uomo la sua sete inestinguibile… L’elaborazione delle risposte a questi disagi, tramandataci nel Nuovo Testamento è una strada maestra, aperta e ricca di indicazioni paradigmatiche essenziali per affrontare anche noi, illuminati dallo stesso Spirito, la nostra situazione odierna.
Sorse un malcontento…
Goggusmòs” - si chiama nel greco biblico questo malcontento – che è una parola onomatopeica, come in italiano “borbottamento” o brontolamento o mormorazione… usata già nella versione greca dei LXX, con significato forte di reazione amara o risentimento acido contro Mosè e contro Dio, a proposito della mancanza di cibo nel deserto. “Mosè disse: «Quando il Signore vi darà alla sera la carne da mangiare e alla mattina il pane a sazietà, sarà perché il Signore ha inteso le mormorazioni, con le quali mormorate contro di lui. Noi infatti che cosa siamo? Non contro di noi vanno le vostre mormorazioni, ma contro il Signore»” (Es 16,8). Il termine è ripreso da Giovanni a proposito di Gesù: “…il borbottamento riguardo a lui era grande tra le folle: alcuni dicevano : è buono; altri: no, ma inganna la folla!” (7,12)… In quale comunità o famiglia o gruppo non capita? C’è sempre il momento in cui si insinua un disagio, una sofferenza sorda, un malcontento… che finiscono per diventare prima mormorazioni o lamenti malcelati, poi proteste e recriminazioni… Le prime comunità non ne erano immuni e si domandavano: come rimediare le preferenze ingiuste, le sperequazioni interne e le rivalità che ne nascono? Come convivere con idee e visioni della vita tanto diverse e talora contrapposte? Come preservare la comunità dalle lacerazioni, senza condannare o emarginare o estirpare le persone (i fratelli) con l’intento di togliere il male? Gli Apostoli suggeriscono un metodo originale per svolgere le tensioni in risorsa per una maggior comunione: per prima cosa è necessario il coinvolgimento di tutti nell’analisi del disagio, perché tutti se ne responsabilizzino; poi si impone una differenziazione dei carismi e delle competenze per affrontare l’aumentata complessità della comunità; ne deriva quindi la conferma sempre ribadita del nucleo vitale della comunione ecclesiale che è la preghiera e l’annuncio instancabile della Parola. Questo processo favorisce sempre più una dinamica circolare delle tre coessenziali dimensioni della grazia cristiana: identità, comunione e missione. Dove il carisma dell’autorità, il continuo confronto fraterno con la base, la spinta propulsiva del vangelo verso l’esterno, rende la comunità intensamente coesa ma plurale all’interno, e perciò capace di capire le diverse situazioni culturali dei vari popoli e paesi all’esterno… Per cui il “protagonista” che si impone e trionfa non è una parte o l’altra della chiesa, ma la “Parola” (di Gesù!), che cresce… illumina, perdona e guarisce.
Non sia turbato il vostro cuore!
Nella narrazione di Giovanni Gesù esorta i suoi a non lasciarsi prendere dallo scoramento! Questa insistenza nel ribadire parole d'incoraggiamento per superare i turbamenti e le divergenze, è un segno che ci dovevano essere tendenze molto diverse anche nelle comunità giovannee, con tanta gente che si riteneva più veritiera e ortodossa degli altri, di coloro, cioè, che forse si lasciavano affascinare dal bisogno di adattare ai tempi le forme e tradizioni antiche e venerande, a costo di sofferenze, offese e condanne reciproche. Quale strada per uscirne? Nel testo di Giovanni si intessono l’insegnamento di Gesù, le provocazioni storiche della comunità di neo convertiti e l’esperienza della comunione “ritrovata”, nell’avverarsi della presenza dello Spirito promesso da Gesù. Non è necessario che tutti pensino allo stesso modo e facciano le stesse scelte, per vincere queste profonde paure: ma ciò che è essenziale è che tutti accettino Gesù come rivelazione del Padre (via, verità e vita) e rinnovino in sua memoria la sua passione di servizio e d'amore. Nella casa del Padre mio ci sono molti posti! La “casa del padre” prima era il tempio… adesso Dio è andato ad abitare nel cuore squarciato del Figlio in croce, la nuova abitazione storica della misericordia del Padre, il nuovo “luogo” dove nasce e si purifica continuamente la chiesa. Qui tutti hanno diritto al posto preparato per ciascuno di noi da Gesù stesso, che da sempre ci attende… Se uno accetta di dimorare nel Figlio, proprio lì trova la comunione indissolubile con i fratelli, qualunque difficoltà o incomprensione insorga. L’ “andarsene da noi” di Gesù è infatti il cammino stesso di passione, morte e risurrezione, per raggiungere la sua glorificazione presso il Padre. In questo cammino che rinnova con noi, egli ci accompagna (perché dove sono io siate anche voi…), affinché insieme con lui anche noi raggiungiamo il Padre (se conoscete me, conoscerete anche il Padre!).
«Chi ha visto me ha visto il Padre».
Filippo forse aspirava a una visione religiosa più alta o più mistica e più dimostrativa («Mostraci il Padre!»), -forse era un desiderio diffuso nelle comunità di Giovanni. È certo che continua comunque ad essere il desiderio di tutti noi. Ma dove e come incontrare Dio? Ecco l'interrogativo sotteso all'intero quarto vangelo, che è iniziato con la dichiarazione forte: Dio nessuno l'ha mai visto (1,18). Gesù risponde chiaramente che la sua persona e la sua vita, la sua storia umana e la sua fine - sono lo spazio in cui Dio si è reso visibile e conoscibile. Nell'incarnazione del Figlio di Dio l'invisibilità di Dio è venuta in mezzo a noi in carne umana… ha camminato tra gli uomini. Ma ora non è più visibile o percepibile al modo che l’uomo dei sensi e della ragione vorrebbe. Tutto quello che Dio voleva dire all'uomo, lo ha detto con le parole di Cristo: “Le parole che io vi dico, non le dico da me”. Tutto quello che Dio vuol fare per l'uomo, lo ha fatto in Cristo: “Il Padre che è in me compie le sue opere”, fino alla solenne proclamazione: In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre. Dunque, arrivato presso il Padre ad intercedere per noi, ci rende capaci di fare come lui, sviluppando nel tempo la sua opera. Che consiste nell’accogliere e annunciare l’amore misericordioso del Padre in tutto il mondo. E renderlo visibile: «Nessuno ha mai visto Dio, ma se ci amiamo scambievolmente, Dio dimora in noi» (1 Gv 4,12). La presenza visibile di Dio vissuta, annunciata e trasmessa a noi in Gesù, si gioca dunque su questo discrimine: l’amore… fino alla fine (Gv 13,1) La scelta, per il discepolo come per la comunità, soprattutto nei momenti di scoramento e di tentazione di fuga e divisione, è drammatica: per cui Pietro ci raccomanda: “stringetevi a Cristo, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio; anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale…” Ancora una volta, stringersi a Cristo e unirci tra noi, pietre disperse, in una comunione “edificante” la comunità, è la stessa cosa!

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