Liturgicamente stiamo entrando in una settimana di preparazione all’uscita di scena di Gesù da questo mondo, o piuttosto dalla vista dei suoi discepoli : è il mistero che chiamiamo Ascensione! Dopo la quale tutta l’attenzione sarà concentrata sulla Pentecoste! Le letture di questa domenica di transizione sono una forte provocazione preparatoria: perché Gesù se ne deve andare? Cosa vuol dire un “altro consolatore”?‑ che Gesù ci manda a rimediare la nostra nostalgia di Lui? Ecco l’esperienza della comunità cristiana primitiva, sullo scorcio del primo secolo.
Filippo… sceso in Samaria… cominciò a predicare loro il Cristo!
C’è una prima predicazione entusiasta ed avvincente, rivolta per di più ad un popolo eretico e disprezzato, il quale però “presta ascolto unanime” e si converte, con fenomeni vistosi e gioiosi di liberazione da oppressioni fisiche e psichiche, malattie, ossessioni … Ma poi le malattie ritornano, o comunque di malati non guariti ne rimangono tanti, passano i giorni, crescono le fatiche e scema l’entusiasmo, e rispuntano i disagi, insiti nel cuore degli uomini: che fare? Gli Apostoli sanno che manca ancora un passo fondamentale per la compiutezza della grazia cristiana: il dono dello Spirito. Senza il quale si è ancora cristiani incompiuti! Non basta l’incontro con il vangelo di Gesù ed il Battesimo. Occorre un secondo passo per camminare verso la pienezza della “maturità cristiana”. Come mancasse un successivo dono di presenza e attitudine interiore. Ma non si tratta di una maggior perfezione, né una qualità o facoltà dell’anima, che si possa perseguire con un’ulteriore catechesi approfondita… È invece il dono di un misterioso amore “personale”: un “altro consolatore” interiore che accompagni lungo il cammino delle vicende e peripezie della vita: “Pietro e Giovanni… pregavano perché ricevessero lo Spirito Santo… imponevano loro le mani e ricevevano lo Spirito Santo…”. Un dono mandato dal Padre e dal Figlio, perché rimanga con noi per sempre, trasmesso dalla Chiesa e col/legandoci in comunione vitale anche tra noi!
Oggi il battesimo e anche, in seguito, la cresima, si ricevono in età non certo adulta, per cui si rischia ancor più di non capire l’importanza del ‘secondo’ consolatore, l’urgenza dell’accoglienza personale e consapevole dello Spirito, che esigendo un rapporto responsabile, da “grandi”, non trova in genere una sua collocazione efficace nel cammino della fede. Molti rischiano così di rimanere sempre ad un livello di fede infantile, devozionistica e un po’ magica, disimpegnata ecclesialmente e socialmente, per una sorta di schizofrenia pratica tra una sovrastima del culto e del rito, che sono necessari, ma spesso non sostenuti e vivificati da un’esperienza di coinvolgimento interiore con lo Spirito di Gesù, che raramente ci si preoccupa di insegnare e trasmettere (come invece Pietro e Giovanni). Per cui tanti cristiani, pur consacrati formalmente nello Spirito, rimangono immaturi, e quindi soggiogati dalla mentalità mondana che hanno assorbito, ignari dello “Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce”. Certamente le crisi di fede e di senso, gli abbandoni della pratica religiosa, lo scoramento sfiduciato nei momenti difficili della vita personale, famigliare, comunitaria… e infine la tentazione di appiattimento sulle modalità di vita propinate dalle provocazioni e delle logiche mondane antievangeliche, hanno qui la loro origine. In una insufficiente consapevolezza e accoglienza dello “specifico della vita cristiana”, di Colui che – soltanto ‑ può dare compiutezza e continuità alla dinamica iniziale della conversione al vangelo: lo Spirito!
…non vi lascerò orfani
Senza lo Spirito il cristiano è orfano, secondo Gesù! E il cristianesimo diventa solo una religione del culto e del Libro, la dottrina di un Maestro che ha insegnato eccelse quanto irraggiungibili proposte morali, ma non ha trasmesso la “spinta” dinamica vitale che sorregga la miseria umana nell’usura del tempo e dell’evolversi della cultura. Per cui quando scordiamo lo Spirito diventiamo una setta di orfani smarriti o aggressivi. Mentre Gesù, ritornando al Padre, non ci ha abbandonati a noi stessi. La sera di Pasqua «alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito santo» (Gv 20,22). E Luca aggiunge il saluto finale: «Io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso» (Lc 24,49). A Pentecoste riascolteremo la grande effusione dello Spirito che darà coraggio e forza a tutta la Chiesa, proiettandola nella sua missione nel mondo, ma custodita e protetta: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre». Nello Spirito, l’apertura del cuore ai comandamenti di Gesù non è una sottomissione ad una legge, ma conseguenza di un innamoramento : la “passione” di Dio è venuta ad abitare dentro di noi come una forza propulsiva, un flusso vitale… ravvivando un intreccio di relazioni che nutrono la vita… Se mi amate osserverete i miei comandamenti... Dunque la realizzazione della proposta di Gesù è esperienza di accoglienza dell’amore in persona: lo Spirito! Non può essere diverso: «Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui». Questo appassionato coinvolgimento ci apre ad una intimità misteriosa e coinvolgente con la Trinità stessa: «In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi». L’opera forte e mite dello Spirito santo è condizionata dalla nostra corresponsabilità accogliente e docile, perché è lui la fonte dell’amore che ci smuove, in una dinamica dove i due amori (il piccolo e fragile amore di cui siamo capaci noi – e il suo braciere eterno) sono fusi insieme nel gemito che ci fa dire “Abbà, Padre”… gemito che ci risuona in cuore, se impariamo ad ascoltarlo, in ogni passo della vita quotidiana, fino a sperimentare e gustare qualche barlume della sua promessa: Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi... perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me ed io in voi.
…lo Spirito di verità
Questa è dunque l’opera dello Spirito in noi! La prima funzione, per così dire, è espressa nel termine stesso usato da Gesù: il Consolatore. La vita cristiana è un confronto e uno scontro continuo col mondo, non solo quello fuori di noi, ma quello che continuamente rispunta ancora dentro di noi. A volte in questa lotta ci sentiamo scoraggiati e perdenti o confusi. Gesù lo sa! Per questo, andandosene, promette con commovente tenerezza: Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore, perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere. La maturità cristiana è, propriamente, accogliere il dono dello Spirito santo e lasciarsi condurre da Lui, come dirà Paolo: «Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio» (Rm 8,14). La nostra “verità”, cioè l’espansione piena della nostra vita “vera”, può essere spinta così ad un livello di pienezza “divina”, la cui possibilità è stata seminata nella nostra carne dall’avventura umana di Gesù, manifestazione dell’amore del Padre per il mondo. Ma è solo lo Spirito santo a introdurci storicamente nel mistero del Padre manifestato nel Figlio (è la seconda funzione fondamentale), infiammandoci il cuore per capire il vangelo e “sapere” viverlo, portando il giogo leggero della nostra fatica quotidiana e aprendone le chiusure e le durezze ad orizzonti di benevolenza, di perdono, di speranza – dentro tutti i problemi di una società sempre più complessa. Come del resto aveva predetto Gesù: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future» (Gv 16,12-14). Per cui, la “consolazione dello Spirito” non è un semplice conforto di solidarietà nel dolore e nella fatica, ma la “forza” di trasformare la vita. “…il cristianesimo non era soltanto una «buona notizia» – una comunicazione di contenuti fino a quel momento ignoti. Nel nostro linguaggio si direbbe: il messaggio cristiano non era solo «informativo», ma « performativo». Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita” (Benedetto XVI, Spe Salvi 2).
…rendere… ragione della speranza che è in noi… con dolcezza e rispetto!
Chiunque oggi ha modo di conoscere, sentire e patire la complessità dei conflitti sociali, nella inevitabile e drammatica interdipendenza ‘globalizzata’ di fame e benessere, di guerra e di sicurezza, di decisioni irreversibili di pochi sul destino dei popoli… scelte che finiscono per mantenere i più indifesi in situazioni insopportabili di oppressione della dignità umana. Ma siamo anche molto più consapevoli dell’ambiguità della nostra stessa anima, ove si combattono e convivono amore e odio, paura e attrazione, maledizione e benedizione… Questa nostra ambivalenza personale interagisce con il male strutturale delle situazioni politiche, sociali, ecclesiali… le quali oggi più che mai sembrano polarizzarsi in una deriva regressiva, che spinge i più fortunati a difendere egoisticamente i propri privilegi e restringere quindi ancor più l’accesso di tutti ai diritti e ai beni di una vita umana degna… Il cristiano deve ridiventare, il testimone della speranza. Di fede è difficile parlare in questo contesto secolarizzato. Ma tutti cercano speranza, perché sembra essercene sempre meno in giro… Il cristiano non ha bisogno di predicarla, perché dovrebbe trasparirne sul suo volto la luce e la voglia di condividerla, con dolcezza e rispetto delle sofferenze e disperazioni altrui. Tutti lo capirebbero, perché la speranza è il nome laico, la veste feriale della fede! È lo Spirito che la fa rinascere nei cuori delusi o devastati degli uomini, attraverso il desiderio del “frutto” molteplice della sua presenza, che non può essere annullato da nessuna oppressione: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé: contro queste cose non c’è legge (Gal 5,22).
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