Man mano che ci allontaniamo dalla celebrazione della Pasqua, anche la liturgia, che pure si mantiene ancora nel “tempo pasquale” dedicato appunto all’approfondimento dell’evento di risurrezione, anche la liturgia – dicevo - ci incanala verso un ritorno all’ordinarietà, alla quotidianità… alle domande del giorno dopo, di quando la vita continua e va portata avanti…
Ecco che allora sorgono i problemi: «Signore, non sappiamo dove vai»; non siamo neanche sicuri di aver capito bene chi sei («Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto?»); non sappiamo nemmeno che via intraprendere («come possiamo conoscere la via?»)…
È la sensazione dello spaesamento data dal ritrovarsi tra le mani la propria vita… dal non sapere che fare, da dove cominciare, a chi dare retta… dal non conoscere quanti anni avremo a disposizione, cosa farne, in vista di che cosa, se con un senso, se per qualcuno…
Sono le domande che affollano anche le nostre giornate: che senso ha tutto questo? Ha un senso? Perché faticare, soffrire, amare, se poi si muore? Se tutto è destinato a finire nella tomba? Perché ci sono? Chi avrà mai ragione dato che han già detto tutto e il contrario di tutto in questo mondo?
E anche a noi scappa detto, come a Filippo, che va guardato sentendolo proprio uno di noi: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Dacci cioè qualche risposta chiara, qualche visione illuminante, qualche criterio inconfutabile per avere un’intelligenza della realtà… altrimenti davvero… è un brancolare nel buio, è un vagare senza meta, è un tracciare un percorso nell’aria, senza senso e senza scia.
Che dire dunque a Filippo? Immediatamente che i suoi stessi pensieri, oltre a una forte immedesimazione coi nostri, ci rimandano anche un’altra sensazione: per certi aspetti cioè ci pare strano e anche forse poco confortante il fatto che ancora oggi noi, dopo 2000 anni dal momento in cui i primi cristiani hanno affrontato questi problemi, siamo ancora qui a riproporceli… E addirittura forse per un altro verso sembra ancora più strano il fatto che essi stessi se li siano posti… proprio loro che avevano vissuto con Lui, che erano stati i discepoli di prima mano, quelli che avevano sentito con le loro orecchie e visto coi loro occhi…
Ma… a bene guardare… forse, così strano poi non è…
Se ci pensiamo bene infatti siamo di fronte a quella che è la struttura antropologica di sempre, dell’uomo di sempre: figlio e padre dell’umanità, ma singolo, unico, irripetibile. E per questo erede e promotore della vita, della storia, delle risposte, delle domande, delle scoperte, dei fallimenti degli altri… ma impegnato personalissimamente nella sua vita, nella sua storia, nelle sue risposte, nelle sue domande, nelle sue scoperte, nei suoi fallimenti…
Ecco la struttura umana fondamentale: o la via diventa la mia via, o la verità diventa la mia verità, o la vita diventa la mia vita… o per me non è via, verità, vita.
Ed ecco perché è sconvolgente e insieme affascinantissima la proposta di Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita».
Sconvolgente perché mai si era sentito che la verità era una persona e non un mistero, una legge, un codice etico, un sistema metafisico… Mai si era sentito che la via da percorrere era una relazione da attuare con una libertà storica. E di certo mai si era sentito che la Vita era un intrecciarsi con la soggettività singolare di Dio, fatto uomo…
Ma oltre che sconvolgente, inaudita ed esplosiva rispetto ad ogni schema interpretativo umano, quella di Gesù via, verità e vita è anche una proposta affascinantissima, perché di fatto è l’unica che risponde alla nostra sostanziale struttura antropologica.
Essa – dicevo – consiste proprio nell’essere figli e padri della storia dell’umanità eppure non sentirsi esauriti in essa: noi non siamo solo il prodotto dei nostri genitori, della società in cui siamo nati e cresciuti, dell’ambiente che ci ha coltivati; e non siamo neanche riducibili all’eredità che lasceremo, ai nostri successi, ai nostri fallimenti, ai nostri soldi, alle nostre carriere, ai nostri matrimoni riusciti o falliti, alle nostre vite realizzate o meno…
C’è un oltre tutto questo! C’è un noi stessi, la nostra identità più intima, che non si può circoscrivere in nessuno schema, che non si può classificare, standardizzare o irreggimentare… è quel nucleo di noi stessi che non coincide con nessuna delle nostre determinazioni: né coi nostri nomi, né con i nostri titoli, né con le nostre mansioni, né con le nostre conquiste o coi nostri sbagli…
Ed è lì, in quel nucleo centrale di noi stessi, quello che Etty chiamerebbe il pezzetto di Dio in noi, è lì che ci intercetta la proposta cristica.
E proprio perché è l’unica che arriva lì è anche l’unica che risponde davvero alla nostra struttura antropologica, che è la libertà singolare.
Riesce a intercettarci lì infatti, nell’unico “luogo” di noi stessi dove siamo noi stessi, perché non è qualcosa di universale che mortifica il particolare, qualcosa di vero per tutti e che dunque non è per me: non è un insieme di regole, non è un itinerario spirituale, non è un codice moralistico, non è un impianto cultuale, non è un sistema filosofico, non è un annullamento nel tutto… è una persona! È la relazione con una persona!
Una relazione personalissima, come non ce n’è un’altra, né mai c’è stata, n’è mai ci sarà, perché sebbene non l’unico, per Lui sono unico!
Ecco allora la risposta a Filippo, a Tommaso e a ogni uomo che si avventura nelle profondità della Vita, non rimando alla superficialità del si vive: avventurar la vita è acconsentire a una relazione che mi ridà la mia vera identità, che è quella di figlio amato e fratello amante. Un’identità che non è un copiare quella del Figlio, ma intrecciandosi ad essa, costruire la mia, tanto da compiere cose «più grandi di queste».
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