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venerdì 22 agosto 2008

La fede tra carne … e spirito!

Una fede che ci supera…
Quanto sia affascinante e insieme difficile la fede cristiana, quanto sia seducente e insieme disomogenea alla nostra natura umana (un vero seme di grazia in terra inospitale!), lo si può vedere in questo prototipo del discepolo cristiano che è Pietro, innamorato di Gesù (perché nessun altro ha parole di vita eterna!) ma allo stesso tempo incapace di seguirlo… fino a rinnegarlo, quando capisce dove sta andando! Ogni cammino cristiano, da allora, è un percorso aspro, una strada erta e stretta,che conduce dalla “fede carnale” alla “fede secondo lo Spirito”, lungo un percorso che rinnega progressivamente la dinamica morbosa della carne (l’io programmatore instancabile di se stesso) per accogliere il Regno di Dio… La fede è dono di Dio all’uomo; gratuita e impensata partecipazione alla sua vita e alla sua intelligenza... troppo diversa da noi! “O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore?”.
…Con la fede, noi, appunto
“abbiamo il pensiero di Cristo” (1Cor 2,16).
La domanda di Cristo? La doppia risposta umana
Ma voi, chi dite che io sia? È la domanda decisiva, che ci scoppia in cuore nelle occasioni determinanti della vita, preceduta da un “ma”, perché è domanda che nasce nello scontro con la realtà difficile, personale e collettiva, che dilania il discepolo tra la sua carne (la sua logica di “vivere” e imporsi! a tutti i costi), e il vangelo della croce di Cristo. Nel quale il donare la vita è messo in conto come motore propulsivo di un’altra logica. Una logica non nostra, ma divina, ove non la vita, ma l’amore (che è perdere la vita!) è il bene supremo. A questa domanda Pietro risponde con la mente già abilitata dal suggerimento del Padre, e testimonia per sempre nella sua chiesa che il Padre si è rivelato definitivamente in Cristo… “Ma” il cuore di Pietro rimane ancor impregnato della volontà di potenza e di vita a tutti i costi che gli è innata… anche a costo di rinnegare il suo amore per Gesù, il Figlio del Dio vivente.
Si diventa discepoli, dunque, rispondendo alla domanda sorgiva del cristianesimo: ma tu chi dici che io sia? E si può rispondere rimanendo ancora servi (della carne – della prepotenza dell’io)… e non “amici”, come vorrebbe il Signore (Gv 15,13ss). Gli amici sono legati dall’altra logica dove il disvelamento di ogni segreto e il donare la vita sono la misura dell’amore. Il passaggio dal livello religioso (di cui anche la carne e il sangue sono capaci) e dal livello conoscitivo (dell’ortodossia anche ispirata), al livello dell’amore, cioè del dono della vita, vuol dire la capacità di assorbire su di sé i peccati e la sofferenza del mondo, di perdonare chi ti fa il male… di affidarsi incondizionatamente alla volontà di un Altro… che è stata appunto la Pasqua! Che ha lasciato Gesù solo, rinnegato da tutti, senza seguito, senza discepoli (nei quali la domanda “ma tu, chi dici che io sia” ha una risposta esistenziale tragica: non ti conosco!).
È la roccia di fondazione… perché è affondato!
… ma, mentre andava a fondo ha trovato dove aggrapparsi: Signore salvami! Il dramma di Pietro che ha paura e si aggrappa al Signore è fondante (la roccia!) per tutti coloro che vogliono diventare discepoli di Gesù e sostenerne la sequela. Il discepolato nasce infatti con la risposta personale alla domanda cristiana: ma tu, chi dici che io sia? Con Pietro rispondiamo come ha suggerito il Padre, l’unico che sa: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Non c’è altro che possa dircelo, non ci si deve aspettare altra rivelazione. Perché “Dio - per mezzo di Gesù Cristo ‑ ha detto sì: e così in Cristo ha compiuto tutte le sue promesse” (2Cor 1,19-20). Quel che Dio voleva fare per salvare l'uomo, trova il suo compimento in Gesù. In lui infatti “abita la pienezza della divinità in un modo fisico” (Col 2,9). Questo è il cuore della fede. La nostra biografia di discepoli dimostrerà (verificherà!) ogni giorno se la risposta coinvolge la vita, se fermenta le passioni, se converte le relazioni… se riempie di questo “vangelo” i silenzi dell'anima e le disperazioni del mondo – oppure se invece ci siamo adagiati in una religione cultuale del quieto vivere, a difesa del proprio io personale o dilatato alla famiglia, al partito, al gruppo di interessi… più o meno velati o inconsapevoli.
A te darò le chiavi del Regno… perché ha sciolto la serratura del cuore
È Pietro che ha trovato (in dono) la chiave che apre per sempre la porta della salvezza: continuare a credere anche quando la debolezza ci travolge, anche quando la disperazione e il rimorso ci corrodono, nel rinnegamento e nel tradimento, e vorremmo sprofondare… ma Pietro continua a girare attorno al Signore e alla sua passione, da lontano, finché il Signore si gira e lo guarda (Lc 22,61). E allora scoppia a piangere amaramente tutte le proprie lacrime, per aver tradito il Signore, pur amandolo. Con questa chiave aprirà ad ogni discepolo la strada della salvezza. Chi rifiuta questa sua chiave si troverà chiuso nella propria disperazione senza uscita, come il Vangelo dice dell’altro discepolo antiprototipo, Giuda! Su questa esperienza essenziale, fondativa della fede cristiana, della misericordia e del perdono (“dato perché ricevuto”), a Pietro sono rivelate e consegnate le chiavi del regno dei cieli. Tutto il resto delle competenze e dei poteri della compagine ecclesiale… dipende da qui. E guai se non rimane configurata e ispirata da questa grazia sorgiva!
Su te edificherò la mia chiesa… e le porte degli inferi non prevarranno!
… perché ha capito che i fratelli che il Signore gli ha affidato (che sono “la chiesa nascente”) costituiscono una comunità che va più in là di lui, della sua poca fede, del suo rinnegamento, della sue debolezze, prima e dopo la Pentecoste! La sua passione umana e le sue paure non gli hanno impedito di ricercare e sempre ritrovare il Signore. Anzi è il Signore che l’ha sempre ricercato e lui ha accettato di sempre di ricominciare, a Gerusalemme, a Antiochia, a Roma! La chiesa è complessa e misteriosa, visibile e invisibile, terrestre e celeste, sta a galla e va a fondo… supera la capacità individuale di comprenderla e giudicarla… è una collettività credente fatta di uomini, ma animata ancora e sempre dallo Spirito, lo spirito di Gesù indefettibile. Oggi ancora, nella comunità credente, se l’avventura umana e cristiana di Pietro, riferimento di umiltà salvata e di perdono unificante, non fa da struttura portante, da modulo vitale, diventiamo un’organizzazione umanitaria, una immensa agenzia mondiale produttrice di prodotti di consumo religioso di alta qualità, ma evangelicamente insignificante. E il mondo va avanti, abbandonato alla suo perdersi, perché non avremmo risposta alla sua incapacità di salvarsi e perdonarsi. Pietro non è il redentore, perché uno solo è il Mediatore. Non è il maestro, perché uno solo è il Maestro. Non il capo, perché uno solo il è il Capo… ma è colui che nel cammino della storia, in base alla sua vicenda personale irripetibile con Gesù il Cristo, è stato costituito, fondato e temprato nelle bruciature incancellabili del suo cuore… per accudirci, guidarci al pascolo, confortarci nella fede… È su questo debolezza irrisolta, ma redenta, che è fondato il fragile “potere” nella chiesa, come ribadisce chiaramente Gesù: “Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22, 31ss). Se non è fondato sulla propria consapevole debolezza, redenta e “ravveduta”, diventa presuntuoso e torna inevitabilmente sul baratro dello sprofondamento: “E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte». Gli rispose: «Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi
Pasci le mie pecore!
Alla fine, sulla riva del lago, Gesù è tenero e provocatorio: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?”. E la risposta è umile, più affidata alla testimonianza del maestro che alla propria: Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene (Gv 21,15-17). Non ha esigito altro, per farlo il capo: “Se mi ami... pasci!”. Pur con tutte le sue debolezze e i suoi limiti. Il potere infatti è così rischioso, sempre e comunque per l’uomo, che lo si può redimere soltanto lasciandosi svuotare di ogni bene o prerogativa… vita compresa, nell’accudimento senza misura né limite, per i fratelli. Come ha fatto il Signore!

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