c’è uno scandalo esterno alla fede, che impedisce di entrare in un dialogo di coinvolgimento esistenziale con Gesù Cristo…
Può essere lo scandalo aggressivo(e alla fine, omicida) dei farisei, lungo il cammino di testimonianza del giovane profeta itinerante che parlava di un Dio Padre, con la sicurezza e la confidenza di un figlio, e rimangono ciechi anche di fronte alle sue “opere” misteriose e inspiegabili … fino a chiedergli, quando l’hanno ridotto a un crocifisso morente sul patibolo della vergogna, il “miracolo” di dimostrare la potenza divina e rinunciare alla sua mitezza disarmata e perdente… : se sei figlio di Dio! Mistero atroce di un rifiuto più tragico di quanto l’uomo sappia di fare. (Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!)
C’è anche lo scandalo amareggiato dei giusti, galantuomini e devoti… come il giovane ricco, che non osa varcare la soglia del Regno... dietro ad un Maestro che chiede una rinuncia così radicale e insensata a sé stessi… per seguirlo, dopo aver consegnato tutto ai poveri! Mistero “triste” di chi è tanto incatenato ai propri beni da non aver la forza di guadagnarsi la libertà, a cui pure si sente chiamato. (Quanto è difficile che un ricco entri nel Regno dei cieli!)
… Ma c’è soprattutto uno scandalo interno alla fede, che apre un vuoto incolmabile (un rifiuto cieco e invincibile) nel cuore del credente, quando già ha deciso da tempo di donare la sua vita… al seguito del Maestro, riconosciuto come “il Cristo, il figlio del Dio vivente!”… Uno scandalo (cioè una pietra d’inciampo!) che inevitabilmente si incontra lungo il percorso della fede, e, a un certo punto, blocca il cammino e ci inchioda al dubbio, alla desolazione, alla disperazione, alla protesta e, purtroppo spesso, al rinnegamento. Mistici e filosofi danno voce all’esperienza silenziosa e inconsapevole di tanta gente comune, e raccontano di questo divagare e perdersi per sentieri interrotti, proprio quando già la verità e l’amore sembravano a portata di mano.
… il vangelo di Matteo, proprio al centro del suo racconto, è arrivato a questo crinale, quando Pietro, prototipo del credente appassionato, ha riconosciuto (diremmo noi) la divinità di Cristo. Ma subito c’è lo scandalo, che è l’invito a sprofondarsi nel mistero del Messia sofferente… a consentire che “doveva… soffrire molto … e essere ucciso”, perché credere davvero in lui vuol dire seguirlo lungo questa discesa agli inferi. Allora, con Pietro, noi tutti rifiutiamo, vorremmo imporre noi la guida del viaggio su tutt’altre strade, con tutt’altri programmi: Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai! Cioè, lì non ti seguiamo!
… Un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa…
… allora, nella storia del cristiano, come già nei racconti e nelle biografie profetiche dei patriarchie dei profeti, Dio si rivela completamente “diverso” da quello che si credeva di seguire e di adorare… e non mantiene per niente le promesse come noi le avevamo capite. E la fede vacilla tra le due esperienze: la vocazione sorgiva, come dono di fatto storicamente e affettivamente irresistibile (… mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso!) – e la delusione amara alle reazioni di obbrobrio e di scherno. Ma non sono tanto le persecuzioni esterne, anche violente e sanguinanti, che svuotano il cuore della sua voglia di vivere, ma il fuoco rovente che entra nella pelle e corrode le ossa, e brucia la vita nostra e di troppa gente, che, dopo tante fascinazioni e promesse, è ridotta a perdere la voglia di vivere, come dice Geremia poco più avanti:
Ogni attenuazione o camuffamento dello scandalo di Pietro o di Geremia (e dell’infinita processione dei crocifissi disperati della storia) è “diabolico” e Gesù lo rinfaccia a Pietro! Alla voglia di successo, di potenza, di consenso universale che tutti noi cerchiamo con tutte le forze… a cominciare dalla Pietra fondante della chiesa, fino alle ultime pietruzze, che noi siamo, il Signore continua a contrapporre con una decisione e durezza insolite: mettiti dietro a me, Satana! Perché tu non ragioni secondo Dio, ma secondo gli uomini. Il nostro cammino di credenti e di chiesa fatica a ricollocarsi continuamente “dietro” questo giudizio tremendo, che pende come una spada di Damocle, sui nostri programmi e sulle nostre catechesi, sulle nostre mediazioni politiche e sulle nostre strutture ecclesiali, fondate allora come oggi sulla preminenza competitiva, fin nelle nomenclature gerarchiche barocche che ancora usiamo imperterriti (eminenza, eccellenza, monsignore, don/dominus… ). E così, invece che il “bisogna” evangelico (che il figlio dell’uomo soffra), noi predichiamo il “bisogna” che il credente e la sua chiesa sopravvivano e si adattino in questo mondo… Otteniamo così da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi… qualche interessato e sterile riconoscimento o compromesso o “concordato” amministrativo o economico… al livello delle mediazioni del “ragionamento umano”, di cui siamo maestri, ma ci tocca mettere in ombra il Vangelo, così come si esplicita da qui in avanti: “cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno”. Questo è il nucleo di fuoco del Vangelo, della “incomprensibile”volontà del Padre. Questo è il “Dio crocifisso”, così facile da adorare con le lacrime agli occhi nei fumi dell’incenso, per rinnegarlo nella storia politica, economica e affettiva della vita quotidiana: Ma questo “dio crocifisso” è ormai l’unico modo di esistere di Dio nella storia… Tutto il resto è preparazione provvisoria o deviazione diabolica. Questo è il tormento di fuoco che è entrato nelle ossa del credente e avvelena qualsiasi compromesso, o lo tramuta in rimorso irrisolvibile, quando ci si è caduti. Non si tratta degli “altri”, dei non credenti o altrimenti credenti, o atei… verso i quali ci è proposta l’infinita misericordia del Padre. Ma si tratta di noi stessi, “i cristiani”!Maledetto il giorno in cui nacqui;
il giorno in cui mia madre mi diede alla luce
… Perché mai sono uscito dal seno materno
per vedere tormenti e dolore e per finire i miei giorni nella vergogna?
Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
… non c’è possibilità di tergiversare, non c’è scorciatoie. Mite quanto incondizionata e senza scampo, questa proposta, di consegna totale! È la conseguenza del discorso delle beatitudini, cioè dello sguardo di Dio sulla Storia degli uomini. Quando l’amore entra nella storia concreta deve mettersi per traverso alla logica umana, che esige di salvare la propria vita a tutti i costi (anche a costo di abbandonare alla deriva i più deboli)… e allora si chiama “croce”. Ognuno carica sulle proprie spalle tutto l’amore di cui è capace (la sua croce!)… e si metta al seguito di chi da questo amore è spinto fuori del campo, fin sul Calvario dell’abbandono di Dio. Cioè non solo fuori del consorzio e del consenso umano, ma della propria comprensione. Allora ritrova il senso e la verità della vita che gli è stata violentemente strappata. Questo vuol dire risorgere…. tre giorni “dopo”…
… che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima?
Può dare solo la propria sofferenza! … la sofferenza che “doveva” cadere addosso al Messia, figlio del Dio vivente. (La gioia, quella vera, sgorga da sola proprio dal consenso alla sofferenza … e nessuno può togliertela!). È della sofferenza che bisogna fare il luogo dell’elaborazione della libertà!... facendo del proprio corpo un sacrifico vivente, unico vero culto spirituale! Perché questo è il problema di ogni figlio dell’uomo, consapevole o no: il suo dolore nel dolore del mondo… nel dolore di Dio! E ogni angoscia, ogni paura, ogni religione… nasce da lì! Solo che tutto lo sforzo umano al mondo (giustamente!) è di elaborare pensieri e situazioni che eliminino la sofferenza e l’angoscia mortale che ne deriva. Gesù invece vi si inoltra consapevole, con forti grida e lacrime, divenendo per noi “peccato” e “maledizione” (2Cor 5,21 e Gal 3,13), con una lucidità e solidarietà smisurate: “Avendo amato i suoi li amò sino alla fine” (Gv 13,1). La passione e la morte non sono un incidente nella vita di Gesù, ma ne sono la bussola e il senso, la sua "ora" per eccellenza (Gv 12,23)… Come aveva previsto la storia del Servo Sofferente di Isaia, che infatti fornì ai primi discepoli il modulo per capire cosa stava succedendo al loro maestro. Ma questo scandalo, rimandato fin che si vuole o si riesce, presto o tardi blocca il cammino di ogni fede cristiana e insinua la tentazione (coscientemente o meno) di tornare ad un Dio più funzionale alle nostre attese e ai nostri progetti – un Dio del buon senso e delle mediazioni, che lasciano la storia così com’è, e ci evitano le reazioni di rifiuto e di insofferenza che ci nascono dentro, per esser stati redenti da un Dio sempre perdente e crocifisso. Solo la Parola e la compassione per il dolore dei più deboli ce ne può salvare… per reintrodurci nel mistero eucaristico che è proprio questo invito drammatico a Pietro e tutti noi a seguire il Signore e ripetere in sua memoria il suo modo di soffrire… È la sfida più difficile che sia mai stata posta all’uomo (da Dio stesso!). Ma cos’altro può dare l’uomo per far rinascere la sua identità più intima?
Non è un ateo o un nemico della chiesa colui che ha posto nel cuore del credente la domanda fatidica: ma il figlio dell’uomo, quando verrà, troverà fede sulla terra? (Lc 18,8).
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