Il testo del vangelo di questa ventesima domenica del tempo ordinario, che forse noi siamo abituati a sentire senza più lasciarcene stupire, contiene in realtà tre elementi sconvolgenti:
1- il fatto che Gesù cambi idea;
2- che sia una donna a fargliela cambiare;
3- che cambi idea non su qualcosa di secondario, bensì su qualcosa di sostanziale: l’esclusività della salvezza e la sua realizzazione “tramite selezione”.
Per capire davvero la portata di questi elementi, che coraggiosamente la prima comunità cristiana ha voluto tramandare per sempre a tutta la Chiesa, proviamo a guardarli uno alla volta, da vicino, cercando anche di lasciarcene istruire.
1- Dire che Gesù – che noi crediamo il Figlio di Dio – ha cambiato idea “strada facendo”, lasciandosi provocare dalla storia che man mano viveva e dagli incontri che in essa faceva, non è una cosa così indolore. Ancora oggi (anzi forse molto più oggi che allora), affermare una cosa del genere scatena immediatamente reazioni di iper-prudenza, di attenuazione delle parole, di ridimensionamento della cosa. Non fa niente se è scritto in modo inequivocabile nel vangelo: la paura atavica della dissacrazione di Dio e della sua possibile ritorsione (eterna) è più forte. E allora si ha bisogno come di liofilizzare la vicenda terrena di Gesù, di renderla eterea, di de-storicizzarla.
Ma perché fa così paura dire che Gesù ha cambiato idea? Il timore è che questo possa mettere in discussione la sua divinità e – di conseguenza – la nostra salvezza. Cioè che, se Gesù non sapeva già tutto in anticipo (con l’esclusione quindi della possibilità per lui di cambiare idea, di evolvere nella presa di coscienza di sé, del Padre e della sua missione), ma “si è fatto” strada facendo (come fanno tutti i figli di questo mondo), allora forse non era Dio... e se non era Dio, ma solo un uomo, che senso ha credere in Lui? Non può portarci nessun beneficio, né tanto meno la salvezza... e quindi – visto dal punto di vista dell’istituzione – non può portarci nessuno in chiesa...
Ecco il terrore sottostante!
Ma il problema è che in tutto questo ragionamento, che forse non esplicitiamo mai, ma che soggiace al nostro modo di rapportarci a Dio e dunque a noi stessi e agli altri, c’è un pregiudizio di fondo: il fatto che siamo noi a decidere il modo in cui Gesù deve essere Dio: deve sapere tutto e in anticipo (onniscienza), deve potere tutto ciò che vuole (onnipotenza), deve essere forte, grande, eterno... Insomma un plenipotenziario degli attributi degli abitanti dell’Olimpo... questo è il dio che abbiamo in testa noi, perché – ci chiediamo – se non fosse così, come potrebbe salvarci?
E seppur il vangelo è lì a smentire continuamente questa immagine e a invitarci a convertirla, essa rispunta sempre. Come per esempio qui, nella fatica, personale ed ecclesiale di prendere sul serio il fatto che Gesù abbia cambiato idea, che Gesù cioè fosse uomo per davvero e che questo, lungi dal diminuire la sua divinità (come la intende lui e non noi), la rivela invece in pienezza: Gesù è Dio così, facendosi uomo. Tutti i tentativi di ridurre, mitigare, diluire la sua personale vicenda storica, pensando così di salvaguardarne la divinità, in realtà perdono l’una e non trovano l’altra, se non, al massimo, in una forma evanescente, inconsistente, insapore e incolore, tanto lontana dalla vita dell’uomo da apparire superflua, se non addirittura inutile (come di fatto accade oggi).
E pensare che tutta la vita di Gesù dice il contrario... nasce povero e nudo dal grembo di una donna; di lui il vangelo dice che «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52); che ha provato la lotta col male (Mt 4,1 ss); che si è lasciato provocare dalle discussioni con gli altri uomini (Mt 9,14 ss); che «si meravigliava» (Mc 6,6); che si intristiva e piangeva (Gv 11,35); che si commoveva (Mt 14,14); che incontrava, andava, ritornava, amava, pregava; che provava «paura e angoscia» (Mc 14,33)… che – per dirla alla De Andrè - «è morto come tutti si muore, come quegli altri, cambiando colore».
E a meno di dire – come è stato detto (cfr docetismo) –che Gesù facesse finta, è necessario, di fronte a questa evidenza, assumere con serietà e radicalità il fatto che Gesù sia Dio proprio nel modo di farsi uomo («Cristo Gesù, essendo per forma Dio non stimò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma annientò se stesso, prendendo forma di servo, diventando simile agli uomini; e apparso in forma umana si umiliò facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce»)! E che – viceversa – dentro a questo “farsi uomo” di Gesù, fatto di storia e incontri, riflessioni e esperienze, ci sia anche il suo modo di essere Dio: un Dio che sceglie di essere Dio-con-gli-uomini o Dio-mai-senza-l’uomo, che dunque sceglie di non scrivere la storia a prescindere da lui, ma di inventarla insieme con lui… sapendo il rischio che corre…
Però, solo con un Dio così è appassionante avventurar la vita…
2- Secondo sconvolgimento: anche le donne - in maniera inconcepibile per la mentalità ebraica di allora ed ecclesiastica di oggi – sono entrate in questo flusso di presa di coscienza di Gesù! E lo hanno fatto in modo radicale. È curioso quanto peso– ancora una volta con un coraggio smisurato – la prima comunità cristiana abbia riservato nei vangeli agli incontri di Gesù con le donne. Non solo per la loro quantità o frequenza, quanto per la loro decisività: Gesù nasce dal grembo di una donna; non ha paura di andare contro le prescrizioni ebraiche e di suscitare scandalo facendosi toccare («Ed ecco una donna, che soffriva d'emorragia da dodici anni, gli si accostò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. […] Gesù, voltatosi, la vide e disse: “Coraggio, figliola, la tua fede ti ha guarita”», Mt 9,20.22), amare («Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato», Lc 7,37-38), difendendole pubblicamente («Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei», Gv 8,7); addirittura attribuisce all’incontro con una di esse la stessa necessità di farne memoria che assegna all’eucaristia («In verità vi dico: dovunque sarà predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei» Mt 26,13); tra tutti, appena risorto, sceglie di andare dalla sua Maria Maddalena («Maria!», Gv 20,16)…
E poi la nostra di oggi… quella donna che ha fatto cambiare idea al Figlio di Dio…
C’è di che sobbalzare (di gioia) per un Dio così!
3- E non per uno pseudo-femminismo che gli si può attribuire, ma perché è uno che accetta di avventurare la sua libertà nell’intreccio con quella della sua creatura, a prescindere da qualsiasi barriera razziale, culturale, di genere, incontrandola invece in quell’intimità di sé (la stanza interiore) che fa l’uomo umano (e cioè abilitato all’incontro col divino – il divino di Gesù Cristo): «Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,6)
Ecco il terzo sconvolgimento! Il più sconvolgente perché ha sconvolto per primo Gesù stesso! Egli infatti ha dovuto prendere coscienza di dover cambiare idea e di dover uscire dalla mentalità giudaica del suo tempo che pensava la salvezza come dono esclusivo per Israele (nonostante qualche spinta universalista fosse già presente nell’AT – cfr la prima lettura di Isaia). A ben guardare infatti Gesù inizialmente si dedica «alle pecore perdute della casa d’Israele», non va nei territori pagani e non a caso chiama dodici discepoli: egli infatti vede la sua missione come la costruzione del nuovo Israele!
Ma… la vita gomito a gomito con la gente, nonostante il tentativo, anche duro, di trattenersi («egli non le rivolse neppure una parola») lo “converte”… gli fa cambiare strada… e spalancare le porte dell’incontro con Dio, in lui, a tutti gli uomini!
Forse perché «dire no a chi ‘da vicino’ ti chiede qualcosa, è sempre più difficile» [Relazione per i 25 anni della fraternità di Lessolo].
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