Chi ci ha seguito con pazienza nel cammino che la chiesa ci ha proposto in queste settimane in preparazione dell’avvento del Natale, si sarà reso conto come il Signore Gesù capovolge la nostra prospettiva religiosa, il nostro modo di pensare, vedere e rappresentarci, il rapporto con Dio, con i fratelli e sorelle, con il creato, con le cose…
Abbiamo spesso sottolineato come la prima conversione che il Signore ci chiede è proprio quella di lasciarci sconvolgere in profondità, nella nostra mentalità e cultura, dalla Sua prospettiva. Per renderci consapevoli che anche se apparteniamo a una cultura cristiana, essa non è mai così cristiana da non potersi ritenere bisognosa di ulteriore conversione, perché non si è mai cristiani abbastanza, neanche culturalmente…
Abbiamo spesso sottolineato come la prima conversione che il Signore ci chiede è proprio quella di lasciarci sconvolgere in profondità, nella nostra mentalità e cultura, dalla Sua prospettiva. Per renderci consapevoli che anche se apparteniamo a una cultura cristiana, essa non è mai così cristiana da non potersi ritenere bisognosa di ulteriore conversione, perché non si è mai cristiani abbastanza, neanche culturalmente…
Questa conversione che il vangelo chiama specificatamente metanoia, cioè cambio di mentalità, non esige da parte nostra uno sforzo particolare… La conversione che il vangelo “esige” da noi, è provocata in noi dal vangelo stesso… dalla buona, bella, gioiosa, inaudita, stupefacente notizia che ci viene continuamente donata, come possibilità veramente nuova, completamente “altra”, della nostra vita, a tutti i livelli. Solo a partire da qui, da questa “gioiosa notizia”, può nascere una conversione morale cristiana, perché solo un comportamento che nasce come risposta a un dono; solo una morale che nasce dalla riconoscenza, è gioiosa e quindi liberante. Altrimenti essa viene “giustamente” percepita come imposizione esterna, fatica tanto titanica quanto sterile e vana, perché non apportatrice della gioia liberante del vangelo, ma mortificazione della grazia, sterile “ingabbiamento” dell’io…
Infatti – per usare un’immagine che Gesù oramai adulto ci proporrà spesso –: che sforzo devo fare per sedermi alla tavola imbandita dal Padre?… nessuno! Devo solo, paradossalmente, ascoltare il mio limite (la fame!) e lasciarmi “ingolosire” dalla tavola imbandita… “Impossibile non convertirsi” a tutto questo “ben di Dio”!
E allora, ascoltando il profeta Isaia, cosa dobbiamo fare noi che camminiamo «nelle tenebre» per vedere «una grande luce»? semplicemente… aprire gli occhi: niente di più! E lasciarci contagiare dalla gioia del Signore e gioire davanti al mondo «come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda»; cioè, come si gioisce quando gioiamo del risultato delle nostre fatiche… E allora, già qui, «è un bel faticare!».
Ma il Vangelo ci spinge ad andare oltre e ad aprici ad una prospettiva nuova, alla visione del Dono di questo Bambino!
E allora ci chiediamo: Come è possibile che un bambino, questo Bambino, sia il nostro Salvatore, il nostro definitivo Liberatore? Come è possibile che questo bambino insomma, per usare le parole di Paolo, sia «la grazia stessa di Dio che porta salvezza a tutti gli uomini»? Come è possibile che egli sia colui, sempre secondo Isaia, che «spezza il giogo», toglie «la sbarra sulle nostre spalle», e disarma «il bastone del nostro aguzzino»?… quando se ci guardiamo intorno, non sembra che da duemila anni le cose siano granché cambiate…
A ben guardare, ci sono due modi per “toglierci un peso”. Uno è quello che potremmo definire “nostro”, secondo la nostra mentalità e cultura e che si presenta immediatamente ai nostri occhi come l’unica soluzione possibile: quello di scrollarci di dosso il “peso che ci opprime”. Questo modo, ci fa credere che, per essere veramente liberi, occorra eliminare l’ostacolo, eliminare il nemico, scendere dalla croce che ci schiaccia, “risolvere il problema” che ci soffoca, nella ricerca illusoria della soluzione definitiva di ogni problema… Ora, questa soluzione a mio parere è peggiore del male perché, tra le altre cose, esige la nostra uscita dalla storia, in definitiva la nostra morte (altro che quella del nemico!)… Infatti se uno non vuol morire non dovrebbe nascere… se uno non vuole problemi, dovrebbe vietarsi di vivere… Ma non trovo convincente nemmeno il discorso di coloro che vorrebbero rimandare la liberazione definitiva alla fine dei tempi, come se le Beatitudini – per fare solo un esempio drammatico – fossero un discorso che si realizza solo nell’«altro mondo». Quello della «fine del mondo» o comunque della fine di questo mondo…
Occorre allora lasciarci istruire da questo Natale per trovare una soluzione che non butti via il bambino insieme all’acqua sporca… che cioè non butti via la nostra vita insieme ai nostri problemi…E la risposta la troviamo nel Vangelo di questa santa notte. Seguiamo allora i pastori, mischiamoci in mezzo a loro, per nutrirci dei fatti che hanno vissuto…
Ad un certo punto nella notte un angelo appare ed annuncia «una grande gioia», perché, oggi, ora, adesso è nato il Cristo Signore, Salvatore-Liberatore per tutti, ma proprio tutti. E l’angelo indica un segno, quale? «un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E che cosa fanno i pastori? vanno subito a vedere il «segno»! E che cosa trovano? «Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia». Tutto qui! Tutto qui? E – ci dirà il seguito del vangelo – se ne tornano alle loro occupazioni «glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto». Tutto qui!
Ma insomma, dove sta il segno? Da dove scaturisce quella «grande gioia» che sembra esplodere dentro i loro cuori e sconvolge loro – attenti! – non il loro vivere: «tornano infatti sui loro passi!»; ma il loro modo di vivere: infatti «glorificano e lodando Dio!», ci dice Luca…
In verità quello che i pastori hanno visto nella loro quotidianità (notturna!) è un liberatore, un inviato dal Signore che finalmente “era uno di loro”, uno come loro: reietto dalla storia, “cacciato” dal convito umano, e che – oramai adulto – sarà anche “maledetto” dalla religione ufficiale… Insomma non hanno visto un liberatore come avremmo potuto aspettarci: un cavaliere «figlio di papà», un «principe azzurro» vestito con abiti firmati e abitante in una reggia con parco e piscina… ma uno che vive la loro stessa drammatica esistenza…
Mi capita spesso di sentir dire: «Gesù era Figlio di Dio, anzi Dio stesso, per lui era più facile che per noi»… ora, così dicendo, noi censuriamo che veramente in Gesù, Dio si è «spogliato completamente della propria divinità, diventando in tutto simile a noi», assumendo in tutto i nostri problemi, il nostro giogo, la nostra croce, i nostri drammi… ma senza il peccato, cioè vivendoli in modo diverso, dicendo “sì” alla storia che incontrava e non come fuga da essa (e quindi da Dio Padre: vi ricordate come Adamo ed Eva fuggono nascondendosi?).
Quello che i pastori hanno visto e compreso, è che questo Bambino-Messia e Signore, ha voluto fin da subito, sedere all’ultimo posto alla tavola della vita: reietto, “impuro” tra gli “impuri” come loro stessi. Hanno visto il Liberatore, il Signore, condividere in tutto i loro disagi umani, il loro essere considerati dagli uomini dei “maledetti da Dio”… In questo Natale possiamo capire meglio che Gesù – che si rivelerà più chiaramente ai discepoli, come l’Alfa e l’Omega, la “A” e la “Zeta” della storia – sarà compreso come “Colui che è fin dal Principio”, proprio perché ha scelto, entrando nella storia, di essere l’ultimo, di viverla “dal” fondo: perché ha scelto di essere l’ultima lettera dell’alfabeto umano! Nella grande carovana umana che vaga nel deserto della storia, Gesù è nostra guida perché ha scelto da subito di essere uomo per davvero, stando in fondo alla carovana, ma così in fondo che nessuno può essere più disperato, più “maledetto”, più abbandonato, più disprezzato, più ultimo di lui… E – anche questa è una novità – lo fa da figlio (cioè da fratello che è l’unico modo per essere nella storia «Figlio/figli del Padre»)! Non brontolando contro una vita ostile (e quindi contro il Padre e contro i fratelli), ma aprendosi ad essa, consegnandosi in un rapporto, in una prossimità, che diventa la Via per una vita rinnovata anche per coloro che non sono in grado di cambiarla, come in fondo, Gesù non ha cambiato la sua!…Gesù insomma scegliendo l’ultimo posto nella storia, si offre come possibile soluzione per chiunque, anche per l’ultimo (anzi oramai “penultimo”), dei disperati, perché anch’egli possa – nel vivere in pienezza la propria comunione (questo è lo Spirito Santo) col Padre – trovare la propria dignità di figlio nella propria umanità sfigurata…
Se c’è una soluzione possibile ai nostri problemi essa non può che partire da qui, da questa comunione già data, altrimenti non sarà altro che un tentativo violento di esigerla da altri: la pace che scaturisce da questa comunione, insomma non è data dalla soluzione del problema, ma è la pace stessa (così intesa e così radicalmente vissuta) che diventa sorgente di soluzione. Soluzione che oramai non è più strettamente necessaria alla pace-comunione, ma ne è “semplice” “epifania”, al limite “verificazione” storica, “segno” di ciò che la precede, della pace-comunione che c’è già! Pace che resta anche davanti al fallimento immediato di ogni soluzione storica, anzi che cresce proprio nel suo lasciarsi gettare nel fondo della storia…
Ecco allora svelarsi in pienezza la vera liberazione, la luce che illumina questa notte, presente qui, ora, adesso, senza bisogno di attendere oltre, senza fuggire in un mondo ideale sia esso passato, presente o futuro… In questo Messia bambino, avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia viene svuotato dal di dentro il peso di ogni oppressione, viene resa “ogni croce leggera”, in modo che non solo non possa più nuocerci spaventandoci, ma anzi diventi occasione di una comunione-pace ancora più grande… perché solo la sofferenza che costruisce un rapporto può essere vissuta senza che uccida la vita e perché solo la comunione vissuta fino a questa profondità – fino a questo abisso sprofondata – dà senso a una vita che non teme più nessuna morte.
Questo è il miracolo di questa notte, questo è quanto ci viene riofferto ogni giorno dell’anno dal Natale del Signore.
Questa è la Grazia che domandiamo per coloro che ancora oggi si “sentono” ai margini della vita, affinché si scoprano al centro della Comunione, al centro della Pace!
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