Le seconda domenica di avvento, nei vari cicli liturgici, è sempre dedicata a Giovanni il precursore, perché nessuno come lui ha atteso e indicato da vicino il Messia salvatore. In questo, nessun “nato di donna è più grande di lui”. Giovanni è nella Bibbia il segno e il simbolo dell’insuperabile distanza e insieme dell’indicibile vicinanza tra Dio e noi. La Parola di Dio che “fu su Giovanni” nel deserto, indicata da Luca con precisione storica inconsueta, è la stessa che ha chiamato i patriarchi e i profeti fin dai tempi antichi. È la Voce che sveglia Abramo, è la fiamma che brucia il roveto ardente senza consumarlo, la colonna di fuoco o la nube luminosa che indica e nasconde la strada nel deserto, la luce o l’ombra che guida le vicende tristi o liete della conquista della terra promessa, che sostiene la missione e perdona i peccati della casata di Davide, custodisce la gloria e la fragilità della legge e del tempio e, infine, rigenera la fede incrinata dei deportati dall’esilio, quando tutte le promesse di Dio sembrano fallite … E allora Baruch, assieme a tutti i profeti della speranza che non demorde, ci annunzia: deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivèstiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio, per sempre … perché Dio mostrerà il tuo splendore a ogni creatura sotto il cielo. Nella conversione s’incontrano la disponibilità dell’uomo e l’intervento di Dio. La Voce di Isaia che risuona in cuore a Giovanni (… preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri … ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato …), è ciò che Baruch attribuisce alla iniziativa di giustizia e misericordia di Dio (Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna, colmare le valli …).
Credere nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe … implica la costante consapevolezza che tutto è tenuto in movimento dall’incolmabile assenza di Dio, che noi soffriamo e piangiamo nei momenti di dolore e di crisi, attribuendone la causa alle cose che ci vanno male. Mentre, dentro queste, è la desolante sua lontananza che scava nella nostra precarietà e nella nostra sordità, il vuoto del deserto. E rimette l’uomo di fronte alla sua nuda verità! Allora soltanto si riscopre che il principio di discernimento e di orientamento che ci dona il deserto è la Parola di Dio. Ci vuole il coraggio dei profeti per accogliere questa Voce severa, consolante e scarnificante, poiché mette in crisi e mina alle radici le impalcature psicologiche create in noi dalla necessità di sopravvivere nella nostra piccola storia, con gli strumenti psicologici o gli stratagemmi affettivi offerti dal tessuto di relazioni, acculturazioni, tradizioni e proiezioni del passato, nel quale siamo impaniati. La Voce denuncia continuamente che la nostra vita è insidiata da questo verme inarrestabile che corrode dall’interno i tesori auto costruiti dall’uomo, gli fa il vuoto dentro, avvisandolo che Dio (l’Amore) è l’ultimo futuro di quanto ha esistenza. Tutto quello che l’uomo pensa o costruisce o accumula, senza amore, non ha senso, diventerà polvere. L’inquietudine non pacificabile che nasce da questa voce è … il lucignolo che non si consuma, anche in noi. Rimette in tensione vitale la coscienza, la spinge ad andare “oltre”, a non lasciarsi imprigionare nei limiti del presente, ma aprirsi alla faticosa esperienza della libertà. Giovanni compie in sé il cammino dei profeti e conduce il millenario pellegrinaggio dell’Alleanza antica al Messia definitivo, quello che vive in sé, nella sua carne, fatta come la nostra, il mistero paradossale della presenza “corporale” di Dio, che viene ad abitare proprio nella “lontananza umana”. Dove Dio,”il santo dei santi” – il separato da tutto – non può assolutamente stare. Adesso – qui! – dopo le instancabili speranze dei profeti e dei poeti e le lacrime desolate dei poveri senza consolazione, è diventato umanamente visibile l’invisibile, è apparso lo splendore velato che ogni creatura attendeva, gemendo come nelle doglie del parto. Adesso “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!”
Il messaggio centrale di Giovanni, non è apocalittico, ma storico
Alla coscienza del credente, risvegliata dalla Voce, la terra si rivela come il mondo dell’amore affidato alle nostre mani: rimane la nostra casa – l’unico luogo ove è possibile ritrovare la libertà per imparare ad amare. La terra ci affratella tutti (“ogni uomo”) nel dolore e nel peccato. Pur continuando a vivere in un mondo di sperequazioni ed ingiustizie, di odio ed abbandono, all’uomo che ascolta la voce (il credente) è indicata “la salvezza di Dio” (il cuore dell’Essere). E ricomincia a combattere la sua lotta, perché tutti si aprano all’amore, tutti possano conquistare e essere conquistati dallo Spirito. È Giovanni che annuncia un battesimo non di acqua, come il suo, ma di fuoco, che Gesù porta sulla terra a chi crede in lui. Perché sulla terra l’amore non è un dato istintivo, ma è conversione dal proprio egocentrismo che paralizza l’uomo nella paura di morire. Una quotidiana conquista che ci riconduce alle radici della nostra convivenza collettiva, ci porta dentro le contraddizioni affettive, politiche ed economiche del nostro vivere. Ci obbliga non a rifugiarci in qualche nicchia ecologico / religiosa, ma a farci carico delle contraddizioni del mondo
Il principio fondamentale di funzionamento della città (il consorzio umano) è il potere, il “necessario” dominio dell’uomo sull’uomo, l’imposizione della sua parola umana, che tenta maldestramente di spacciasi per parola assoluta (divina), per necessità o per convinzione, per ricatto o per violenza. Il peccato originario è di questa natura: usare come criterio di vita la propria parola, trascurando o rifiutando quella di Dio. Ed il giardino primordiale diviene la terra inospitale, e le relazioni con Dio, con la donna e con il mondo intrise di sofferenza, delusioni e conflitti. La “civiltà” è l’elaborazione “ordinata” (dal potere!) dell’immenso cantiere antropologico, dove l’uomo tenta l’organizzazione del convivere civile, modellando il suo mondo, la sua casa e la concatenazione delle relazioni in essa: famiglia e società, piazza e strade, mercato e fabbriche, scuole e caserme, banche e templi… La storia della civiltà è la storia della prometeica e ambigua umanizzazione dell’uomo, il luogo ove oppressione e liberazione, costruzione e distruzione, convivenza e divisione, guerra e pace, si intrecciano in modo indistricabile.
Il principio di discernimento e di giudizio che viene dal deserto è invece la Parola di Dio, che denuncia i dirupi e gli abissi, i sentieri tortuosi e senza meta, per insegnarci a liberarcene e cominciare a percorrere vie diritte e piane. Nel «deserto» il cuore si apre all’esperienza amara dell’impermanenza di tutte queste figure (Vannucci), pur necessarie, costruite da noi lungo una vita, ferite dall’angoscia del febbrile nostro sbattersi esistenziale. Si spalancano allora spazi nuovi, verso i quali incamminarci per divenire quello che nel cuore siamo chiamati ad essere – la Voce ci chiama ad essere. Allora l’assenza che ci morde dentro ci apre ad un «oltre», un più vasto cammino umano, un diverso modo di essere, desiderato più che formulato, intuito più che definito. E le immagini bibliche suggeriscono la ricerca di ciò che c’è da demolire o da raddrizzare: Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate
La “conversione” o il battesimo di “conversione” (cambiate mentalità) a cui chiama il Battista, nelle traduzioni correnti rende insufficientemente l’idea del termine semitico «teshubah», il ritorno a Dio, cuore dell’Essere (Vannucci). Giovanni annuncia una novità assoluta: una volta rimesso in comunione al suo vero centro divino, attraverso un battesimo di fuoco, il credente riesce ad accettare la vita di tutti i giorni come un sicuro pellegrinaggio ove rimane integro il suo compito di spianare e coltivare, costruire e raddrizzare … Accetta la vita concreta con le sue scintille e il suo vasto contorno di nebbia, con i successi e gli insuccessi, con la stima e il discredito, le risorse della giovinezza e la trepidazione dell’invecchiamento, con le delusioni e le speranze che l’accompagnano. Ma ormai è chiara la sua grazia e il suo destino, in Cristo, – quello per cui anche Paolo prega per i suoi amici! – ed è questo: che il vostro amore ( la vostra agàpe!) cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento – perché questa è la maturità cristiana dell’ “uomo compiuto”.
… con la certezza che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù!
Credere nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe … implica la costante consapevolezza che tutto è tenuto in movimento dall’incolmabile assenza di Dio, che noi soffriamo e piangiamo nei momenti di dolore e di crisi, attribuendone la causa alle cose che ci vanno male. Mentre, dentro queste, è la desolante sua lontananza che scava nella nostra precarietà e nella nostra sordità, il vuoto del deserto. E rimette l’uomo di fronte alla sua nuda verità! Allora soltanto si riscopre che il principio di discernimento e di orientamento che ci dona il deserto è la Parola di Dio. Ci vuole il coraggio dei profeti per accogliere questa Voce severa, consolante e scarnificante, poiché mette in crisi e mina alle radici le impalcature psicologiche create in noi dalla necessità di sopravvivere nella nostra piccola storia, con gli strumenti psicologici o gli stratagemmi affettivi offerti dal tessuto di relazioni, acculturazioni, tradizioni e proiezioni del passato, nel quale siamo impaniati. La Voce denuncia continuamente che la nostra vita è insidiata da questo verme inarrestabile che corrode dall’interno i tesori auto costruiti dall’uomo, gli fa il vuoto dentro, avvisandolo che Dio (l’Amore) è l’ultimo futuro di quanto ha esistenza. Tutto quello che l’uomo pensa o costruisce o accumula, senza amore, non ha senso, diventerà polvere. L’inquietudine non pacificabile che nasce da questa voce è … il lucignolo che non si consuma, anche in noi. Rimette in tensione vitale la coscienza, la spinge ad andare “oltre”, a non lasciarsi imprigionare nei limiti del presente, ma aprirsi alla faticosa esperienza della libertà. Giovanni compie in sé il cammino dei profeti e conduce il millenario pellegrinaggio dell’Alleanza antica al Messia definitivo, quello che vive in sé, nella sua carne, fatta come la nostra, il mistero paradossale della presenza “corporale” di Dio, che viene ad abitare proprio nella “lontananza umana”. Dove Dio,”il santo dei santi” – il separato da tutto – non può assolutamente stare. Adesso – qui! – dopo le instancabili speranze dei profeti e dei poeti e le lacrime desolate dei poveri senza consolazione, è diventato umanamente visibile l’invisibile, è apparso lo splendore velato che ogni creatura attendeva, gemendo come nelle doglie del parto. Adesso “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!”
Il messaggio centrale di Giovanni, non è apocalittico, ma storico
Alla coscienza del credente, risvegliata dalla Voce, la terra si rivela come il mondo dell’amore affidato alle nostre mani: rimane la nostra casa – l’unico luogo ove è possibile ritrovare la libertà per imparare ad amare. La terra ci affratella tutti (“ogni uomo”) nel dolore e nel peccato. Pur continuando a vivere in un mondo di sperequazioni ed ingiustizie, di odio ed abbandono, all’uomo che ascolta la voce (il credente) è indicata “la salvezza di Dio” (il cuore dell’Essere). E ricomincia a combattere la sua lotta, perché tutti si aprano all’amore, tutti possano conquistare e essere conquistati dallo Spirito. È Giovanni che annuncia un battesimo non di acqua, come il suo, ma di fuoco, che Gesù porta sulla terra a chi crede in lui. Perché sulla terra l’amore non è un dato istintivo, ma è conversione dal proprio egocentrismo che paralizza l’uomo nella paura di morire. Una quotidiana conquista che ci riconduce alle radici della nostra convivenza collettiva, ci porta dentro le contraddizioni affettive, politiche ed economiche del nostro vivere. Ci obbliga non a rifugiarci in qualche nicchia ecologico / religiosa, ma a farci carico delle contraddizioni del mondo
Il principio fondamentale di funzionamento della città (il consorzio umano) è il potere, il “necessario” dominio dell’uomo sull’uomo, l’imposizione della sua parola umana, che tenta maldestramente di spacciasi per parola assoluta (divina), per necessità o per convinzione, per ricatto o per violenza. Il peccato originario è di questa natura: usare come criterio di vita la propria parola, trascurando o rifiutando quella di Dio. Ed il giardino primordiale diviene la terra inospitale, e le relazioni con Dio, con la donna e con il mondo intrise di sofferenza, delusioni e conflitti. La “civiltà” è l’elaborazione “ordinata” (dal potere!) dell’immenso cantiere antropologico, dove l’uomo tenta l’organizzazione del convivere civile, modellando il suo mondo, la sua casa e la concatenazione delle relazioni in essa: famiglia e società, piazza e strade, mercato e fabbriche, scuole e caserme, banche e templi… La storia della civiltà è la storia della prometeica e ambigua umanizzazione dell’uomo, il luogo ove oppressione e liberazione, costruzione e distruzione, convivenza e divisione, guerra e pace, si intrecciano in modo indistricabile.
Il principio di discernimento e di giudizio che viene dal deserto è invece la Parola di Dio, che denuncia i dirupi e gli abissi, i sentieri tortuosi e senza meta, per insegnarci a liberarcene e cominciare a percorrere vie diritte e piane. Nel «deserto» il cuore si apre all’esperienza amara dell’impermanenza di tutte queste figure (Vannucci), pur necessarie, costruite da noi lungo una vita, ferite dall’angoscia del febbrile nostro sbattersi esistenziale. Si spalancano allora spazi nuovi, verso i quali incamminarci per divenire quello che nel cuore siamo chiamati ad essere – la Voce ci chiama ad essere. Allora l’assenza che ci morde dentro ci apre ad un «oltre», un più vasto cammino umano, un diverso modo di essere, desiderato più che formulato, intuito più che definito. E le immagini bibliche suggeriscono la ricerca di ciò che c’è da demolire o da raddrizzare: Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate
La “conversione” o il battesimo di “conversione” (cambiate mentalità) a cui chiama il Battista, nelle traduzioni correnti rende insufficientemente l’idea del termine semitico «teshubah», il ritorno a Dio, cuore dell’Essere (Vannucci). Giovanni annuncia una novità assoluta: una volta rimesso in comunione al suo vero centro divino, attraverso un battesimo di fuoco, il credente riesce ad accettare la vita di tutti i giorni come un sicuro pellegrinaggio ove rimane integro il suo compito di spianare e coltivare, costruire e raddrizzare … Accetta la vita concreta con le sue scintille e il suo vasto contorno di nebbia, con i successi e gli insuccessi, con la stima e il discredito, le risorse della giovinezza e la trepidazione dell’invecchiamento, con le delusioni e le speranze che l’accompagnano. Ma ormai è chiara la sua grazia e il suo destino, in Cristo, – quello per cui anche Paolo prega per i suoi amici! – ed è questo: che il vostro amore ( la vostra agàpe!) cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento – perché questa è la maturità cristiana dell’ “uomo compiuto”.
… con la certezza che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù!
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