Solo alcuni spunti dalle letture bibliche di questo tempo di Natale…
Sono i testi lasciati dai profeti o dai “testimoni” più vicini e più interessati ai fatti narrati, ma anche per loro si tratta di eventi già ricevuti dai testimoni diretti e celebrati da una comunità credente ed orante che vi ha scoperto e vissuto un incontro vivificante, e l’ha tramandato fino a noi. Natività, Epifania, Risurrezione, sono dei fatti (o la condensazione simbolica di vari eventi) che sono collocati in un determinato luogo e in un tempo preciso, come momenti intensi della Rivelazione. Ma il loro senso è questo: annunciano e propongono al credente un legame indissolubile tra l’umano e il divino, tra il mondo della storia e quello del mistero, e non possono essere accostati se non da una mente e da un cuore che ne accolga questo loro segreto storico e metastorico, terreno e celeste, legato al tempo e allo spazio, ma insieme trascendente queste due dimensioni. La prima di queste – la banale vita quotidiana – ci è facile e naturale, ma talora pesante e insoddisfacente. L’altra, tormenta l’uomo da quando ha memoria della sua presenza sulla terra. Per fargli superare questo limite e penetrare territori che ci sembrano più sperati che sperimentati, nell’ostinata sfida all’impossibile: vedere, sentire, toccare, capire cosa c’è al di là … dei nostri limiti e delle nostre misure.
Allora la Bibbia ci appare come il racconto di tanti testimoni che hanno visto questo raccordo tra la loro storia e l’impossibile, che hanno ascoltato e intrasentito la mano di un “dio” che li accompagnava sul crinale dell’ulteriorità incredibile e inaccessibile. La creazione, la promessa nel paradiso fallito, la malvagità umana autodistruttiva e l’arcobaleno di Noè, la fecondità del vecchio Abramo, la lotta di Giacobbe con Dio, la liberazione dell’uomo dalla schiavitù del Faraone, la trasformazione del cuore di pietra in cuore di carne … sono i passi impossibili a cui l’uomo è stato chiamato da colui che “dà la vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono” (Rom 4,17). Allora, nel Natale, così diversamente raccontato dai vari testimoni, sta comunque il cuore della storia, cui tutta la creazione anelava. Natale vuol dire che la meta e, insieme, il centro propulsore di questo inarrestabile flusso dell’amore creativo di Dio è adesso il seno, anzi prima il cuore, di Maria. E anche lei sa, come racconta il vangelo di Luca, che è impossibile ciò che le è annunciato – eppure si consegna, perché nulla è impossibile a Dio! A Natale, la Parola non è solo la metafora per indicare il legame di benevolenza gratuita del Padre con tutto ciò che lui fa esistere. Non è solo la sua sorprendente decisione, libera e amorevole (cioè non prodotta da necessità fisica o psichica o morale) di cercare il consenso e la gioia dell’umanità: rallegrati, Maria! La Parola stessa, nella sua passione di incontro con l’uomo, si fa seme e diventa bimbo d’uomo nell’inimmaginabile assunzione o impregnazione divina di un germoglio di carne umana. “Il verbo si è fatto carne!”. E la verginità è il timbro della suprema libertà di Dio da ogni legge di necessità. Nella catena dei miliardi di natali umani, un Natale impossibile, incredibile… che tacitamente sconvolge tutto. Tanto impossibile che, per non esserne accecati, i cristiani ne hanno fatto una favola, ormai così innocua, che viene anestetizzata nei tanti festeggiamenti natalizi commerciali, coloriti di simboli o fantasie le più disparate.
La fede che questi testi rivelano e domandano è tutt’altro: spinge il discepolo di Gesù a riscoprire sempre daccapo il rapporto faticoso tra libertà e necessità, invitandolo ad entrare nella dinamica assiale della storia della salvezza: possiamo svincolarci dalle catene delle necessità istintuali? liberarci dall’io, che ci fa fare quello che non vogliamo? della cultura dominante e dalla sua logica di competizione e sopraffazione? è possibile o è impossibile convertirsi all’amore, come nuovo motore potente ed insieme inerme della vita? Noi sappiamo per adesione umile all’obbedienza della fede, che è un regalo capirlo e tanto più riuscire a praticarlo. Che dunque è presunzione pensare di imporre questa fede, di esigerla e tanto meno di condannare coloro che si ritraggono … nella esperienza dolorosa dell’impossibilità! Luca premette al suo Vangelo l’esempio dei semplici e degli umili, direttamente coinvolti dalla disponibilità della loro adesione: Maria, Elisabetta e i loro due bimbi, il sacerdote ammutolito, i parenti e i vicini, i pastori… umili e ignari testimoni del mistero fondamentale della fede cristiana: il Natale! Il primo atto cristiano (continuamente primo – a cui cioè bisogna tornare per ricominciare, senza stancarsi mai!) è quest’adesione del cuore alla fede. Nell’affidamento di sé alla “parola”, il Natale ripropone la sua scansione di salvezza: non temere, il Signore è venuto e viene! in questo bimbo ti riempirà di vita, e coinvolgerà gli altri attorno a te! La nostra speranza è una Vergine gravida dell’impossibile, ultimo (o primo) anello di una successione infinita di uomini e donne, che hanno creduto e si sono affidate. E camminano nella esperienza della fatica e della gioia di seguire la luce in un mondo ottenebrato.
L’obiettivo di ogni annuncio, di ogni manifestazione della Parola è la proposta di amore e di vita che c’è dentro, certo, ma è raggiungibile solo attraverso l’obbedienza della fede: questo è il dinamismo di fuoco a cui siamo chiamati – questo è la consegna di sé … al presepio. Ogni altro aspetto di culto o di ascesi, di dottrina o di sacramento, di magistero o di sacerdozio è strumento e mezzo per riconoscere, entrare in contatto, accogliere questa “grazia”, cioè il regalo del Natale di Gesù! l’inaspettato accesso all’impossibile che ci mette allo sbaraglio, ci provoca allo sbilanciamento di fronte agli accadimenti che non sono adeguati alle forze dell’uomo. Ecco perché lo annunciano gli angeli! E annunciano che non siamo più servi, ma amici e figli di Dio. Annunciano che adesso è possibile “il divino in noi”… il perdono (nessuno può perdonare i peccati se non Dio solo); il corpo e sangue di Dio in materia cosmica per nutrire il credente (come può costui darci la sua carne da mangiare?); l’amore ai nemici (fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico), il coinvolgimento coi poveri (di essi è il Regno dei cieli – sono “in società” con Dio!); la “necessità salvifica” della chiesa, pur fatta più di peccatori che di santi (su di te fonderò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno su di essa!)…
… è questa la dinamica evangelica che dice cosa succede a noi la notte di Natale – ogni notte di Natale. In proporzione alla nostra libera trepida adesione, il mistero diventa di un’attualità assoluta nell’intimo dei noi stessi e nella chiesa, che è il segno levato tra le genti… un segno difficile a dirsi a noi stessi, cui si può solo consegnarsi. Ed immediatamente avviene che questo mistero ci spinge fuori da noi stessi per trasformarci progressivamente, per ottenere maggiore coinvolgimento delle nostre facoltà, della nostra conoscenza e delle nostre opere (con quanta resistenza e fatica e rifiuti… lo registra la segreta biografia spirituale di ognuno)
… quello che conta è il momento di fede che avremo vissuto nella nostra vita e la capacità di accumulare, di condensare atti di fede, magari piccolissimi, uno dopo l’altro, giorno per giorno, che rendono sempre più attuale e sconcertante la proposta di questo misterioso “incontro” che abbiamo in cuore … Sbilanciamenti di fede che ci fanno di nuovo ripartire come i pastori, in base a quel poco di luce nelle tenebre. Ci fanno vedere la verità del segno (un bimbo nella mangiatoia …). La luce poi non c’è più, o è intermittente, ma c’è la consapevolezza che… era vero, una consapevolezza presto sola, sostenuta soltanto dalla conferma umile che scaturisce dall’ascolto docile della Parola. Allora noi che abbiamo creduto al Natale dovremmo risplendere … anche nelle nostre opere. E invece possiamo trascorrere tutta la nostra vita in una posizione scomoda, tra la fede che illumina nella mente la venuta del Signore e la sua proposta evangelica, e le nostre opere che non splendono affatto. Non si deve per questo scoraggiarsi e consegnare le armi. L’incontro di fede che ci ha cambiati dentro rimane ed è irreversibile. La fatica di questa fedeltà incompiuta, perseguita in modo onesto e leale, per quanto poco fecondo… forse non dipende del tutto da noi. È partecipazione misteriosa alla renitenza delle tenebre ad accogliere la luce, è accompagnamento al doloroso cammino dell’umanità ad accogliere un Dio che nessuno ha mai veduto, ma del cui amore il suo figlio unico “ci ha raccontato”! E ci ha irrimediabilmente contagiato.
Sono i testi lasciati dai profeti o dai “testimoni” più vicini e più interessati ai fatti narrati, ma anche per loro si tratta di eventi già ricevuti dai testimoni diretti e celebrati da una comunità credente ed orante che vi ha scoperto e vissuto un incontro vivificante, e l’ha tramandato fino a noi. Natività, Epifania, Risurrezione, sono dei fatti (o la condensazione simbolica di vari eventi) che sono collocati in un determinato luogo e in un tempo preciso, come momenti intensi della Rivelazione. Ma il loro senso è questo: annunciano e propongono al credente un legame indissolubile tra l’umano e il divino, tra il mondo della storia e quello del mistero, e non possono essere accostati se non da una mente e da un cuore che ne accolga questo loro segreto storico e metastorico, terreno e celeste, legato al tempo e allo spazio, ma insieme trascendente queste due dimensioni. La prima di queste – la banale vita quotidiana – ci è facile e naturale, ma talora pesante e insoddisfacente. L’altra, tormenta l’uomo da quando ha memoria della sua presenza sulla terra. Per fargli superare questo limite e penetrare territori che ci sembrano più sperati che sperimentati, nell’ostinata sfida all’impossibile: vedere, sentire, toccare, capire cosa c’è al di là … dei nostri limiti e delle nostre misure.
Allora la Bibbia ci appare come il racconto di tanti testimoni che hanno visto questo raccordo tra la loro storia e l’impossibile, che hanno ascoltato e intrasentito la mano di un “dio” che li accompagnava sul crinale dell’ulteriorità incredibile e inaccessibile. La creazione, la promessa nel paradiso fallito, la malvagità umana autodistruttiva e l’arcobaleno di Noè, la fecondità del vecchio Abramo, la lotta di Giacobbe con Dio, la liberazione dell’uomo dalla schiavitù del Faraone, la trasformazione del cuore di pietra in cuore di carne … sono i passi impossibili a cui l’uomo è stato chiamato da colui che “dà la vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono” (Rom 4,17). Allora, nel Natale, così diversamente raccontato dai vari testimoni, sta comunque il cuore della storia, cui tutta la creazione anelava. Natale vuol dire che la meta e, insieme, il centro propulsore di questo inarrestabile flusso dell’amore creativo di Dio è adesso il seno, anzi prima il cuore, di Maria. E anche lei sa, come racconta il vangelo di Luca, che è impossibile ciò che le è annunciato – eppure si consegna, perché nulla è impossibile a Dio! A Natale, la Parola non è solo la metafora per indicare il legame di benevolenza gratuita del Padre con tutto ciò che lui fa esistere. Non è solo la sua sorprendente decisione, libera e amorevole (cioè non prodotta da necessità fisica o psichica o morale) di cercare il consenso e la gioia dell’umanità: rallegrati, Maria! La Parola stessa, nella sua passione di incontro con l’uomo, si fa seme e diventa bimbo d’uomo nell’inimmaginabile assunzione o impregnazione divina di un germoglio di carne umana. “Il verbo si è fatto carne!”. E la verginità è il timbro della suprema libertà di Dio da ogni legge di necessità. Nella catena dei miliardi di natali umani, un Natale impossibile, incredibile… che tacitamente sconvolge tutto. Tanto impossibile che, per non esserne accecati, i cristiani ne hanno fatto una favola, ormai così innocua, che viene anestetizzata nei tanti festeggiamenti natalizi commerciali, coloriti di simboli o fantasie le più disparate.
La fede che questi testi rivelano e domandano è tutt’altro: spinge il discepolo di Gesù a riscoprire sempre daccapo il rapporto faticoso tra libertà e necessità, invitandolo ad entrare nella dinamica assiale della storia della salvezza: possiamo svincolarci dalle catene delle necessità istintuali? liberarci dall’io, che ci fa fare quello che non vogliamo? della cultura dominante e dalla sua logica di competizione e sopraffazione? è possibile o è impossibile convertirsi all’amore, come nuovo motore potente ed insieme inerme della vita? Noi sappiamo per adesione umile all’obbedienza della fede, che è un regalo capirlo e tanto più riuscire a praticarlo. Che dunque è presunzione pensare di imporre questa fede, di esigerla e tanto meno di condannare coloro che si ritraggono … nella esperienza dolorosa dell’impossibilità! Luca premette al suo Vangelo l’esempio dei semplici e degli umili, direttamente coinvolti dalla disponibilità della loro adesione: Maria, Elisabetta e i loro due bimbi, il sacerdote ammutolito, i parenti e i vicini, i pastori… umili e ignari testimoni del mistero fondamentale della fede cristiana: il Natale! Il primo atto cristiano (continuamente primo – a cui cioè bisogna tornare per ricominciare, senza stancarsi mai!) è quest’adesione del cuore alla fede. Nell’affidamento di sé alla “parola”, il Natale ripropone la sua scansione di salvezza: non temere, il Signore è venuto e viene! in questo bimbo ti riempirà di vita, e coinvolgerà gli altri attorno a te! La nostra speranza è una Vergine gravida dell’impossibile, ultimo (o primo) anello di una successione infinita di uomini e donne, che hanno creduto e si sono affidate. E camminano nella esperienza della fatica e della gioia di seguire la luce in un mondo ottenebrato.
L’obiettivo di ogni annuncio, di ogni manifestazione della Parola è la proposta di amore e di vita che c’è dentro, certo, ma è raggiungibile solo attraverso l’obbedienza della fede: questo è il dinamismo di fuoco a cui siamo chiamati – questo è la consegna di sé … al presepio. Ogni altro aspetto di culto o di ascesi, di dottrina o di sacramento, di magistero o di sacerdozio è strumento e mezzo per riconoscere, entrare in contatto, accogliere questa “grazia”, cioè il regalo del Natale di Gesù! l’inaspettato accesso all’impossibile che ci mette allo sbaraglio, ci provoca allo sbilanciamento di fronte agli accadimenti che non sono adeguati alle forze dell’uomo. Ecco perché lo annunciano gli angeli! E annunciano che non siamo più servi, ma amici e figli di Dio. Annunciano che adesso è possibile “il divino in noi”… il perdono (nessuno può perdonare i peccati se non Dio solo); il corpo e sangue di Dio in materia cosmica per nutrire il credente (come può costui darci la sua carne da mangiare?); l’amore ai nemici (fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico), il coinvolgimento coi poveri (di essi è il Regno dei cieli – sono “in società” con Dio!); la “necessità salvifica” della chiesa, pur fatta più di peccatori che di santi (su di te fonderò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno su di essa!)…
… è questa la dinamica evangelica che dice cosa succede a noi la notte di Natale – ogni notte di Natale. In proporzione alla nostra libera trepida adesione, il mistero diventa di un’attualità assoluta nell’intimo dei noi stessi e nella chiesa, che è il segno levato tra le genti… un segno difficile a dirsi a noi stessi, cui si può solo consegnarsi. Ed immediatamente avviene che questo mistero ci spinge fuori da noi stessi per trasformarci progressivamente, per ottenere maggiore coinvolgimento delle nostre facoltà, della nostra conoscenza e delle nostre opere (con quanta resistenza e fatica e rifiuti… lo registra la segreta biografia spirituale di ognuno)
… quello che conta è il momento di fede che avremo vissuto nella nostra vita e la capacità di accumulare, di condensare atti di fede, magari piccolissimi, uno dopo l’altro, giorno per giorno, che rendono sempre più attuale e sconcertante la proposta di questo misterioso “incontro” che abbiamo in cuore … Sbilanciamenti di fede che ci fanno di nuovo ripartire come i pastori, in base a quel poco di luce nelle tenebre. Ci fanno vedere la verità del segno (un bimbo nella mangiatoia …). La luce poi non c’è più, o è intermittente, ma c’è la consapevolezza che… era vero, una consapevolezza presto sola, sostenuta soltanto dalla conferma umile che scaturisce dall’ascolto docile della Parola. Allora noi che abbiamo creduto al Natale dovremmo risplendere … anche nelle nostre opere. E invece possiamo trascorrere tutta la nostra vita in una posizione scomoda, tra la fede che illumina nella mente la venuta del Signore e la sua proposta evangelica, e le nostre opere che non splendono affatto. Non si deve per questo scoraggiarsi e consegnare le armi. L’incontro di fede che ci ha cambiati dentro rimane ed è irreversibile. La fatica di questa fedeltà incompiuta, perseguita in modo onesto e leale, per quanto poco fecondo… forse non dipende del tutto da noi. È partecipazione misteriosa alla renitenza delle tenebre ad accogliere la luce, è accompagnamento al doloroso cammino dell’umanità ad accogliere un Dio che nessuno ha mai veduto, ma del cui amore il suo figlio unico “ci ha raccontato”! E ci ha irrimediabilmente contagiato.
Nessun commento:
Posta un commento