I Lettura: Michea 5,1-4 | II Lettura: Ebrei 10,5-10 | Vangelo: Luca 1,39-48 |
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Così dice il Signore: «E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall'antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui, fino a quando partorirà colei che deve partorire; e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d'Israele. Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore, suo Dio. Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra. Egli stesso sarà la pace. | Fratelli, entrando nel mondo, Cristo dice: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: "Ecco, io vengo, poiché di me sta scritto nel rotolo del libro per fare, o Dio, la tua volontà"». Dopo aver detto: «Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato», cose che vengono offerte secondo la Legge, soggiunge: «Ecco, io vengo per fare la tua volontà». Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre. | In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto» |
Può essere utile mettere a confronto tra loro le letture di questa domenica – ultima di preparazione al Natale – per rilevarne l’intima connessione, pur nel così diverso approccio al mistero della centralità del “corpo umano” (e di chi lo mette al mondo) – nella travagliata storia della nostra salvezza.
Michea raccoglie e rimanda fino a noi un’antica segnalazione profetica: siamo tutti in potere “altrui”, fin quando non partorirà colei che deve partorire … Allora soltanto, anche il resto dei fratelli ritornerà … ed “egli” stesso sarà la pace. Se c’è un’illuminazione nuova delle scritture antiche, a ritroso, a partire da Cristo (come Gesù stesso insegnò ai discepoli dopo la sua risurrezione), qui i simboli oscuri si illuminano… e nello stesso tempo accolgono (adempiono) e sconvolgono (convertono) le aspettative dell’uomo. È caratteristica della profezia biblica questa spada a doppio taglio. In modo umilissimo ed esplosivo, insieme, anche Luca racconta di due “partorienti”, che si incontrano e si dicono, in questa “scena madre” della nuova storia, il mistero a cui siamo chiamati. Lontano dai templi, lontano dalle regge del potere e dell’intelligenza, per la strada, sulla soglia della casa... I loro due piccoli d’uomo, ancora incompiuti nel seno delle madri, già si comunicano il passaggio del testimone della speranza, dal “più grande tra i nati di donna” (il Battezzatore, sempre chiuso però nella sua appassionata ma sterile ricerca della salvezza), al piccolo germoglio nuovo, di un’altra qualità a noi sconosciuta, che lo fa sussultare di gioia. Elisabetta, l’umanità senza futuro, graziata nel suo desiderio irraggiungibile di tramandare la vita, si domanda il motivo della grazia che l’inonda: a che debbo che il mio Signore venga da me? Ma subito intuisce il segreto del mistero che si è aperto sulla terra: beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto. La fede in Dio è fede nella salvezza della carne, perché proprio questa è la sua volontà di benevolenza sul mondo: ciò che è nato da lei (dalla sua carne e dallo Spirito) sarà santo e chiamato figlio dell’Altissimo. Questo “venire”, adesso, di Maria nella casa che l’accoglie, non è semplicemente annunciare e preparare, come farà Giovanni, ma è portare colui che viene.
Maria viene a portare una Salvezza ancora in germoglio, ma pronta, viva e personale, che, secondo la lettera agli Ebrei, esprime già con il suo “esserci” la propria identità: ecco io vengo per fare, o Dio, la tua volontà! questa è la vocazione dell’uomo, finalmente consapevole e compiuta. La struttura religiosa profonda dello psichismo umano, la ricerca affannata e ambigua, quanto irreprimibile, di un “oltre sé” (esser come il Dio immaginario – imporsi come padroni onnipotenti) di cui racconta la pagina biblica delle origini, è radicalmente capovolta. Nella sua originaria e mai sopita passione di essere «un laboratorio unificatore del tutto» (San Massimo Confessore), l’uomo ha espresso una capacità di fabulazione religiosa che mentre doveva servirgli nella sua ricerca di Dio, ha prodotto e poi istituzionalizzato steccati, veli santi, templi, teologie e riti, sacrifici e caste sacre, che fanno da schermo e sono divenuti un ostacolo nel suo viaggio verso sé, gli altri e Dio stesso: Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose che vengono offerte secondo la Legge, … «Ecco, io vengo per fare la tua volontà». Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo.
Il “nuovo sacrificio” mina alla radice ogni altro espediente religioso, perché rovescia la religione dell’uomo, sì che non sono più i meccanismi psichici umani (paura della morte e pretesa di amore senza fine) ad esserne protagonisti, ma il corpo di Cristo offerto come luogo dell’inveramento della volontà del Padre: Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre. Il dramma della libertà, il rifiuto da parte dell’uomo di essere persona, di realizzarsi ad immagine divina, ha trasformato la libertà in arbitrio cieco, sete di possesso e dominio, per consegnarsi al disordine ontologico e morale, il cui esito è la morte, la ferita finale che ammala già in anticipo ogni nostra relazione … Che ne siamo consapevoli o meno, nel nostro cammino culturale, la religione non serve più, è assorbita nel corpo di Cristo, al quale il nostro è chiamato ad assimilarsi: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. L’umanità del Cristo è testimonianza dell’amore assoluto di Dio, incarnato nella nostra polvere, alla quale dovremo ritornare, ma è più forte della morte. Senza peccato, ma capace di discendere al fondo dell’abisso della libertà umana deviata, sprigionandone ed attuandone la dimensione profonda, la corporeità gloriosa di Cristo, quella natura umana divinizzata che ha già in Lui la primizia di una nuova genesi – è il seme deposto in noi, da sviluppare in una vita di preghiera e di ascesi (cioè di vittoria evangelica sul mondo!), per imparare ed esercitare l’amore. Nella sua carne, nel suo Spirito, senza più distanze sacrali, anche a noi è dato rigenerare e dilatare la nostra umanità oltre noi stessi, per farne dono di sé all’Altro nell’amicizia (non vuole più servi!) – e a tutti gli altri nella carità, dono totale della nostra vita sino alla morte, fino a fare della morte stessa un dono. Ritroveremo custodito ed eternizzato ogni momento di offerta di sé, ogni atto creativo di bellezza e di tenerezza, di vittoria sui determinismi della vita biologica, ogni momento di comunione, custodito nell’umanità risorta del Cristo e nella nostra in Lui (cfr Massimo Bolognini in Corpo di morte e corpo di gloria)
Forse nessun esperienza o testimonianza come quelle riportate nel nuovo Testamento riguardo al “natale” di Gesù nella carne umana, indica così decisamente il “corpo” come il luogo della nascita dell’uomo a se stesso! Rivelando e illuminando così intensamente l’umile terrestre miracolo quotidiano per cui il nostro corpo fisico può nascere allo spirito e lo spirito nascere come carne riplasmata dall’amore (mistero di libertà e grazia del nostro feriale natale). Carne che imprigionata nei suoi ripetitivi e ciechi dinamismi corporei, contagiata ormai dal “natale” di Gesù, si riapre alla creatività della vita, abilitata a donare se stessa, a crescere nella dilatazione della persona in comunione, trasformando in sua memoria il nostro corpo, in offerta eucaristica che, unita al Verbo incarnato, ne rivela l’intima verità ed il compimento definitivo.Perché mai le donne, secondo il vangelo di Luca, sono protagoniste dell’incontro con il Signore – anche a Natale? Persino in queste storie antiche – quando non era pensabile che potessero neanche fare da testimoni affidabili di incontri umani? credo che la tentazione monofisita, (la tentazione più subdola e diabolica contro l’incarnazione – cioè il dubbio o il rifiuto di credere che l’umanità di Gesù sia vera) non le tocca. Cioè, il corpo, la carne, pure sporca e malata, perfino il cadavere dell’amato… per loro hanno sempre senso. Sono sempre il luogo della vita vivente o vissuta, il territorio della comunicazione vera, l’unico alveo dove si trasmette la vita – sempre amata! Sono quindi più vicine all’accudire che al razionalizzare; a comprendere invece che proporre, a servire invece che pretendere. Anche loro sono intrise della congenita debolezza umana (e biblicamente sono state la prime a volerne uscire a tutti i costi) ma il circuito culturale non le chiude mai del tutto. La vita vale sempre più dell’idea della vita!
Qui lo Spirito si trova più a suo agio, nella terrestrità che accetta la Parola-Promessa, perché è il brodo più fecondo di cultura della fede. E allora avviene che in una casa normale, in visita a parenti normali, bisognosi di accudimento, si può incontrare l’anziana cugina incinta, moglie di un prete ammutolito dal mistero, portando Dio nel ventre. E nessuno si gira a guardare, solo loro sanno … e raccontano ciò che ancora non si vede, ma illuminerà la storia.
Dunque la laicità è abitabile dallo Spirito divino, molto meglio che il sacerdozio, il tempio, la legge, l’accademia teologica, il monastero esseno… Ma non per diventare anch’essa, a sua volta, sacra, (cioè potente, separata, normativa, teocratica…), ma per rimanere terrestre, povera, fragile, radicata sempre nelle vicende difficili dell’affettività, dell’economia, del potere, che compongono l’ordito del tessuto della vita. Aperta però al natale dell’amore, al natale di Dio con noi, nel nostro corpo!
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