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giovedì 13 gennaio 2011

II Domenica del Tempo Ordinario: “Ecco l’agnello di Dio”

Dopo i tempi forti dell’Avvento e del Natale, che hanno inaugurato questo nuovo anno liturgico all’insegna della lettura e dell’approfondimento del vangelo di Matteo, domenica incomincia il Tempo Ordinario… Così – dopo aver pensato e celebrato il mistero dell’avvento dell’incarnazione e i momenti iniziali della drammatica storica del Figlio di Dio, nonché Figlio dell’Uomo – oggi iniziamo ad inoltrarci nel racconto della cosiddetta “vita pubblica” di Gesù, dunque nel mistero della sua identità.


Già domenica scorsa con la festa del Battesimo del Signore, il nostro sguardo si era staccato da Gesù fanciullo, per concentrarsi su Gesù trentenne, precisamente nel momento inaugurale del suo ministero pubblico, cioè l’incontro al Giordano con Giovanni Battista. Oggi – nuovamente – ci è riproposta la stessa scena, stavolta però secondo il racconto dell’evangelista Giovanni; una scena che dunque mostra tutta la sua rilevanza e che, proprio per la sua funzione logica di “gancio” tra i primi trent’anni della vita di Gesù (quelli da “sconosciuto” a Nazareth) e gli anni della manifestazione pubblica della sua identità/missione, chiude il Tempo di Natale e apre quello Ordinario, invitandoci ad una raddoppiata riflessione.

Fortunatamente l’evangelista Matteo e l’evangelista Giovanni – pur facendo riferimento al medesimo episodio della vita di Gesù – ne parlano a partire da punti di vista teologico-narrativi diversi, permettendo così anche a noi – cambiando punto di osservazione – di intercettare una nuova luce che illumina quel volto che entrambi vogliono tratteggiare.

Innanzitutto, va detto che l’evangelista Giovanni – a differenza di Matteo e Luca – non ha i vangeli dell’infanzia, per cui questo nostro brano, ha sì qualcosa che lo precede (il prologo poetico: «In principio era il Verbo…»; e l’episodio in cui il Battista è interrogato dai sacerdoti e dai leviti riguardo alla sua identità: «Io non sono il Cristo», «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia»), ma mai, prima d’ora, in questo Quarto Vangelo, Gesù era entrato sulla scena: è infatti precisamente nel nostro brano che egli fa la sua comparsa: «Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse…».

È come se – scenograficamente – l’occhio di bue per la prima volta si posasse su di lui… Eppure – nuovamente – senza che egli dica niente. Qualcun altro parla di lui: il Battista, appunto… Questo è il modo in cui l’evangelista Giovanni sceglie di presentare il suo protagonista: è Lui, è illuminato, ma – per ora – non si presenta da sé… altri dicono di lui… e sarà solo alla fine di tutta la narrazione evangelica, che il lettore/spettatore potrà dire chi è colui che viene introdotto in questo modo…

«Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele», «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».
… Una presentazione densissima… di questo personaggio/protagonista di cui Giovanni (evangelista) ci vuol raccontare la storia e che ha fatto entrare – illuminandolo – sulla scena… infatti di lui, la prima volta che i lettori/spettatori lo vedono viene detto che è l’agnello/servo di Dio, che toglie il peccato del mondo, che “era prima di me”, che lo Spirito è sceso e rimasto su di lui, che battezza/immerge nello Spirito Santo e che è Figlio di Dio!

Forse non subito cogliamo il senso di cosa vogliano dire questi titoli con cui viene indicato, forse non capiamo nemmeno fino in fondo il significato delle espressioni che si usano per indicare la sua identità/missione (e ci vorrà la lettura di tutto il vangelo per riempire queste parole del significato giusto – evangelico – che hanno e soprattutto per disinquinarle dai significati che abbiamo in testa noi… e poi tutta una vita per masticare, digerire essi miliare – almeno un po’ – l’identità/missione di questo agnello di Dio), ma, certo, già in prima battuta – anche senza capire tutto – di fronte ad una presentazione così c’è da rimanere spiazzati… Giovanni ottiene il suo scopo, affascinare e conquistare il lettore/spettatore… instillargli un’aspettativa promettente, che lo faccia decidere a mettersi in cammino dietro a quell’agnello di Dio, proprio come avverrà il giorno dopo per i discepoli di Giovanni (Battista): «Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”. E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù».

Così «il Vangelo ci aiuta a leggere in filigrana, sul percorso del Battista, le tappe di conversione di chiunque voglia accettare le sue indicazioni profetiche, per diventare o ridiventare discepolo di Gesù.



colui che viene dopo di te è più importante di te, anzi è l’unica cosa importante. Dunque colui che Giovanni (noi) andavamo cercando da una vita, non è “il mio compimento”. Noi, piuttosto, siamo il “suo” compimento! Perché era prima di noi e ci è passato avanti, perché viene dall’eternità del Padre… Se non s’illumina questo barlume, se non ti accorgi di questa stella nelle tenebre; se non ti morde dentro questo presagio che la tua ricerca e i tuoi affanni, la tua missione e le tue presunzioni, il compito o il senso su cui hai puntato la vita sono labili e transitori, e proprio perché impastati del tuo io, ti si sfaldano tra le mani, non si fa spazio dentro di te, per cercare davvero… E comunque non si può censurare troppo a lungo il senso di incompiutezza che ci cova dentro, per il troppo poco che siamo. Non si può far tacere la chiamata interiore ad una dislocazione da fare, che se non altro, diventa umiltà e implorazione. Perché è a questo livello che riconosciamo cosa voglia dire davvero il primo avviso pregiudiziale di Gesù : chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso…Giovanni l’ha fatto fino a scoprirvi il senso definitivo e compiuto della sua missione…



 “Egli deve crescere ed io diminuire” (3,30). Anche per noi… i passi fatti, le fatiche del cammino, le persone che ci accompagnano, le ideologie con cui abbiamo interpretato e razionalizzato il suo vangelo e le nostre scelte (e che comunque dovevamo fare: sono il nostro battesimo penitente!), indicano con la loro fragilità e ambiguità dov’è il futuro, a cosa ci preparavano, verso dove ci spingevano. E ormai hanno realizzato il loro compito, devono ritrarsi per lasciare posto all’incontro, diversissimo per ognuno dei discepoli, ma passaggio assolutamente necessario per uscire dall’adolescenza … vocazionale cristiana, e diventare umilmente “responsabili” della propria fede. Per incontrare così la domanda nuda che Gesù ci rivolge, quando siamo fermi su questa soglia, incerti sul passo decisivo per la nostra vita: Chi cercate? (38)



L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è lui che battezza in Spirito Santo. Questa era la promessa e garanzia che l’aveva sostenuto e aveva dato il respiro all’impegno di tutta la sua vita, la forza alla sua voce inascoltata nel deserto, il coraggio della verità pagata di persona, il senso al suo battesimo di penitenza… Colui che sembrava uno dei tanti devoti nella fila dei suoi battezzandi… era il vero Battezzatore e salvatore dell’umanità, smarrita e ferita come pecore senza pastore… Al principio ognuno, man mano che si immerge nelle funzioni, nelle scelte, negli impegni della sua vita cristiana e si spende nella faticosa ricerca di fedeltà e dedizione, crede di conoscere bene Colui per il quale ha dato la vita… Quanto più è grande la (piccola) dedizione di cui siamo capaci, e passano i giorni e gli anni, tanto più è la distanza che scopriamo da lui. Per questo l’insistenza accorata del Battista, diventa propria di chiunque ha provato a seguire Gesù, ed ha imparato a proprie spese a sottoscrivere, presto o tardi la sua dichiarazione perentoria: io non lo conoscevo!…



Ecco l’agnello di Dio!

Il giorno dopo, l’anno dopo, o il decennio dopo… arriva il momento che ti trovi seduto per terra come Pietro o Paolo, o smarrito nel viaggio come i due di Emmaus, in forme tanto diverse quanto le storie personali di ognuno. E allora scopri che la fede, così com’era, non ti serve più. Ma non per questo perdi lui: anzi rimane solo lui – e gli sparuti fratelli o sorelle che ti legano a lui! Rimangono questi segni o presagi profetici che Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli… che li ha spinti ad iniziare l’avventura con Gesù, andando a conoscerlo “a casa sua”. Dunque, a non sfuggire, a non cercare capri espiatori, ma ad assumere la propria vita, e a prendere atto di dover iniziare di nuovo…. A livello liturgico e teologico la consapevolezza di questa destinazione cristiana è collaudata nella chiesa. Ad ogni Eucaristia si rinnova sacramentalmente agli invitati alla cena pasquale l’indicazione del Battista "Ecco l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo". Gesù infatti non ha voluto salvarci con la parola, con i miracoli, con le grandi conversioni di popoli, ma con la sua fine innocente e mite sul Calvario, all’ora dell’immolazione degli agnelli pasquali… Dopo aver condiviso con i discepoli l’ultima cena e dopo aver “spiegato” tutto il suo amore ai loro cuori induriti, allora come oggi: li amò sino alla fine!» [Giuliano].

giovedì 22 gennaio 2009

È il momento giusto: venite dietro a me!

Il tempo si è ammainato!
…dice l’espressione marinara usata da S. Paolo, tradotta tradizionalmente “il tempo si è fatto breve” oppure “…è arrivato ad una svolta”. Il tempo si è ammainato… come le vele delle navi antiche in vista del porto. Non perché Paolo pensi che il viaggio della nostra vita sia ormai finito, senza futuro- e la storia alla sua conclusione! Non è di tempo cronologico che si tratta.
I primi cristiani, per qualche decennio, forse si erano illusi che fosse ormai imminente il ritorno di Cristo e la fine del mondo. Ma presto hanno capito che non era la quantità, ma la qualità del tempo che era cambiata. È la novità e l’intensità dei contenuti che ci sono stati rivelati e donati in Gesù e nel suo vangelo che provocano dentro una voglia insaziata di viverli, di vederli realizzati subito, ma sono così disomogenei e sproporzionati alle condizioni presenti… che lo spazio e il tempo non ci bastano! La pulsione e la premura dell’attesa che c’è in cuore rende il tempo breve, cioè stretto e angusto, come se tutte le cose da fare, rigenerare e inventare non ci stessero dentro. Il contesto dell’espressione di Paolo è provocato dalle domande dei suoi interlocutori, dai problemi provocati nella loro vita dalla conversione al Vangelo. Problemi di amore, di matrimonio o castità, ma anche di schiavitù o libertà, di ricchezza o povertà, di fede o paganesimo, di cibi puri e impuri… Cosa ne è di questi problemi vitali, quando a uno scoppia in cuore la fede in Gesù Cristo? Tutto appare ribaltato… comunque ogni dimensione della vita sembra sconvolta, sotto la pressione di questa novità nel cuore e nella mente! Cosa bisogna fare?
Il tempo è compiuto!
È finito un tempo! È cambiato il senso della vita. La vita precedente, il “tempo di prima”, non è condannato o bruciato… è compiuto! cioè è arrivato a maturazione. Ha trovato una sua chiave universale di lettura che non spiega tutto, perché la vita continua coi suoi problemi, ma cambia il senso di tutto. Secondo il Battista la chiave è questa: Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccati del mondo. È compiuto il tempo dell’attesa, il tempo in cui prepararsi alle scelte che erano ancor indistinte all’orizzonte, il tempo in cui neanche lui, il precursore, aveva ancora riconosciuto il messia. Paolo fa una lettura originale e profonda dell’inizio della predicazione di Gesù raccontata da Marco: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo. Il tempo, che era gravido del Verbo (il “progetto” vivo del Padre ormai seminato nel mondo) è arrivato a maturazione. Occorre perciò “girarci totalmente” verso di lui (convertirci), ed affidarci alla sua Parola fatta carne. Questo comporta certamente il convertirsi dalle abitudine o condizioni perverse, nelle quali in qualche modo tutti abbiamo vissuto, per quanto riguarda il passato. Lo diceva poco prima chiaramente l’apostolo: non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio! (6,9ss). Questo, però, è soltanto il primo passo che riguarda il convertirsi, dalla situazione in cui si era… perché, sempre, un poco, ci cova dentro e tenta di reinstallarsi! Ma in più c’è una condizione totalmente nuova: affidarsi al Vangelo! Cosa vuol dire?
Vivere “come se”… la libertà dell’amore!
C’è qui come una sollecitudine continuamente ribadita e ripresa nel contesto di Paolo, che provoca il cristiano discepolo di Gesù a spingersi sul crinale difficile dell’affidamento al Vangelo. Da una parte stanno le necessità storiche (psicologiche, affettive, economiche, culturali ) nelle quali il discepolo è immerso quando nasce alla fede (come anche dopo!): sposato o celibe, libero o schiavo, con famiglia pagana o magari ancora pauroso degli idoli… Queste situazioni sono affrontate con saggezza e apertura, alla luce del principio: …Dio vi ha chiamati alla pace (7,15). Ma d’altra parte Paolo non riesce a contenere la premura interiore di una fascinazione pressante. Come dire: puoi fare come vuoi, sei libero, ma se la passione del Signore ti preme dentro non riuscirai più a vivere come prima: d'ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l'avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente… Qualunque condizione di vita, dunque, uno abbia dovuto o voluto scegliere, la fede, se è una passione viva, gli ha creato dentro una specie di distanza interiore tra tutto ciò che fa e vive nel quotidiano, e… il Volto del Signore, che si è impossessato del suo cuore e del suo pensiero. Per cui il discepolo sempre meno è ciò che fa, ma è sempre più ciò che ama e desidera! Questo spazio di distacco, di attesa, di trascendimento di ciò che si fa, questa urgenza di sbilanciamento verso ciò che ancora non è, ha la figura dell’ascesi e gli somiglia per certi versi, ma è piuttosto una scelta di preferenza affettuosa, un’ascesi spinta dalla passione, non da un dovere morale o da una meta da raggiungere: è lo spazio della libertà! Ove nasce e cresce, appunto, la tensione di affidamento al Vangelo, e al volto che lo incarna, il Signore Gesù. Uno può anche ritirarsi in clausura, che questo crinale tra “dovere cristiano” e libertà di ulteriore donazione gli rispunta sempre dentro. È il passaggio dal “dovere” all’amore, dalla legge al dono “per far piacere a uno”! “Allora… ho capito che … ogni anima è libera di rispondere agli inviti di nostro Signore; fare poco o molto per lui: in una parola, di scegliere tra i sacrifici che egli chiede” (S Teresa di Lisieux, A 10v)
… e subito, lasciate le reti, lo seguirono
La sintesi di Marco condensa simbolicamente il travaglio di fermentazione personale, comunitaria, lavorativa, culturale… che questo passaggio comporta. La vocazione è possibile se si è aperto nell’animo, pur immerso nelle faccende quotidiane, questo spazio di disponibilità creativa., che si va liberando, appunto, per un processo interiore di distanziamento da ciò che si fa e che si è. Uno spazio di docibilità nuova che permette alla persona, quando sollecitata, di rispondere all’invito del Signore: “Venite dietro a me… e subito,lasciate le reti lo seguirono…”. La chiamata è un imperativo! Ma non è certamente un ordine giuridico o morale, perché risponde di sì gente malmessa moralmente, come i pubblicani o i peccatori, e non risponde affatto gente di grande moralità, come il giovane ricco o certi farisei onesti… Ma gli uni vivevano già la loro vita “come se”, sempre in ricerca, mai completamente soddisfatti di sé … Gli altri, anche loro cercano qualcosa, ma interiormente è tanto grande l’ingombro irrinunciabile del traguardo raggiunto… che non rischieranno mai di perderlo. Non c’è spazio per una passione ulteriore che li travolga! Non si innamorano mai, perché solo gli innamorati capiscono quanto sia relativo tutto ciò che si è e si vive, e dunque, cosa dunque voglia dire: “vivere tutto… come se”! convinti che “passa la figura di questo mondo!” e resta invece… il loro amore, che vi hanno vissuto dentro! Il cristiano non è rinunciatario rispetto alle sue responsabilità nel mondo e nella storia, perché l’amore al prossimo, centro del vangelo, lo spinge incessantemente a spendersi in questo mondo! Anzi, se mantiene lucidamente una invincibile riserva a immergersi “appieno” in questo mondo, è solo per non rischiare di deviare l’attenzione dal primato di interesse che ha ormai polarizzato la sua vita, l’amore annunciato dal vangelo, vissuto dal Signore e trasmesso a noi: amatevi come io vi ho amato!
Alzati! Va a Ninive, la grande città!
Ninive nella Bibbia è il concentrato della mondanità, simbolo di immoralità e perversione… Per un profeta ebreo è aberrazione andarci a predicare la conversione e la salvezza. E infatti Giona non vuole andarci e gli si amareggia il cuore quando vede che addirittura non solo qualche anima pia e giusta (come pregava Abramo), ma tutta la città si converte. Questa profezia è seminata sotto la crosta, nelle profondità dei destini del mondo, perché “ben più che Giona” c’è qui, ormai, a predicare al mondo la salvezza. Non però al modo di Giona, che, anche lui, aveva un po’ di ragione! Gli sembrava impossibile che, con un po’ di digiuno e di cenere, una storia di ingiustizie e nefandezze potesse essere cancellata… e gli innocenti dimenticati. Non sapeva che la salvezza non è in una cancellazione acritica del male, ma è nell’Agnello, che assume su di sé i peccati del mondo… e nei suoi discepoli, che imparano da lui a fare altrettanto e diventano sale e luce nel mondo. Non è un perdono a basso prezzo! Ma bisogna prendere distanza interiore anche dal male. Non si deve sprofondare nel particolare momento che si vive, neanche tragico, perdendo di vista gli orizzonti grandi che la Parola ha promesso. Non si deve sprofondare nell’angoscia neanche per i più nobili motivi, come il dolore innocente e il male assurdo! Il male è dentro Dio (S. Teresa s’Avila). Infatti lo sapeva anche l’autore del libro di Giona: e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece. Certo che è una metafora, ma non è la favola di un desiderio insensato! Davvero in Dio, rispetto alla nostra storia, c’è un prima e un dopo. Un tempo ove il male (anche se tutto l’esistente è in lui e per lui che esiste) sembra trionfare invincibile, ma dentro il male è seminato un bene che ne avrà ragione, perché Dio è schierato dal quella parte. Così, Gesù Cristo ha vinto il mondo! E ci ha insegnato a fare altrettanto.

domenica 20 gennaio 2008

Ecco l’agnello di Dio… che porta i peccati del mondo

…sentendolo parlare così, seguirono Gesù!
dunque, su questa testimonianza del Battista: “Ecco l’Agnello di Dio”, nasce il primo nucleo di seguaci di Gesù, nasce e si diffonde la chiesa. Perché, ancor oggi, questa rimane la dinamica centrale della fede cristiana, del suo fascino, della sua radicalità, della sua difficoltà “mortale”, per chiunque si lascia trascinare su questo cammino. Soltanto il cammino stesso, infatti, convincerà poi il discepolo e la sua comunità di quanto era importante la testimonianza di Giovanni, come indicatore del Cristo. L’ultimo Vangelo, scritto quando già tutto si era detto e predicato di Gesù, ci ripropone come paradigmatica per ogni cristiano l’esperienza del precursore – anche dopo che si è già inoltrati nel cammino della fede da lui indicato…

Il giorno dopo…
le speranze di maturazione della fede sono legate al… “giorno dopo”, per scandire i passi, attraverso i quali bisogna passare. Giovanni l’ha provato, quando la sua fede è stata messa alla prova dall’arrivo di questo Messia, che non aveva l’aria … del Messia atteso. Non aveva la scure, né il ventilabro e non ha minacciato né cacciato i nemici del popolo di Dio. “Il giorno dopo” è il momento in cui ti accorgi che la sua proposta e il suo vangelo, la sua vita e la sua morte… sono tutt’un’altra cosa, da quanto avevi capito. E bisogna ripetere con il Battista: “io non lo conoscevo”. Eppure gli aveva fatto propaganda al punto che tutta la predicazione e il suo battesimo di penitenza, miravano a far conoscere Gesù ad Israele. Ma infine si è accorto che doveva far conoscere ad Israele uno che lui stesso non conosceva…
E proprio questa era la sua missione: far capire ai penitenti del battesimo di acqua, di andare al seguito di Gesù, perchè solamente dopo che gli si fossero avvicinati, si sarebbero resi conto di non conoscerlo, perché la sapienza e la logica della sua vita non sono di questo mondo, non sono omogenee alla nostra logica di semicristiani tiepidi e ambigui. Soltanto seguendolo ci si poteva accorgere della propria refrattarietà al suo vangelo, e iniziare un dialogo vitale: un battesimo dello Spirito, che è l’unica possibilità vera di conoscenza di lui. Tutto ciò che precede questo incontro di coinvolgimento vitale con lui, può diventa addirittura un ostacolo a conoscerlo … E i due discepoli sarebbero stati per sempre dei “cristiani ritardati” fermi sul guado, se non avessero seguito l’invito del Battista, e non si fossero avventurati di persona sulle tracce di Gesù, per cogliere la sua provocazione: venite e vedete (39).

il triplice presagio
vedendo Gesù venire verso di lui… Giovanni capisce il proprio cammino e il senso della sua missione. E il Vangelo ci aiuta a leggere in filigrana, sul suo percorso, le tappe di conversione di chiunque voglia accettare le sue indicazioni profetiche, per diventare o ridiventare discepolo di Gesù.

  • colui che viene dopo di te è più importante di te, anzi è l’unica cosa importante. Dunque colui che Giovanni (noi) andavamo cercando da una vita, non è “il mio compimento”. Noi, piuttosto, siamo il “suo” compimento! Perché era prima di noi e ci è passato avanti, perché viene dall’eternità del Padre… Se non s’illumina questo barlume, se non ti accorgi di questa stella nelle tenebre; se non ti morde dentro questo presagio che la tua ricerca e i tuoi affanni, la tua missione e le tue presunzioni, il compito o il senso su cui hai puntato la vita sono labili e transitori, e proprio perché impastati del tuo io, ti si sfaldano tra le mani, non si fa spazio dentro di te, per cercare davvero… E comunque non si può censurare troppo a lungo il senso di incompiutezza che ci cova dentro, per il troppo poco che siamo. Non si può far tacere la chiamata interiore ad una dislocazione da fare, che se non altro, diventa umiltà e implorazione. Perché è a questo livello che riconosciamo cosa voglia dire davvero il primo avviso pregiudiziale di Gesù: chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso… Giovanni l’ha fatto fino a scoprirvi il senso definitivo e compiuto della sua missione…
  • Egli deve crescere ed io diminuire” (3,30). Anche per noi… i passi fatti, le fatiche del cammino, le persone che ci accompagnano, le ideologie con cui abbiamo interpretato e razionalizzato il suo vangelo e le nostre scelte (e che comunque dovevamo fare: sono il nostro battesimo penitente!), indicano con la loro fragilità e ambiguità dov’è il futuro, a cosa ci preparavano, verso dove ci spingevano. E ormai hanno realizzato il loro compito, devono ritrarsi per lasciare posto all’incontro, diversissimo per ognuno dei discepoli, ma passaggio assolutamente necessario per uscire dall’adolescenza … vocazionale cristiana, e diventare umilmente “responsabili” della propria fede. Per incontrare così la domanda nuda che Gesù ci rivolge, quando siamo fermi su questa soglia, incerti sul passo decisivo per la nostra vita: Chi cercate? (38).
  • L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è lui che battezza in Spirito Santo. Questa era la promessa e garanzia che l’aveva sostenuto e aveva dato il respiro all’impegno di tutta la sua vita, la forza alla sua voce inascoltata nel deserto, il coraggio della verità pagata di persona, il senso al suo battesimo di penitenza… Colui che sembrava uno dei tanti devoti nella fila dei suoi battezzandi… era il vero Battezzatore e salvatore dell’umanità, smarrita e ferita come pecore senza pastore… Al principio ognuno, man mano che si immerge nelle funzioni, nelle scelte, negli impegni della sua vita cristiana e si spende nella faticosa ricerca di fedeltà e dedizione, crede di conoscere bene Colui per il quale ha dato la vita… Quanto più è grande la (piccola) dedizione di cui siamo capaci, e passano i giorni e gli anni, tanto più è la distanza che scopriamo da lui. Per questo l’insistenza accorata del Battista, diventa propria di chiunque ha provato a seguire Gesù, ed ha imparato a proprie spese a sottoscrivere, presto o tardi la sua dichiarazione perentoria: io non lo conoscevo!

Ecco l’agnello di Dio!
Il giorno dopo, l’anno dopo, o il decennio dopo… arriva il momento che ti trovi seduto per terra come Pietro o Paolo, o smarrito nel viaggio come i due di Emmaus, in forme tanto diverse quanto le storie personali di ognuno. E allora scopri che la fede, così com’era, non ti serve più. Ma non per questo perdi lui: anzi rimane solo lui – e gli sparuti fratelli o sorelle che ti legano a lui! Rimangono questi segni o presagi profetici che Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli… che li ha spinti ad iniziare l’avventura con Gesù, andando a conoscerlo “a casa sua”. Dunque, a non sfuggire, a non cercare capri espiatori, ma ad assumere la propria vita, e a prendere atto di dover iniziare di nuovo…. A livello liturgico e teologico la consapevolezza di questa destinazione cristiana è collaudata nella chiesa. Ad ogni Eucaristia si rinnova sacramentalmente agli invitati alla cena pasquale l’indicazione del Battista "Ecco l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo". Gesù infatti non ha voluto salvarci con la parola, con i miracoli, con le grandi conversioni di popoli, ma con la sua fine innocente e mite sul Calvario, all’ora dell’immolazione degli agnelli pasquali… Dopo aver condiviso con i discepoli l’ultima cena e dopo aver “spiegato” tutto il suo amore ai loro cuori induriti, allora come oggi: li amò sino alla fine!

Nel segno dell’Agnello sta infatti la volontà di assoluta rinuncia alla potenza… vuol dire volere la Paura del Monte degli Ulivi, volere la vergogna e l’amarezza più profonde, volere il tradimento, il rinnegamento, l’abbandono; volere una morte che è fallimento; rinunciare ad ogni prova della fede, ad ogni amore sentito. Una volontà che miri a tutto questo è lo scopo diretto di tutta la vita del Redentore. Chi vuole mettersi al seguito di questa vita, deve quanto meno considerare con tranquillità la prospettiva che venga disposta la stessa via anche per lui. … [H. U. von Balthasar].

Allora riconoscerà la propria non importanza e transitorietà, ma nello stesso tempo vivrà la gioia di cui ha esultato il Battista, l'amico dello sposo, per aver spinto verso Gesù quelli che l’ascoltavano: “questa mia gioia che ora si è adempiuta” (3,29)

martedì 30 ottobre 2007

i santi poveri

una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua.

… chi sono costoro? sono i “beati”! non già quelli ufficiali, che non erano scritti sul calendario, ma quelli di tutti i tempi, e di tutte le chiese e le razze e le lingue - dei quali, secondo Gesù, il Padre si compiace, come a rinnovare nella storia dei millenni, quella specie di benedizione gioiosa, che ripeteva nei vari passi della creazione: E Dio vide che era cosa buona! . Perché Dio, dalla sua postazione, vede la pienezza dello sviluppo futuro già dentro nell’istante minuscolo e transitorio del presente. Per questo, forse, le beatitudini hanno all’inizio, un titolo, per così dire: “beati i poveri!”. Perché in questa “mancanza di bene dovuto”, che è la povertà, in questa incompiutezza di umanità che aspetta, sta la caratteristica comune a tutti coloro che sono detti “beati” da Gesù.

Per cui sono anzitutto i poveri che ci danno, già adesso, in questo mondo, la chiave di lettura del Regno di Dio. Perché anche lui, qui, è povero, nascosto e impercettibile, ma presente… Beati i poveri, dunque, perché di essi è il regno dei cieli. A tutti gli uomini, quindi, anche a quelli incoscienti del mistero di salvezza in cui sono avvolti,… è annunciato (evangelizzato) che la loro povertà, la loro miseria e incompiutezza umana, non è una maledizione, ma è già impregnata dalla benedizione e dalla benevolenza del Padre, che appunto vede il futuro nel mistero di povertà del presente, e ci assicura che ha un progetto (un regno da costruire) con i poveri - che sono loro anzi, il suo progetto, cioè il suo Regno.

… Gesù, che vede la storia con il cuore del Padre, indica (al futuro!) per le varie specie di poveri il finale nel Regno… come andrà a finire! Non è come il premio che ci sarà dato solo dopo il traguardo, faticosamente raggiunto. La benedizione di compiacimento del Padre, è come un seme, già depositato nel cuore dell’umanità, un fermento gia impastato dentro il cuore degli uomini. Già adesso lievita la storia e dà senso e sostegno e consolazione al cammino del credente.

C’è grande solennità per questa rivelazione del segreto del Padre sulla storia degli uomini: salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava… La proclamazione che le sofferenze abbandonate, i desideri inascoltati, gli sforzi incompresi e sempre ricominciati, di bontà e di mitezza nella costruzione della pace e della giustizia, la misericordia che perdona sempre e comunque, la trasparenza del cuore e degli occhi … tutte queste situazioni di incompiutezza, di attesa operosa, di persecuzione gratuita… non sono l’ultima parola. Hanno già adesso, dentro di sé, un futuro di consolazione, di esaudimento, di beatitudine, appunto… fino a conquistare ed impregnare di mitezza e tenerezza e misericordia tutta la terra.

siamo già adesso, figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato

… un Padre così grande, immensamente buono, onnisciente e potente… ha dei figli così poveri? C’è qualcosa che non funziona nella nostra concezione… o di Dio o della nostra storia! Qualcosa che ci fa velo e non ci lascia vedere, secondo Gesù, la verità della “benevolenza compiacente” di Dio sulla nostra vita. Eppure, il Vangelo – la buona notizia! ‑ è questa : che noi stiamo andando verso un futuro in cui la nostra vera identità inedita, implosa, sarà pubblicata, si farà palese. Adesso non la conosciamo ancora! Ci sono però nel Vangelo le indicazioni profetiche di come saremo…i prodromi, i germogli, la preparazione tacita di ciò che esploderà in noi.

...sono le “beatitudini”, cioè il parere profetico di Dio sulla nostra storia! i poveri, gli afflitti, i miti, gli operatori di pace e di giustizia, quelli che seminano sempre misericordia, quelli che con la sopportazione dell’aggressività e delle prepotenze persecutorie sveleniscono le tensione e i conflitti … sono i rappresentanti di ciò che saremo. Sono la preparazione qui in terra di come sarà questo mondo nel mondo li là! Sono questi i “poveri santi” evangelici… non inquadrabili in modelli culturali stereotipati o consacrati, come quelli scritti nel calendario per la nostra edificazione. Quelli evangelici non è che siano da imitare, sono già in mezzo a noi, e noi non ce ne accorgiamo, se non di rado, ma sono “in condizione di santità”, pur sembrando solo… poveretti, come noi! Sono tutti gli sconfitti anonimi, umiliati dai prepotenti della terra, e non sono incattiviti. Hanno ceduto quanto gli spettava, per non litigare con i fratelli. Hanno taciuto, perché nessuno sarebbe stato ad ascoltarli. Le innumerevoli donne che nelle case, nei grattaceli o nelle capanne, hanno distribuito accudimento e tenerezza senza riceverne il contraccambio, i bambini che piangevano o ridevano, anche se nessuno li guardava… gli schiavi sfruttati da tutti, senza considerarli uomini… e lo stesso hanno dato mani, sudore e sangue… Il Signore dice che sono “beati”…

noi stessi siamo chiamati a vedere con questa luce la nostra vita.

C’è una parte di noi stessi che simpatizza già adesso per questa benevolenza del Signore che annuncia il nostro futuro, come vivessimo due livelli di vita diversi. Quella al futuro, seminata in noi dalla sua Parola e dai sacramenti della sua Chiesa… e quella della vita del mondo in ci viviamo, quando la logica della sopravvivenza e della competizione ci riprendono il cuore e riteniamo istintivamente beati quelli che sono “riusciti”, che si sono imposti nella competizione della vita… a costo di opprimere e lasciar per strada tante sofferenze… E ci è riproposta la domanda: vuoi essere uomo dell’attimo transitorio, che comunque è troppo corto per i desideri infiniti del cuore, e svanisce come l’erba del campo?! O invece vuoi essere uomo di eternità!? che si lascia segnare con il sigillo delle beatitudine sulla fronte, e lava le sue incerte e ambigue speranze nel sangue dell’Agnello, cioè nella parola, nella vita e nella morte e resurrezione di Gesù. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.

Non perché i cristiani siano dei pessimisti,

che vedono nel mondo solo la caducità e non sanno fare altro che rassegnarsi. Certo, non fanno del mondo e della cultura la ragione unica della loro vita, perché è troppo poco, e la promessa che è stata rivelata per loro e per tutti gli uomini è troppo più lunga di questo mondo. Ma sono ottimisti nei confronti del divino che è presente nel mondo (Bonhoeffer). Per cui sono sereni anche nella sofferenza dell’attesa, ma di una serenità che è pur sempre venata di malinconia, per l’incompiutezza attuale che fa soffrire tanta gente, e di nostalgia del futuro che ci è promesso. Convinti però che il mondo e solo il mondo è il luogo del loro lavoro, il campo di azione del Regno di Dio.

…tra questi santi ci sono i nostri morti,

gli innumerevoli anelli della catena della vita che è arrivata fino a noi, che ci hanno accudito, hanno camminato con noi … con le loro debolezze e fatiche, il loro affetto e il loro mistero “inedito”. Perché è proprio questo l’anelito o il gemito fondamentale di tutto il creato, che la morte ci sembra soffocare: il legame di relazione e di coinvolgimento incancellabile tra fratelli sorelle, piccoli e grandi, tutti affamati di amore e comunione. A loro ci lega indissolubilmente questa comunione che adesso, dalla loro parte, pensiamo già entrata nella luce. Hanno già sciolto il velo che copriva, sul loro volto, il disegno della misericordia del Padre, che ha asciugato le loro lacrime… Allora risplenderà la luce di questa promessa che ogni sofferenza per mancanza di amore in questo mondo, ogni povertà e miseria, è già accolta dal Padre nella sua misericordia. Vedranno faccia a faccia, che il segreto nascosto sotto la scorza dura della vita era già una beatitudine divina.

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