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giovedì 22 gennaio 2009

È il momento giusto: venite dietro a me!

Il tempo si è ammainato!
…dice l’espressione marinara usata da S. Paolo, tradotta tradizionalmente “il tempo si è fatto breve” oppure “…è arrivato ad una svolta”. Il tempo si è ammainato… come le vele delle navi antiche in vista del porto. Non perché Paolo pensi che il viaggio della nostra vita sia ormai finito, senza futuro- e la storia alla sua conclusione! Non è di tempo cronologico che si tratta.
I primi cristiani, per qualche decennio, forse si erano illusi che fosse ormai imminente il ritorno di Cristo e la fine del mondo. Ma presto hanno capito che non era la quantità, ma la qualità del tempo che era cambiata. È la novità e l’intensità dei contenuti che ci sono stati rivelati e donati in Gesù e nel suo vangelo che provocano dentro una voglia insaziata di viverli, di vederli realizzati subito, ma sono così disomogenei e sproporzionati alle condizioni presenti… che lo spazio e il tempo non ci bastano! La pulsione e la premura dell’attesa che c’è in cuore rende il tempo breve, cioè stretto e angusto, come se tutte le cose da fare, rigenerare e inventare non ci stessero dentro. Il contesto dell’espressione di Paolo è provocato dalle domande dei suoi interlocutori, dai problemi provocati nella loro vita dalla conversione al Vangelo. Problemi di amore, di matrimonio o castità, ma anche di schiavitù o libertà, di ricchezza o povertà, di fede o paganesimo, di cibi puri e impuri… Cosa ne è di questi problemi vitali, quando a uno scoppia in cuore la fede in Gesù Cristo? Tutto appare ribaltato… comunque ogni dimensione della vita sembra sconvolta, sotto la pressione di questa novità nel cuore e nella mente! Cosa bisogna fare?
Il tempo è compiuto!
È finito un tempo! È cambiato il senso della vita. La vita precedente, il “tempo di prima”, non è condannato o bruciato… è compiuto! cioè è arrivato a maturazione. Ha trovato una sua chiave universale di lettura che non spiega tutto, perché la vita continua coi suoi problemi, ma cambia il senso di tutto. Secondo il Battista la chiave è questa: Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccati del mondo. È compiuto il tempo dell’attesa, il tempo in cui prepararsi alle scelte che erano ancor indistinte all’orizzonte, il tempo in cui neanche lui, il precursore, aveva ancora riconosciuto il messia. Paolo fa una lettura originale e profonda dell’inizio della predicazione di Gesù raccontata da Marco: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo. Il tempo, che era gravido del Verbo (il “progetto” vivo del Padre ormai seminato nel mondo) è arrivato a maturazione. Occorre perciò “girarci totalmente” verso di lui (convertirci), ed affidarci alla sua Parola fatta carne. Questo comporta certamente il convertirsi dalle abitudine o condizioni perverse, nelle quali in qualche modo tutti abbiamo vissuto, per quanto riguarda il passato. Lo diceva poco prima chiaramente l’apostolo: non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio! (6,9ss). Questo, però, è soltanto il primo passo che riguarda il convertirsi, dalla situazione in cui si era… perché, sempre, un poco, ci cova dentro e tenta di reinstallarsi! Ma in più c’è una condizione totalmente nuova: affidarsi al Vangelo! Cosa vuol dire?
Vivere “come se”… la libertà dell’amore!
C’è qui come una sollecitudine continuamente ribadita e ripresa nel contesto di Paolo, che provoca il cristiano discepolo di Gesù a spingersi sul crinale difficile dell’affidamento al Vangelo. Da una parte stanno le necessità storiche (psicologiche, affettive, economiche, culturali ) nelle quali il discepolo è immerso quando nasce alla fede (come anche dopo!): sposato o celibe, libero o schiavo, con famiglia pagana o magari ancora pauroso degli idoli… Queste situazioni sono affrontate con saggezza e apertura, alla luce del principio: …Dio vi ha chiamati alla pace (7,15). Ma d’altra parte Paolo non riesce a contenere la premura interiore di una fascinazione pressante. Come dire: puoi fare come vuoi, sei libero, ma se la passione del Signore ti preme dentro non riuscirai più a vivere come prima: d'ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l'avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente… Qualunque condizione di vita, dunque, uno abbia dovuto o voluto scegliere, la fede, se è una passione viva, gli ha creato dentro una specie di distanza interiore tra tutto ciò che fa e vive nel quotidiano, e… il Volto del Signore, che si è impossessato del suo cuore e del suo pensiero. Per cui il discepolo sempre meno è ciò che fa, ma è sempre più ciò che ama e desidera! Questo spazio di distacco, di attesa, di trascendimento di ciò che si fa, questa urgenza di sbilanciamento verso ciò che ancora non è, ha la figura dell’ascesi e gli somiglia per certi versi, ma è piuttosto una scelta di preferenza affettuosa, un’ascesi spinta dalla passione, non da un dovere morale o da una meta da raggiungere: è lo spazio della libertà! Ove nasce e cresce, appunto, la tensione di affidamento al Vangelo, e al volto che lo incarna, il Signore Gesù. Uno può anche ritirarsi in clausura, che questo crinale tra “dovere cristiano” e libertà di ulteriore donazione gli rispunta sempre dentro. È il passaggio dal “dovere” all’amore, dalla legge al dono “per far piacere a uno”! “Allora… ho capito che … ogni anima è libera di rispondere agli inviti di nostro Signore; fare poco o molto per lui: in una parola, di scegliere tra i sacrifici che egli chiede” (S Teresa di Lisieux, A 10v)
… e subito, lasciate le reti, lo seguirono
La sintesi di Marco condensa simbolicamente il travaglio di fermentazione personale, comunitaria, lavorativa, culturale… che questo passaggio comporta. La vocazione è possibile se si è aperto nell’animo, pur immerso nelle faccende quotidiane, questo spazio di disponibilità creativa., che si va liberando, appunto, per un processo interiore di distanziamento da ciò che si fa e che si è. Uno spazio di docibilità nuova che permette alla persona, quando sollecitata, di rispondere all’invito del Signore: “Venite dietro a me… e subito,lasciate le reti lo seguirono…”. La chiamata è un imperativo! Ma non è certamente un ordine giuridico o morale, perché risponde di sì gente malmessa moralmente, come i pubblicani o i peccatori, e non risponde affatto gente di grande moralità, come il giovane ricco o certi farisei onesti… Ma gli uni vivevano già la loro vita “come se”, sempre in ricerca, mai completamente soddisfatti di sé … Gli altri, anche loro cercano qualcosa, ma interiormente è tanto grande l’ingombro irrinunciabile del traguardo raggiunto… che non rischieranno mai di perderlo. Non c’è spazio per una passione ulteriore che li travolga! Non si innamorano mai, perché solo gli innamorati capiscono quanto sia relativo tutto ciò che si è e si vive, e dunque, cosa dunque voglia dire: “vivere tutto… come se”! convinti che “passa la figura di questo mondo!” e resta invece… il loro amore, che vi hanno vissuto dentro! Il cristiano non è rinunciatario rispetto alle sue responsabilità nel mondo e nella storia, perché l’amore al prossimo, centro del vangelo, lo spinge incessantemente a spendersi in questo mondo! Anzi, se mantiene lucidamente una invincibile riserva a immergersi “appieno” in questo mondo, è solo per non rischiare di deviare l’attenzione dal primato di interesse che ha ormai polarizzato la sua vita, l’amore annunciato dal vangelo, vissuto dal Signore e trasmesso a noi: amatevi come io vi ho amato!
Alzati! Va a Ninive, la grande città!
Ninive nella Bibbia è il concentrato della mondanità, simbolo di immoralità e perversione… Per un profeta ebreo è aberrazione andarci a predicare la conversione e la salvezza. E infatti Giona non vuole andarci e gli si amareggia il cuore quando vede che addirittura non solo qualche anima pia e giusta (come pregava Abramo), ma tutta la città si converte. Questa profezia è seminata sotto la crosta, nelle profondità dei destini del mondo, perché “ben più che Giona” c’è qui, ormai, a predicare al mondo la salvezza. Non però al modo di Giona, che, anche lui, aveva un po’ di ragione! Gli sembrava impossibile che, con un po’ di digiuno e di cenere, una storia di ingiustizie e nefandezze potesse essere cancellata… e gli innocenti dimenticati. Non sapeva che la salvezza non è in una cancellazione acritica del male, ma è nell’Agnello, che assume su di sé i peccati del mondo… e nei suoi discepoli, che imparano da lui a fare altrettanto e diventano sale e luce nel mondo. Non è un perdono a basso prezzo! Ma bisogna prendere distanza interiore anche dal male. Non si deve sprofondare nel particolare momento che si vive, neanche tragico, perdendo di vista gli orizzonti grandi che la Parola ha promesso. Non si deve sprofondare nell’angoscia neanche per i più nobili motivi, come il dolore innocente e il male assurdo! Il male è dentro Dio (S. Teresa s’Avila). Infatti lo sapeva anche l’autore del libro di Giona: e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece. Certo che è una metafora, ma non è la favola di un desiderio insensato! Davvero in Dio, rispetto alla nostra storia, c’è un prima e un dopo. Un tempo ove il male (anche se tutto l’esistente è in lui e per lui che esiste) sembra trionfare invincibile, ma dentro il male è seminato un bene che ne avrà ragione, perché Dio è schierato dal quella parte. Così, Gesù Cristo ha vinto il mondo! E ci ha insegnato a fare altrettanto.

sabato 13 ottobre 2007

Un "frammento" dai nostri Esercizi Spirituali con P. Francesco Rossi de Gasperis


"…l’ultima realtà è soltanto il Signore Gesù. E questa signoria è così vera che io posso accettare tutti i superiori possibili e immaginabili, perché so che nessuno di loro è mio superiore: tutti sono segno e sacramento dell’Unico Re.

Servire Dio è regnare! Ma capire - d’altra parte -, come tutta la storia d’Israele ci insegna, che la regalità di questo Re ci chiede anche di vivere nella storia e quindi di obbedire a questi segni. (…)

Io posso sottomettermi a tutte le obbedienze in vista del Re e vivere nella Chiesa, nella famiglia di Dio, con una totale libertà perché la mia coscienza guarda LUI, non altri. Anzi – direi - che questa mia dipendenza dal Re, mi rende accogliente verso tutte le cose che incontro, verso tutte le cose più piccole e più, qualche volta, anche meschine, con il sorriso di chi sa che, oltre a tutte le apparenze, c’è LUI e che LUI non inganna nessuno.

…. Il Signore ha in mano la storia, il tempo, le cose che ci sono e quelle che ci saranno, quelle che stanno passando e quelle che passeranno.

..vivere nella gioia, nella pace, nella consegna di me a questo Re che è il Re dei re e il Signore dei signori e che mi insegna proprio che la regalità l’ha ottenuta attraverso la Croce. E dunque, non c’è nessuna croce che mi si possa presentare che non possa essere una via, una strada, per la libertà. Non c’è nessuna profondità – diciamo -, in cui io possa cadere, in cui non è già passato LUI.

Questo mi sembra – vedete -, il senso della Discesa di Gesù agli Inferi, che è un articolo della fede che forse non sempre capiamo bene che cosa vuol dire. Dire che “Gesù è disceso agli inferi”, significa che ha riempito l’abisso, che è passato dove nessuno di noi è più capace di passare perché già c’è passato LUI, che ha conosciuto la morte – soltanto Gesù, direi, è davvero morto, perché soltanto Gesù ha conosciuto una morte che nessuno ha redento per LUI; la morte di Gesù è incomprensibile per noi perché è morto di una morte non redenta e ha redento LUI la nostra morte -.

E dunque non c’è nessuna morte, nessuna croce in fondo, in cui LUI non sia già passato. E questo fa in modo che ogni croce che mi si presenta diventa un luogo di sequela di LUI che è andato avanti a me. E allora non c’è più d’aver paura della morte, non c’è più d’aver paura della croce, ma - come dicevo - anzi, ogni croce, anche la più nera può diventare la via della liberazione. Questo è tutto quello che hanno capito i martiri nella vita della Chiesa.

Sono alcuni pensieri da nutrire davanti alla Croce del Signore, sapendo che in questo modo LUI ha fatto giustizia, ma una giustizia del mondo che è anche la liberazione del mondo.

Cerchiamo, chiediamo, di vedere la concretezza di questo proprio nelle cose anche più piccole della nostra vita.

Dicevo che “Gesù resta sempre il bambino del Padre, che gioca davanti al Padre anche sulla Croce”: ci insegna anche LUI a giocare con le nostre croci.

Certe volte un modo di darci importanza è quello di dire, insomma, che stiamo soffrendo terribilmente, nella passione…relativizziamo: non c’è nessuna croce con cui non si possa giocare, proprio perché il Signore ha preso la Croce come suo trono.

E’ dunque con l’umorismo, se volete, di questo fatto, che, come dice il prefazio della Croce, colui che credeva di vincere con l’albero dall’albero è stato sconfitto – è stato sconfitto per la forza della Risurrezione che ha segnato l’ultima parola sulla morte, e quest’ultima parola è Vita, Vita che non muore più -.

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