Il tempo si è ammainato!
…dice l’espressione marinara usata da S. Paolo, tradotta tradizionalmente “il tempo si è fatto breve” oppure “…è arrivato ad una svolta”. Il tempo si è ammainato… come le vele delle navi antiche in vista del porto. Non perché Paolo pensi che il viaggio della nostra vita sia ormai finito, senza futuro- e la storia alla sua conclusione! Non è di tempo cronologico che si tratta.
I primi cristiani, per qualche decennio, forse si erano illusi che fosse ormai imminente il ritorno di Cristo e la fine del mondo. Ma presto hanno capito che non era la quantità, ma la qualità del tempo che era cambiata. È la novità e l’intensità dei contenuti che ci sono stati rivelati e donati in Gesù e nel suo vangelo che provocano dentro una voglia insaziata di viverli, di vederli realizzati subito, ma sono così disomogenei e sproporzionati alle condizioni presenti… che lo spazio e il tempo non ci bastano! La pulsione e la premura dell’attesa che c’è in cuore rende il tempo breve, cioè stretto e angusto, come se tutte le cose da fare, rigenerare e inventare non ci stessero dentro. Il contesto dell’espressione di Paolo è provocato dalle domande dei suoi interlocutori, dai problemi provocati nella loro vita dalla conversione al Vangelo. Problemi di amore, di matrimonio o castità, ma anche di schiavitù o libertà, di ricchezza o povertà, di fede o paganesimo, di cibi puri e impuri… Cosa ne è di questi problemi vitali, quando a uno scoppia in cuore la fede in Gesù Cristo? Tutto appare ribaltato… comunque ogni dimensione della vita sembra sconvolta, sotto la pressione di questa novità nel cuore e nella mente! Cosa bisogna fare?
Il tempo è compiuto!
È finito un tempo! È cambiato il senso della vita. La vita precedente, il “tempo di prima”, non è condannato o bruciato… è compiuto! cioè è arrivato a maturazione. Ha trovato una sua chiave universale di lettura che non spiega tutto, perché la vita continua coi suoi problemi, ma cambia il senso di tutto. Secondo il Battista la chiave è questa: Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccati del mondo. È compiuto il tempo dell’attesa, il tempo in cui prepararsi alle scelte che erano ancor indistinte all’orizzonte, il tempo in cui neanche lui, il precursore, aveva ancora riconosciuto il messia. Paolo fa una lettura originale e profonda dell’inizio della predicazione di Gesù raccontata da Marco: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo. Il tempo, che era gravido del Verbo (il “progetto” vivo del Padre ormai seminato nel mondo) è arrivato a maturazione. Occorre perciò “girarci totalmente” verso di lui (convertirci), ed affidarci alla sua Parola fatta carne. Questo comporta certamente il convertirsi dalle abitudine o condizioni perverse, nelle quali in qualche modo tutti abbiamo vissuto, per quanto riguarda il passato. Lo diceva poco prima chiaramente l’apostolo: non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio! (6,9ss). Questo, però, è soltanto il primo passo che riguarda il convertirsi, dalla situazione in cui si era… perché, sempre, un poco, ci cova dentro e tenta di reinstallarsi! Ma in più c’è una condizione totalmente nuova: affidarsi al Vangelo! Cosa vuol dire?
Vivere “come se”… la libertà dell’amore!
C’è qui come una sollecitudine continuamente ribadita e ripresa nel contesto di Paolo, che provoca il cristiano discepolo di Gesù a spingersi sul crinale difficile dell’affidamento al Vangelo. Da una parte stanno le necessità storiche (psicologiche, affettive, economiche, culturali ) nelle quali il discepolo è immerso quando nasce alla fede (come anche dopo!): sposato o celibe, libero o schiavo, con famiglia pagana o magari ancora pauroso degli idoli… Queste situazioni sono affrontate con saggezza e apertura, alla luce del principio: …Dio vi ha chiamati alla pace (7,15). Ma d’altra parte Paolo non riesce a contenere la premura interiore di una fascinazione pressante. Come dire: puoi fare come vuoi, sei libero, ma se la passione del Signore ti preme dentro non riuscirai più a vivere come prima: d'ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l'avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente… Qualunque condizione di vita, dunque, uno abbia dovuto o voluto scegliere, la fede, se è una passione viva, gli ha creato dentro una specie di distanza interiore tra tutto ciò che fa e vive nel quotidiano, e… il Volto del Signore, che si è impossessato del suo cuore e del suo pensiero. Per cui il discepolo sempre meno è ciò che fa, ma è sempre più ciò che ama e desidera! Questo spazio di distacco, di attesa, di trascendimento di ciò che si fa, questa urgenza di sbilanciamento verso ciò che ancora non è, ha la figura dell’ascesi e gli somiglia per certi versi, ma è piuttosto una scelta di preferenza affettuosa, un’ascesi spinta dalla passione, non da un dovere morale o da una meta da raggiungere: è lo spazio della libertà! Ove nasce e cresce, appunto, la tensione di affidamento al Vangelo, e al volto che lo incarna, il Signore Gesù. Uno può anche ritirarsi in clausura, che questo crinale tra “dovere cristiano” e libertà di ulteriore donazione gli rispunta sempre dentro. È il passaggio dal “dovere” all’amore, dalla legge al dono “per far piacere a uno”! “Allora… ho capito che … ogni anima è libera di rispondere agli inviti di nostro Signore; fare poco o molto per lui: in una parola, di scegliere tra i sacrifici che egli chiede” (S Teresa di Lisieux, A 10v)
… e subito, lasciate le reti, lo seguirono
La sintesi di Marco condensa simbolicamente il travaglio di fermentazione personale, comunitaria, lavorativa, culturale… che questo passaggio comporta. La vocazione è possibile se si è aperto nell’animo, pur immerso nelle faccende quotidiane, questo spazio di disponibilità creativa., che si va liberando, appunto, per un processo interiore di distanziamento da ciò che si fa e che si è. Uno spazio di docibilità nuova che permette alla persona, quando sollecitata, di rispondere all’invito del Signore: “Venite dietro a me… e subito,lasciate le reti lo seguirono…”. La chiamata è un imperativo! Ma non è certamente un ordine giuridico o morale, perché risponde di sì gente malmessa moralmente, come i pubblicani o i peccatori, e non risponde affatto gente di grande moralità, come il giovane ricco o certi farisei onesti… Ma gli uni vivevano già la loro vita “come se”, sempre in ricerca, mai completamente soddisfatti di sé … Gli altri, anche loro cercano qualcosa, ma interiormente è tanto grande l’ingombro irrinunciabile del traguardo raggiunto… che non rischieranno mai di perderlo. Non c’è spazio per una passione ulteriore che li travolga! Non si innamorano mai, perché solo gli innamorati capiscono quanto sia relativo tutto ciò che si è e si vive, e dunque, cosa dunque voglia dire: “vivere tutto… come se”! convinti che “passa la figura di questo mondo!” e resta invece… il loro amore, che vi hanno vissuto dentro! Il cristiano non è rinunciatario rispetto alle sue responsabilità nel mondo e nella storia, perché l’amore al prossimo, centro del vangelo, lo spinge incessantemente a spendersi in questo mondo! Anzi, se mantiene lucidamente una invincibile riserva a immergersi “appieno” in questo mondo, è solo per non rischiare di deviare l’attenzione dal primato di interesse che ha ormai polarizzato la sua vita, l’amore annunciato dal vangelo, vissuto dal Signore e trasmesso a noi: amatevi come io vi ho amato!
Alzati! Va a Ninive, la grande città!
Ninive nella Bibbia è il concentrato della mondanità, simbolo di immoralità e perversione… Per un profeta ebreo è aberrazione andarci a predicare la conversione e la salvezza. E infatti Giona non vuole andarci e gli si amareggia il cuore quando vede che addirittura non solo qualche anima pia e giusta (come pregava Abramo), ma tutta la città si converte. Questa profezia è seminata sotto la crosta, nelle profondità dei destini del mondo, perché “ben più che Giona” c’è qui, ormai, a predicare al mondo la salvezza. Non però al modo di Giona, che, anche lui, aveva un po’ di ragione! Gli sembrava impossibile che, con un po’ di digiuno e di cenere, una storia di ingiustizie e nefandezze potesse essere cancellata… e gli innocenti dimenticati. Non sapeva che la salvezza non è in una cancellazione acritica del male, ma è nell’Agnello, che assume su di sé i peccati del mondo… e nei suoi discepoli, che imparano da lui a fare altrettanto e diventano sale e luce nel mondo. Non è un perdono a basso prezzo! Ma bisogna prendere distanza interiore anche dal male. Non si deve sprofondare nel particolare momento che si vive, neanche tragico, perdendo di vista gli orizzonti grandi che la Parola ha promesso. Non si deve sprofondare nell’angoscia neanche per i più nobili motivi, come il dolore innocente e il male assurdo! Il male è dentro Dio (S. Teresa s’Avila). Infatti lo sapeva anche l’autore del libro di Giona: e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece. Certo che è una metafora, ma non è la favola di un desiderio insensato! Davvero in Dio, rispetto alla nostra storia, c’è un prima e un dopo. Un tempo ove il male (anche se tutto l’esistente è in lui e per lui che esiste) sembra trionfare invincibile, ma dentro il male è seminato un bene che ne avrà ragione, perché Dio è schierato dal quella parte. Così, Gesù Cristo ha vinto il mondo! E ci ha insegnato a fare altrettanto.
…dice l’espressione marinara usata da S. Paolo, tradotta tradizionalmente “il tempo si è fatto breve” oppure “…è arrivato ad una svolta”. Il tempo si è ammainato… come le vele delle navi antiche in vista del porto. Non perché Paolo pensi che il viaggio della nostra vita sia ormai finito, senza futuro- e la storia alla sua conclusione! Non è di tempo cronologico che si tratta.
I primi cristiani, per qualche decennio, forse si erano illusi che fosse ormai imminente il ritorno di Cristo e la fine del mondo. Ma presto hanno capito che non era la quantità, ma la qualità del tempo che era cambiata. È la novità e l’intensità dei contenuti che ci sono stati rivelati e donati in Gesù e nel suo vangelo che provocano dentro una voglia insaziata di viverli, di vederli realizzati subito, ma sono così disomogenei e sproporzionati alle condizioni presenti… che lo spazio e il tempo non ci bastano! La pulsione e la premura dell’attesa che c’è in cuore rende il tempo breve, cioè stretto e angusto, come se tutte le cose da fare, rigenerare e inventare non ci stessero dentro. Il contesto dell’espressione di Paolo è provocato dalle domande dei suoi interlocutori, dai problemi provocati nella loro vita dalla conversione al Vangelo. Problemi di amore, di matrimonio o castità, ma anche di schiavitù o libertà, di ricchezza o povertà, di fede o paganesimo, di cibi puri e impuri… Cosa ne è di questi problemi vitali, quando a uno scoppia in cuore la fede in Gesù Cristo? Tutto appare ribaltato… comunque ogni dimensione della vita sembra sconvolta, sotto la pressione di questa novità nel cuore e nella mente! Cosa bisogna fare?
Il tempo è compiuto!
È finito un tempo! È cambiato il senso della vita. La vita precedente, il “tempo di prima”, non è condannato o bruciato… è compiuto! cioè è arrivato a maturazione. Ha trovato una sua chiave universale di lettura che non spiega tutto, perché la vita continua coi suoi problemi, ma cambia il senso di tutto. Secondo il Battista la chiave è questa: Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccati del mondo. È compiuto il tempo dell’attesa, il tempo in cui prepararsi alle scelte che erano ancor indistinte all’orizzonte, il tempo in cui neanche lui, il precursore, aveva ancora riconosciuto il messia. Paolo fa una lettura originale e profonda dell’inizio della predicazione di Gesù raccontata da Marco: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo. Il tempo, che era gravido del Verbo (il “progetto” vivo del Padre ormai seminato nel mondo) è arrivato a maturazione. Occorre perciò “girarci totalmente” verso di lui (convertirci), ed affidarci alla sua Parola fatta carne. Questo comporta certamente il convertirsi dalle abitudine o condizioni perverse, nelle quali in qualche modo tutti abbiamo vissuto, per quanto riguarda il passato. Lo diceva poco prima chiaramente l’apostolo: non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio! (6,9ss). Questo, però, è soltanto il primo passo che riguarda il convertirsi, dalla situazione in cui si era… perché, sempre, un poco, ci cova dentro e tenta di reinstallarsi! Ma in più c’è una condizione totalmente nuova: affidarsi al Vangelo! Cosa vuol dire?
Vivere “come se”… la libertà dell’amore!
C’è qui come una sollecitudine continuamente ribadita e ripresa nel contesto di Paolo, che provoca il cristiano discepolo di Gesù a spingersi sul crinale difficile dell’affidamento al Vangelo. Da una parte stanno le necessità storiche (psicologiche, affettive, economiche, culturali ) nelle quali il discepolo è immerso quando nasce alla fede (come anche dopo!): sposato o celibe, libero o schiavo, con famiglia pagana o magari ancora pauroso degli idoli… Queste situazioni sono affrontate con saggezza e apertura, alla luce del principio: …Dio vi ha chiamati alla pace (7,15). Ma d’altra parte Paolo non riesce a contenere la premura interiore di una fascinazione pressante. Come dire: puoi fare come vuoi, sei libero, ma se la passione del Signore ti preme dentro non riuscirai più a vivere come prima: d'ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l'avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente… Qualunque condizione di vita, dunque, uno abbia dovuto o voluto scegliere, la fede, se è una passione viva, gli ha creato dentro una specie di distanza interiore tra tutto ciò che fa e vive nel quotidiano, e… il Volto del Signore, che si è impossessato del suo cuore e del suo pensiero. Per cui il discepolo sempre meno è ciò che fa, ma è sempre più ciò che ama e desidera! Questo spazio di distacco, di attesa, di trascendimento di ciò che si fa, questa urgenza di sbilanciamento verso ciò che ancora non è, ha la figura dell’ascesi e gli somiglia per certi versi, ma è piuttosto una scelta di preferenza affettuosa, un’ascesi spinta dalla passione, non da un dovere morale o da una meta da raggiungere: è lo spazio della libertà! Ove nasce e cresce, appunto, la tensione di affidamento al Vangelo, e al volto che lo incarna, il Signore Gesù. Uno può anche ritirarsi in clausura, che questo crinale tra “dovere cristiano” e libertà di ulteriore donazione gli rispunta sempre dentro. È il passaggio dal “dovere” all’amore, dalla legge al dono “per far piacere a uno”! “Allora… ho capito che … ogni anima è libera di rispondere agli inviti di nostro Signore; fare poco o molto per lui: in una parola, di scegliere tra i sacrifici che egli chiede” (S Teresa di Lisieux, A 10v)
… e subito, lasciate le reti, lo seguirono
La sintesi di Marco condensa simbolicamente il travaglio di fermentazione personale, comunitaria, lavorativa, culturale… che questo passaggio comporta. La vocazione è possibile se si è aperto nell’animo, pur immerso nelle faccende quotidiane, questo spazio di disponibilità creativa., che si va liberando, appunto, per un processo interiore di distanziamento da ciò che si fa e che si è. Uno spazio di docibilità nuova che permette alla persona, quando sollecitata, di rispondere all’invito del Signore: “Venite dietro a me… e subito,lasciate le reti lo seguirono…”. La chiamata è un imperativo! Ma non è certamente un ordine giuridico o morale, perché risponde di sì gente malmessa moralmente, come i pubblicani o i peccatori, e non risponde affatto gente di grande moralità, come il giovane ricco o certi farisei onesti… Ma gli uni vivevano già la loro vita “come se”, sempre in ricerca, mai completamente soddisfatti di sé … Gli altri, anche loro cercano qualcosa, ma interiormente è tanto grande l’ingombro irrinunciabile del traguardo raggiunto… che non rischieranno mai di perderlo. Non c’è spazio per una passione ulteriore che li travolga! Non si innamorano mai, perché solo gli innamorati capiscono quanto sia relativo tutto ciò che si è e si vive, e dunque, cosa dunque voglia dire: “vivere tutto… come se”! convinti che “passa la figura di questo mondo!” e resta invece… il loro amore, che vi hanno vissuto dentro! Il cristiano non è rinunciatario rispetto alle sue responsabilità nel mondo e nella storia, perché l’amore al prossimo, centro del vangelo, lo spinge incessantemente a spendersi in questo mondo! Anzi, se mantiene lucidamente una invincibile riserva a immergersi “appieno” in questo mondo, è solo per non rischiare di deviare l’attenzione dal primato di interesse che ha ormai polarizzato la sua vita, l’amore annunciato dal vangelo, vissuto dal Signore e trasmesso a noi: amatevi come io vi ho amato!
Alzati! Va a Ninive, la grande città!
Ninive nella Bibbia è il concentrato della mondanità, simbolo di immoralità e perversione… Per un profeta ebreo è aberrazione andarci a predicare la conversione e la salvezza. E infatti Giona non vuole andarci e gli si amareggia il cuore quando vede che addirittura non solo qualche anima pia e giusta (come pregava Abramo), ma tutta la città si converte. Questa profezia è seminata sotto la crosta, nelle profondità dei destini del mondo, perché “ben più che Giona” c’è qui, ormai, a predicare al mondo la salvezza. Non però al modo di Giona, che, anche lui, aveva un po’ di ragione! Gli sembrava impossibile che, con un po’ di digiuno e di cenere, una storia di ingiustizie e nefandezze potesse essere cancellata… e gli innocenti dimenticati. Non sapeva che la salvezza non è in una cancellazione acritica del male, ma è nell’Agnello, che assume su di sé i peccati del mondo… e nei suoi discepoli, che imparano da lui a fare altrettanto e diventano sale e luce nel mondo. Non è un perdono a basso prezzo! Ma bisogna prendere distanza interiore anche dal male. Non si deve sprofondare nel particolare momento che si vive, neanche tragico, perdendo di vista gli orizzonti grandi che la Parola ha promesso. Non si deve sprofondare nell’angoscia neanche per i più nobili motivi, come il dolore innocente e il male assurdo! Il male è dentro Dio (S. Teresa s’Avila). Infatti lo sapeva anche l’autore del libro di Giona: e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece. Certo che è una metafora, ma non è la favola di un desiderio insensato! Davvero in Dio, rispetto alla nostra storia, c’è un prima e un dopo. Un tempo ove il male (anche se tutto l’esistente è in lui e per lui che esiste) sembra trionfare invincibile, ma dentro il male è seminato un bene che ne avrà ragione, perché Dio è schierato dal quella parte. Così, Gesù Cristo ha vinto il mondo! E ci ha insegnato a fare altrettanto.
2 commenti:
E' una sfida affascinante, seguire il Cristo ed il Suo Vangelo. E come hai ragione a dire che chi è "arrivato" (il ricco, il potente, il famoso, ecc.) fa più fatica del peccatore,del miserabile a convertirsi. Ovvio! Le promesse di Cristo sono eterne, quelle di questo mondo hanno una fine. Chi mai vorrebbe scambiare il finito con l'infinito? L'attaccamento ai beni terreni non ne permette il distacco: è la zavorra che tiene a terra la mongolfiera, è l'ancora che impedisce alla nave di prendere il largo. E' la catena che blocca i movimenti del cuore. E "amatevi come io vi ho amato" diventa quasi impossibile. Sarebbe stupendo se tutti comprendessero che le parole del Vangelo sono ali che ci donano la libertà che vince la schiavitù dei tanti mali cui l'uomo è assoggettato. Grazie Giuly, per averci offerto questa riflessione.
Non è facile per me leggere una riflessione così intensa e lunga del brano del Vangelo di oggi e scrivere un commento... le parole scritte restano.. Un'affermazione mi ha colpita: non è il tempo cronologico.... Non è l'oggi, questo momento o domani o ieri ma ..... la novità e l'intensità dei contenuti che ci sono stati rivelati e donati in Gesù e nel Vangelo che provocano dentro di te una voglia insaziata di viverli.... anche a costo di non essere capita. Non mi occorre il benestare degli altri per il mio vivere. Necessitano gli altri per viverlo più intensamente.
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