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venerdì 30 gennaio 2009

L’εξουσία di Gesù e la nostra necessità di annacquarla

Il brano di vangelo che la liturgia ci propone per questa quarta domenica del tempo ordinario è il diretto proseguimento di quello di settimana scorsa (Mc 1,14-20), di cui si diceva che era il prologo dell’intero vangelo; esso infatti, attraverso il riferimento all’annuncio del Regno e alla chiamata dell’uomo, descriveva la prospettiva generale in cui è necessario leggere l’intera storia di Gesù.
Presentata dunque questa “premessa teologica”, il vangelo di Marco inizia col versetto 21 del primo capitolo a snodare il suo racconto. Esso, a differenza di quello matteano, non è raggruppato o raggruppabile per tematiche: anzi, sembra quasi porre gli episodi uno dopo l’altro, senza ordine. In realtà questa iniziale impressione di confusione è solo apparente. Un’analisi più approfondita infatti fa scoprire come Marco proceda con una sua logica ben precisa.
Essa è presente anche nel testo odierno (Mc 1,21-28). Quest’ultimo infatti è collocato all’interno di una sezione più ampia (che va sino a Mc 3,6), in cui il fattore coagulante è quello geografico: siamo a Cafarnao. In particolare poi la prima parte di questa ampia pericope (Mc 1,21-34), che si articola nell’arco di 24 ore, sembra voler descrivere la “giornata tipo” di Gesù: una giornata di sabato.
Anche questi versetti allora, più che essere resoconti cronologici o storiografici della vita di Gesù o di episodi di essa, vanno letti nell’ottica di Marco di voler illustrare la figura di questo personaggio. L’evangelista infatti, raccontando parole e azioni di Gesù, insegnamenti e opere di salvezza, vuole presentarci la sua missione. Non gli interessa tanto dirci dunque a questo punto cosa Gesù stia insegnando, ma che egli abbia insegnato e operato. In questo modo infatti Marco riesce a portare i suoi lettori di fronte alla stessa domanda dei contemporanei di Gesù: Chi è mai costui?
Questo infatti è il problema cristiano decisivo. Da come si risponde ad esso, dipende il modo di porsi nell’esistenza.La domanda, tornando nello specifico al testo, sorge riguardo ad un aspetto precipuo della personalità di Gesù, quello della sua εξουσία (exusìa). Questo termine, la cui traduzione risulta difficile per i fraintendimenti che può provocare, è quello che compare nel versetto 22: «Egli insegnava loro come uno che ha εξουσίαν»; e nel versetto 27: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con εξουσίαν. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono». Abitualmente questo termine è reso con il vocabolo “autorità”, ma potrebbe anche essere tradotto con “autorevolezza”, “potenza”. Il rischio però è che “autorevolezza” sia troppo soft e “potenza” un po’ troppo trucido, perché – ovviamente – non è una questione di muscoli…
Ad ogni modo, delineato l’ambito semantico in cui il termine si colloca, si può affermare che esso indichi precisamente l’incomparabilità del modo con cui Gesù afferma e si afferma. Questo suscita infatti, in chi lo vede e ascolta, la domanda: Chi è mai costui? È come insegna (rispetto agli scribi) e come comanda agli spiriti maligni che sbalordisce i presenti.
L’insegnamento degli scribi infatti (i teologi, biblisti e giuristi dell’epoca) mutuava solitamente la sua autorità dal riferimento alle Scritture o dalla tradizione degli antichi, oppure si faceva accettare rimandando all’autorità di un celebre maestro: l’εξουσία non risiedeva dunque nell’insegnamento stesso. Per Gesù invece non è così: il suo è un annuncio che ha in sé la sua forza.
Stesso dicasi per l’esorcismo: questa pratica era di moda e anche la letteratura rabbinica ne parla. Essa si radicava sulla convinzione che all’origine di qualsiasi malattia vi fossero i demoni, specie se si trattava delle varie forme di malattia mentale, che inducevano a pensare che l’ammalato non fosse più padrone di sé. Anche i vangeli sembrano seguire questa convinzione e Gesù stesso sembra, almeno in parte, adattarvisi. Anche perché essa, al di là della reazione di sufficienza che genera in noi uomini post-moderni, non ha minimamente la pretesa di valere come diagnosi medica, né vuole preludere a una trattazione speculativa sulla natura dei demoni. Piuttosto essa riflette la lettura “teologica” che l’uomo del tempo – di fronte a certi casi particolarmente inquietanti – faceva, andando alla radice della situazione, là dove si scopre l’impronta del male, di ciò che è contro la volontà di Dio, che di fatti coincide con la distruzione dell’uomo [cfr. B.Maggioni, in Il racconto di Marco].
Al di là di questo excursus ciò che però a noi interessa è che la diffusione della pratica degli esorcismi al tempo di Gesù, prevedeva riti lunghi, strani e complicati, pieni di parole magiche e riti misteriosi. Gesù invece si impone sullo spirito impuro semplicemente con un comando: «Taci! Esci da lui!». È per questo che la folla si meraviglia.
Come si diceva in precedenza però, questa sorprendente εξουσία di Gesù non è contingente all’episodio appena descritto: è anzi uno dei tratti fondamentali della sua persona, tanto che sarà ciò che lo condurrà alla morte. Esso va dunque indagato con maggiore attenzione evitando di storcere il naso perché immediatamente sembra mettere in discussione il volto serafico, bonario e radioso di Gesù che ci piace tanto… Gesù è certo anche tutto questo, ma se lo si riducesse solo a quello risulterebbe un ectoplasma etereo di se stesso… è necessario dunque tentare di rendere ragione anche di altri dati che emergono con chiarezza dal testo evangelico: Gesù sa essere deciso, a tratti addirittura duro; ma soprattutto rivendica una pretesa altissima: essere Figlio di Dio!
Tutto questo va composto perché pian piano si possa decostruire il volto di Gesù (e dunque di Dio) che abbiamo in testa noi, e si lasci rilucere quello che emerge dai vangeli. In proposito è necessario mostrare che, al di là dell’episodio di Mc 1,21-28, i punti topici in cui i vangeli mostrano l’εξουσία di Gesù sono principalmente due: l’espressione «vi fu detto (che vuol dire “nelle Scritture c’è scritto…”)… ma io vi dico…»; e quella, più di stile giovanneo, che suona «Io sono».
Per quanto riguarda la prima – legata più al modo di affermare che di affermarsi di Gesù – «vi fu detto… ma io vi dico…», è innegabile il percepire che quel “ma” è duro da sopportare. Inizialmente certo è duro per “quelli di fuori”: i fans di Gesù in questo momento esultano nel vedere “Quanto è grande il nostro”; ma poi gli passerà questo entusiasmo, perché non sarà tanto comodo neanche per loro tenerselo… Però al momento… si gongolano un po’… è successo ai primi discepoli, ai secondi, ai terzi… fino a noi…
Ma in che cosa consiste più nello specifico la fatica di digerire quel “ma” che Gesù pronuncia («vi fu detto… ma io vi dico…»)? Consiste nel fatto che abitualmente si è indotti a pensare che l’uomo religioso che pretende accreditarsi come uomo religioso, soprattutto se ha una proposta forte da fare, non contraddica il riferimento religioso più potente di coloro a cui si rivolge (non a caso la prima lettura dal libro del Deuteronomio, parlando dell’istituzione dei profeti, puntualizzava dicendo: «il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire dovrà morire»). Gesù invece tradisce questa aspettativa.
Detto più semplicemente: il protagonismo col quale Gesù parla, pretendendo di “correggere” addirittura la Scrittura, mentre si sta rivolgendo – tra l’altro – da ebreo ad ebrei, è sconvolgente. E i vangeli registrano questa scandalosità. Gesù stesso dice: «Beati quelli che non si scandalizzeranno» (Mt 11,6), quelli, cioè, che non troveranno inciampo in questo stile del suo ingresso nella rivelazione.
E noi, che veniamo dopo 2000 anni di storia cristiana, non dobbiamo cadere nell’errore di tralasciare o sminuire o non dare il giusto peso a questa scandalosità: per converso, infatti, la nostra distrazione significherebbe il non percepire la pretesa e dunque la portata dell’evento Gesù nella storia dell’uomo.
Anche perché, come già accennato, al di là dell’ εξουσία nel modo di affermare, Gesù utilizza la stessa autorità nel modo di affermarsi. È ciò che mostra in particolare la già citata espressione giovannea:«Io sono», che nella lingua di chi lo ascolta è nientemeno che il nome di Dio (Es 3,14)! Ma è ciò che si può trovare anche nell’avocazione a sé del potere di rimettere i peccati che Gesù fa (Mc 2,1-12), potere evidentemente riservato in modo esclusivo a Dio.
È dunque come se Gesù esercitasse il ruolo di Dio in proprio…
È questo che scatena le reazioni ambivalenti di chi lo incontra; da un lato infatti egli suscita ammirazione – “Nessuno ha mai parlato come quest’uomo…”; “Nessuno ha mai fatto le cose che fa quest’uomo…” – non solo per l’esibizione di un potere straordinario che promana dalle sue parole e opere, ma soprattutto per il fatto che esse dicono di una confidenza con Dio, con l’origine delle cose, della natura, con il corso degli eventi… Dall’altro la reazione omicida, che identificandolo come un bestemmiatore, lo condurrà al patibolo…
Questa radicalità nella reazione negativa contro di lui non è segno dell’ottusità dei suoi oppositori; al contrario, forse proprio loro, più di tanti discepoli di Gesù, hanno colto più chiaramente la corposità della pretesa che Gesù rivendicava! Essi cioè hanno ben capito di non trovarsi di fronte alle solite, classiche pretese degli uomini religiosi del tempo, che fossero profeti o ciarlatani: Gesù non sta proponendo un qualsiasi itinerario morale, un percorso ascetico, un cammino spirituale da manuale… E loro lo hanno capito, per questo reagiscono eliminandolo. Essi sanno che se Gesù fosse semplicemente un maestro, o un guaritore, o un pio uomo di Dio, o anche davvero un suo messaggero, in fin dei conti si riuscirebbe sempre a farlo rientrare nel “sistema”, ad annacquarne il messaggio, a placarne la novità… sarebbe pur sempre solo una novità cronologica… una delle tante novità monotone che il mondo ha visto e digerito…
Solo che Gesù è ben altro: «Egli è Dio» suona l’originaria professione di fede cristiana! E questo non è contenibile in nessun sistema, tanto meno religioso. Ecco perché come in una reazione immunitaria il sistema lo elimina… Esso, sentendosi minacciato, reagisce uccidendolo. Non a caso nella morte di Gesù sono complici il potere religioso, il potere politico e il potere finanziario… Loro sì, hanno capito l’esplosività di questo uomo-Dio: noi, suoi seguaci, invece, ancora oggi, spesso facciamo così fatica a non ridurlo a un qualsiasi fondatore di religione, a un uomo normativo tra gli altri… forse perché anche noi, inconsapevolmente, sappiamo che se non lo riducessimo a un catechismo o a un codice morale, dovremmo davvero permettergli di far esplodere il nostro “sistema” (personale, politico, economico, ecclesiale…)?

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