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giovedì 22 gennaio 2009

Per vincere la paura bisogna lasciarsi coinvolgere in una relazione

In questa terza domenica del tempo ordinario, il testo del vangelo di Marco ci annuncia l’inizio dell’attività pubblica di Gesù. Dopo il cosiddetto trittico sinottico infatti – costituito dagli episodi del battesimo di Giovanni Battista (Mc 1,2-8), del battesimo di Gesù (Mc 1,9-11) e delle tentazioni nel deserto (Mc 1,12-13) – Gesù torna nella regione in cui è cresciuto, la Galilea, e qui inizia a predicare e a chiamare i primi discepoli.
I versetti del vangelo in cui tutto questo è narrato, i versetti cioè dal 14 al 20 del primo capitolo di Marco (coincidenti con il testo proposto per questa domenica dalla liturgia), non devono stupire per la loro estrema essenzialità. Il loro scopo infatti non è tanto quello di narrare i primi episodi della vita pubblica di Gesù, quanto quello di fungere da prologo: la loro finalità è dunque quella di indicare la prospettiva generale in cui leggere tutta la storia di Gesù.
Anche solo ad una prima lettura del testo si può notare come questa prospettiva sembri essere incastonata soprattutto fra due grandi pilastri, due linee guida: per un verso, l’annuncio della venuta del Regno di Dio con la relativa conversione ad esso, e, per altro, il fatto che questo annuncio per Gesù implichi una prossimità solidale con l’uomo (chiama Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni).
Per quanto riguarda il primo aspetto, l’annuncio del Regno, è utile forse soffermarsi un momento per tentare di sviscerare che cosa si intenda con questa categoria teologica e soprattutto qual è la prospettiva in cui va letto l’invito alla conversione.
Molto semplicemente si può descrivere il senso dell’espressione “Regno di Dio” – dalla chiara eco veterotestamentaria (Israele è il Regno di Dio) – come il luogo il cui re è Dio, in cui Egli esercita la sua signoria. Delineare in che cosa essa consista, è l’impegno di Gesù in tutta la prima parte della sua vita pubblica: numerose sono infatti le cosiddette “parabole del Regno” nelle quali Egli tenta di far comprendere alle folle la connotazione di ciò che sta annunciando (Mc 4,1-9.26-29.30-32; Mt 13,24-30.31-33.44-46.47-50; 22,1-4; 25,1-13) e nelle quali emerge come questa realtà chiamata “Regno” sia qualcosa di gioioso (come quando un uomo trova un tesoro nel campo o un mercante una perla preziosa di valore inestimabile), addirittura risolutivo per il dramma dell’uomo (tanto che chi lo trova vende tutto quanto possiede per averlo) e proprio per questo una realtà “da non farsi scappare”: soprattutto perché esso ha la forma semplice del dono (come un seme che germoglia e cresce al di là del fatto che il contadino dorma o vegli), di un dono di un’abbondanza spropositata (come di un seme che dà il cento per uno o di un granello di senapa che pur essendo il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno, diventa la pianta più grande dell’orto)…
Se il Regno di Dio, per quanto ne dice Gesù, è questo, diventa allora curioso il fatto che a volte invece nel nostro immaginario il pensiero della signoria di Dio rimandi a cose di ben altro tipo: la paura di Dio, della sua potenza, del suo castigo, della sua imperscrutabilità… Ma come mai succede questo? E come mai, pur avendo sentito tante volte che non è così, di fronte al pensiero di Dio continuiamo a ricadere nell’immediata reazione delle ginocchia che tremano?
A maggior ragione la domanda sorge, se si osserva come, non solo nelle parole, ma anche nei gesti, l’annuncio di Gesù sia inequivocabile. I suoi miracoli, gli atti di quella potenza che tanto ci atterra, sono sempre e solo gesti di liberazione dal male, sono cioè sempre per l’uomo, mai contro l’uomo! Ed è interessante che essi siano chiamati anche “segni della venuta del Regno”: essi cioè mostrano come è il Regno, quali caratteristiche ha… chi è colui con cui il Regno coincide. Essi sono infatti modi di agire di Gesù. E come tutti i modi di agire – anche nostri – mostrano chi è colui che li compie, ci dicono qualcosa della sua identità (per es.: un punk si veste in un certo modo non per dimostrare a tutti di essere un punk; piuttosto, proprio perché è punk, si veste così! Il suo modo di vestirsi rivela chi lui sia, in cosa creda, cosa voglia, ecc...). È così anche per Gesù! Egli non fa i miracoli per dimostrare di essere Figlio di Dio, ma il fatto che faccia i miracoli, dice qualcosa della sua identità, di chi è, di ciò in cui crede, di ciò che desidera, ecc... del suo Regno... Non a caso quando (in Matteo 11,2-6) Giovanni Battista dal carcere manda i suoi discepoli a chiedergli: «Sei davvero tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?», Gesù non risponde con un trattato teologico, o una dichiarazione d’intenti, ma con la descrizione di ciò che accade dove passa lui: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo». Dove passa Dio cioè il deserto fiorisce; questo è il Regno che Gesù sta annunciando: occhi ciechi che ci vedono, gambe storte che si raddrizzano, pelli deturpate che si aggiustano, orecchie sorde che ci sentono, cadaveri che vivono, afflitti che ridono...
Perché allora – ci chiedevamo – se questo è il Regno che Gesù annuncia, cioè il mondo come Dio lo vuole (e lo vuole così!), a noi scatta comunque l’idea che però in verità poi ci sia dell’altro, ci sia una ritorsione, un volta faccia di Dio, che saprà certo essere tanto buono, ma anche tanto vendicativo (se serve…)? Certo non si può negare che secoli di predicazione distorta (non necessariamente nel senso di erronea, ma indubbiamente di riduttiva) hanno condizionato l’imprinting religioso che ci plasma nel momento che veniamo al mondo… Eppure resta che se si legge il vangelo non c’è niente di tutto questo…
Forse davvero non per caso Gesù accompagna allora il suo annuncio della venuta del Regno, che per lui è buona notizia (non ultimo avviso per il “si salvi chi può”!!!), con l’invito alla conversione, un altro termine che in noi subisce lo stesso penoso percorso descritto prima per la signoria di Dio.
La parola “conversione” infatti fa risuonare immediatamente, istintivamente, pre-riflessivamente in noi le corde del timore di essere nella situazione sbagliata (ovviamente nella condizione morale sbagliata), le corde del senso di colpa, le corde dell’angoscia dell’inferno…
Anche qui, forse un po’ vittime della cultura religiosa che ci ha formato e insieme della fatica di credere davvero ad una buona notizia
Fatto sta che Gesù intendeva altro. Niente di morale innanzitutto: la sua prospettiva non è mai su questo piano, anzi la sua libertà in proposito suscita scandalo (infrange la legge del sabato per guarire, si fa accarezzare da una prostituta, ecc…). Il livello al quale Lui fa sempre appello infatti è un altro: è quello della profondità dell’interiorità umana, di quel luogo dove si è soli di fronte a se stessi e – se si vuole farsi guardare da Lui – a Dio; è il luogo della decisività, della scelta se stare dalla parte della Vita o della Morte, dell’esser-ci o del disperdersi, del crederGli o no…
È a questo livello che Gesù chiede una conversione (letteralmente un invertire la marcia, un cambiare direzione): dunque non dai peccati alle buone azioni, dalla lussuria alla continenza, dalla gratificazione alla mortificazione; ma dalla morte alla vita, dalla paura alla fiducia, dalla paura della morte alla fiducia nella vita, dalla paura di un dio castigatore alla pacificazione di un Dio che porta il suo Regno di cura e premura per l’uomo, da una dispersione inconcludente e triste a una dedizione appassionata e fortificante…
Questa è la conversione a cui Gesù invita… Una conversione che invece noi spesso (personalmente, ma anche ecclesialmente) occultiamo, forse inconsapevolmente, perché ci vien subito da pensare che sarebbe e troppo bello e troppo difficile: troppo bello… per essere vero… perché credere che la (famosa) volontà di Dio sia solo regalarmi il Regno (così come lo intende Lui!) sarebbe liberante… ma se poi non fosse proprio così?!? Se alla fine invece voleva un tot di opere di misericordia, un tot di rosari e un tot di astinenza!?!
E troppo difficile… Perché convertirsi è qualcosa di molto più dirompente che “aggiustare qualcosa che non va”… è un cambiamento che non si può contenere nelle vecchie strutture (personali, mentali, sociali): le rompe. Le vecchie strutture infatti sono state create per servire un altro tipo di dio e per un’altra visione dell’uomo…
Ecco perché allora, personalmente ed ecclesialmente, tendiamo sempre a scansare una conversione in senso forte… ecco perché tendiamo ad annacquarla, a liofilizzarla, a semplificarla… perché ciò che ci guida è la paura (che è la non-fede, la non-fiducia, il non-dare-credito): paura di Dio, paura della morte, paura di sbagliare, paura del cambiamento…
Ma la paura genera mostri… come quel dio che temiamo, perché ci manderà all’inferno o peggio ci condannerà alla nientificazione (paura della morte), ci punirà per i nostri peccati (paura di sbagliare), ci castigherà perché non siamo stati fedeli alla tradizione (paura del cambiamento)…
Invece l’annuncio di Gesù, tutta la sua vita (e la sua morte), è il pronunciarsi di Dio (la rivelazione) sul fatto che Lui non è così! E in proposito è interessante notare come Dio non faccia questo annuncio dall’alto dei suoi cieli, ma facendosi uomo… Ancora una volta questo non va inteso come lo stratagemma migliore che Dio ha pensato per farci sapere qualcosa, per convincerci o per istruirci… Non è che Dio pensi alla strategia migliore (qualcosa di esterno a sé) per ottenere il risultato che vuole ottenere… La logica non è cioè che si incarna per dirci qualcosa, ma il fatto che si incarna dice qualcosa di Lui, anzi, più che qualcosa: dice di Lui, di chi Lui sia…
Ciò che ci deve convincere di fronte alla paura non è dunque una particolare parola che estrapoliamo da quelle dette da Gesù, o un suo particolare gesto che ci è tanto caro… Ciò che ci deve convincere è che quella sua vita terrena, quel suo faticoso e coraggioso determinare, scelta dopo scelta, che Dio essere e che Uomo essere… beh… quello è Dio! Non a caso la professione di fede cristiana è: Gesù è Signore. Quella libertà storica lì è Dio. È dunque quella vita che, risultandoci credibile, ci deve liberare dalla paura, da ogni paura! Perché solo chi non ha paura di morire, non ha neanche paura di vivere! E questo vale tanto per ciascun uomo, quanto per la Chiesa tutta!
E allora è molto significativo anche il fatto che quello che abbiamo chiamato il “prologo” del vangelo di Marco (Mc 1,2-20) si concluda con la chiamata di Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni. Infatti, proprio perché è nella libertà storica di Gesù che l’uomo incontra Dio («Questi è Dio»), questa libertà, questa Sua vita, è qualcosa a cui bisogna prender parte, è qualcosa con cui immischiarsi, per cui giocarsi; è qualcosa con cui entrare in relazione, qualcosa da interrogare, qualcosa da cui farsi plasmare… è Qualcuno da amare… E questo è il cammino dei discepoli, i primi e quelli di sempre: non tanto imparare o applicare… ma lasciarsi coinvolgere in una relazione.

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