Pagine

ATTENZIONE!


Ci è stato segnalato che alcuni link audio e/o video sono, come si dice in gergo, “morti”. Se insomma cliccate su un file e trovate che non sia più disponibile, vi preghiamo di segnalarcelo nei commenti al post interessato. Capite bene che ripassare tutto il blog per verificarlo, richiederebbe quel (troppo) tempo che non abbiamo… Se ci tenete quindi a riaverli: collaborate! Da parte nostra cercheremo di renderli di nuovo disponibili al più presto. Promesso! Grazie.

lunedì 8 novembre 2021

XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

 Dal primo libro dei Re (1Re 17,10-16)

In quei giorni, il profeta Elia si alzò e andò a Sarèpta. Arrivato alla porta della città, ecco una vedova che raccoglieva legna. La chiamò e le disse: «Prendimi un po’ d’acqua in un vaso, perché io possa bere».
Mentre quella andava a prenderla, le gridò: «Per favore, prendimi anche un pezzo di pane». Quella rispose: «Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo».
Elia le disse: «Non temere; va’ a fare come hai detto. Prima però prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché così dice il Signore, Dio d’Israele: “La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra”».
Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia.

Dalla lettera agli Ebrei (Eb 9,24-28)
Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte.
Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12,38-44)
In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Commento
Il vangelo di oggi, va collocato nell’ultima settimana trascorsa da Gesù prima della sua crocifissione. Gesù ha già fatto l’ingresso solenne a Gerusalemme, è entrato nel tempio restandone disgustato e cacciando i mercanti dal tempio. Fin dall’inizio Gesù è entrato in contrasto con i rappresentanti dell’istituzione religiosa (scribi, sacerdoti, farisei...) che lo hanno sempre osteggiato considerandolo un eretico e invitando il popolo a non ascoltarlo perché posseduto e in combutta con Belzebul. E Gesù aveva chiamato gli scribi e i sacerdoti, ladri e briganti che avevano trasformato il tempio in una spelonca (abitazione squallida, priva di luce e di aria = priva di vita e di libertà) di ladri. Un attacco durissimo quindi all’istituzione religiosa e a coloro che la gestivano. La cacciata dei venditori è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Infatti l’evangelista Marco dice che, dopo questo episodio, i sacerdoti e gli scribi si sono riuniti per decidere di toglierlo di mezzo.

Marco continua raccontando una serie di dispute molto accese, con sadducei, farisei ed erodiani avvenute nel tempio. Domenica scorsa abbiamo visto la discussione sul comandamento grande. Nel vangelo di oggi abbiamo l’ultima disputa, la settima. Stavolta l’attacco di Gesù è rivolto contro gli scribi.

Guardatevi dagli scribi”, il verbo greco è un imperativo presente e significa, continuate a tenere gli occhi aperti! State in guardia! È un appello accorato perché il pericolo che sta vedendo e vuole denunciare è molto serio. Lui ha rilevato negli scribi degli atteggiamenti incettabili in aperto contrasto con la sua proposta di uomo e teme che i discepoli ne restino affascinati. Il rischio è grande perché non immediatamente percepibile e persino può apparire lodevole in quanto attuate da persone ritenute unite a Dio. L’insidia subdola costringe Gesù a un linguaggio inusuale: usa la satira e l’ironia per prenderne in giro il loro comportamento.

Gli scribi infatti erano in tutto il M.O. coloro che redigevano i documenti economici e storici ufficiali. Erano qualcosa di ciò che noi oggi possiamo considerare nello stesso tempo dei notai e dei commercialisti. Col tempo avevano acquisito un potere enorme anche in Israele. Persino superiore al Sommo Sacerdote. Avevano acquisito grande prestigio e rispetto durante l’esilio a Babilonia. Con la distruzione del tempio i sacerdoti avevano perso potere. Mentre gli scribi che stavano redigendo i testi sacri riunivano il popolo per ascoltare la lettura di questi testi. È proprio in quel periodo che cominciarono a nascere le sinagoghe, proprio per questi incontri guidati dagli scribi.

Con la fine dell’esilio il loro potere crebbe a dismisura: divennero gli interpreti ufficiali della Parola di Dio, erano l’autorità in campo legislativo, erano i giudici che pronunciavano le sentenze nei tribunali e risolvevano tutte le cause giudiziarie.

Nel libro del Siracide cap 38-39 si tesse l’elogio dello scriba e il contemporaneo il disprezzo del lavoro umile. Come può essere saggio chi si occupa solo di coltivare i campi, diverso il caso dello scriba che meditando e studiando raggiunge la saggezza. Conosce gli enigmi, viaggia in terre straniere lodato da tutti per la sua intelligenza e ricordato di generazione in generazione per le sue sentenze sagge. Studiavano fino a 45 anni le scritture e veniva loro imposte le mani e ricevevano lo spirito di Mosè. Con ciò erano la Parola di Dio vivente. La loro autorità morale era superiore a quella del Sommo Sacerdote.

Gesù non intende condannare gli scribi come persone, ma i loro comportamenti che possono essere emulati dai suoi discepoli di ieri e di oggi.

Il Vangelo resta un invito a verificare se questi atteggiamenti sono presenti anche oggi.

Ø     Vogliono passeggiare in lunghe vesti.

Paludamenti che Gesù non sopportava. Le divise dividono, creano caste, divisioni tra i membri di una comunità.

Flavio Giuseppe storico praticamente contemporaneo di Gesù, sacerdote lui stesso, fa una descrizione dettagliata delle splendide vesti che il Sommo sacerdote indossava durante le feste solenni. Al punto che la gente si commuoveva di gioia fino alle lacrime e addirittura credeva di vedere dio nel suo rappresentante sulla Terra.

Vestiva col pettorale in cui erano incastonate 12 pietre preziose rappresentanti le tribù di Israele, che presentava a Dio quando entrava nel Santuario. Il grembiule di porpora e il diadema d’oro sul capo in cui era scritto “sacro al Signore”. Alle vesti erano attaccati dei campanelli che suonando attiravano l’attenzione di tutti.

Pur non arrivando a tanto, anche i rabbini ci tenevano a distinguersi dal popolo. Portavano uno scialle usato ancora oggi nella preghiera e portato anche da Gesù, ma loro lo usavano probabilmente con tessuti pregiati.

I profeti non usavano questi vestiti speciali, ciò che conta per loro era la parola.

Gli scribi volevano differenziarsi dal popolo, per ostentare la loro presunta superiorità.

Ø     Amavano ricevere i saluti nelle piazze

Non solo con i vestiti attiravano le attenzioni della gente, ma anche coi titoli onorifici miravano allo stesso obiettivo. Per questo Gesù li ha espressamente vietati tra i suo discepoli.

Ciò che per noi sembrano cose secondarie per Gesù non lo erano perché ai titoli onorifici seguono poi gli ossequi, gli inchini, le riverenze i baciamani. La gente trattava gli scribi con mille riguardi: cedeva loro il passo nelle strade, al mercato erano i primi e meglio serviti. Anche il saluto esigeva un rituale tutto speciale. E se non ricevevano queste attenzioni si indignavano perché pretendevano l’ossequio.

Gesù stigmatizza questi atteggiamenti perché queste forme di ossequio potevano facilmente fraintese come autentica manifestazione di amore per Dio, mentre era solo amore per se stessi.

Anche oggi pensare che persone con un’autorità nella chiesa, meritino maggior rispetto, rinnega quel principio tra fratelli e sorelle del regno di Dio, dove il rispetto deve essere massimo per tutti.

Se vogliamo proprio fare delle graduatorie, evangelicamente, più rispetto dobbiamo averlo per il povero, verso chi è emarginato e ha più bisogno del nostro aiuto. Verso il peccatore.

Noi tendiamo a considerarli aspetti marginali per la vita cristiana, mentre per Gesù non sono comportamenti secondari.

Ø     Amavano i primi seggi nelle sinagoghe

Le sinagoghe non erano soltanto il luogo della liturgia del sabato, dove gli scribi avevano i primi posti, ma erano anche, durante la settimana, il luogo dei tribunali, delle scuole e il luogo dove si conservavano i beni da distribuire ai poveri.

Quando qualcuno faceva un’offerta significativa il capo della sinagoga, durante la liturgia del sabato, lo chiamava a sé, lo faceva sedere tra i primi posti e lo lodava davanti a tutta l’assemblea.

Gesù ha assistito molte volte a queste commedie e non vuole che si riproducono nella sua comunità.

Ø     Bramano i primi posti nei banchetti

Il primo posto era accanto al padrone di casa. Erano serviti per primi e meglio degli altri. Gesù qui diventa ironico.

Ø     Divorano le case delle vedove

La colpa più grave perché sono l’immagine delle persone più deboli e indifese. Approfittavano della ingenuità di queste persone per capirne le elemosine o esigevano loro parcelle esorbitanti. Diventavano spesso tutori dei loro beni passando come persone pie.

Ø     Infatti ostentano la loro pietà con preghiere pubbliche a questo fine, per ingannare le persone che anche Dio è dalla loro parte.

Quindi criticarli, giudicarli, non sottomettersi al loro, volere era sinonimo di ribellarsi a Dio.

Ø     Nel giudizio costoro riceveranno una condanna più grande.

È l’unica volta in cui Gesù parla di condanna. E proprio per persone che tutti ritengono le più unite a Dio.

E subito Gesù parla di un esempio concreto. Proprio di una vedova, povera, Che fa l’offerta.

Le vedove in Israele erano persone poverissime che dipendevano totalmente dalla sensibilità e generosità dei figli. Alla morte del marito infatti loro non ereditavano i suoi beni, che andavano ai figli. Cf Numeri 27.

Derubare una vedova, che costituiva insieme all’orfano, la persona più povera e indifesa, era un peccato gravissimo al cospetto di Dio. Cfr  Esodo 22.

Gli spiccioli della vedova del vangelo erano monetine di nessun valore. Negli scavi ne furono trovate molte perché se cadevano, non si degnavano nemmeno di raccoglierle. Il suo valore era così basso, al massimo sufficiente per comprare 100gr di pane, che si smise persino di coniarle.

Questo sta a indicare l’estrema miseria di questa vedova, che pure compie il suo gesto senza farsi notare.

Quale senso dare a questo episodio della vedova?

Spesso si dà l’interpretazione nel senso di imitarne la generosità, in realtà il contesto non permette qui l’identificazione con una religiosità che offende i valori evangelici.

La vedova non è posta qui a modello di generosità e di fede (diversamente dalla vedova della prima lettura dove i profeti sono sempre stati araldi di giustizia e di libertà anche economica), ma piuttosto come esempio da non imitare. Esempio di ingiustizia e di ipocrisia da parte degli scribi e della casta sacerdotale del tempio, che si approfittavano della fede ingenua (immatura!) delle persone vulnerabili, sottraendo loro persino ciò di cui avevano bisogno per vivere. Infatti il testo dice proprio che con quelle due monete la vedova ha consegnato tutta la sua vita.

È su questo che Gesù avverte i suoi discepoli: non sta facendo l’elogio della vedova, ma sta denunciando una pratica religiosa che umilia la dignità della persona soggiogandola fino a gettare, in buona fede, la propria vita per far vivere senza saperlo un’istituzione tirannica. Tentativo che cercheranno di realizzare con la crocifissione di Gesù e che la sua resurrezione sbaraglierà definitivamente. Ritroviamo qui sulla bocca di Gesù le stesse condanne dei profeti dell’AT.

In sintesi, tenendo conto del contesto, Marco ci sta dicendo che la fede non ha niente a che fare con un atteggiamento di sottomissione. Il Dio di Gesù Cristo è un Dio liberatore che si prende cura dei suoi figli e ben si guarda di chiederne l'annientamento. Una fede evangelica avrebbe al limite condiviso il poco con un'altra vedova, non l'avrebbe certamente consegnato all'istituzione che ne calpestava la dignità.

Interessante a questo proposito l'insegnametno della Didaché: Si bagni di sudore l’elemosina nelle tue mani, finché tu sappia a chi sia meglio darla. Fin da subito la comunità cristiana, non dava soldi a pioggia, ma era attenta che il suo aiuto non andasse ai furbetti ma a chi ne aveva veramente bisogno, perché amare coincide con l'emancipare, liberando l'altro dalla morsa del potere. Anche religioso.

Qui, in questo contesto più che un invito per noi a dare generosamente la nostra offerta, c'è l'invito a stare attenti che questa offerta vada realmente a chi è nel bisogno, e si impegna veramente per la costruzione di un mondo nuovo.

DOMANDE:

Hai avuto esperienza di comportamenti che Gesù stigmatizza?

Come hai reagito?

In base a quanto detto sopra, cosa ti insegna il gesto della vedova?

È sufficiente oggi fare l’elemosina?

mercoledì 22 giugno 2016

XIII Domenica del Tempo Ordinario


Dal primo libro dei Re (1Re 19,16.19-21)

In quei giorni, il Signore disse a Elìa: «Ungerai Eliseo, figlio di Safat, di Abel-Mecolà, come profeta al tuo posto». Partito di lì, Elìa trovò Eliseo, figlio di Safat. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il dodicesimo. Elìa, passandogli vicino, gli gettò addosso il suo mantello. Quello lasciò i buoi e corse dietro a Elìa, dicendogli: «Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò». Elìa disse: «Va’ e torna, perché sai che cosa ho fatto per te». Allontanatosi da lui, Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con la legna del giogo dei buoi fece cuocere la carne e la diede al popolo, perché la mangiasse. Quindi si alzò e seguì Elìa, entrando al suo servizio.

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati (Gal 5,1.13-18)

Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9,51-62)

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio. Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

 

Le letture che la Chiesa ci propone per questa domenica sono molto dense, perciò è utile trovare un punto prospettico che ci orienti.

La seconda lettura può aiutarci. Contiene, infatti, un’espressione che potrebbe fare da sintesi a tutto il Nuovo Testamento: «Tutta la Legge trova la sua pienezza in un solo precetto: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”».

Ciò che colpisce maggiormente di questa frase, è il fatto che Paolo scelga di non nominare la prima parte del comandamento dell’amore: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.

Anche l’evangelista Giovanni aveva fatto la stessa cosa al capitolo 15 del suo libro, scrivendo: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi».

Cosa vogliono dire queste omissioni? Non bisogna più amare Dio?

mercoledì 15 giugno 2016

XII Domenica del Tempo ordinario


Dal libro del profeta Zaccarìa (Zc 12,10-11;13,1)

Così dice il Signore: «Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a me, colui che hanno trafitto. Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito. In quel giorno grande sarà il lamento a Gerusalemme, simile al lamento di Adad-Rimmon nella pianura di Meghiddo. In quel giorno vi sarà per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme una sorgente zampillante per lavare il peccato e l’impurità».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati (Gal 3,26-29)

Fratelli, tutti voi siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9,18-24)

Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».

 

Il brano di vangelo di questa domenica è molto noto, anche perché è presente in tutti e tre i sinottici. Vorrei perciò concentrarmi, per una volta, sulla seconda lettura, perché in queste settimane stiamo leggendo la lettera di san Paolo ai Galati, che contiene una serie di espressioni davvero significative.

Per esempio oggi leggiamo «Fratelli, tutti voi siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa».

Paolo sta cioè dicendo che non esistono cristiani di serie A e cristiani di serie B: i cristiani che provengono dal mondo ebraico non sono più cristiani di quelli che hanno origini pagane; i cristiani che si trovano nella condizione di schiavi, non sono meno cristiani di quelli che non sono schiavi; così come i cristiani maschi non sono più cristiani delle femmine.

Sembrano cose scontate, anche piuttosto lontane dalla nostra cultura occidentale moderna.

Eppure… se al posto di Giudei e Greci mettessimo italiani e africani e al posto di schiavi e liberi mettessimo braccianti e banchieri, forse le cose ci risulterebbero più familiari… «Fratelli, tutti voi siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Italiano né Africano; non c’è bracciante né banchiere, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa».

mercoledì 8 giugno 2016

XI Domenica del Tempo ordinario


Dal secondo libro di Samuèle (2Sam 12,7-10.13)

In quei giorni, Natan disse a Davide: «Così dice il Signore, Dio d’Israele: Io ti ho unto re d’Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, ti ho dato la casa del tuo padrone e ho messo nelle tue braccia le donne del tuo padrone, ti ho dato la casa d’Israele e di Giuda e, se questo fosse troppo poco, io vi aggiungerei anche altro. Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore, facendo ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai colpito di spada Urìa l’Ittìta, hai preso in moglie la moglie sua e lo hai ucciso con la spada degli Ammonìti. Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché tu mi hai disprezzato e hai preso in moglie la moglie di Urìa l’Ittìta». Allora Davide disse a Natan: «Ho peccato contro il Signore!». Natan rispose a Davide: «Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati (Gal 2,16.19-21)

Fratelli, sapendo che l’uomo non è giustificato per le opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge; poiché per le opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno. In realtà mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. Dunque non rendo vana la grazia di Dio; infatti, se la giustificazione viene dalla Legge, Cristo è morto invano.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 7,36-8,3)

In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!». In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.

 

«L’uomo non è giustificato per le opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo».

La frase di Paolo potrebbe essere usata come titolo per il vangelo di questa domenica. Gesù, infatti, pronuncia qui, come tante altre volte: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».

Ciò che rimanda in pace la donna, che più volte nel testo è definita “peccatrice”, è la sua fede, il suo amore: «sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato».

Ma dobbiamo stare attentissimi, perché purtroppo la cultura cattolica in cui siamo cresciuti rischia di farci fraintendere il tutto e rovinare quello che, a mio giudizio, è uno dei più bei brani del vangelo. Il pericolo è, infatti, quello di interpretare la vicenda e le parole di Gesù dentro ad uno schema che, invece, Gesù stesso vuole far scoppiare dal di dentro.

Provo a spiegarmi.

Il testo è articolato in questo modo: da una parte c’è il fariseo, che si crede giusto di fronte a Dio (e probabilmente lo è davvero), e dall’altra c’è la donna peccatrice. In mezzo c’è Gesù, che ha il ruolo di mostrare il punto di vista di Dio (anche il fariseo gli riconosce infatti autorevolezza).

Il senso comune fa pensare che Dio considererà con benevolenza il giusto, mentre guarderà torvo la peccatrice. A meno che la peccatrice non si penta e non metta in atto dinamiche di penitenza e conversione.

Questo era il retro pensiero del fariseo e di tutti i farisei della storia.

I cattolici pensano di aver fatto un grande passo in avanti rispetto ai farisei, perché sanno che Dio non guarda storto i peccatori, ma è misericordioso e pronto a riaccoglierli. Forti di questa convinzione, di questo “guadagno”, non si identificano più col fariseo del vangelo e quindi non riescono a immedesimarsi nella vicenda, perdendo il vero fulcro del brano, che non è che Gesù non guarda male i peccatori, ma che non gli chiede un pentimento, una conversione, una penitenza per essere riammessi nella relazione con lui.

Perdendo questo, i cattolici interpretano tutto ciò che la donna fa e tutto ciò che Gesù dice, come un esempio di confessione riuscita: una peccatrice va da Gesù, Gesù è accogliente, lei esprime i suoi peccati (con le lacrime) e poi fa opere di penitenza (asciuga i piedi di Gesù con i capelli, glieli bacia, porta il profumo…). Gesù, infine, la rimanda in pace.

Detto un po’ meno poeticamente: una peccatrice va da Gesù e paga il perdono con lacrime, profumo e qualche gesto umiliante o per lo meno servile.

 

Pensare così di questa donna, di Gesù e di questo brano del vangelo vuol dire violentarlo.

 

Non bisogna infatti dimenticare che all’interno del testo è posta una parabolina, che Gesù racconta al fariseo («Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?»), dove il punto centrale è che i debitori non avevano di che restituire. Non ce l’avevano, non ce l’abbiamo e Dio lo sa. E cosa fa? Ci dà più tempo per raccogliere la somma? Ci tiene per una vita in scacco perché siamo debitori? No, ci libera dal giogo del debito, condonandolo.

Forse agli italiani onesti, la parola “condono” piace poco, ma piace poco perché è stata usata male, non perché sia brutta in sé. Anzi… Dio stesso potrebbe avere il soprannome di “condonatore”. Egli è colui che sa che non abbiamo, ne mai avremo di che restituire, e perciò ci libera dal giogo. Non vuole che la relazione con lui sia legata a un do ut des, ti perdono, se paghi con penitenze, sacrifici, o altro. La relazione da parte sua è sempre come vergine, animata dall’entusiasmo e dalla fiducia di chi ama per la prima volta («quante volte ho amato … come se non avessi amato mai», Vecchioni, Le rose blu).

Per questo lo ama di più colui che ha peccato di più, perché gli è stato condonato di più.

Ecco che allora tutti i gesti della donna, invece che essere stuprati dalla nostra interpretazione volgare che li leggeva come “prezzo” del perdono, diventano i gesti affettuosi e teneri di chi ama, perché per primo si è sentito amato nonostante fosse una schifezza («Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi», Rm 5,8).

E allora, ecco, che quelle lacrime, quei capelli, quel profumo, diventano i gesti della sensualità che si fa tenerezza, appartenenza, custodia… come quando, nelle nostre relazioni, i corpi si avvolgono reciprocamente e ognuno diventa nido per l’altro.

 

Paolo aveva capito tutto… «per le opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno», per questo aveva deciso di vivere «nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me».

mercoledì 25 maggio 2016

Corpus Domini 2016


Dal libro della Genesi (Gn 14,18-20)

In quei giorni Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole: «Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici». Abram gli diede la decima di tutto.

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 11,23-26)

Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

 

Dal vangelo secondo Luca (Lc 9,11-17)

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a compare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

 

Dopo Pentecoste è ricominciato il tempo ordinario. Nella liturgia domenicale però è ancora difficile accorgersene, perché settimana scorsa abbiamo celebrato la festa della Trinità e questa settimana siamo alle prese con il Corpus Domini. È come se il ritorno al tempo ordinario vero e proprio fosse introdotto da queste solennità che vogliono riportare al centro della riflessione dei cristiani i punti centrali della fede: il Dio trino ed unico, la persona di Gesù.

In entrambi i casi, e come sempre quando si ha a che fare con la rivelazione cristiana, in gioco c’è il volto di Dio: Chi è il Dio in cui crediamo?

Questa settimana, in particolare, l’accento è posto sul fatto che il Dio che Gesù ci ha mostrato è un Dio che si dà da mangiare.

Spesso agli dei e ai potenti, il popolo chiede il pane. Ma il rapporto che si crea in questo modo è problematico: il pane è dato in cambio di una sudditanza, come premio o come prezzo per l’obbedienza e la sottomissione.

Anche Gesù ha corso questo rischio: quando ha dato il pane, c’era chi voleva farlo re. È lì che ha capito che non poteva essere quella la via per condurre gli uomini al Padre. Sarebbe stato un rapporto inficiato in partenza. E i sinottici l’hanno ben chiarito raccontando l’episodio delle tentazioni nel deserto: Gesù viene tentato sul modo di essere Dio e una di queste tentazioni è quella di conquistare le folle col pane: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane» (Lc 4,3). Ma Gesù sapeva che così avrebbe conquistato solo servi, non amici. Gli rispose infatti: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo».

Non di solo pane… c’è dell’altro nella relazione che Gesù vuole proporre agli uomini.

Non solo soddisfazione di bisogni… ma sbilanciamento reciproco, fiducia, compromissione…

E come fare a dire tutto ciò? Come far capire agli uomini che Dio non è un erogatore di servizi, ma un interlocutore relazionale?

Riprendendo l’immagine del pane e trasformandola: il pane entra nella nostra pancia, viene assimilato e così ci nutre.

Dio vuole una relazione così con gli uomini, intima fino a quel livello: non è estrinseco rispetto a noi, lontano, chiuso nel suo cielo, ma è nelle nostre viscere. È nelle profondità del nostro io che interagisce con noi ed è da lì che ci dà energia e vita.

E così Gesù smise di dare il pane, per farsi pane.

Non ha più distribuito panini, ma ha identificato il suo corpo e il suo sangue col pane e col vino, perché ogni volta che ne avessimo mangiato nel suo nome, facessimo memoria della nostra relazione intima con Dio.

mercoledì 18 maggio 2016

Festa della Trinità


 

Dal libro dei Proverbi (Pr 8,22-31)

Così parla la Sapienza di Dio: «Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all’origine. Dall’eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra. Quando non esistevano gli abissi, io fui generata, quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d’acqua; prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline, io fui generata, quando ancora non aveva fatto la terra e i campi né le prime zolle del mondo. Quando egli fissava i cieli, io ero là; quando tracciava un cerchio sull’abisso, quando condensava le nubi in alto, quando fissava le sorgenti dell’abisso, quando stabiliva al mare i suoi limiti, così che le acque non ne oltrepassassero i confini, quando disponeva le fondamenta della terra, io ero con lui come artefice ed ero la sua delizia ogni giorno: giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 5,1-5)

Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 16,12-15)

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

 

La prossima domenica la Chiesa celebra la festa della Trinità.

Il termine non è biblico, ma entra nella dottrina della comunità credente nei primi secoli di vita cristiana, volendo indicare la realtà del Dio rivelato da Gesù: un unico Dio in tre persone.

La parola “trinità” suona sempre un po’ astratta, un po’ lontana dalla nostra sensibilità. Ha forse delle eco anche un po’ spaventose, come tutto ciò che ci rimanda a qualcosa di difficilmente comprensibile e misterioso.

Questo è forse dovuto all’uso che se ne è fatto, a come ci è stata presentata nei vari percorsi di formazione cristiana, quando si educava al rispetto con la paura e si sostituiva la conoscenza della narrazione evangelica con la memorizzazione dei dogmi o delle definizioni del catechismo.

In realtà, la Chiesa parla di “trinità” perché deve tener conto di un dato evangelico inequivocabile: Gesù ha parlato del Padre e dello Spirito santo. Ecco perché “trinità” e non semplice “monoteismo” in senso stretto.

mercoledì 11 maggio 2016

Pentecoste


Dagli Atti degli Apostoli (At 2,1-11)

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 8,8-17)

Fratelli, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,15-16.23-26)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

 

Domenica si celebra la festa di Pentecoste: si fa cioè memoria della discesa dello Spirito Santo.

Il rischio è di capire poco… Di pensare che – come per altre feste della Chiesa – si ricordi un fatto avvenuto una volta, ma che è stato così importante da richiedere che se ne faccia memoria ogni anno, come per il Natale: Gesù solo una volta è nato eppure della sua nascita si fa memoria ancora, ogni anno, ogni 25 dicembre.

Ma la Pentecoste è una festa un po’ diversa: non si ricorda un avvenimento – per quanto importante – avvenuto una sola volta nella storia. Piuttosto si fa festa per ricordare la presenza “sempre presente” dello Spirito.

Esso non è sceso quel giorno sulle teste degli apostoli, dandogli la forza e il coraggio per la missione di annunciare la storia di Gesù, e poi basta… Il racconto della discesa dello Spirito è la narrazione del nuovo modo di Dio di essere presente, sempre, nella storia degli uomini.

Da quel momento in avanti, cioè, Dio è incontrabile in Spirito.

Lo Spirito non è un’altra cosa rispetto a Dio Padre o a Gesù Cristo (il dogma ce lo ricorda con chiarezza: “Un solo Dio in tre persone”) e di fatti spesso è chiamato anche “Spirito di Dio” o “Spirito di Cristo”.

Lo Spirito è Dio: è il modo in cui Dio è presente nella storia. Non più nella pelle di Gesù, ma – appunto – in Spirito.

Ecco perché i cristiani non possono sentirsi orfani, dopo l’Ascensione. Ecco perché non possono sentirsi figli di un Dio che sta nell’alto dei cieli e pare essere assente dalla storia. Perché Egli è presente, in Spirito.

Certo, è una modalità di presenza che può apparire difficile (Dio non è visibile, non è toccabile, non lo si può ascoltare come un interlocutore umano…), ma che – se ci pensiamo – è l’unica che permette una vera relazione di libertà (non possiamo farne un idolo, perché è incontenibile in qualsiasi confine) e di intimità (può arrivare al centro della nostra persona, là dove anche noi siamo spirito).

Perciò, buona festa di Pentecoste a tutti: che sia l’occasione per recupera la nostra relazione da Spirito a spirito con Dio.

mercoledì 4 maggio 2016

Ascensione


Dagli Atti degli Apostoli (At 1,1-11)

Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra». Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

 

Dalla lettera agli Ebrei (Eb 9,24-28;10,19-23)

Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte. Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza. Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 24,46-53)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

 

Negli anni del ciclo liturgico C, come questo in corso, la Chiesa ci fa leggere le due versioni del racconto di ascensione narrate da Luca: una negli Atti degli apostoli e l’altra nel vangelo.

Il III evangelista è l’unico che traccia la scansione temporale dei 40 giorni dopo Pasqua per descrivere l’ascensione; scansione che è entrata poi anche nella liturgia: Pasqua – 40 giorni – Ascensione – 10 giorni – Pentecoste.

Nelle altre testimonianze neotestamentarie il ritorno di Gesù presso Dio e il dono dello Spirito santo sono invece piuttosto ravvicinati e quasi iscritti dentro alla Risurrezione.

Possiamo concludere che il dato della scansione temporale sia stato introdotto da Luca per motivi liturgico-pedagogici e che non rispecchi la cronologia degli eventi in senso stretto.

Resta però da chiarire quale sia il motivo che ha originato questi testi.

Il problema di fondo – che gli altri evangelisti lasciano aperto e che invece Luca vuole approfondire – potrebbe essere espresso in questo modo: perché, se Gesù è risorto, non lo si può incontrare come prima?

Luca cioè si preoccupa di dare una risposta ai cristiani delle generazioni successive a quella apostolica, che domandavano come fosse per loro possibile credere a Gesù, senza averlo mai visto, né vivo né risorto. È la stessa problematica che traspare anche nella prima finale di Giovanni, quando al cap. 20 v. 29 diceva: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Uno dei problemi delle prime comunità cristiane è stato perciò quello di rendere ragione dell’assenza di Gesù, o meglio dell’impossibilità di un incontro con lui nelle modalità precedenti (non è più incontrabile in carne ed ossa perché è morto; ma non è più incontrabile nemmeno da risorto, nelle apparizioni, come era invece stato possibile per i discepoli).

Ecco perciò che si introduce – come risposta a questa realtà – l’ascensione: Gesù non è più incontrabile nella modalità precedente, perché è asceso al cielo, cioè è tornato presso Dio.

Il racconto non è da prendere alla lettera: come dico ai miei bimbi a scuola, non è che Gesù è partito come un missile per raggiungere lo spazio. È un testo che va interpretato.

Per chiarirci le idee, vi racconto la lezione sull’ascensione che tengo in II elementare. Innanzitutto chiedo: “Che parola vi fa venire in mente ‘ascensione’?”. E loro rispondono: “Ascensore!”.

“Bene. E a cosa serve l’ascensore?”. “A salire”.

“Eh già… Infatti ‘ascendere’ è il contrario di ‘scendere’. È uguale a ‘scendere’, ma con la ‘a’ davanti, che serve per dire il contrario della parola che viene dopo. Quindi ‘ascendere’ = il contrario di ‘scendere’ = salire”.

“Ma dove è salito Gesù?”; “In cielo”.

“Sì, ma attenti, non è partito come un missile per andare su marte! Il cielo era un modo per dire ‘Dio’. E siccome si è sempre pensato che Dio fosse in cielo, per dire che Gesù era tornato da Dio, hanno scritto che è salito in cielo!”.

Ecco spiegata l’ascensione… ai bambini… ed ecco spiegato il problema che ha originato i testi di Luca… per i grandi… L’evangelista aveva bisogno di spiegare alle nuove generazioni cristiane perché esse non potessero incontrare Gesù nella modalità delle apparizioni del risorto, perciò gli ha narrato l’ascensione. La risposta è che dopo la morte e la risurrezione Gesù non è più presente nella storia nella modalità precedente: Egli è presso Dio.

È da qui che nascerà il passo successivo. Perché la domanda veniva da sé: ma allora Dio, ora, è assente dalla storia? No, risponderà Luca, è presente in Spirito… ecco il racconto di Pentecoste (che lasciamo a domenica prossima).

Non prendere alla lettera tutto ciò che è scritto nella Bibbia non ci deve spaventare: anzi, è il prendere tutto alla lettera che è sbagliato. La Chiesa da sempre ha ritenuto che i testi biblici fossero da interpretare, perché – come dice la Dei Verbum, un documento che il Concilio Vaticano II ha scritto proprio riguardo alla Parola di Dio – la fede si fonda su ciò che l’autore biblico aveva inteso comunicarci, la sua intenzione profonda, non su quello che capisco io o su quello che una prima lettura fa saltare all’occhio. Ecco perché nella Chiesa si sono sviluppati tutta una serie di studi letterari e linguistici per andare a capire cosa volevano dire gli autori, quando scrivevano i loro testi. Nella Chiesa c’è anche chi fa questo si mestiere: gli esegeti, che attraverso lo studio dei generi letterari, dell’epoca storica, del significato delle parole, ecc… ci presentano l’interpretazione dei testi.

Anche per l’ascensione è così: una lettura letterale ci porta ad un Gesù-missile…

Una lettura ragionata, ci inserisce invece in uno dei problemi con cui la Chiesa di sempre si deve confrontare: Gesù non è più incontrabile come prima. Come si può, dunque, credergli?

«Perché è degno di fede colui che ha promesso», risponde la lettera agli Ebrei.

E come faccio a sapere che è degno di fede uno che non posso incontrare in carne ed ossa e nemmeno da risorto, in un’apparizione? Lo posso sapere leggendo la sua storia e valutando chi ha deciso di essere… ecco la centralità dei vangeli e della loro conoscenza per poter accedere, oggi, ad una relazione con Gesù.

E leggendo i vangeli, non si può non concludere che chi si consegna alla morte (perdonando i suoi carnefici) per non smentire l’annuncio d’amore che traspare da ogni gesto che ha compiuto e da ogni parola che ha pronunciato sia davvero degno di fede.

mercoledì 27 aprile 2016

VI Domenica di Pasqua


Dagli Atti degli Apostoli (At 15,1-2.22-29)

In quei giorni, alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati». Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione. Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. E inviarono tramite loro questo scritto: «Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi, a voce, queste stesse cose. È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agl’idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!».

 

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (Ap 21,10-14.22-23)

L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,23-29)

In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

 

Le letture che la liturgia ci propone per questa Sesta Domenica di Pasqua mostrano uno spaccato della prima comunità cristiana, l’idea di Chiesa che si aveva.

È una Chiesa al cui centro c’è la parola: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui».

È una Chiesa senza templi: «In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio».

È una Chiesa in cui le decisioni vengono prese dallo Spirito santo e noi: «È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi…».

Queste pilastri meritano di essere approfonditi.

martedì 19 aprile 2016

V Domenica di Pasqua


Dagli Atti degli Apostoli (At 14,21-27)

In quei giorni, Paolo e Bàrnaba ritornarono a Listra, Icònio e Antiòchia, confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni». Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto. Attraversata poi la Pisìdia, raggiunsero la Panfìlia e, dopo avere proclamato la Parola a Perge, scesero ad Attàlia; di qui fecero vela per Antiòchia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto. Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede.

 

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (Ap 21,1-5)

Io, Giovanni, vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva: «Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate». E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose».

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 13,31-35)

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

 

In questa V Domenica di Pasqua sembra che la liturgia della Parola voglia farci porre l’attenzione sulla novità rappresentata da Gesù:

-          La prima novità è quella che raccontano gli Atti: Dio ha aperto ai pagani la porta della fede.

-          Giovanni, poi, nell’Apocalisse vede un cielo nuovo e una terra nuova e sente proclamare da Colui che sedeva sul trono: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»;

-          Infine, Gesù stesso, nel vangelo annuncia: «Vi do un comandamento nuovo».

Per comprendere il senso di questa novità credo sia utile andare, per una volta, al rovescio: cronologicamente, infatti, è stato scritto prima il libro degli Atti degli apostoli, poi il vangelo di Giovanni e infine l’Apocalisse; ma noi li analizzeremo al contrario: prima l’Apocalisse, poi il vangelo e infine gli Atti.

Nell’Apocalisse infatti si dichiara che la novità apportata da Gesù consiste nel fatto che in lui la tenda, cioè la dimora, la casa di Dio è con gli uomini. È proprio ciò che è successo nella storia del messia di Nazareth: ha asciugato ogni lacrima che ha incontrato, ha vinto la morte, ha consolato i lamenti, ha calmato gli affanni…

E tutto ciò… per far conoscere agli uomini chi è Dio, come è fatto Dio. Come se dicesse: “Cari uomini, vi siete sempre immaginati un dio lassù, lontano, separato, che vi scruta come un giudice, pronto ad elargire premi ai buoni tanto quanto punizioni ai cattivi e invece Dio non è così. Ve lo racconto io. Ve lo racconto con i miei discorsi, con le mie chiacchierate, con le mie storie, le parabole, che parlano di Lui. Ve lo racconto coi miei gesti, che mai hanno inflitto il male a qualcuno… perché Dio è così. È l’amante dell’umano”.

Un amante, così amante, cioè così gratuito e decentrato da sé, che non chiede nemmeno il contraccambio: gli piacerebbe solo contagiarci di questa passione per l’umano. Tant’è che quando dà un comandamento, ne dà uno nuovo «che vi amiate gli uni gli altri».

E per non essere frainteso, perché non tornassimo a pensare “Sì, dobbiamo amare il nostro prossimo, ma prima bisogna che amiamo Dio e, se c’è da scegliere, certo scegliamo Dio” fa un gioco di parole curioso. Dice: «Come io ho amato voi»… e tutti si aspettano che prosegua “così anche voi amate me”… e invece – ecco la novità – «così amatevi anche voi gli uni gli altri».

A Dio non interessa essere ri-amato; gli interessa che tutti amino ciò che Lui ama e cioè l’umano. Per questo il vangelo aggiunge che i suoi discepoli saranno riconoscibili non per il bene che vogliono al loro Dio, ma per il bene che si vogliono tra di loro. Volersi bene tra di noi è il segno che abbiamo capito chi è Dio.

Ecco perché Paolo può proclamare che la fede è aperta ai pagani; perché – sulla scia dell’esperienza del suo Maestro – impara che si può voler bene anche a un pagano, cioè a un diverso, a uno degli altri.

Io credo che sia ora che la nostra fede si converta a questa novità, per smettere di affannarci intorno a problemi spiritualoidi che riguardano il nostro rapporto con Dio e iniziare ad affrontare i problemi che riguardano l’umano, il voler bene all’umano… che non è cosa banale e lineare, perché l’umano a volte fa schifo, delude, spaventa…

Quando succede così noi lo chiamiamo “dis-umano”, ma invece è anche lui umano (che sia in me o in un altro), figlio di questa umanità e quindi figlio anche mio.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

I più letti in assoluto

Relax con Bubble Shooter

Altri? qui

Countries

Flag Counter