Mai, mai nessuno che dica: “L’ho fatto per me”!
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mercoledì 28 dicembre 2011
Buon Anno a chi?
Mai, mai nessuno che dica: “L’ho fatto per me”!
martedì 27 dicembre 2011
Maria santissima madre di Dio
martedì 20 dicembre 2011
Natale 2011
domenica 18 dicembre 2011
"Erano simili a mio figlio/E lui era simile a loro" - LA STRAGE DEGLI INNOCENTI
«Erode mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù» (Mt 2,16).
Poterti smembrare coi denti e le mani,
sapere i tuoi occhi bevuti dai cani,
di morire in croce puoi essere grato
a un brav’uomo di nome Pilato.
Ben più della morte che oggi ti vuole
t’uccide il veleno di queste parole:
le voci dei padri di quei neonati
da Erode per te trucidati.
Nel lugubre scherno degli abiti nuovi
misurano a gocce il dolore che provi;
trent’anni hanno atteso col fegato in mano,
i rantoli di un ciarlatano.
[De Andrè, Via della croce]
«Dovremmo inquietarci davanti a questo passo, alla sua sola presenza nel testo evangelico. Crea una fortissima tensione con quanto detto prima: la promessa di salvezza, la promessa di futuro... Nella storia dell’uomo esiste ed è tragicamente reale il tentativo dell’uomo di arrestare il movimento messo in atto da Dio con la nascita del suo Figlio. È così tragico che l’uomo è persino disposto a sacrificare il suo futuro per esso, cosa che avviene tristemente in ogni epoca. L’idea di espiazione è insufficiente a risolvere la questione: né la vendetta, né l’inferno possono pacificare le domande che il dolore innocente scatena nel cuore dell’uomo. Anzi aggiungono altro male al male già avvenuto. Dunque la domanda sul male diventa la domanda bruciante sul senso del perdono…
Un primo dato evangelico: Dio decide di non scendere dal banco degli imputati.
Un secondo dato: la sua non è una risposta teorica. La sua risposta è la sua vulnerabilità. La sua vulnerabilità è ciò che lo autorizza al perdono, perché ha un’identità tale che si identifica con ogni uomo che ha patito il male. Per questo può perdonare».
[M. Fiorucci]
“Il coacervo di corpi, nel suo insieme da "teatro della crudeltà", sembra giungerci da molto lontano, attraverso pesti, insanguinarsi nei lutti di guerre e invasioni, per passarci accanto e, ahinoi, preannunciarci chissà che stragi e orrori a venire” (G. Testori)
Orrore e santità, scandalo e fede: queste due polarità riescono a convivere nel dipinto del bolognese Guido Reni. I sicari inseguono, svolgono con implacabile precisione il terribile compito loro affidato da Erode: insieme ai neonati, sono vittime anche le madri. L’opera, però, introduce anche il secondo tema iconografico legato a questo episodio, la santità degli Innocenti: in alto angeli porgono le palme del martirio, i corpicini in basso sembrano dormire. Come scrive Testori, l’episodio narrato da Matteo ci porta alla mente altre stragi, altri pianti di madri: non è un caso che la figura della donna urlante sulla sinistra sia stata ripresa da Picasso per il suo Guernica. Solo una madre può capire cosa voglia dire perdere un figlio, nessuno può odiare quanto una madre chi ha causato questa perdita.
martedì 13 dicembre 2011
IV Domenica di Avvento
lunedì 12 dicembre 2011
La logica nuova - L'ADORAZIONE DEI MAGI
Nella rilettura teologica dell’infanzia di Gesù,
sono gli stranieri, i magi che vengono dall’oriente,
quelli che lo riconoscono...
Sono i lontani, quelli per definizione fuori:
fuori dalla salvezza, fuori dall’amore e dalla custodia di Dio, fuori anche dalla speranza…
Con la narrazione di una breve storia l’evangelista Matteo ci presenta il ribaltamento della mentalità dell’esclusione, tipica di ogni religione!
Quel continuo bisogno di tracciare confini, di delimitare le appartenenze, di segnare il territorio...
È una logica nuova quella che è messa in campo con la nascita di Gesù:
quella dell’amore che attira a sé e agisce per contagio, senza paura…
dell’ultimo nuovo arrivato, del diverso, del lontano.
Gesù ha rivelato il volto di un Dio che sta tutto dalla parte di quelli che noi a vario titolo lasciamo fuori, dalla nostra vita, dalla nostra società, dalla nostra Chiesa…
le vittime della nostra paura...
Per la quale continuiamo a star dentro...
mentre Dio per mezzo di Gesù Cristo, nello Spirito santo... è lì fuori con loro... in una capanna.
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L'opera di Albrecht Dürer, maestro capace di mettere in comunicazione cultura nordica e italiana, è colma di allusioni e significati simbolici. Per una volta, dunque, l'invito è quello di soffermarsi sui tanti piccoli dettagli di un dipinto, che ne arricchiscono il significato. Non solo spesso ignoriamo il significato di molti di questi elementi, ma addirittura non li notiamo neppure, nella frenesia di uno sguardo avido.
L'episodio è ambientato in uno scenario di rovine: il vecchio mondo pagano crolla, e su di esso si innesta la novità del cristianesimo; tra le rovine spuntano dettagli di grande realismo, che dimostrano l'interesse di Dürer per la natura. Ma è interessante osservare quale sia il significato attribuito loro dagli studiosi: in primo piano, da una fessura del manufatto, forse una macina, su cui è seduta Maria, spunta un garofano, fiore che viene associato alla Passione per il suo colore rosso e i suoi frutti (i chiodi). Accanto ad esso, una farfalla: poichè essa si libera di un corpo terreno per spiccare il volo, è stata scelta come simbolo dell'anima, che abbandonato il corpo ascende verso Dio. Più a destra, un animale ancor più strano, il cervo volante, che per il suo aspetto inquietante è spesso usato come simbolo del demonio: nella storia del mondo, e anche in quella di Gesù, è sempre presente la tentazione.
Se infine osserviamo i tre magi, noteremo che uno di essi, quello coi capelli lunghi, presenta fattezze simili a quelle di Dürer, la cui immagine conosciamo grazie a numerosi autoritratti. Mi piace pensare che sia un invito a far sì che ognuno di noi diventi come uno dei Magi, si metta in cammino per riconoscere il Dio fatto uomo.
martedì 6 dicembre 2011
III Domenica dei Avvento: Giovanni Battista (2)
Le lacrime e le parole

di Barbara Spinelli su Repubblica.it
Tendiamo a dimenticare che in tutti i monoteismi, il cuore non è la sede di passioni o sentimenti sconnessi dalla ragione. Nelle tre Scritture, compresa la musulmana, il cuore è l’organo dove alloggiano la mente, la conoscenza, il distinguo.
Se il cuore di una persona trema, se quello del buon Samaritano addirittura si spacca alla vista del dolore altrui, vuol dire che alla radice delle emozioni forti, vere, c’è un sapere tecnico del mondo. Per questo il pianto del ministro Fornero, domenica quando Monti ha presentato alla stampa la manovra, ha qualcosa che scuote nel profondo.
Perché dietro le lacrime e il non riuscire più a sillabare, c’è una persona che sa quello di cui parla: in pochi attimi, abbiamo visto come il tecnico abbia più cuore (sempre in senso biblico) di tanti politici che oggi faticano a rinnovarsi. Pascal avrebbe detto probabilmente: il ministro non ha solo lo spirito geometrico, che analizza scientificamente, ma anche lo spirito di finezza, che valuta le conseguenze esistenziali di calcoli razionalmente esatti. Balbettavano anche i profeti, per esprit de finesse.
È significativo che il ministro si sia bloccato, domenica, su una precisa parola: sacrificio. La diciamo spesso, la pronunciano tanti politici, quasi non accorgendosi che il vocabolo non ha nulla di anodino ma è colmo di gravità, possiede una forza atavica e terribile, è il fondamento stesso delle civiltà: l’atto sacrificale può esser sanguinoso, nei miti o nelle tragedie greche, oppure quando la comunità s’incivilisce è il piccolo sacrificio di sé cui ciascuno consente per ottenere una convivenza solidale tra diversi.
Non saper proferire il verbo senza che il cuore ti si spacchi è come una rinascita, dopo un persistente disordine dei vocabolari. È come se il verbo si riprendesse lo spazio che era suo. Nella quarta sura del Corano è un peccato, “alterare le parole dai loro luoghi”. Credo che l’incessante alterazione di concetti come sacrificio, riforma, bene comune, etica pubblica, abbia impedito al ministro del Lavoro – un segno dei tempi, quasi – di compitare una locuzione sistematicamente banalizzata, ridivenuta d’un colpo pietra incandescente. Riformare le pensioni e colpire privilegi travestiti da diritti è giusto, ma fa soffrire pur sempre.
Di qui forse la paralisi momentanea del verbo: al solo balenare della sacra parola, risorge la dimensione mitica del sacrificio, il terrore di vittimizzare qualcuno, la tragedia di dover – per salvare la pòlis – sgozzare il capro espiatorio, l’innocente.
Medicare le parole presuppone che si dica la verità ai cittadini, e anche questo sembra la missione che Monti dà a sé e ai partiti. Riportare nel loro luogo le parole significa molto più che usare correttamente i dizionari: significa rimettere al centro concetti come il tempo lungo, il bene comune, il patto fra generazioni.
Significa, non per ultimo: rendere evidente il doppio spazio – nazionale, europeo – che è oggi nostra cosmo-poli e più vasta res publica. Il presidente del Consiglio lo sa e con cura schiva il lessico localistico, pigro, in cui la politica s’è accomodata come in poltrona. Stupefacente è stato quando ha detto, il 17 novembre al Senato: “Se dovete fare una scelta – mi permetto di rivolgermi a tutti – ascoltate! non applaudite!”.
L’applauso, il peana ipnotico (meno male che Silvio c’è), le grida da linciaggio: da decenni ci inondavano. Era la lingua delle tv commerciali, del mondo liscio che esse pubblicizzavano, confondendo réclame e realtà: illudendo la povera gente, rassicurando la fortunata o ricca. Erano grida di linciaggio perché anch’esse hanno come dispositivo centrale il sacrificio: ma sacrificio tribale, che esige il capro espiatorio su cui vien trasferita la colpa della collettività.
Erano capri gli immigrati, i fuggitivi che giungevano o morivano sui barconi. E anche, se si va più in profondità: erano i malati terminali che reclamano una morte senza interferenze dello Stato e di lobby religiose. La nostra scena pubblica è stata dominata, per decenni, dalla logica del sacrificio: solo che esso non coinvolgeva tutti, proprio perché nel lessico del potere svaniva l’idea di un bene disponibile per diversi interessi, credenze. Solo contava il diritto del più forte, che soppiantava la forza del diritto.
Ascoltare quello che effettivamente vien detto e fatto non ci apparteneva più. Anche il ministro Giarda si è presentato domenica come medico delle parole: “Son qui solo per correggere errori”. Non ha esitato a correggere i colleghi, e ha avuto l’umiltà di dire: “Se avessimo più tempo, certo la nostra manovra sarebbe migliore”.
Monti ha fatto capire che questa, “anche se siamo tecnici”, è però politica piena: “L’esperienza è nuova per il sistema politico italiano. A noi piace esser cavie da questo punto di vista”. Singolare frase, in un Paese dove a far da cavie sono di solito i cittadini. Ma frase coerente alla politica alta: dotata di una veduta lunga, indifferente alla popolarità breve.
Pensare i sacrifici non è semplice, perché gli italiani e gli europei da tempo si sacrificano, e tuttavia constatano disuguaglianze scandalose. Perché sacrificandosi deprimono oltre l’economia. Lo stesso Sarkozy, che campeggiò come Presidente che poteva abbassare le tasse ai ricchi visto che le cose andavano così bene, è oggi costretto ad ammettere che i francesi “stringono la cinghia da trent’anni”.
Quel che è mancato, nel sacrificio cui i popoli hanno già consentito, è l’equità, l’abolizione della miseria, delle disuguaglianze. Forse – l’emozione dei potenti resta misteriosa – Elsa Fornero ha pianto perché le misure sono dure per chi ha pensioni grame. Se solo le pensioni sotto 936 euro saranno indicizzate all’inflazione, tante pensioni basse rattrappiranno come pelle di zigrino.
Si poteva fare diversamente forse, e non tutte le misure sono ardite. La lotta all’evasione fiscale iniziata dall’ultimo governo Prodi ricomincia, ma più blanda. La cruciale tracciabilità introdotta da Vincenzo Visco (1000 euro come soglia, da far scendere in due anni a 100) è fissata durevolmente a 1000. Oltre tale cifra è vietato accettare pagamenti in contanti, che sfuggono al fisco: una draconiana stretta anti-evasione è evitata. Né si può dire che tutto sia equo, e la crescita veramente garantita.
Il fatto è che si parla di decreto salva-Italia, ma si manca di chiarire come il decreto sia anche salva-Europa. Non è un’omissione irrilevante, perché il doppio compito spiega certe durezze del piano. Speriamo sia superata. Ogni azione italiana, infatti, è urgentissimo accompagnarla simultaneamente ad azioni in Europa: per smuovere anche lì incrostazioni, privilegi, dogmi.
Per dire che non si fa prima “ordine in casa” e poi l’Europa, come nella dottrina tedesca, ma che le due cose o le fai insieme, con un nuovo Trattato europeo più solidale e democratico, o ambedue naufragheranno.
domenica 4 dicembre 2011
Solo la comunione di Dio, cambia il nostro cuore
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Nel fallimento che nasce dall’impossibilità di vivere le esigenze della conversione, la necessità di un’altra Via |
Solo che, come testimonia
sabato 3 dicembre 2011
I miei occhi hanno visto la tua salvezza - LA PRESENTAZIONE AL TEMPIO

E' curioso come la pittura, arte visiva per eccellenza, abbia saputo talvolta interpretare e rendere in modo efficace il tema della cecità. Rembrandt, pittore olandese del Seicento, uno dei maestri assoluti della pittura sacra, vi è addirittura riuscito in due quadri che sembrano integrarsi alla perfezione tra loro. Nel Cantico di Simeone, l'uomo riconosce Dio in quel bambino che sorregge, raffigurato come un neonato dell'epoca dell'autore, mentre le mani e la bocca già si atteggiano alla preghiera, intonando il cantico che ancora recitiamo alla fine del giorno. La pittura è scabra, intrisa di luce, e non lascia spazio a compiacimenti o divagazioni decorative: ciò che conta è l'evento narrato.
In un altro, celeberrimo dipinto dello stesso autore, ad essere cieco è il padre che accoglie di nuovo il Figliol prodigo: Dio riconosce l'uomo, o meglio, gli rivela il suo vero volto, quello di padre misericordioso che si dona incondizionatamente ai suoi figli.
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«Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù» (Lc 2,21)
Gesù è un ebreo, figlio di ebrei… Da subito inserito nella storia e nella legislazione del suo popolo, un popolo eletto!
«Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore » (Lc 2,22)
Si riteneva infatti che il primogenito maschio fosse proprietà di Dio e dovesse essere riacquistato… o con un agnello, oppure – se la famiglia non aveva i mezzi per offrire un agnello – con due tortore o due colombi… La famiglia di Gesù offrì quest’ultima offerta, quella dei poveri.
«A Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone. […] Egli accolse Gesù tra le sue braccia e benedisse Dio, dicendo: “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele» (Lc 2,25.28-32)
E fu così che la Chiesa ebbe una delle sue preghiere più belle, il cantico di Simeone, che ci ricorda che il volto di Dio non ci è ignoto, ma coincide con la vita di Gesù.
Dove siamo!
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