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venerdì 8 agosto 2008

Camminare sul mare, e imparare a non aver paura di sprofondare

dal Sinai all’Horeb
Due nomi diversi per la stessa montagna, il luogo della manifestazione di Dio più portentosa nella storia di Israele, nel roveto ardente e nelle tavole della legge – che diventa il luogo del nascondimento più discreto e impercettibile… nel sussurro di una brezza lieve. Il cammino che li lega è il percorso della fede del credente, alla ricerca del Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Mose, di Elia… dei Patriarchi, dei profeti, dei poveri di Jahwé. È il Dio che si è rivelato soprattutto in Gesù, che raccoglie nella sua carne questo ininterrotto cammino ed lo porta a compimento.
Quante speranze e quante sconfitte, quante preghiere e sacrifici e delusioni, nei volti di innumerevoli generazioni, alla ricerca di un Dio affidabile! … perché questo Dio dei nostri padri, appena si manifesta in qualche luogo o in qualche evento, subito sembra pentirsi, come se ogni sovraesposizione (epifania) diventasse subito ambigua, perché l’uomo immediatamente cerca di catturare Dio e tenerselo lì in questa gabbia, a sua disposizione… Ma Dio non sta fermo, se ne va e la gabbia rimane “svuotata”. Figure e simboli sacri per un momento… contenitori venerabili, ma vuoti, presto manipolati dagli uomini: Dio non era nella bufera, non era nel terremoto, non era nel fuoco… La chiamata di Dio è irreversibile…e i suoi doni senza pentimento, ma Dio non è rinchiuso nei suoi doni: l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi… Tutto rimane misteriosamente incompiuto, se non conduce a Cristo, egli, che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Qui si nasconde il mistero/scandalo del Messia, il suo drammatico segreto, profetizzato nel passaggio da una epifania potente (io sono colui che ci sono – in mezzo a voi!), attraverso tutto il percorso tragico della storia di Israele, fino a questa “voce di silenzio svuotato!” di Elia – fino al grido inarticolato sul Golgota (Mc 14,37).

La dinamica evangelica
Il Vangelo non è una favola religiosa che ci distrae dalla troppe delusioni della storia. È la bella notizia dell’esito felice di questa dolorosa vicenda dell’uomo sulla terra, atterrito dalla tempesta che minaccia di ri/sprofondarlo nel caos delle acque da cui proviene. Un esito glorioso già anticipato in Cristo e partecipato fin d’ora ai credenti e all’umanità intera, ma ancora nascosto nel mistero del suo costo …a caro prezzo: a prezzo del suo sangue e dell’incomprensione e dell’abbandono dei suoi stessi amici più cari… ai quali, con segni e con parole, tante volte ha cercato di spiegare il senso della sua avventura nel mondo! Dopo il miracolo, dopo ogni successo, ogni piccola conquista, l’uomo è in pericolo… di mettersi al posto di Dio. Crede invincibilmente di essere “bene” , ha sperimentato un briciolo di pienezza – e crede che il bene sia ormai in suo potere… Non si ricorda più di essere “male” , cioè vuoto, chiamato a riempirsi della benevolenza di Dio… - incapace di consistenza propria che non sia subito avvelenata dalla presunzione.
Questa pagina del vangelo è paradigmatica… La folla reagisce d’istinto al miracolo gratuito e sorprendente del Signore. È “saziata”, e quindi tentata di sequestrare questo taumaturgo che risolverebbe tanti problemi (fino a pensare di farlo re, come ricorda il Vangelo di Giovanni). I discepoli sono invece “costretti” dal Signore a salire in barca e riprendere il viaggio… Sono stravolti, non ci capiscono più niente, perché prima volevano congedare la folla, quando era affamata e senza risorse, e adesso che Gesù la vuole congedare perché è saziata, loro vorrebbero trattenerla, per godersi gli allori del miracolo. Hanno perso la visione vera della realtà, e sono sballottati dalle vicende, prima ancora che dalle onde del lago in tempesta…

Gesù salì sul monte , solo, a pregare
… è l’unico modo per riprendere il senso della realtà umana che si sta vivendo, di prendere distanza dalla presunzione che il bene fatto sia un suo prodotto – l’unico modo di riconnettersi col Bene vero… che è la benevolenza del Padre che vede nel segreto dei cuori e delle vicende. Pregare è questo, per Gesù, benedire il Padre per ciò che ne riceve in dono, implorarlo per riuscire sempre a fare la sua volontà, come appare dai pochi accenni che il Vangelo fa del contenuto delle sue preghiere, e dal “Padre nostro” che ci ha insegnato… che è l’esperienza della sua vita!!! La differenza fra chi prega e chi non prega non sta nella possibilità di ottenere qualche favore in più da Dio o nella diminuzione delle avversità, o in qualche miracolo che alleggerisca la fatica del vento contrario, ma nella capacità di camminare sulle acque, senza sprofondare – senza perdere la fede, per le avversità della vita… Un apprendistato molto difficile e aspro, oltretutto fallimentare, durante la vita del Maestro, ma è l’essenziale dell’essere discepolo di Gesù.

  • Appena cominciano le difficoltà, pur dopo aver visto con i propri occhi, nella moltiplicazioni dei pani, che Gesù è il Signore, la sua proposta evangelica sembra ai discepoli stessi fuori della realtà e la sua figura… un fantasma. La fede non sostiene nella paura perché non è interiorizzata, é una fiducia emozionale, fondata sulla vicinanza fisica del potere, ma non ha impregnato le strutture profonde della persona.
  • La dinamica evangelica della fede ci mette alla prova inoltrandoci (dopo il miracolo, la conversione, la vocazione…) nel mare aperto delle vicende quotidiane con la fatica, la solitudine, la fragilità di tutti… Ci obbliga ad accogliere la sfida della vita, che è “andare a fondo” … e andremo a fondo! unico modo per diventare umili e perdere un po’ di presunzione … Quel po’ di amore al Signore e ai fratelli, che sopravvive, serve solo per aprirci gli occhi e diventare consapevoli dell’inconsistenza della nostra fede…
  • Allora può sgorgare dalla desolazione la preghiera del cuore, quella che nasce dall’amarezza di aver sperimentato nel peccato e nel tradimento chi è… il Salvatore e chi l’incapace di salvarsi. Gesù ci ha detto dove guardare, nella verità di questa situazione, riprendendo proprio l’antica auto/definizione di Jahwé a Mosè: io sono! Finché Pietro guarda a lui cammina sulle acque, appena guarda il vento avverso precipita… E nell’angoscia tra dubbio e fede, sicuro ormai di non stare a galla da solo, trova la preghiera vera, perché la “poca fede” possa crescere prima di affondare… Signore salvami!
  • Anche la fede più debole, nella lotta dolorosa tra presunzione di farcela da soli (sempre smentita) e consegna “svuotata” di sé (unica spiaggia dove approdare nel naufragio), vive sempre in collegamento vitale con tutti i fratelli che sono sulla stessa barca, e in qualche modo ne dipendono, per ritrovare la strada dell’umile e macerato ‘riconoscimento’ di sé e del Signore…

Pregare è partecipare con Gesù alla tempesta / passione del mondo
Il suo camminare maestoso sopra i flutti – è ‘sovrumano’ e dovrebbe servire come segno per istillare nei discepoli la sua superiorità sulle forze della natura e ottenere cos’ da loro, una volta per sempre, la fiducia – cioè quell’aumento della “poca fede” che il Signore pensa sufficiente… ad andare a fondo senza disperare (Gesù stese la mano e lo afferrò!). Bisogna passare dalla voglia di miracolo, come prolungamento “divino” della volontà di potenza dell’uomo, che cosi diventa satanico… all’antimiracolo, il prodigio inimmaginabile della misericordia del Padre: la consegna della stessa sua potenza divina (il figlio!) in balia della presunzione umana (cfr il drammatico dialogo di Gesù e Pietro, due pagine dopo!). I teologi farisei saranno giustamente scandalizzati dall’impotenza divina sulla croce! Non c’è miracolo che aumenti l’amore, cioè la forza di superare la paura della morte e donare la propria vita. Solo l’antimiracolo alla fine trionferà! Che non è “scendere dalla croce”, ma andare a fondo, per amore! Quando “tutti, abbandonatolo, fuggirono”, sarà Gesù a implorarli di stare a pregare un poco con lui perché la sua anima stava precipitando nelle angosce della morte, ma loro l’hanno lasciato andare a fondo nella sua disperazione solitaria… Ecco perché i discepoli più attenti (i mistici) hanno sempre cercato fargli compagnia nella “sua” passione, piuttosto di badare alla propria: “Quando si è completamente rinunciato a fare qualcosa di noi stessi … – allora ci si getta completamente nelle braccia di Dio, allora non si prendono più sul serio le proprie sofferenze, ma le sofferenze di Dio nel mondo, allora si veglia con Cristo nel Getsemani, e, io credo, questa è fede, questa è metànoia, e così si diventa uomini, si diventa cristiani” (Bonhoeffer lett 21.07.1944)

venerdì 20 giugno 2008

Perché la paura?

Gli uomini vanno a Dio nel loro bisogno
Implorano aiuto, invocano pane e fortuna,
salvezza dalla malattia, dalla colpa, dalla morte.
Tutti, tutti, cristiani e pagani

“gli uomini vanno a Dio nel suo bisogno
Lo trovano povero, umiliato, senza tetto né pane,
lo vedono soffocato dai peccati, dalla debolezza, dalla morte.
I cristiani stanno vicini a Dio nella sua sofferenza”

Può sembrare strano il fatto di postulare per l’uomo forte e adulto un Dio crocifisso e impotente. Già, ma è lui che si è rivelato così e poi questa è l’unica maniera di respingere ogni forma di integrismo e eteronomia in forma clericale. La terra è laicamente liberata dai cortocircuiti dell’oggettivazione teologica per le realtà mondane, e Dio gli sta sofferente nel cuore come imprevedibile fermento: Fonte di pietà senza fine, capace di attrazioni amorose, come quelle che portarono Bonhoeffer sulla via della sequela e della consumazione. Se “Dio onnipotente” atterrisce oppure crea l’ubriacatura del dominio, il “Dio impotente” attrae come un destino di partecipazione.

C’è poi un altro motivo per questa scelta biblica e cristiana, che rappresenta un “rovesciamento” teorico e pratico di fronte alle teologie dell’onnipotenza, ed è quello che solo nel senso di questa logica teologicamente depotenziata e umanisticamente esaltata porta Dio in Gesù ad essere totalmente per l’uomo. Il crocifisso infatti dice due cose molto importanti: l’antitrionfalismo e la totale immersione con la caratteristica tutta teologica della sostituzione. Il crocifisso infatti implica l’impotenza che Dio si sceglie per lasciare posto alla potenza dell’uomo: Il crocifisso non è allora un evento capitato a Dio, ma l’essenza del suo essere nel mondo. Il cristiano deve sapere che il modo cui il suo Dio vuole essere presente nel mondo è quello dell’assenza. La logica teologica non può essere giudicata con i parametri logici normali. Chi può insegnare a Dio come essere potente?

Inoltre il crocifisso è segno di un nuovo senso dell’essere di Dio, quello del consumarsi per l’altro. In ciò è Gesù che rivela compiutamente. La nuova stoffa dell’essere teologico è dunque definitivamente fissata così: “l’esistere per gli altri”. Ecco come si esprime Bonhoeffer nel ricordato schema per un saggio . “Chi è Dio? Non è prima di tutto fede generica in Dio,nell’onnipotenza di Dio e via dicendo. Questa non è autentica esperienza di Dio,ma un pezzo di mondo prolungato- L’incontro con Gesù Cristo è prendere coscienza che qui è avvenuto un rovesciamento di ogni essere umano, che Gesù “esiste solo per gli altri

Nasce così un nuovo concetto di trascendenza e nuovi compiti infiniti: il trascendere non l’uomo, creando un pericoloso”in alto” tanto vicino al trono dei potenti, ma il trascendere l’io, in una tensione e svuotamento inesausti: Bonhoeffer insiste in questa nuova maniera di fare esperienza di Dio e su questa che è chiaramente una trascendenza mondana. «l’“esistere per gli altri” di Gesù è la presa di coscienza della trascendenza. Dalla libertà da se stessi, dall’ esistere per gli altri fino alla morte scaturiscono l’onnipotenza. l’onniscienza, l’onnipresenza. Fede è partecipare a questo essere di Gesù (incarnazione, croce, risurrezione). Il nostro rapporto con Dio non è un rapporto religioso con l’essere più alto, più potente, più buono: questa non è vera, autentica trascendenza; il nostro rapporto con Dio è una nuova vita nell’ “esistere per gli altri”,nella partecipazione all’essere di Cristo. Il trascendente non è… doveri infiniti, irraggiungibili, ma il prossimo, dato volta per volta, raggiungibile».

L’inaudito tocca la sua più alta espressione“Dio in forma umana”


[Italo MANCINI, Scritti cristiani, Marietti, pg 9s]

giovedì 20 marzo 2008

La Risurrezione!

…è la conclusione del racconto fondante del Nuovo Testamento , il fatto più sconcertante della storia, da far dire a chiunque lo senta: se fosse vero! … che davvero uno è tornato dall’al di là, mite e trionfante, con una vita nuova anche per noi! Cambierebbe il senso della vita nell’universo! Ma tanto più oggi, nella deriva d’ogni speranza del nostro mondo tecnologico, torna attuale la battuta scettica dei saggi di Atene a Paolo: su questo ti sentiremo un’altra volta! A questo fatto è agganciato comunque tutto il cristianesimo. Su questo fatto, ricorda l’apostolo delle genti ai cristiani di Corinto, erano unanimi centinaia di testimoni: «Anzitutto vi trasmetto quello che anch’io ho ricevuto: Cristo è morto ed è stato sepolto. È risuscitato il terzo giorno ed è apparso a Pietro… e a più di 500 persone…» (1Cor 15,2ss). Pietro lo ripete in varie forme ad ogni discorso: “…Gesù di Nazaret… passò beneficando e risanando… E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute… lo uccisero… appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno!”. Un fatto, dunque, che ha appassionato e cambiato la vita a tanta gente, al punto da invadere per contagio il mondo allora conosciuto, di annuncio in annuncio…
Con il termine risurrezione si vuol affermare la continuità tra il Gesù storico e il Cristo risorto, attraverso, appunto questa irruzione incontenibile ed esaltante di una nuova qualità di vita, dopo tre giorni che era nella tomba... Con il termine ‘esaltazione’ si celebra la gloria divina di Cristo risorto. Era Dio, s’è fatto uomo fino alla morte; ora ritorna in Dio portando con sé l’umanità che ha assunto. Per Gesù la risurrezione segna la sua “accreditazione” : cioè ne è garantita e consacrata la verità del suo vangelo, la sua autocertificazione di essere figlio di Dio e la sua missione nel mondo. È il sigillo definitivo di Dio sull’opera di questo profeta…
La testimonianza storica non è sufficiente a smuovere il cuore
Nelle apparizioni le discepole e i gli apostoli non lo riconoscono subito, ma solo con un misterioso sussulto del cuore. Increduli per la trepidazione e la troppa gioia… sicuri di averne visto la sconfitta e la morte, fanno fatica a capire che invece era vittoriosa la sfida di amore ormai ritenuta bruciata, anche se il cuore era pieno di nostalgia. In questa attesa delusa e triste, irrompe la visione del Risorto. Lo stupore incredulo, dubbioso o scettico, comincia a cedere a questa presenza misteriosa… e inizia una relazione nuova che non solo assorbe e rigenera l’affetto e la fiducia precedente, ma trasforma tutta la vita (l’identità e il senso). Si manifesta e lo riconoscono in tanti modi diversi: il timbro della sua voce, il tocco delle sue mani, la sua tenerezza, le sue piaghe nonni sofferenti, l’umanità “nuova” che parla, ricorda, esorta, sgrida, perdona, rassicura… Eppure non è sufficiente la testimonianza storica! Che appare certamente genuina ed autentica anche se espressa in un linguaggio figurativo e simbolico, non logico o secolare come il nostro! La testimonianza storica è una premessa necessaria, ma non produce la fede. Questo coinvolgimento totale dell’uomo che consegna la sua vita a Cristo, che chiamiamo “fede cristiana”, è un modo nuovo di vedere e capire se stessi e la vita, che nasce da un personale e coinvolgente dono di amore di predilezione. Non come un ricordo nostalgico del Gesù di carne del passato. Non è il ricordo di un morto seppur carissimo e insostituibile… È una relazione nuova con colui che era morto crocifisso ma che è adesso è risorto e si pone di fronte agli uomini ‑ sorelle e fratelli ‑ in una situazione nuova, caratterizzata da una sorpresa impensabile. È lo stesso Gesù (non vedete che sono proprio io!) con lo stesso corpo trafitto, ma glorificato e trasfigurato fuori delle dimensioni fisiche, che si può toccare e carezzare, ma non abita più la nostra condizione storica umana! Non ha più fame ma può mangiare. Non è in nessun luogo preciso, ma attraversa le porte chiuse per venire a consolare i suoi, paralizzati dalla paura! È presente a noi in ciascun momento storico, ma lui vive i ritmi dell’eternità alla destra del Padre…un corpo capace di reggere le determinazioni fisiche, ma non legato a loro. Una vita dopo la morte, coestesa con il tempo, ma eterna: tempiterna (Panikkar). … il miraggio di tutta l’umanità e di tutte le religioni – il sogno di ognuno che ama!
cercate Gesù il crocifisso? Non è qui!… È risorto!... Andate a dire ai miei fratelli…
… quest’angelo misterioso sintetizza in modo lineare ed essenziale il processo dinamico della fede, che ormai diverrà il fuoco propulsore della comunità cristiana – la fede in Cristo crocifisso risorto! Cominciando dalle donne (come già da una di queste donne era iniziato a Nazareth), davanti alla tomjba vuota, si compie il cammino di conversione e trasformazione da discepolo di Gesù in “credente in Cristo”. Questo annuncio del vangelo di Matteo (e in vario modo di tutte le testimonianze del risorto, che costituiscono il Testamento Nuovo) delinea infatti i passi fondamentali della fede apostolica, che è fondamento e configurazione della nostra fede: la precedente frequentazione di Gesù nel discepolato, la disperata passione e via crucis del crocifisso, l’assillo della sua assenza (la tomba vuota); l’incontro con Gesù vivente (ma in/trattenibile, ormai), la missione verso i fratelli…
La fede cristiana scaturisce nel passaggio (nella pasqua!) dal Gesù profeta che annunciava la buona notizia beneficando e risanando la gente, ma fu rifiutato, rinnegato, tradito e crocifisso … al Cristo Gesù che appare risorto a vita nuova. La resurrezione di Gesù il Cristo è (per lui e per noi) il nesso tra la vita presente e la futura, il nodo dove la nostra fragile e precaria vita mortale nella quale siamo imprigionati senza scampo, è agganciata alla vita nuova che Cristo… ha inaugurato, aprendo nella sua carne, con una consegna di sé senza riserve, questo passaggio, anche per noi. È di questa pasqua che anche noi partecipiamo, perché questo è il transito che apre la nostra vita al ”suo” stato di compiutezza umana glorificata per sempre, che chiamiamo risurrezione.
Come nasce la chiesa… Sensorium Dei in mondo
Rivedere i suoi fratelli... è il primo grande desiderio che gli esplode dentro, appena il cuore ha ripreso i suoi battiti con i ritmi umani di un’altra vita, e lo dice alle donne fedeli, dalle quali per prime si è fatto riconoscere: andate a dire ai miei fratelli! che li aspetto…Come per un incontenibile voglia di comunicare e condividere la sua scoperta vitale. Da questo cuore che era morto per noi, ora vivo per sempre, passa a noi la capacità (la “dunamis”, ma è il frutto dello Spirito) di fare anche noi della nostra vita un fermento di risurrezione… «Quel medesimo Spirito che ha risuscitato Gesù dai morti, darà vita anche ai vostri corpi mortali a causa del suo Spirito abitante in voi» (Rm 8,11). Il duello tra vita e morte, di cui canta la liturgia, che è culminato per lui nel Getsemani e sul Calvario non è vinto da Gesù soltanto. Si rinnova e continua oggi nel mondo, per uscire da ogni schiavitù e trasformare tutto ciò che opprime l’uomo in dilatazione di amore. Siamo infatti suoi fratelli e sorelle, totalmente coinvolti nella sua avventura umano/divina, “se veramente partecipiamo alle sue sofferenze” (Rom 8,18), diventando come dei “sensori di Dio nel mondo”, per accoglierne e condividerne i dolori e le angosce, le gioie e le speranze. La chiesa si è data da secoli ad altri impegni importanti ma secondi, rispetto ai primi che ci racconta il Nuovo Testamento: annunciare instancabilmente il Vangelo di Gesù, denunciare le ingiustizie che opprimono i più deboli, testimoniare a tutti la misericordia e il perdono, riproponendo la sfida della sua e nostra risurrezione in un mondo stanco e rassegnato al crollo della speranza.
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“Il mondo dice: ormai è così, sarà sempre così; deve necessariamente essere così. Il giusto dice: non dovrebbe essere così; è contro Dio. Soprattutto in questo si conoscerà il giusto: nel fatto che egli soffre in questo mondo. In certo modo egli porta il sensorium Dei nel mondo… il giusto sa che Dio lo fa soffrire così, perché impari ad amare Dio per amore di Dio stesso. Nella sofferenza il giusto trova Dio…
Questa è stata la risposta di Dio al mondo, che ha portato alla croce di Cristo… Dio non ricambia con la stessa misura, e così deve fare anche il giusto: Non condannare, non rimproverare, ma benedire. Se non fosse così il mondo non avrebbe speranza. Il mondo vive della benedizione di Dio e del giusto, e in questo ha la possibilità di un futuro…
(D. Bonhoeffer, Fedeltà al mondo, Queriniana 1995, p. 53-54)

Auguri fraterni

giovedì 20 dicembre 2007

… una donna aspetta ... un bambino – con tutta l’umanità

Questi brani della Bibbia (e un po’ tutta la Bibbia antica e nuova) raccontano di un’attesa. L’attesa della salvezza, come per ogni uomo. Ma più precisamente… attesa di un “bambino”! Anche chi crede che poi … è effettivamente venuto, lo attende ancora, ed aspetta il suo Natale! Al primo gruppo di suoi discepoli il mistero del loro amico, Signore, Maestro (e... Figlio di Dio), dovette sembrare così incontenibile e improponibile, che cercarono in ogni modo di capire ed esprimere ciò che era passato sotto i loro occhi, seguendo le indicazioni di Gesù stesso, di indagare nelle Scritture ciò che si riferiva a lui, per meglio capire il suo Vangelo, ma ancor più la sua passione e disfatta in croce e il trionfo prodigioso ma inesprimibile e indimostrabile della risurrezione…

La prima fondamentale difficoltà che incontrarono è sintetizzata in questo imbarazzante inizio della lettera di Paolo. Questa è la sua (e nostra) vocazione: annunziare il vangelo di Dio, che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture, riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore. Questo bambino, discendente di Davide è divenuto figlio di Dio… dopo la risurrezione? No di certo, ma non è un abbaglio: questa è stata la sua storia di carne, e questa la comprensione dei discepoli, che così l’hanno visto! Solo dopo l’accoglienza dell’umiliazione della sua vita terrena (la sua “obbedienza di fede”, fino alla morte di croce) sarà costituito Figlio di Dio con ‘potenza’. In lui, per tutti (per i primi discepoli come per noi) l’obbedienza della fede è diventata la porta per entrare nella salvezza. Solo così si vede che le Scritture davvero parlavano di Lui. E raccontano le parole che profeti, piccoli e grandi, hanno sentito da lui: a rileggerle adesso non solo ci suggeriscono chiavi di interpretazioni impensate del mistero della salvezza da lui portata…ma nello stesso tempo si illuminano esse stesse, alla luce della vita e delle Parole di Gesù…

il Signore stesso vi darà un segno: il re Achaz, che deve continuare la stirpe davidica da cui nascerà il Messia, non ha figli, ed è spaventato: Ha tentato le strade della superstizione, fino a sacrificare un bambino, ha provato alleanze politiche per salvare almeno il regno, tutti espedienti sterili o malvagi … Adesso è scoraggiato e demotivato. Non crede più in nessun segno! Ma il profeta propone uno scatto di fiducia in Dio… la fanciulla o la vergine (la parola ha i due significati) partorirà… e il bambino si chiamerà “Dio con noi”. Non c’è esegeta che spieghi cosa vuol dire veramente questo segno, se speranza o sventura. Sarà la traduzione dei Settanta che opta per il “segno” verginale, suggerendo quindi nel “Dio con noi” l’atteso Messia. Quando la comunità di Matteo riflette sull’evento di Nazareth e sul dramma dei due fidanzati, il vero senso della profezia s’illumina. Allora si capisce bene perchè l’uomo non ha parte in questa nascita (1,18 e 25; come Lc 1,34). La Scrittura è dunque ridiventata un annuncio vivo che innesca nei secoli un dialogo con i credenti, i quali solo obbedendole (cioè ascoltandola con il cuore) entrano in un’ulteriore comprensione, che a sua volta illumina la loro vita…

Il silenzio di Maria. Il racconto teologico di Matteo è un esempio discreto e luminoso di questa dialettica “cristiana” tra “comprensione (o incomprensione) dell’agire di Dio” e obbedienza della fede, applicata al mistero della nascita di Gesù. Non c’è stata spiegazione di Maria con il fidanzato, se si guarda al tormento altrettanto muto di Giuseppe. Ci sono segreti che sono da portare, tanto potenti e indicibili, che debbono farsi strada da soli, quando Dio vorrà. Ed è sempre una strada di sofferenza, per l’incomprensione, il dolore e l’angoscia che si provocano nelle persone più vicine. A cominciare da Giuseppe, suo fidanzato, angosciato perché non sa come uscire dalla situazione delicata, senza tradire la giustizia e l’amore! Chissà le chiacchiere! se si è accorto Giuseppe, si saranno accorti in tanti… e anche qui non c’è difesa. Più tardi, la gente si adatterà (come ricordano i Vangeli) a vedere nel piccolo, il figlio del falegname! Ci vorranno decenni perché la comunità, ricostruisca “a ritroso” il senso vero di questo bambino, nella sua doppia origine umana e divina.

Per questo il Vangelo di Matteo comincia come una nuova bibbia: ecco il libro della genesi di Gesù Cristo, figlio di Dio (1,1). E nei primi due capitoli, con vario materiale biblico, tenta di raccontare cosa è avvenuto, non secondo criteri storiografici, come faremmo noi (o anche Luca negli Atti), ma secondo criteri teologici che impregnano “un racconto esemplare” di come è nato il protagonista della “libro nuovo”, seguendo in filigrana alcune tracce della Bibbia antica, delle promesse dei profeti, della storia movimentata del popolo di Israele. Ecco il perché di una genealogia che lo lega agli antenati fino ad Abramo attraverso Davide, e poi il riconoscimento dei saggi magi “lontani”, e il rifiuto del nuovo faraone vicino, che vuol ucciderlo, e poi la fuga in Egitto e il ritorno alla magra terra promessa…

L’avvento di Dio nel mondo ricomincia da capo…: da Maria! E sconvolge la vita di coloro che coinvolge nel suo progetto, come era successo ad Abramo e agli altri patriarchi, fino a Davide, fino all’esilio… fin adesso: fino a questi due ragazzi e al loro progetto di matrimonio, una piccola povera famiglia …
Gli esegeti della comunità cristiana di Matteo, tanti anni dopo, hanno intuito il mistero, ed anche loro lo hanno collegato con le profezie, che allora si sono illuminate… “dopo l’obbedienza di fede” di Maria e Giuseppe. E quindi citano le profezie antiche comprese, adesso, perché ormai si sono avverate, grazie alla fede degli umili protagonisti del mistero. I quali soffrono tutte le loro riserve razionali umane: Zaccaria si sente impossibilitato, Maria chiede spiegazioni, Giuseppe si dibatte nell’incertezza sul da farsi per non rovinare la fidanzata… Però queste riserve non li bloccano in un rifiuto, come Acaz. Quale risorsa interiore li spinge a consegnarsi “alla Parola” ascoltata? Di sicuro Qualcuno dentro li ha guidati, sulla via dell’assenso proprio attraverso l’obbedienza della fede. Gli evangelisti non temono di citare ripetutamente lo Spirito Santo (1,18 e 20 - Lc 1-2 otto volte)

La discontinuità improvvisa nella loro vita, prodotta dall’incontro con Dio, è scandita dai sogni e dagli angeli. Fenomeni umanamente poco dimostrabili, i sogni : ma i Giuseppe biblici, che sono sognatori, ci ascoltano dentro l’invito di Dio (il conforto angelico) a coinvolgersi. Dio stava da secoli silenzioso nel tempio (il nulla innominabile del Santo dei Santi) e i suoi serafini stavano zitti. Adesso che Dio riinizia un dialogo con l’umanità, i suoi angeli ridiventano “messaggeri”… aiutano a capire il disegno di Dio. Curiosamente nei due Vangeli dell’infanzia di Luca e Matteo, i due angeli coincidono nell’ordinare ai due diversi protagonisti (Maria e Giuseppe) lo stesso ordine: gli darai nome Gesù! Con lo stesso risultato, che i due fanno “come è stato detto loro” Come se i due fidanzati, ormai infranti i rispettivi progetti personali, si ritrovassero nel consegnarsi ad un altro totale accudimento, la nascita e la crescita del “bambino salvatore”…

La verginità è allora segno fondamentale di questo messaggio. Tanto più che nel mondo semita non aveva un particolare apprezzamento religioso, ma piuttosto la maternità era considerata la pienezza di partecipazione al disegno di Dio sul popolo eletto. Proprio per questo la scelta di Maria si carica di un significato profetico: la parte più debole improduttiva dell’umanità è eletta come strumento principe della salvezza. Ancora una volta Dio rivela le sue preferenze. Maria stessa domanda: come è possibile senza potere maschile? La potenza di Dio ti coprirà! Maria capisce che Dio non sceglie i mezzi umani, che come donna la squalificano, ma i mezzi nuovi, poveri, disomogenei alla cultura e alla logica umana. Anche qui comincia un nuovo mondo, inizia una nuova cultura!

…un Dio bambino? tutte queste… parole dell’inizio del vangelo di Matteo ci mostrano un volto di Dio diverso, incontenibile nei templi, riti, tradizioni, , sacrifici… ma “contenuto” nel seno di una donna. Questo è troppo: la meraviglia, lo stupore, lo scandalo, il rifiuto, anche omicida… lo aspetta. Il “futuro” ragionevole, prevedibile e programmato dall’uomo …non può che reagire così. Ma è un “futuro” sterile ripetitivo e senza speranza: L’ “avvento”, questa profezia di un diverso futuro intravisto nei sogni, è annunciato da angeli, riservato a popolani senza cultura né potere, ma sensibili allo Spirito. Domanda di affidarsi al consenso della fede. È novità, accoglie il povero, accudisce le persone più che le leggi… apre nuovi spazi al “Dio diverso”, che sempre viene… anche se nelle fattezze misteriose e sorprendenti di un bambino.

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…non può uno spirito umano parlare così da se stesso.
Noi che non sappiamo neppure che cosa accadrà l’anno prossimo,
come possiamo anche solo concepire che vi sia chi scruta al di là dei secoli?
E i tempi non erano allora più trasparenti di quanto lo siano al presente. Solo lo Spirito di Dio, che abbraccia il principio e la fine del mondo,
può rivelare a un uomo da lui scelto il segreto del futuro,
e questi ha l’incarico di profetizzare per rendere saldi coloro che credono
e ammonire coloro che non credono.
Questa voce di un singolo, che sommessa echeggia nei secoli
e alla quale si unisce la voce isolata di un altro profeta,
sfocia infine nell’adorazione notturna dei pastori
e nel giubilo della comunità dei credenti in Cristo:
“ un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio!”
Si parla della nascita di un bambino,
non dell’azione rivoluzionaria di un uomo forte, non dell’audace scoperta di un sapiente, non dell’opera pia di un santo.
C’è veramente il capovolgimento di ogni logica:
è la nascita di un bambino che opererà la svolta decisiva di tutte le cose,
che apporterà all’umanità salvezza e redenzione.
Ciò per cui si sono affaticati invano sovrani e uomini di stato,
filosofi e artisti, fondatori di religioni e maestri di morale,
ecco, ora si compie attraverso un neonato.
Come a confondere gli sforzi e le imprese dei potenti,
nel cuore della storia universale viene posto un bambino.
Un bambino nato dagli uomini, un figlio dato da Dio.
Ecco il segreto della salvezza del mondo;
vi sono racchiusi tutto il passato e tutto il futuro.
L’infinita misericordia del Dio onnipotente viene a visitarci,
si abbassa sino a noi sotto la forma di un bambino, suo Figlio.
Che ci sia nato per noi, questo bambino, che ci sia stato dato questo figlio,
che questo figlio degli uomini, questo figlio di Dio mi appartenga,
che io lo conosca, lo abbia, lo ami, che io sia suo e che egli sia mio:
è da questo che ormai dipende la mia vita.

Un bambino tiene la nostra vita nella sua mano.
(Bonhoeffer, Predica di Natale 1940)

giovedì 22 novembre 2007

QUALE DIO?

Raniero La Valle nel suo libro Prima che l’amore finisca. Testimoni per un’altra Storia possibile parlando di Carlo Carretto scrive:
«A mio parere egli ha posto con radicalità, nel cuore della società contemporanea e secolare, la questione di Dio, e più precisamente la questione: quale Dio. […] È su questo problema che si è costituita storicamente la società moderna, laica e secolare. La laicità non si è costituita sulla tesi Non est Deus, Dio non c’è, ma sull’ipotesi Etsi Deus non daretur, anche se Dio non ci fosse. […] E se la società moderna ha deciso di costruirsi come se Dio non ci fosse, l’ha fatto perché quello che le veniva offerto all’atto del suo sorgere era un Dio che non poteva più servire a fondare la sua unità e ad accogliere e accompagnare la sua crescita umana, la scoperta della sua ragione e le attuazioni della sua intraprendenza, ma anzi le era di ostacolo e di divisione. […] Un Dio – e da lui una Chiesa – non più capace di universalità, non capace di aprirsi all’accoglienza magnanima del nuovo che germinava nella storia».

Ma chi era questo Dio espulso? Prosegue La Valle:
«Era il Dio della guerra, il Dio che rendeva l’uno all’altro nemico, il Dio che veniva dall’alto, il Dio della trascendenza del potere, il Dio che fonda il trono dei potenti e sequestra i tesori dei deboli; era il Dio di cui la cultura moderna dirà che è la proiezione dei sogni di onnipotenza dell’uomo, e della cui trascendenza non un ateo, ma Dietrich Bonhoeffer dirà che non è vera, autentica esperienza di Dio, ma un “pezzo di mondo prolungato”».

È questo il Dio che arriva anche a Carlo Carretto e a tutti i cristiani prima del Concilio Vaticano II:
«è ancora il Dio della guerra, il Dio delle leggi assolute, il Dio che allarga le braccia ma non fino ad abbracciare il nemico, non fino ad essere annunziato e riconosciuto come il Dio della misericordia e del perdono. Un Dio nel quale non c’è speranza. E qual era quel Dio, tale era la Chiesa».

In proposito in una sua lettera a Wojtyla, Carretto scriverà, ricordando il preconcilio:
«Io 40 anni fa, figlio del mio tempo e degli errori del preconcilio, mi sentivo nella Chiesa come arroccato in una fortezza da difendere contro i nemici che mi circondavano da ogni parte; io vedevo la Chiesa come separata dal mondo, come un esercito perennemente lanciato in crociate, come un partito che doveva diventare più forte e schiacciare il nemico. Nemici, nemici, sempre nemici. Ecco il mio apostolato di quel tempo».

Questi testi, che forse lasciano un po’ sbigottiti per la trasparenza e la inusuale poca ossequiosità con cui tratteggiano, comunque realisticamente, un periodo storico ed ecclesiale, oltre a delineare quale Dio “viveva” nel preconcilio, mostrano come ci sia uno strettissimo legame tra immagine di Dio e immagine di Chiesa: «Qual era quel Dio, tale era la Chiesa».
Se si fallisce la prima, si fallisce anche la seconda!
Ma più radicalmente mi pare di poter dire, con Bruno Maggioni, che se si fallisce l’idea di Dio, si sbaglia tutto. È a partire da essa infatti (foss’anche l’idea del non esistere di Dio) che in qualche modo si determina il mio modo di concepire la vita, l’amore, l’altro, il lavoro, la comunità, il comportamento… tutto… È chi scelgo di porre come signore della mia vita che mi guida.
Ma allora, com’è possibile rintracciare il vero volto di Dio? E tracciarlo in modo che esso non cada sotto l’ombra del soggettivismo?

La Valle scrive:
«Carretto, attraverso la sua esperienza, arriva a porre la stessa domanda. Chiedersi “quale Dio” non significa cadere nel soggettivismo, negare l’oggettività di Dio. Dio non si esaurisce in una sola immagine, egli non è dato, totalmente dato, deve essere cercato. La stessa Bibbia è percorsa da diverse percezioni di Dio, e non tutte valgono allo stesso modo; ma l’una va presa e l’altra lasciata, man mano che Dio si fa più manifesto e man mano che cresce l’esperienza spirituale dei credenti. È per questo del resto che si parla di un “Dio di Gesù Cristo”».

Il Dio di Gesù Cristo… vediamo come ce lo presenta il testo di Lc 23,35-43, il Vangelo che la liturgia ci propone per questa domenica intitolata a Cristo Re. L’evangelista tratteggia molto bene qual è il Dio di Gesù Cristo, qual è questo Re. Lo ritroviamo infatti appeso a una croce, in mezzo a due malfattori, con «il popolo [che] stava a vedere» e «i capi [che lo] schernivano»; «anche i soldati lo schernivano» e «c’era anche una scritta sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei»; perfino «uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!».
Eccolo il Dio di Gesù Cristo… eccolo il nostro Re: non dice né fa niente, non scende dalla croce, non risponde a chi lo uccide, non tenta di spiegarsi…

Eppure, a un certo punto, quella bocca la apre!
E lo fa in risposta alle uniche parole umanizzanti che vengono pronunciate da chi lo circonda: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».
Sono parole che hanno un’intonazione di riconoscimento (il “buon ladrone” è l’unico che chiama Gesù per nome) e di affidamento («ricordati di me»). E solo queste sono le parole che fanno reagire Gesù, finora inerme e silenzioso sulla croce. Allo scherno, alla derisione, all’incredulità non c’è risposta (mentre noi un qualche fulmine ce lo saremmo aspettato… sempre a proposito dell’immagine di Dio che abbiamo in testa…). La risposta arriva solo per le parole di riconoscimento, di affidamento… e per le parole dell’uomo sofferente (ricordiamoci che il “buon ladrone” è un uomo che muore e, come ci ha ricordato De Andrè, «un ladro non muore di meno»).
E anche la risposta di Gesù è una risposta umanizzante, una risposta di salvezza: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso». È come se questi due uomini, mentre muoiono si ricordassero a vicenda la propria identità: il “buon ladrone” ricorda a Gesù quale Dio è… e Gesù, che gli risponde introducendo le sue parole con una formula di identificazione forte ( “In verità ti dico” è appunto un’espressione del gergo personale di Gesù), gli ridona la sua umanità: «sarai con me».
Alla domanda “Quale Dio?” allora è necessario che rispondiamo: questo Dio. È a lui che dobbiamo dire, come fecero le tribù di Israele a Davide: «Noi ci consideriamo come tue ossa e tua carne».
È lui infatti, come ci racconta Paolo nella sua lettera ai Colossesi, che «ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce», è lui che «ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati», è per mezzo di lui che «tutte le cose sono state create», è a lui che piacque di «riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua crocee, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli».

Ma se tutto questo è vero e pure fonda la nostra vita, allora perché, a volte, alzando la testa a quella croce, mi viene da dire che io un Dio così non lo voglio? Perché un Dio così, conduce anche me su sulla croce…
E tutto di me si ribella a questo destino… tranne forse… due dita di bene che voglio ai miei fratelli.

venerdì 12 ottobre 2007

Bonhoeffer (lett a Eberhard, 21 luglio ’44)


[…] Mi ricordo di un colloquio che ho avuto tredici anni fa in America con un giovane pastore francese. C’eravamo posti molto semplicemente la domanda di che cosa volessimo effettivamente fare della nostra vita. Egli disse: vorrei diventare un santo – e credo possibile che lo sia diventato –; la cosa a quel tempo mi fece una forte impressione. Tuttavia lo contraddissi, e risposi press’a poco: io vorrei imparare a credere.
Per molto tempo non ho capito la profondità di questa contrapposizione. Pensavo di poter imparare a credere tentando di condurre io stesso qualcosa di simile a una vita santa. Come conclusione di questo percorso scrissi Sequela. Oggi vedo chiaramente i pericoli di questo libro, che sottoscrivo peraltro come un tempo.
Più tardi ho appreso – e continuo ad apprenderlo anche ora – che si impara a credere solo nel pieno essere-aldiquà della vita. Quando si è completamente rinunciato a fare qualcosa di noi stessi – un santo, un peccatore pentito o un uomo di Chiesa (una cosiddetta figura sacerdotale!), un giusto o un ingiusto, un malato o un sano –, e questo io chiamo essere-aldiquà, cioè vivere nella pienezza degli impegni, dei problemi, dei successi e degli insuccessi, delle esperienze, delle perplessità – allora ci si getta completamente nelle braccia di Dio, allora non si prendono più sul serio le proprie sofferenze, ma le sofferenze di Dio nel mondo, allora si veglia con Cristo nel Getsemani, e, io credo, questa è fede, questa è metànoia, e così si diventa uomini, si diventa cristiani. (Cfr. Ger 45!). Perché dovremmo diventare spavaldi per i successi, o demoralizzarci per gli insuccessi, quando nell’aldiquà della vita partecipiamo alla sofferenza di Dio? Tu capisci che cosa intendo dire, anche se lo dico così in poche parole. Sono riconoscente di aver avuto la possibilità di capire questo, e so che l’ho potuto capire solo percorrendo la strada che a suo tempo ho imboccato. Per questo penso con riconoscenza e in pace alle cose passate e a quelle presenti.
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