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martedì 17 febbraio 2009

Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me

È proprio rimasta nel cuore della giovane Chiesa questa pagina del vangelo di Marco (10, 46-52) e poi ha via via accompagnato anche lungo il cammino della comunità cristiana i passi importanti, ha dato origine, proprio questo brano di Marco, ad alcuni passaggi molto belli e preziosi della tradizione catecumenale della Chiesa. E perché? Forse i segni più evidenti sono da una parte scorgere che il senso di questa pagina non è primariamente quello di dire la premura di Gesù per un povero - certo, è evidentissimo, lo manda a chiamare, dice a loro di accompagnarlo - ma è quello di manifestarsi nella sua identità più profonda, tant’é che parla di fede, perché “adesso che mi hai visto, adesso che sei tornato a vedere, adesso riponi una fiducia vera in me”, il cammino della fede, appunto. Ma poi, ed è molto bella questa annotazione, perché proprio questo brano consegna una di quelle preghiere “Figlio di Davide, abbi pietà di me”, che sono divenute anche le preghiere intense dei poveri, di chi magari non saprebbe pregare diversamente, perché povero, perché la sua vita è travagliata, perché neppure ha il tempo per la preghiera. Nella grande tradizione russa quanto era incoraggiata questa invocazione come preghiera quotidiana, tuttora, ma è ancora bello trovare anche oggi persone, uomini e donne, che questa invocazione “Figlio di Davide, abbi pietà di me” l’hanno davvero quotidianamente a cuore. Qualcuno quando celebra la Riconciliazione dice proprio questa preghiera come atto di pentimento, una preghiera intensa, un’invocazione accorata. C’è anche un ultimo aspetto che la Tradizione spirituale della Chiesa ha messo in grande risalto, proprio nella parte finale, le ultime parole : “subito vide di nuovo”, è tornato a vedere, la gioia del vedere, “e lo seguiva”, ecco, termina con una sequela, con una scelta di sequela, perché quell’incontro non è stato solo il garantirsi di un dono eccezionale - tornare a vedere - ma è stato soprattutto il riconoscere un Maestro, e allora non basta tornare a casa con la proprio gioia, occorre dirgli: “Adesso io ti seguo, Signore, lungo la strada”. Ecco, stamattina il Signore ha preparato per noi questo pagina, perché dia luce e forza e speranza alle ore di questa giornata, perché alimenti la nostra preghiera. “ Signore abbiamo tante ragioni per invocare il dono del tornare a vedere, tante ragioni, e te le affidiamo con l’ implorazione del figlio di Timeo, Bartimeo, “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me”.
don Franco Brovelli, omelia al Carmelo di Concenedo, 17 feb ’09

domenica 15 febbraio 2009

Vedere dentro, Vedere il cuore!

“Vedi questa donna?” Questa domanda che Gesù rivolge a Simone sta proprio al centro del racconto bellissimo di Luca (7,36-50) che stamattina sta guidando la nostra preghiera, perché c’è modo e modo di vedere. C’è chi vede e prende nota, descrive, e c’è chi vede e scopre il cuore dei gesti che avvengono, il perché, questa è la differenza. I gesti di quella donna a tutti i benpensanti che erano nella casa di Simone il fariseo apparivano assolutamente inopportuni, anzi, francamente scandalosi anche perché fatti così, abusivamente, era entrata senza essere invitata nella casa e poi quella prossimità cercata con Gesù, con la persona di Gesù, bagnando di lacrime i piedi e asciugarli poi con i capelli, sono gesti che dicono una intensità di affetto e di vicinanza e “questa era una peccatrice, lo sapevano tutti”, pensa tra sé e sé Simone. Solo che Gesù ha visto dentro, non ha visto solo i gesti fuori, ha visto il cuore. Simone era fiero di aver invitato Gesù e che Gesù avesse accolto l’invito a venire in casa, a pranzo, ed era probabilmente un fariseo osservante, scrupoloso, conosce i dettagli della legge tant’é che non riesce assolutamente a sopportare che Gesù dia un credito così ad una donna che tutti conoscevano dalla vita sbagliata. Ma non legge dentro, neanche dentro di sé. Non riesce a leggere sé, sta ai codici della legge che conosce, e quindi non ce la fa a riconoscere la diversità profonda di Gesù. Quella donna invece aveva il peso di una vita sbagliata, se lo portava, quasi schiacciandola, ma aveva anche una voglia enorme di rinascere e allora, e allora bisognava esprimerlo e i linguaggi di una persona povera, che sa di essere con la vita sbagliata, i linguaggi sono quelli dei gesti, sono quelli dell’affetto, sono quelli dell’amore e Gesù ha visto questo, ampiamente. La parola bellissima che dice “lei ha molto amato, ha molto amato”, l’orizzonte con cui Gesù scruta e valuta è questo, è qui che tocchiamo con mano la buona notizia del Vangelo, che è la parola di grazia che il Signore ci fa, perché ognuno di noi dopo impari e scelga di amare il Signore e di amare molto il Signore, come “ha molto amato” questa dona peccatrice. E allora questa pagina guadagna un’intensità e una bellezza ancora maggiore di quanto percepisci ascoltandola, è davvero una pagina che dopo ti impegna la preghiera, che ti fa sgorgare dentro un senso profondo di gratitudine, quando evocavo all’inizio il titolo che è stato dato a questa domenica, “La domenica della divina clemenza” il titolo, bello, però è astratto, ma adesso la vediamo esercitata la divina clemenza e questo è infinitamente più bello, è commovente. La divina clemenza che si esprime in questi gesti ospitali che Gesù rivolge nei confronti di una donna dalla vita sbagliata. “Hai molto amato, và, la tua fede ti ha salvato, sei rinata”. E quando un’esperienza così entra nel cuore può cambiare davvero molto nella vita, del resto Paolo è il testimone più convincente di come la vita possa cambiare quando una condizione così entra nel cuore. Rileggo soltanto una frase del testo ai Galati (2, 19-3,7) che abbiamo ascoltato poco fa: “Sono stato crocifisso con Cristo e non vivo più io, ma Cristo vive in me” e aggiunge “e questa vita che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha consegnato sé stesso per me”. “ Mi ha amato”, questa è la mia nobiltà, questa è la mia grandezza e allora la vocazione della vita è evidente che diventa quella del restituire un amore, restituire, perché il suo è stato, ed è, sovrabbondante, immeritato, glielo restituiamo l’amore. Eppure, ed è l’ultimo accenno che faccio riprendendo il testo di Osea (6, 1-6), probabilmente è una pagina che guidava quella che noi oggi chiameremmo una liturgia penitenziale; da una parte dice la coscienza che il popolo ha della propria vita fatta di lontananza e di errori, ma “Lui ci farà rialzare”, “la sua venuta è sicura come aurora”, c’è dentro una speranza profonda perché sta toccando con mano, questo popolo in cammino, l’amore di Dio; e la risposta di Dio nella seconda parte del testo è bellissima: “Io vedo che voi promettete ma poi la vostra promessa dura il soffio di un mattino, ma io non abbandono, però, voglio l’amore e non i sacrifici”. “Voglio l’amore”: eccola qua la parola chiave che poi riecheggia nel Vangelo di Luca, “Voglio l’amore”. Questa è la parola forte il Signore stamattina ha preparato per noi, per questa eucaristia domenicale. “Voglio l’amore”, “ha molto amato questa donna”, l’ amore genuino al Signore, umile, fatto nella coscienza che siamo poveri e spesso diventiamo lontani da Lui, che non facciamo, non riusciamo a mantenere promesse espresse, la vita è spesso intrisa di fragilità, di sbagli, ma questo mai porterà via la possibilità gioiosa di amare. “Tu ci stai a cuore, Signore, Tu sei grande con me, Tu sei il Signore!”. Ecco, questa è la preghiera di oggi.

don Franco Brovelli, omelia al Carmelo di Concenedo, 15 feb ’09, penultima domenica dopo l’Epifania

domenica 8 febbraio 2009

La gioia di una accoglienza inaspettata

Quando incomincia questo incontro - il racconto che Matteo (15, 21-28) ora ci ha fatto riascoltare - le distanze sembrano davvero enormi e quindi parrebbe davvero inavvicinabile la possibilità che la vita di questa donna e il Maestro di Nazareth si possano davvero incontrare, perché già il territorio è straniero, la zona di Tiro e di Sidone e per di più lei è donna straniera, dice “è una donna cananea”, che veniva da quella regione, e poi questo modo sgraziato, grida, è tipico di chi non sa contenere il disagio e il dolore che ha dentro e allora lo butta fuori come può, come sa, e in una forma fastidiosa se è vero che i discepoli dicono “esaudiscila perché, vedi, ci viene dietro gridando”. Ma poi questa distanza si acuisce ancora di più e, direi, sorprendentemente per questi due primi atteggiamenti di Gesù, quando annota che “non gli rivolse neppure la parola”, non è lo stile consueto di Gesù, ma Matteo lo registra questo e anzi ci aggiunge anche una risposta più tagliente, “io non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa di Israele” e lei non è di quelle; quindi, davvero sembra impossibile l’incontro. Ma i poveri hanno una loro forza, innata, e il dolore di una mamma per la sofferenza del proprio figlio - malata sua figlia gravemente - il dolore di una mamma sa sfondare, si propone e lo fa con quelle frasi divenute bellissime e indimenticabili, - come vi inviterei a tenerle nel cuore queste espressioni, come invito ad una confidenza sempre grande con il Signore - perché a quella frase forte e dura di Gesù, “non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini”, quindi marca ancora la distanza: “tu non sei di casa, tu sei straniera!”, lei restituisce una risposta inaspettata e bellissima “è vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”, non si offende d essere messa nel numero dei cagnolini, non pretende di divenire figlia, ma “anche loro, i cagnolini, hanno una loro dignità e il mio dolore te lo affido”. Questo atteggiamento umile e intensissimo di fiducia sfonda e Gesù le restituisce la gioia di una accoglienza inaspettata “donna grande è la tua fede! Avvenga di te come desideri”. E’ entrata, non c’era ragione per tenerla fuori perché la fede, la fede vera, fa diventare di casa, introduce, crea una famigliarità reale, e Gesù la riconosce in questa mamma affranta dal suo dolore. Questa è la parola del Vangelo affidata oggi alla Chiesa perché a questa Parola attinga, perché da questa Parola impari questa magnanimità di cuore, questa accoglienza ospitale, questa grandezza d’animo: Dio non fa selezioni, non butta fuori quando vede la sincera apertura del cuore, accoglie, introduce e non importa chi è colui che bussa, da dove viene, se straniero o del paese nostro, se lontano o vicino, se segnato da sbagli che schiacciano la vita oppure già retto ed onesto, “adesso mi cerca con cuore sincero e io non lo faccio aspettare”. “Donna grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri”. Ecco questa Parola è proprio un regalo grande del Signore per questa domenica e consentiamole di entrare, nel cuore, quando una Parola così cominci non solo ad udirla, ma a farla tua, a crederla profondamente vera, molti aspetti della vita cambiano, molti linguaggi, stili, comportamenti, atteggiamenti, cambiano perché in qualche modo sei profondamente toccato da questo stile magnanimo e ospitale di Dio e allora dopo che fai, il piccino con gli altri ? Il gretto? Quello che fa finta di non udire, di non vedere, quello che non raccoglie il grido di chi soffre? Ma se non lo fa Dio con noi! E per fortuna che Dio è così. Qui poggia la nostra speranza più vera. I testi, tra l’altro, sia quello del profeta (Is 60, 13-14) e quello che già richiamavo all’inizio di Paolo (Rm 9, 21-26), sembrano volerci dire guarda che questo non è capitato a caso nel territorio di Tiro e di Sidone, questo progetto di magnanimità stava da sempre nel cuore di Dio. Il profeta lo aveva intravisto quando parlava degli oppressori che vengono ospitati, e Paolo lo riconosce come dono meraviglioso dell’Evangelo del Signore. Ecco oggi la nostra preghiera sia questa, che l’accoglienza che diamo alla Parola abbia questa schiettezza, questa profondità.

don Franco Brovelli, omelia al Carmelo di Concenedo, 8 feb ’09. V domenica dopo l’Epifania

domenica 1 febbraio 2009

Dare credito a uno così!

Certo rimanere nel sonno mentre c’è una bufera di vento e l’acqua invade la barca continuamente, è proprio sorprendente. Andavo a scuola tutte le mattine da ragazzetto in barca al mio paesello, e una scena così è assolutamente inimmaginabile: quando c’era vento altroché si era svegli, tutti, anzi, con una paura enorme.
Ma l’intento, appare evidente quando entriamo in preghiera di fronte a questo Vangelo (Lc 8, 22-25), l’intento non è quello di dire una cosa scioccante, che stupisce, è piuttosto quello di regalare una certezza: anche nei momenti duri di bufera e di tempesta, Lui c’è e dà pace. Mi pare proprio questo il cuore di questa pagina bellissima di Luca, tant’è che anche quando si apre un dialogo tra Gesù e i suoi discepoli che sono impauriti e nel panico nella barca, il dialogo non avviene su cose eccezionali che sono accadute, ma su qualcosa che poi si decide nel cuore: sono due le espressioni che emergono. La prima è quella dei discepoli: “Chi è costui?”, “Mai vista una cosa così: chi è costui?”. L’augurio di Luca, che ci consegna questo racconto, è: “fallo il cammino per capire chi è Costui e fallo fino in fondo, e fallo con amore, perché uno così merita davvero di essere conosciuto, e bene, e da vicino. “Chi è costui?”, una domanda che questa mattina è bello tenere nel cuore, come regalo di questa celebrazione domenicale. E poi, l’altra espressione è di Gesù: “Ma, dov’è la vostra fede?”. Ecco, domanda la libertà della fiducia: “Sono qui, fidatevi però”. La vicinanza che sceglie di aver con i suoi, gli legittima la domanda: “Ma abbiate fiducia, abbiate fiducia!”. E qui avvertiamo subito che il Vangelo, questo Vangelo, è andato oltre questo episodio, è andato oltre quel momento, oltre quell’episodio, tant’è che questa mattina è impossibile udire questa pagina come se fosse un racconto che ha toccato altri. Certo che li ha toccati, ma questa pagina la stiamo udendo noi, noi adesso, e questa pagina, proprio per quello che esprime e che consegna, parla a noi, adesso: “Anche nelle situazioni più difficili Io ci sono, contateci!”. E’ dentro, facciamola fiorire la voglia di rispondere: “Chi è costui?” perché è, perché lo cerchiamo, perché camminiamo verso di Lui, perché ci lasciamo attrarre e persuadere dalla parola del suo Vangelo, perché la nostra vita diventa cammino, diventa ricerca, diventa viaggio. Vogliamo vederlo da vicino Costui a cui i mari e i venti obbediscono.
Del resto ci direbbe il testo antico che abbiamo ascoltato dal libro della Sapienza (19, 6-9), del resto aveva già dato prova, meritava una fiducia così: quando in quella situazione del tutto improbabile ha fatto uscire all’asciutto attraversando il mare il popolo schiavo e gli ha dato la gioia di intraprendere l’esperienza dell’Esodo. Questo è il Signore: fedele nella sua Parola, che adempie le sue promesse. Veniva da lontano, quindi, un annuncio come questo; il Vangelo, certo, lo conduce a compimento, molto più in là di quanto noi avremmo osato sperare e tanto meno pretendere.
Ma è bello anche sentire con quale animo ce lo dice Paolo (Rm 8, 28-32) che vale la pena di fidarsi del Signore e vale la pena di cercare in tutte le nostre risorse, di intelligenza e di cuore, chi è il Signore. Questa pagina bellissima del capitolo 8 della lettera ai Romani enumera, quasi in una successione incalzante di verbi tutti i doni ricevuti, perché chiamati, conosciuti, predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio, e poi ancora, chiamati, giustificati, glorificati. Ha fatto questo, ha fatto questo, non l’ha solo promesso, questo è accaduto, questo è il dono della Pasqua. “Questo è accaduto in me, Paolo, che vi sto parlando”. E io a uno così non do credito? A una promessa che si compie in questo modo, non apro il cuore con una disponibilità vera? Ecco il dono della Parola di questa domenica, della Scrittura Santa che ci accompagna nell’Eucaristia e che fa da faro di riferimento per l’intera settimana.
Oggi è anche bello sentirsi in una comunione di preghiera con tutte le Chiese: celebriamo la domenica per la vita. E come mi piace dire soltanto questo: questo è davvero il Dio della vita, questo, il Dio dei viventi, e l’amore alla vita, e la custodia del dono della vita appassionata e intelligente, fraterna e sincera, trova qui la sua radice più profonda, che “Tu sei il Dio della vita! E da Te non l’abbiamo ricevuta. E a Te noi faremo ritorno, perché la vita non termina, nella Tua casa la vita continua definitivamente, ed è nella tua casa. Noi di questo, Signore, ti rendiamo grazie.”

don Franco Brovelli, omelia al Carmelo di Concenedo, 1 feb ’09, IV domenica dopo l’Epifania

domenica 25 gennaio 2009

Come una piccola scuola dove apprendiamo a vivere di Vangelo


Certo imitare la famiglia di Nazareth - troppo singolare l’esperienza di questa famiglia - non è possibile, ricalcando passi, situazioni, avvenimenti, però imparare a prendere il Vangelo dalla famiglia di Nazareth, oh!, questo si; anzi mi chiedo se questa non sia la grazia di questa domenica che celebra la festa della Santa Famiglia di Nazareth.
E facendoci aiutare come sempre, anche se solo inizialmente, poi dopo ognuno può continuare nella riflessione e nella preghiera anche lungo il giorno e nei prossimi giorni, facendoci aiutare da questi testi proclamati, come una piccola scuola dove apprendiamo a vivere di Vangelo.
Ci direbbe quel testo molto bello del profeta (Is 45, 14-17) che abbiamo ascoltato poco fa, “non cercando logiche di potere o di forza, ma percorrendo piuttosto i sentieri della mitezza, della giustizia, della bontà”. Questo apre il cuore di una famiglia, di una comunità, di un popolo, alla logica di Dio. E queste parole come diverranno sempre più incisive e concrete man mano che questa logica di Dio si andrà manifestando. Questo era un momento, certo importante, del cammino del popolo di Dio, ma dopo, pensiamo il momento dei libri della Sapienza, il momento di Gesù, questa logica di Dio, intrisa di mitezza e di bontà e di magnanimità sempre più evidente sarebbe apparsa. Questo è un apprendere il Vangelo, e questo vuol dire custodirsi bene da affanni eccessivi, da logiche che non sono somiglianti al Vangelo, e anche all’interno di un’esperienza di famiglia, di comunità, tutto questo può accadere, lo sappiamo, l’esperienza ce lo va dicendo, e come allora diventa bello questa mattina pregare il Signore Dio perché questo ci sia dato come dono e come grazia.
Oppure ci direbbe il testo della Lettera agli Ebrei (Eb 2, 11-17): “prendendosi cura degli altri”, come Lui, in tutto simile a noi, “si è preso cura della stirpe di Adamo” – bellissima questa frase che commenta il mistero dell’Incarnazione del Signore in una forma ineguagliabile come profondità, come bellezza. “Il prendersi cura di” fratelli e sorelle, questo è un apprendere il Vangelo, l’imparare il Vangelo. Ed è l’augurio che la liturgia di oggi sembra consegnare alle famiglie: diventino sempre più spazio e luogo dove la scelta del prendersi cura diventa un valore amato, uno stile educativo, una cosa che ci aiutiamo a perseguire in profondità. E questa ci è data come possibilità, anche avessimo difficoltà, e magari serie, dentro il cammino della nostra famiglia, comunque questa libertà del continuare a prendersi cura, del farsi carico di altri, questa nessuna situazione ce la potrà sottrarre, rimarrà una possibilità sempre aperta; anzi, a volte, sono proprio le persone più segnate dalla prova che si rivelano più capaci di prendersi cura di altri. Quasi come se la prova affinasse il cuore e ci rendesse più capaci di una disponibilità sincera.
Oppure, ed è l’ultima strada che la liturgia ci propone in questi testi: quell’abitare i confini piccoli di Nazareth, si concludeva così il brano (Lc 2, 41-42): “venne a Nazareth e stava loro sottomesso e sua Madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore”. Come un invito a non ritenere mai che la vita feriale, sempre identica nei suoi ritmi, in contesti semplici e poveri dove scorrono i nostri giorni e i nostri anni, non rassegnarsi mai a pensare che essi diventino la tomba dove si spengono gli ideali, dove i valori grandi escono mortificati. Ci direbbe l’esperienza di Nazareth: “guarda che piuttosto è vero il contrario, che abitare nei confini poveri, con una carica di amore vero, con uno sguardo comunque che va oltre i tuoi confini e che vorrebbe abbracciare l’intera ricerca e sofferenza dell’uomo, questo non è il far morire gli ideali, anzi è un alimentarli e in maniera grande e vera”. Forse alludeva a questo in quella risposta Gesù alla madre e al padre che angosciati lo cercavano: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”.
Ecco sono alcuni doni che riceviamo nella liturgia di oggi, in questa domenica della famiglia e sappiamo quanto parole e convinzioni così diventino sempre più preziose oggi. E’ insidiata in mille modi oggi la famiglia, addirittura a volte nella stessa possibilità di esserci; e anche quando poi è data la libertà di farla nascere una famiglia, nelle scelte libere del cuore di un uomo e di una donna, la storia ci sta dicendo quanto sia frequente il frantumarsi di tutto, e magari dopo pochissimo tempo. Comunque il venir meno di un sogno , di una scelta, di un amore perseguito come senso della propria vita. A volte tutto questo sembra introdurre uno sguardo pessimista e negativo, che non è più capace né di sognare né di rilanciare, quasi incapsulato dalle tante drammatiche situazioni che segnano oggi la vita di tante famiglie o mettono in salita il loro cammino, anche dal punto di vista delle risorse di cui vivere, delle risorse economiche.
Pregando con calma questi testi, francamente sentivo piuttosto un invito nella direzione opposta: non ad intristirsi fino a divenire incapaci di intuire i valori più grandi, piuttosto un incoraggiamento è ad amarle ancora di più queste scuole di Vangelo, perché poi è forse questa l’esperienza che custodisce e che salva, che consente di nuovo di rimettersi in cammino, di nuovo di dire a dei giovani che un’esperienza come quella di vita matrimoniale è esperienza degna del nome della vocazione, esperienza degna di essere amata e vissuta con tutte le proprie capacità. Ecco, stamattina noi siamo pochi a celebrare, ma come è bello sentirsi dentro lo sterminato mondo delle famiglie e pregare con loro, e pregare a nome loro e pregare noi stessi come famiglia Tua, Signore.
don Franco Brovelli, omelia al Carmelo di Concenedo, 25 gen.’09, Santa Famiglia di Nazareth

lunedì 19 gennaio 2009

Il vino buono del Vangelo


Vuole un po’ come ricondurci verso la riscoperta di un Volto vero del Signore, la liturgia di queste domeniche, anche quella d’oggi, appunto, come a rendere ancora più luminosa quella manifestazione del Signore, che abbiamo celebrato il suo inizio proprio nella solennità dell’Epifania.
Se preghiamo così i testi che ora stanno accompagnando la nostra preghiera domenicale, ci accorgiamo di alcuni elementi di risposta preziosi che poi aiutano un cammino di fede, indicano mete e passi da compiere, da atteggiamenti da coltivare. Ci direbbe, ad esempio il profeta (Is 25, 6-10a), “Vedi, il Signore è uno che le compie le promesse, non si limita a farle, poi le conduce a compimento, il Signore è fedele alla sua Parola”. E il profeta lo dice con gioia, con gratitudine, lo ricordavo all’inizio: “Questo è il Signore in cui abbiamo sperato!”. Con una sorta di fierezza nel riconoscere che il Dio in cui abbiamo e stiamo riponendo le nostre speranze, è un Dio che non tradisce, che non cambia le carte in tavole, che mantiene la parola data. E allora la Parola che Lui ci ha consegnato, nel Volto del Signore, nel Vangelo del Signore, questa è la Parola da custodire nella vita, questa è la Parola da cui farsi irradiare nella vita, questo è il luogo dove attingere una luce che poi orienta i nostri passi.
Oppure ci direbbe Paolo, e riprendo almeno qualche aspetto di questa bellissima pagina della lettera ai Colossesi (2, 1-10a). Cioè l’aver imparato a conoscere il Signore vuol dire adesso radicarsi in Lui: “Camminate radicati e costruiti su di Lui, saldi nella fede”. Questo è un tipo di consegna che può fare uno che ha veramente compreso, che ciò che Dio ci ha dato attraverso Gesù, attraverso il Vangelo di Gesù, nella presenza viva di Gesù, è qualcosa di solido, che ha la stabilità di un fondamento: costruisci sopra un fondamento così, stai tranquillo, la casa reggerà, qualsiasi tempo ci sarà regge, perché questo è fondamento solido. E utilizza le immagini a lui care, del “radicati e costruiti su di Lui”. Dice una stabilità, dice una fedeltà che no si lascia contaminare da rischi o da paure, da seduzioni o da prove: “sei Tu la mia roccia, Signore; sei Tu Colui sul quale poggiamo la nostra speranza”. E questo dopo che risorsa diventa in un cammino di fede, quando sono queste le condizioni che ci sostengono, davvero il Signore consente di andare lontano perché queste sono parole forti, hanno un fondamento solido.
Ma poi di quella pagina indimenticabile che sono le nozze di Canaa, che il Vangelo di Giovanni (2, 1-11) ci regala, raccolgo l’ultimo aspetto, anche qui solo qualcosa di questo testo molto più ricco. Da una parte, ecco, quella consegna che viene, ed è bello questo, dalla Madre di Gesù. E’ lei che vede l’imbarazzo degli sposi, vede il disagio per una inevitabile figuraccia, e risolve, quasi introducendosi a sorpresa – “non è ancora giunta la mia ora”, le dice Gesù -, ma la sua parola rimane ferma: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela!”. Ecco, questa è una consegna, di fare ciò che ci dice il Signore. La fedeltà alla parola del Vangelo è espressa con una forza davvero straordinaria, e noi una Parola così la dovremmo raccogliere, per di più, viene da lei, da Maria di Nazareth, viene dall’attenzione squisita che ha verso questa gente semplice, che vedrebbe rovinato un giorno di festa su cui aveva puntato tanto e da tanto tempo.
Ma anche un ultimo aspetto vorrei affidarvi per la preghiera, quello dell’attingere al vino buono del Vangelo, a un vino non contaminato, non annacquato, il vino buono del Vangelo. Questo è un invito a non intiepidire la vita lungo il cammino, a non rendere sbiadita la Parola che invece è luminosissima, come quella del Vangelo, a non far venire un otre appesantito un passo che invece ha sempre bisogno della vivacità e della convinzione di chi sa di aver posto la propria fiducia in Uno che ampiamente la merita. Il vino buono del Vangelo: la nostra vita chiamata a custodirlo, chiamata ad attingere al vino buono del Vangelo, chiamata a regalarlo il vino buono del Vangelo.
E’ piena di ricchezza e di suggestione la Parola del Signore che segna questo giorno domenicale. Lo accompagniamo anche con quella preghiera corale che, proprio a partire da oggi, diventa invocazione del dono dell’unità tra tutte le Chiese cristiane, in questa settimana particolare di preghiera. Ieri l’aveva aperto il capitolo relativo al rapporto con i nostri fratelli ebrei, e ora, giorno dopo giorno, questa implorazione non manchi, nella nostra preghiera.

don Franco Brovelli, omelia al Carmelo di Concenedo, 18 gen.’09, II dom. Tempo dopo l’Epifania

mercoledì 7 gennaio 2009

Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, Figlio di Davide



Dal 1 di novembre 2008 don Franco è nostro vicino di casa, condividiamo quanto ci dona nelle sue omelie.


Quando poco fa il salmo ci faceva pregare restituendo una risposta alla pagina del Cantico (Ct1, 1; 3,6-11), “Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, Figlio di Davide”, davvero orientava, e bene, la nostra preghiera, perché di Lui si parla, è Lui lo Sposo che viene, è Lui il nuovo Re della Gloria: Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, Signore Gesù. E questa espressione di fede, carica di affetto, come la sentiamo estremamente sincera, in giorni così, segnati dalla Luce e dalla Grazia del Natale, perché, davvero, per mille ragioni e soprattutto, in ragione del perché sei venuto tra noi, nella forma in tutto simile alla nostra, noi ti riconosciamo come il più bello tra i figli dell’uomo, Figlio di Davide. E’ la nostra preghiera di questa mattina che s’accomuna a ogni sguardo che sa contemplare il Dono di Grazia del Signore.
E anche la pagina di Luca (12, 34-44) ci incoraggia in una direzione così: perché mai dovremmo tenere le vesti strette ai fianchi e le lampade accese e rimanere a vegliare? Perché Colui che viene e che verrà merita il meglio dell’attesa, merita un cuore che veglia, merita il desiderio di un incontro. E’ il Signore, farà ritorno dalle nozze! E, in verità vi dico – aggiunge il testo di Luca – si stringerà le vesti ai fianchi, vi farà mettere a tavola, passerà a servirvi. Mai avremmo immaginato così il volto del Maestro, così famigliare, così accogliente, così vicino, addirittura ci mette a tavola e passa a servirci, di questo rendiamo grazie.

don Franco Brovelli, omelia al Carmelo di Concenedo, 7 gen. 09

giovedì 25 dicembre 2008

Frammenti di Natale

Dal 1 di novembre 2008 don Franco è nostro vicino di casa, condividiamo quanto ci dona nelle sue omelie.

Il Segno, in fondo era proprio piccolo, assomigliava a tanti eventi, gioiosi, ma che accadono nelle case, nelle famiglie comuni, appunto il nascere di un bimbo e a Betlemme: questo era accaduto. Eppure questo Segno, piccolo, era preparato da un sogno e da un Sogno di Dio, non nostro, che stava nel cuore di Dio. Penso che tutti abbiamo ascoltato con un animo così quella splendida pagina del Profeta che poco fa ci ha fatto udire che potrebbero accadere anche gli abbinamenti più inconciliabili, le sintesi più impossibili, le vicinanze del tutto improbabili. Man mano che scorrevano le immagini del Profeta, questo lo sentivamo come qualcosa di assolutamente profondo: "spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci, una nazione non alzerà più la spada contro un'altra nazione, non impareranno più l'arte della guerra", fino a concludere con quel augurio che mi piace questa sera condividere come l'augurio più bello del Natale cristiano: "casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore". Ma proprio per questo siamo invitati ad entrare nel Mistero di Grazia del Natale, quella Luce che squarcia il buio della notte e irrompe dilagante; come la luce, appunto, non riesci mai a contenerla la luce, se c'è, entra, ed entra ovunque.
Paolo sembra volerci aiutare questa sera a riconoscere che qs non è un mito che dopo viene caricato di retorica, no, questo è un avvenimento accaduto per il volere di Dio, qualcosa che è entrato nella carne della storia degli uomini, nella terra degli uomini, nello scorrere del tempo degli uomini, lì è entrato, dove tutti noi ci muoviamo, dandoci un'immagine - Paolo lo fa così - che sorprende per tanti aspetti, un'espressione che probabilmente scorre via quando la ascoltiamo - quella che sta all'inizio del brano ai Galati che abbiamo ascoltato -, "Fratelli, quando venne la pienezza del tempo". Che significa? Ma il tempo non è una successione di giorni, uno dopo l'altro, di mesi, uno dopo l'altro, di anni, uno dopo l'altro, di decenni, di secoli? Quindi cosa vuol dire "la pienezza del tempo"? Sembra volerci proprio augurare questo, Paolo - penso di tradurlo fedelmente comunicandolo così -: "Non è vero che tutto è uguale nel tempo che scorre. Ogni giorno ha una durata uguale ad un altro giorno, ogni anno ha una durata uguale ad un altro anno, certo, ma non tutto quello che accade nel tempo ha un'importanza identica. C'è qualcosa che scorre via, già l'abbiamo dimenticato; c'è qualcosa che affascina al momento, ma dopo la vita conduce oltre; c'è qualcosa che rimane! Che quando lo avvicini, questo che rimane, ti accorgi che ha la solidità di una Roccia, è il Segno di una Verità incrollabile". Paolo vuole dirci: "Guarda che nell'apparire di infiniti bimbi che nascono, questo, questo, di Betlemme porta il Sigillo di una Promessa antica, di un sogno grande di Dio, questa è la pienezza del tempo, questo è il cuore del tempo. E il prima e il dopo girano attorno a questo cuore del tempo". E' un'immagine fortissima per dire: "Riconosci che quello che è accaduto nel Mistero di Gesù di Nazareth è qualcosa di assolutamente eccezionale, anche se ha, e con una intenzionalità vera di Dio, assunto da sempre il volto feriale, umile, discreto, tenero, di un bimbo che nasce nel cuore di una famiglia povera. Questo è l'invito ad aprire il cuore alla Grazia del Vangelo, questa è la Luce che irrompe. E le tenebre, per andarsene hanno bisogno di una Luce vera altrimenti rimangono implacabili nella vita e nella storia. Ma la Luce vera ha fatto breccia, è entrata: "Venne la pienezza del tempo!". Quindi non lo metto accanto a tanti altri episodi questo, lo racconto in modo semplice, certo, come in modo semplice Dio ce lo ha regalato, però è una cosa enorme, enorme! E' l'ingresso di Dio nella storia degli uomini, nel tempo degli uomini, nella carne degli uomini. E Dio è Dio! Dio non lo allineo alle cose banali: è Dio! Questo squarcia il buio della notte, questo. questa sera la nostra preghiera è attraversata da questa Luce. Infine, l'ultimo augurio ce lo regala Giovanni in quella pagina altrettanto splendida: l'inizio del suo Vangelo. Ma qui solo un frammento raccolgo, quello che ci è anche più caro, quell'espressione che sta nella parte finale: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". L'immagine, tratta dal testo originale di Giovanni, è quella della Tenda. "Ha messo una tenda tra noi", fatta di carne, come ognuno di noi, si è messo accanto. E' un gesto che parla da sé, dice il massimo della solidarietà possibile: "Io non intendo rimanere lassù, tra i cieli - sembra dirci Dio - Io metto la mia Tenda, è fatta di carne, come la vostra carne, dentro il vostro campeggio, dentro le infinite tende di uomini e di donne della storia di ieri, di oggi e di domani. Un'identica tenda simile alle vostre, e mi riconoscerete come il Dio vicino, il Dio con voi, come l'Emmanuele, il Dio con noi".
Sono frammenti del Natale quelli che ora ho raccolto e ho detto a voce alta unicamente per aiutare la preghiera di tutti, ma bastano dei frammenti a farci intravvedere la bellezza di un dono, dono per il quale stasera siamo qui insieme a pregare e a rendere lode al Signore.

don Franco Brovelli, Omelia nella Notte del Natale del Santo 2008
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