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martedì 8 settembre 2015

XXIV Domenica del Tempo ordinario


Dal libro del profeta Isaìa (Is 50,5-9a)

Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso. È vicino chi mi rende giustizia: chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi accusa? Si avvicini a me. Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?

 

Dalla lettera di san Giacomo apostolo (Giac 2,14-18)

A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede».

 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 8,27-35)

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».

 

In questa Ventiquattresima Domenica del Tempo Ordinario la Chiesa ci propone – come brano di vangelo – il testo che sta al centro dello scritto di Marco.

Il vangelo di Marco, infatti, proprio all’inizio (cap. 1, v. 1) diceva: «Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio». Il che è curioso, se si pensa che i biblisti ci hanno insegnato che questo evangelista scrive per rispondere alla domanda “Chi è Gesù?”. È dunque curioso che inizi così, perché già nella sua prima riga sembra dare la risposta: è il Cristo, il Figlio di Dio.

Ma… Cosa vuol dire essere il Cristo, il Figlio di Dio? Ecco tutto il resto del vangelo: come se Marco dicesse, la riposta te l’ho data, ma adesso devi riempirla di senso.

Non a caso le “parole chiave” Cristo e Figlio di Dio ritornano nei momenti decisivi e vanno così a segnare la struttura del vangelo: Cristo si ripresenta a metà del vangelo (alla fine del primo tempo, per parlare in gergo cinematografico) e Figlio di Dio alla fine del secondo tempo e del film (Mc 15,39 «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!»).

Solo allora potremo davvero rispondere sensatamente alla domanda “Chi è Gesù?”.

Il brano di oggi corrisponde a quello in cui è contenuta la prima parola chiave: Mc 8,29 «Tu sei il Cristo».

Ci troviamo dunque esattamente al centro del vangelo di Marco, dove ricorre il famoso testo della confessione di fede di Pietro, con tutto quanto segue: il primo annuncio di Gesù della sua passione, il rimprovero di Pietro, il noto “Vade retro Satana” e le parole di Gesù sul discepolato: «Se qualcuno vuol venire dietro a me…».

Questo testo è importantissimo per la fede cristiana perché in esso è strutturato l’itinerario della fede:

-       il primo passo è rispondere alla domanda – rivolta dal Signore a ciascuno di noi “Chi dite che io sia?”;

-       il secondo, è decidere di seguire il Signore («Se qualcuno vuol venire dietro a me»);

-       il terzo, è rinnegare se stessi;

-       e l’ultimo è prendere la propria croce.

Si tratta di un itinerario che in qualche modo scandisce il progredire della vita cristiana, ma che, contemporaneamente, è sempre inesauribile… Ci si ritrova – nelle varie fasi della vita – a ripercorrerlo sempre daccapo, quasi come una spirale che ritorna sempre sulle stesse questioni, ma ogni volta a profondità diverse.

Ma… andando un po’ più a fondo: Cosa vogliono dire queste espressioni? Proviamo a guardarle più da vicino…

 

Innanzitutto rispondere alla domanda “Chi dite che io sia?”: è il punto di partenza per ogni relazione col Signore (ed anche tra di noi…): pronunciarsi su di Lui, sbilanciarsi in una nominazione, nel dargli un nome, nel chiamarlo per nome. La domanda allora diventa radicale: Cosa dico del Signore? Cosa posso/so dire di Lui? Chi è per me, concretamente nella mia vita?

E… Le risposte che dò, sono in consonanza col vangelo?

Entra in gioco in questo primo passo della fede la questione del conoscere (non solo in senso intellettuale). Infatti, solo quando conosco qualcosa o qualcuno posso pronunciarmi con autenticità su di esso, su di lui. L’uomo infatti funziona così: quando incontra qualcosa o qualcuno, è chiamato a pronunciarsi, a prendere posizione, ad avere una reazione. Sempre la nostra soggettività è chiamata in causa, sempre noi ci determiniamo a fronte di ciò che incontriamo, di ciò che ci capita, anche quando decidiamo di non decidere, perché decidere di non decidere è comunque un decidere…

Questo – che vale per ogni ambito e situazione della nostra vita – è tanto più vero quando si ha a che fare con le relazioni… e con la relazione con Dio in particolare. Il primo passo dell’itinerario della fede è dunque impegnarsi in una conoscenza (fatta soprattutto di immersione nella sua Parola e nell’apprendimento di quell’attitudine speciale che è il leggere la storia a partire da quello sguardo lì…) che permetta a ciascuno di pronunciarsi e rispondere alla domanda “Chi dite che io sia?”.

 

Il secondo passo è decidere di seguire il Signore: a fronte di un impegnarsi (cioè di un impegnare se stessi) nella conoscenza del Signore, arriva il momento in cui prendere posizione, in cui sbilanciarsi in una scelta, in cui determinare se stessi: “Questo è uno che vale la pena di seguire” oppure “Questo è uno che non vale la pena di seguire”. Fin qui devono arrivare tutti: gli atei seri, sono quelli che arrivano fino a questo punto dell’itinerario di fede (anche se “ateo” e “itinerario di fede” sembrano parole che non vanno bene insieme).

E allora mi chiedo: Quanto il nostro – spesso ostentato – rispondere che abbiamo deciso di seguire il Signore è frutto di una conoscenza vera di Lui? Quanto è una scelta consapevole e decisiva per la mia vita?

A volte – nell’itinerario di fede – son più seri gli atei…

 

Ma cosa vuol dire questo “seguire il Signore” per cui – ad un certo punto (e poi chissà quante altre volte nella vita) – ci siamo decisi? Risponde il vangelo di oggi: vuol dire rinnegare se stessi.

Qui entriamo nelle due parti dell’itinerario della fede (il terzo e il quarto passo) più travisati nella storia della Chiesa… e allora bisogna farsi attenti… Perché, mentre i primi due, sono i più disattesi, questi due sono i più fraintesi (che forse è peggio…).

Dico questo perché intorno a questo “Rinnegare se stessi” si è alimentata lungo i secoli tutta una certa spiritualità mortificante, castrante, inibente che vedeva nei sorrisi, nelle feste, nelle coccole qualcosa di pericoloso, perché peccaminoso… dimenticando che, invece, la vita di Gesù si è strutturata proprio su queste tre coordinate! Ne è risultata una visione in cui al centro stava il peccato (e non l’amore di Dio in Gesù)… un peccato da evitare (per evitare l’inferno e meritarsi il paradiso), che ha soffocato la vitalità di un sacco di persone e di culture. Non mi dilungo, tanto fino a pochi decenni fa erano ancora ben visibili i tratti di questo sedicente cristianesimo (e sacche residue se ne possono trovare ancora tutt’oggi!)… Mi limito solo a dire che rinnegare se stessi in questa ottica, voleva dire mortificare tutto ciò che aveva a che fare coi “piaceri della vita” (il cibo e il sesso in particolare) e con la titolarità della propria coscienza (accompagna, infatti, questa spiritualità mortificante, un’insistenza marcata sull’autoritarismo).

Rinnegare se stessi, invece, nella logica del discorso che Gesù fa in questo passo del vangelo di Marco, vuol dire invitare chi lo vuol seguire a fare i conti con il “salto evolutivo” che l’essere uomini su questa terra comporta. L’uomo infatti sboccia sul vecchio tronco della materialità e dell’istintività, caratterizzate dai sacrosanti (perché altrimenti non ci saremmo!!) spirito di conservazione e istinto di sopravvivenza. L’uomo ha dentro questa matrice qua! Ma quando il mondo, con l’apparire dell’umano, fa il salto verso lo psichico e poi verso lo spirituale, non può non avere uno sconvolgimento… perché ha dato alla luce la libertà: ora non è più vero che tutto al suo interno si muove secondo leggi naturali pre-scritte; ora è comparso qualcuno che – se vuole – può fare diverso.

È di fronte a questo che Gesù mette i suoi: andare dietro a Lui vuol dire farsi carico di questa possibilità di fare diverso… diverso da come suggerisce lo spirito di conservazione, diverso da come suggerisce l’istinto di sopravvivenza, diverso da come suggerisce la convenienza… Egli infatti chiede di orientare tutte le decisioni secondo un altro criterio, quello dell’amore per l’altro uomo, questo a costo di se stessi, con la fatica di arginare lo straripante io che ci abita e che ha sempre paura di morire e per questo vuole imporsi, salvarsi, avere la meglio… Gesù invece annuncia la possibilità di fare diverso, di convertire questo io dalla paura che lo fa diventare rivale degli altri e aggressivo, possessivo, egocentrico… alla serenità di chi non deve più temere la morte, perché essa – per amore e dall’amore – è stata vinta.

 

Prendendo la propria croce… L’ultimo passo… è anch’esso bisognoso di un chiarimento…

Cosa si è infatti pensato con questo “prendere la propria croce”? Che se sei cristiano (ma anche no, visto che – senza accorgercene – spesso suggeriamo questo atteggiamento anche agli altri…) devi accogliere il male che ti capita nella vita con seraficità: per esempio, se ti viene il tumore, cosa vuoi farci? È la tua croce… Portatela… E via di questo passo…

Attraversando i dolori e i patimenti umani, come elefanti in una cristalleria, noi che dovremmo essere gli esperti di umanità, ci ritroviamo a dire delle mostruosità tali, che se ce ne rendessimo conto ci chiuderemmo in cantina dalla vergogna, senza verso di farci uscire!

Prendere la propria croce è un’altra cosa… non è una disgrazia da accettare, ma è la consapevolezza che seguire il Signore, vuol dire seguire uno che è morto in croce, cioè uno che ha fatto (Lui per davvero!) dell’amore per l’altro uomo l’unico criterio delle sue scelte e questo l’ha portato a morire nudo sul patibolo! Nella sua storia si è visibilizzato che chi sceglie l’amore come criterio non può che finir male, perché l’amore è per definizione dis-armato, dunque feribile… E allora il Signore te lo dice all’inizio: “guarda che se mi segui finisci là”, per evitare che gli vai dietro così, mosso magari da un po’ di entusiasmo… e per farti capire che c’è in gioco qualcosa di serio… che coinvolge la vita intera.

Prendere la propria croce vuol dire allora decidere di seguire il Signore con la consapevolezza e la determinazione che questo ci porterà… alla croce (che quindi non è il tumore, ma tutte quelle conseguenze che il seguirlo comporta, in termini di conservazione, sopravvivenza, convenienza, ecc…).

Perché Lui dice che questa è la Vita vera…

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