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venerdì 8 agosto 2008

Camminare sul mare, e imparare a non aver paura di sprofondare

dal Sinai all’Horeb
Due nomi diversi per la stessa montagna, il luogo della manifestazione di Dio più portentosa nella storia di Israele, nel roveto ardente e nelle tavole della legge – che diventa il luogo del nascondimento più discreto e impercettibile… nel sussurro di una brezza lieve. Il cammino che li lega è il percorso della fede del credente, alla ricerca del Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Mose, di Elia… dei Patriarchi, dei profeti, dei poveri di Jahwé. È il Dio che si è rivelato soprattutto in Gesù, che raccoglie nella sua carne questo ininterrotto cammino ed lo porta a compimento.
Quante speranze e quante sconfitte, quante preghiere e sacrifici e delusioni, nei volti di innumerevoli generazioni, alla ricerca di un Dio affidabile! … perché questo Dio dei nostri padri, appena si manifesta in qualche luogo o in qualche evento, subito sembra pentirsi, come se ogni sovraesposizione (epifania) diventasse subito ambigua, perché l’uomo immediatamente cerca di catturare Dio e tenerselo lì in questa gabbia, a sua disposizione… Ma Dio non sta fermo, se ne va e la gabbia rimane “svuotata”. Figure e simboli sacri per un momento… contenitori venerabili, ma vuoti, presto manipolati dagli uomini: Dio non era nella bufera, non era nel terremoto, non era nel fuoco… La chiamata di Dio è irreversibile…e i suoi doni senza pentimento, ma Dio non è rinchiuso nei suoi doni: l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi… Tutto rimane misteriosamente incompiuto, se non conduce a Cristo, egli, che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Qui si nasconde il mistero/scandalo del Messia, il suo drammatico segreto, profetizzato nel passaggio da una epifania potente (io sono colui che ci sono – in mezzo a voi!), attraverso tutto il percorso tragico della storia di Israele, fino a questa “voce di silenzio svuotato!” di Elia – fino al grido inarticolato sul Golgota (Mc 14,37).

La dinamica evangelica
Il Vangelo non è una favola religiosa che ci distrae dalla troppe delusioni della storia. È la bella notizia dell’esito felice di questa dolorosa vicenda dell’uomo sulla terra, atterrito dalla tempesta che minaccia di ri/sprofondarlo nel caos delle acque da cui proviene. Un esito glorioso già anticipato in Cristo e partecipato fin d’ora ai credenti e all’umanità intera, ma ancora nascosto nel mistero del suo costo …a caro prezzo: a prezzo del suo sangue e dell’incomprensione e dell’abbandono dei suoi stessi amici più cari… ai quali, con segni e con parole, tante volte ha cercato di spiegare il senso della sua avventura nel mondo! Dopo il miracolo, dopo ogni successo, ogni piccola conquista, l’uomo è in pericolo… di mettersi al posto di Dio. Crede invincibilmente di essere “bene” , ha sperimentato un briciolo di pienezza – e crede che il bene sia ormai in suo potere… Non si ricorda più di essere “male” , cioè vuoto, chiamato a riempirsi della benevolenza di Dio… - incapace di consistenza propria che non sia subito avvelenata dalla presunzione.
Questa pagina del vangelo è paradigmatica… La folla reagisce d’istinto al miracolo gratuito e sorprendente del Signore. È “saziata”, e quindi tentata di sequestrare questo taumaturgo che risolverebbe tanti problemi (fino a pensare di farlo re, come ricorda il Vangelo di Giovanni). I discepoli sono invece “costretti” dal Signore a salire in barca e riprendere il viaggio… Sono stravolti, non ci capiscono più niente, perché prima volevano congedare la folla, quando era affamata e senza risorse, e adesso che Gesù la vuole congedare perché è saziata, loro vorrebbero trattenerla, per godersi gli allori del miracolo. Hanno perso la visione vera della realtà, e sono sballottati dalle vicende, prima ancora che dalle onde del lago in tempesta…

Gesù salì sul monte , solo, a pregare
… è l’unico modo per riprendere il senso della realtà umana che si sta vivendo, di prendere distanza dalla presunzione che il bene fatto sia un suo prodotto – l’unico modo di riconnettersi col Bene vero… che è la benevolenza del Padre che vede nel segreto dei cuori e delle vicende. Pregare è questo, per Gesù, benedire il Padre per ciò che ne riceve in dono, implorarlo per riuscire sempre a fare la sua volontà, come appare dai pochi accenni che il Vangelo fa del contenuto delle sue preghiere, e dal “Padre nostro” che ci ha insegnato… che è l’esperienza della sua vita!!! La differenza fra chi prega e chi non prega non sta nella possibilità di ottenere qualche favore in più da Dio o nella diminuzione delle avversità, o in qualche miracolo che alleggerisca la fatica del vento contrario, ma nella capacità di camminare sulle acque, senza sprofondare – senza perdere la fede, per le avversità della vita… Un apprendistato molto difficile e aspro, oltretutto fallimentare, durante la vita del Maestro, ma è l’essenziale dell’essere discepolo di Gesù.

  • Appena cominciano le difficoltà, pur dopo aver visto con i propri occhi, nella moltiplicazioni dei pani, che Gesù è il Signore, la sua proposta evangelica sembra ai discepoli stessi fuori della realtà e la sua figura… un fantasma. La fede non sostiene nella paura perché non è interiorizzata, é una fiducia emozionale, fondata sulla vicinanza fisica del potere, ma non ha impregnato le strutture profonde della persona.
  • La dinamica evangelica della fede ci mette alla prova inoltrandoci (dopo il miracolo, la conversione, la vocazione…) nel mare aperto delle vicende quotidiane con la fatica, la solitudine, la fragilità di tutti… Ci obbliga ad accogliere la sfida della vita, che è “andare a fondo” … e andremo a fondo! unico modo per diventare umili e perdere un po’ di presunzione … Quel po’ di amore al Signore e ai fratelli, che sopravvive, serve solo per aprirci gli occhi e diventare consapevoli dell’inconsistenza della nostra fede…
  • Allora può sgorgare dalla desolazione la preghiera del cuore, quella che nasce dall’amarezza di aver sperimentato nel peccato e nel tradimento chi è… il Salvatore e chi l’incapace di salvarsi. Gesù ci ha detto dove guardare, nella verità di questa situazione, riprendendo proprio l’antica auto/definizione di Jahwé a Mosè: io sono! Finché Pietro guarda a lui cammina sulle acque, appena guarda il vento avverso precipita… E nell’angoscia tra dubbio e fede, sicuro ormai di non stare a galla da solo, trova la preghiera vera, perché la “poca fede” possa crescere prima di affondare… Signore salvami!
  • Anche la fede più debole, nella lotta dolorosa tra presunzione di farcela da soli (sempre smentita) e consegna “svuotata” di sé (unica spiaggia dove approdare nel naufragio), vive sempre in collegamento vitale con tutti i fratelli che sono sulla stessa barca, e in qualche modo ne dipendono, per ritrovare la strada dell’umile e macerato ‘riconoscimento’ di sé e del Signore…

Pregare è partecipare con Gesù alla tempesta / passione del mondo
Il suo camminare maestoso sopra i flutti – è ‘sovrumano’ e dovrebbe servire come segno per istillare nei discepoli la sua superiorità sulle forze della natura e ottenere cos’ da loro, una volta per sempre, la fiducia – cioè quell’aumento della “poca fede” che il Signore pensa sufficiente… ad andare a fondo senza disperare (Gesù stese la mano e lo afferrò!). Bisogna passare dalla voglia di miracolo, come prolungamento “divino” della volontà di potenza dell’uomo, che cosi diventa satanico… all’antimiracolo, il prodigio inimmaginabile della misericordia del Padre: la consegna della stessa sua potenza divina (il figlio!) in balia della presunzione umana (cfr il drammatico dialogo di Gesù e Pietro, due pagine dopo!). I teologi farisei saranno giustamente scandalizzati dall’impotenza divina sulla croce! Non c’è miracolo che aumenti l’amore, cioè la forza di superare la paura della morte e donare la propria vita. Solo l’antimiracolo alla fine trionferà! Che non è “scendere dalla croce”, ma andare a fondo, per amore! Quando “tutti, abbandonatolo, fuggirono”, sarà Gesù a implorarli di stare a pregare un poco con lui perché la sua anima stava precipitando nelle angosce della morte, ma loro l’hanno lasciato andare a fondo nella sua disperazione solitaria… Ecco perché i discepoli più attenti (i mistici) hanno sempre cercato fargli compagnia nella “sua” passione, piuttosto di badare alla propria: “Quando si è completamente rinunciato a fare qualcosa di noi stessi … – allora ci si getta completamente nelle braccia di Dio, allora non si prendono più sul serio le proprie sofferenze, ma le sofferenze di Dio nel mondo, allora si veglia con Cristo nel Getsemani, e, io credo, questa è fede, questa è metànoia, e così si diventa uomini, si diventa cristiani” (Bonhoeffer lett 21.07.1944)

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