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giovedì 15 luglio 2010

XVI Domenica del Tempo Ordinario: Un'altra donna che sta seduta ai piedi di Gesù

In questa sedicesima domenica del tempo ordinario, la Chiesa ci propone (nuovamente!) l’immagine di una donna «seduta ai piedi di Gesù». E già questo merita un’annotazione: perché se la chiesa – storicamente così legata ad una tradizione maschile (-ista) (come si evince bene da alcune simpatiche espressioni di Teresa di Gesù, che scriveva «Voi siete giudice giusto, e non come i giudici della terra, i quali, figli di Adamo come sono e in definitiva tutti maschi, non vi è virtù di donna che non tengano in sospetto. Sì, ci deve essere un giorno, o mio Re, in cui tutti appaiano quali sono; Non parlo per me, ché già conosce il mondo la mia miseria, e ho piacere che sia palese, ma perché vedo tempi siffatti che non è ragionevole rigettare animi virtuosi e forti, quantunque siano di donne») – se questa chiesa, dunque, si ritrova a “dover” ripresentare (nuovamente!) quest’immagine così “eterogenea” rispetto ad un certo impianto religioso (l’aveva fatto solo qualche domenica fa con il brano di Lc 7,36 ss), è indubbiamente perché questa ricorrenza c’è nel vangelo stesso… e non si può tacerla…

Si può sfumarla, smaterializzarla, renderla evanescente (come ha fatto… leggendo per esempio questi testi sempre e solo in chiave simbolica – che è un procedimento che avrà anche una sua verità, ma che nel momento stesso in cui si stacca dalla realtà della narrazione – dal genere letterario vangelo – perde di consistenza…), ma non può censurarla… soprattutto perché è proprio rispetto ad uno di questi testi che Gesù stesso – come riporta Matteo 26,13 – ha detto: «dovunque sarà annunciato questo Vangelo, nel mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche ciò che ella ha fatto». Come per l’eucaristia!
Dunque, una donna «seduta ai piedi di Gesù»… un’altra donna «seduta ai piedi di Gesù»… Quasi che vien da dirGli davvero – sempre con la Santa Madre Teresa – che «Quando eravate su questa terra, lungi d'aver le donne in dispregio, avete anzi cercato di favorirle con grande benevolenza. Avete trovato in esse tanto amore e fede più grande che negli uomini» (CV 3,7)… Come a dire – con un linguaggio un po’ più vicino al nostro di cinquecento anni dopo – che a Gesù piaceva proprio stare in compagnia delle donne, le guardava con simpatia e le incontrava con tenerezza e libertà, in maniera sempre pulita, senza temerle, né farsi da loro temere…
E chissà dove e quando, noi abbiamo disimparato (o non siamo stati capaci di imparare… o non abbiamo voluto imparare…) questa sua libertà di starci accanto – fratelli e sorelle che vivono insieme e pensano insieme e insieme crescono e costruiscono e si donano reciprocamente la vita…
Certo… tanti motivi storici, culturali, tradizionali… Eppure anche questo era un cordone essenziale dell’esperienza storica di Gesù… che doveva con-vertire (come è successo per tanti altri versanti) la storia, la cultura, la tradizione…
Senza contare che in più – in questo caso – lo stare di Maria «seduta ai piedi del Signore» mentre «ascoltava la sua parola» aveva anche un’ulteriore “eterogenea” valenza per quei (?!) tempi. Come annota infatti don Bruno Maggioni nel suo il racconto di Luca «Marta assume nei confronti dell’ospite un ruolo tipicamente femminile: tutta affaccendata prepara la tavola. Maria, al contrario, si intrattiene con l’ospite, assumendo un ruolo che la mentalità del tempo riservava agli uomini: un fatto insolito che neppure Marta condivide, prigioniera come tutte della mentalità corrente. Maria che si “siede ai piedi del Maestro” e ascolta la Parola è la tipica figura del discepolo. E questa è una novità. I rabbini infatti non usavano accettare le donne al proprio seguito, e divenire discepolo era riservato agli uomini. Per Gesù non è così». E per la chiesa? Chissà…
Su questo forse gli uomini (di chiesa) dovrebbero un po’ mettersi a pensare… (ma certo anche le donne)…
Eppure, il testo odierno non è solo questo… perché accanto all’immagine di Maria «seduta ai piedi di Gesù» – anzi forse proprio (dal punto di vista narrativo, ma non solo) per portare tale immagine in primo piano – c’è anche l’indaffararsi di Marta (i suoi «molti servizi»), la distrazione che questo le provoca («Marta era distolta»), la sua recriminazione («Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti»)… con in gioco – forse – un versante che dovrebbe “dar da pensare” più alle donne e alle loro dinamiche… (ma certo anche agli uomini).
Non va dimenticato, infatti, come sia Marta ad accogliere in casa Gesù («In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò»). È dunque lei che attua la fede migliore: «La nostra fede migliore [infatti] è accogliere in casa Gesù! Consegnare la propria vita ad un ideale di dedizione, di servizio, di gestione della propria vita … “per” qualcuno. Ma finiamo poi [come Marta – appunto] per volere gestire in proprio la nostra fede (la vita!)… Inevitabilmente il rapporto diventa contrattuale, moralistico, intento a soppesare la propria generosità e dedizione, con conseguente giudizio e ritorsione su chi non ci ascolta o si comporta diversamente… Allora si fa di tutto, a livello affettivo, politico, economico, teologico (perfino liturgico!) perché le proprie posizioni siano riconosciute e approvate… Finché emergono invidia, amarezza, ritorsioni, delusioni… il peccato dell’io moralista, che cova sempre dentro di noi. E si disistima “l’operaio dell’ultima ora”, “il fratello minore” ritornato dopo la fuga dissipatrice, ... i peccatori e pubblicani amati dal Signore… il profeta ambiguo che si lascia “toccare” dalle donne. Il rapporto di Marta con Gesù diventa disagevole, scontento, si consuma non in dolcezza compiacente, ma nell’insofferenza gelosa, e nella pretesa che tutti facciano come lei. Un rapporto infelice, che invece di unificarla armonicamente la lascia “distratta”, nel giro del molteplice servizio!”…
Maria invece «ascoltava la sua parola». Ecco invece il rapporto che si nutre di se stesso, non si misura, dà gioia e pacificazione… E perfino… pazienza comprensiva dell’insofferenza altrui (tace, non reagisce: sapendo che la spiegazione non serve e sarebbe comprensibile solo a chi ha provato!). Nasce una dinamica interiore che è possibile solo se sostenuta dall’esperienza già percepita (almeno qualche barlume, chi non l’ha avuto?!) che l’ascolto della Parola di Dio è l’opportunità più immediata (alla portata di tutti) non di … smettere di parlare per essere ascoltati. Ma invece di imparare ad ascoltare… Dio, nel suo modo di manifestarsi e agire nella nostra storia! Scoprire che Dio ha cercato infinite volte, in tanti modi, nei millenni, attraverso santi grandi e piccoli, attraverso profeti, mistici, poeti, i disperati dell’umanità… di farsi ascoltare… E ultimamente attraverso il figlio, mandato nel mondo, uomo con gli uomini, a fare amicizia, a nome del Padre (Gv 15,15)!
Questa donna segna nel vangelo l’esperienza più viva del nuovo ascolto “diretto” della Parola, in persona! viva e presente in Gesù, amico affettuoso, che non solo parla, ma trasforma e colma il cuore… Certo che tutto diventa secondario, per lei, in questo momento! E non si ricorda neanche della cena e dei preparativi necessari… Non toglie lo sguardo da questo ospite che la coinvolge come nessun altro! Gesù ne è coinvolto, fino a definire questo atteggiamento della sua amica “la parte buona, che non le sarà tolta”, perché è incancellabile. Infatti le ha segnato il cuore, per sempre!» [Giuliano].
Il problema allora non è tanto quello dello stabilire cosa sia più importante tra il servizio e l’ascolto – o tra vita attiva e vita contemplativa – come spesso invece si tende a fare in riferimento a questo brano (anche perché non va dimenticato che esso è messo in stretta relazione – viene subito dopo – alla parabola del buon samaritano, che – su questo piano – dice il “contrario”, perché i due “contemplativi” – sacerdote e levita – passano oltre, mentre il samaritano si ferma a servire il moribondo… e lui, non gli altri, là, era in primo piano!)… il punto è (nuovamente!) la centralità del volto dell’A/altro a fronte delle molte cose che distraggono! Dice infatti ancora Maggioni: «Persino il troppo “dare”, anche per amore, rischia di togliere spazio alle relazioni», che invece sono le uniche “cose” che contano per il Signore e – dunque – le uniche che dovrebbero abitare il centro del cuore del discepolo, che dovrebbero essere il suo tesoro («Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore», Lc 12,24)… diventando in qualche modo lucidi e benevoli verso le proprie e altrui dinamiche (maschili e femminili), ma per evangelizzarle, perché esse – seguendo le logiche della carne, dunque della competizione – dis-traggono (cioè “traggono fuori”) dalla «parte migliore»… che invece è proprio quella che rende abitabile questa vita, rendendola – nella relazione cristica con l’A/altro – Vita… che non sarà tolta!

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